Orrore al centro riabilitazione: nove bambini autistici legati alle sedie e presi a schiaffi

In trenta giorni di indagini, almeno cento episodi di violenza documentati. Una violenza che si manifestava ogni giorno con comportamenti vessatori e punitivi. L’incubo per nove bambini autistici è finito ieri mattina, quando le loro carnefici, tre educatrici e un’insegnante, tra i 28 e i 42 anni, sono state arrestate dai carabinieri. Nel centro riabilitativo Sant’Agostino di Noicattaro, a pochi passi da Bari, i piccoli ospiti, tra i 7 e i 15 anni, che seguivano un programma in convenzione con la Asl, subivano ogni forma di violenza fisica e psicologica: venivano legati alle sedie con le braccia bloccate dietro la schiena, messi a tacere con fazzoletti sulla bocca quando urlavano e piangevano, fin quasi a non poter respirare. Secondo gli investigatori, le vittime frequentavano il centro da più di due anni e per la gravità del loro disturbo non sono stati in grado di comunicare quanto hanno subito.

Gli inquirenti hanno immortalato episodi di pazienti spinti contro il muro o tra il muro e il banco. Altri piccoli, invece, erano immobilizzati con la testa pressata sul pavimento. Le intercettazioni audio nei bagni della struttura hanno documentato il suono degli schiaffi e i pianti dei piccoli.

L’indagine, coordinata dalla Procura di Bari, è stata avviata a novembre 2018 quando una dipendente del centro, ha riferito alle forze dell’ordine di aver assistito a comportamenti violenti nei confronti di alcuni ospiti da parte di colleghe. Gli investigatori hanno raccolto altre testimonianze e hanno avviato indagini lampo che hanno portato agli arresti di ieri. Secondo quanto emerso dalla consulenza di uno psichiatra, richiesta dagli inquirenti, le violenze che i bambini hanno condiviso nel centro, hanno determinato ulteriori danni alle già gravi patologie di cui le vittime soffrono.

Il trapper Sfera Ebbasta indagato: “Istiga alla droga con le canzoni”

Istigazione all’uso di sostanze stupefacenti: Gionata Boschetti, in arte Sfera Ebbasta, è stato indagato dalla procura di Pescara dopo l’esposto presentato dai senatori di Forza Italia Lucio Malan e Massimo Mallegni. Esposto inviato in tutte le procure – almeno 15 – delle città in cui il cantante ha fatto tappa con il suo tour. E a Pescara, il 12 luglio scorso, Sfera Ebbasta ha tenuto uno dei suoi spettacoli.

L’esposto dei due senatori accusa il “trap boy” di scrivere testi e canzoni che “si riferiscono pressoché tutti all’uso di droghe e spesso al loro spaccio, senza mai accennare alle negatività di tali pratiche, anzi prospettando tale stile di vita come simbolo di successo”. Il nome di Sfera Ebbasta è legato anche alla tragedia della discoteca Lanterna Azzurra di Corinaldo (Ancona), dove tra il 7 e l’8 dicembre scorso persero la vita 6 persone, cinque minorenni e una madre che accompagnava la figlia. L’iniziativa dei due senatori forzisti contro il cantante “trap” ha portato a una reazione dei Radicali che si sono schierati in difesa dell’artista: “Una denuncia contro il cantante Sfera Ebbasta per istigazione all’uso di droghe, come quella presentata dai senatori di Forza Italia Lucio Malan e Massimo Mallegni”, ha dichiarato Antonella Soldo, “rappresenta un’iniziativa di sciacallaggio a rimorchio di una tragedia come quella della discoteca Lanterna Azzurra”. In effetti, se la colpa di Sfera Ebbasta è quella prospettata dai du senatori, e se la procura dovesse ravvisare il reato, potrebbe finire sotto indagine un discreto numero di artisti: “Se il bersaglio – continua Soldo – è rappresentato dalle ‘frequenti oscenità’ dei testi delle canzoni di Sfera Ebbasta e dai riferimenti ‘all’uso di droghe e allo spaccio, senza accennare alle negatività di tali pratiche e prospettando tale stile di vita come simbolo di successo, c’è un’ampia discografia mondiale da portare sul banco degli imputati”.

Buche, il Comune condannato a risarcire un automobilista. Ma si difende: “L’errore è suo”

I romani sono ormai abituati ai continui slalom. Il Comune di Roma dovrà pagare il primo risarcimento a un automobilsta finito in una buca: 760 euro è la quantificazione del danno. A raccontarlo è il Codacons, rivelando però anche una strana teoria sostenuta dalla difesa: il Campidoglio, nella memoria difensiva depositata contro una class action intentata dall’associazione dei consumatori, sostiene che, essendo le buche una caratteristica cittadina, sono i romani ad avere “l’obbligo” evitarle.

A dover essere ripagato per i danni subiti è un automobilista che a marzo dell’anno scorso stava viaggiando nella zona di Santa Palomba, a sud di Roma.

Quel giorno pioveva a dirotto, l’automobilista non vide la buca anche per l’assenza della segnaletica stradale. Risultato: gomma anteriore sinistra bucata e cerchione danneggiato. Oltre a chiamare un carro attrezzi s’è rivolto anche al Codacons che ha presentato la richiesta d’indennizzo sia al Comune sia alle Assicurazioni di Roma. E ieri è arrivata la decisione: indennizzo riconosciuto.

Ma la storia non si ferma qui. Tempo fa il Codacons ha avviato davanti una class action davanti al Tribunale civile di Roma per far ottenere ai cittadini il risarcimento dovuto proprio al dissesto delle strade. Ed è proprio qui, tra i documenti depositati, che appare la memoria difensiva che il Codacons definisce “incredibile”: il Comune – dice l’associazione – sostiene infatti che essendo le buche un fatto ormai noto a tutti e una caratteristica di tutta la città, dai Parioli fino a Tor Bella Monaca, il compito di evitarle spetta agli automobilisti. “La presenza su strade pubbliche di sconnessioni, avvallamenti e altre irregolarità – si legge infatti nella memoria firmata dall’avvocato Andrea Camarda – non costituisce un evento straordinario ed eccezionale ma rappresenta, al contrario, una comune esperienza e, dunque, deve essere tenuta ben presente dagli utenti della strada, i quali hanno l’obbligo di comportarsi diligentemente per evitare pericoli a sé o ad altri.

“È stato il vento”: una fondazione privata rilancerà il paese simbolo d’integrazione

Far ripartire il “modello Riace” senza fondi pubblici. Con buona pace del Viminale che, nei mesi scorsi, ha bloccato i progetti d’accoglienza dei migranti condannando il paesino della Locride allo spopolamento.

“È stato il vento”. Si chiamerà così la futura fondazione che che punta a far ripartire i progetti di accoglienza dei migranti dopo la bufera giudiziaria che ha coinvolto il sindaco “sospeso” Mimmo Lucano, ancora sottoposto al divieto di dimora nel Comune di Riace.

Per consentirgli di partecipare all’iniziativa, la conferenza stampa si è tenuta nella biblioteca di Caulonia dove si è riunito il comitato promotore, lo strumento che servirà a raggiungere la soglia di 100mila euro che, per legge, sono necessari per costituire il patrimonio della fondazione.

Una scelta obbligata perché, come ha spiegato la coordinatrice nazionale di Recosol Chiara Sasso, “l’attenzione su Riace non si è mai spenta. Tutti ci chiedono di mantenere in piedi questo progetto. La fondazione avrà il compito di supportare tutte le attività e cercare di farle partire. Vogliamo fare qualcosa perché Riace deve tornare quello che era prima”.

Riace si sta svuotando. Ma non del tutto. “Sono rimaste delle persone che non sanno dove andare”. Mimmo “u curdu” non fa altro che pensare a loro: “Finora – dice Lucano – è stato possibile assisterle grazie all’aiuto della rete di solidarietà. Oggi vogliamo una svolta. Questa fondazione, almeno nella prima fase, dovrebbe sopperire ai vuoti dovuti all’assenza di contributi”. Perché continuare? Con il suo mandato da sindaco praticamente concluso (anche se dovesse tornare a Riace) e nessuna intenzione di candidarsi alle europee, Lucano non ha dubbi: “Ormai siamo dei militanti politici e per quello che rappresenta oggi l’Italia non ci possiamo tirare indietro”.

I dettagli del progetto di rilancio del modello di accoglienza li ha spiegati l’avvocato Gianfranco Schiavone, vicepresidente dell’Asgi: “Il borgo accoglierà anche le persone che oggi sono escluse dal decreto Salvini e da una legge ingiusta e illegittima. Vogliamo che la fondazione viva di una vita propria e di finanziamenti popolari”.

Più dura l’analisi di Emilio Sirianni di Magistratura democratica. Il giudice, da sempre al fianco di Mimmo Lucano, punta il dito contro “un’Europa incattivita davanti a 49 disperati su una barca alla deriva nel Mediterraneo, che alza muri e che, dai tavoli della colazione dei nostri ministri, proclama ogni giorno che non cederà di fronte a questa orda di invasori”.

“Se lo Stato italiano – aggiunge Sirianni – vuole dichiarare la guerra santa contro questa umanità disperata, noi siamo dall’altra parte della barricata. Abbiamo cominciato a pensare a come fare a meno dello Stato Italiano che vuole fare a meno di noi. Se anche gli Sprar verranno chiusi, dimostreremo che è possibile accogliere questi uomini e queste donne lo stesso, a dispetto dello Stato italiano e del suo ministro dell’Interno”.

L’ultima stoccata a Salvini è di padre Alex Zanotelli: “Un cristiano non può votare per Salvini. Il vangelo di Gesù è all’opposto del vangelo del ministro. Bisogna scegliere: o uno o l’altro”.

Ristorante a Parigi, Lucia Riina toglie il nome dall’insegna

“Affinché non ci sia nessun malinteso, vi annuncio che ritirerò il mio nome dall’insegna del ristorante, anche se mi dispiace che la mia identità di pittrice e di donna venga negata”.

Lucia Riina, figlia del boss di Corleone Totò Riina, fa marcia indietro e annuncia che togliera il suo cognome dall’insegna del ristorante “Corleone” aperto a Parigi.

“Non ho cercato di provocare né di offendere nessuno – dichiara al quotidiano Le Parisien – volevo soltanto valorizzare la mia identità di artista-pittrice” .

“Siamo a Parigi da 3 mesi e il ristorante è aperto dal 5 novembre – continua – siamo dei dipendenti, io ricevo i clienti, mio marito si occupa del bar e impara il mestiere. Le mura non mi appartengono, non c’è nessun riciclaggio di denaro. Sono un’artista e voglio essere conosciuta per quello che sono senza dover cambiare nome”.

L’avviamento del locale è costato 280 mila euro. L’agenzia che riscuote i tributi in Sicilia aveva da poco notificato un atto per chiedere 2 milioni ai familiari del boss per le spese di detenzione. Stando alle cronache la famiglia avrebbe rinunciato all’eredità.

Robledo assolto dal vilipendio. “Non ha mai offeso il Senato”

Prosciolto. Alfredo Robledo, già procuratore aggiunto a Milano e poi a Torino, è stato prosciolto dall’accusa di vilipendio degli organi costituzionali. “Il fatto non sussiste”, per il giudice dell’udienza preliminare di Roma Valerio Savio. È l’ultimo atto di una lunga vicenda giudiziaria e disciplinare innescata dal duro contrasto che ha opposto Robledo al suo capo, l’allora procuratore di Milano Edmondo Bruti Liberati, e che gli era costata il trasferimento a Torino. Questa coda ora chiusa a Roma riguarda una contesa con l’ex sindaco di Milano Gabriele Albertini, nata quando Robledo aveva indagato alcune banche per i derivati che avevano venduto al Comune di Milano. L’allora sindaco, poi diventato senatore, aveva rivendicato la sua correttezza e aveva rilasciato dichiarazioni pesanti contro il magistrato. Questi lo aveva querelato per calunnia, ma il Senato aveva salvato Albertini, definendo “insindacabili” le sue parole. Nel 2016, Robledo dichiara che il Senato “si è inventato la bestialità della immunità retroattiva del senatore Gabriele Albertini nel processo che lo vede imputato di calunnia ai miei danni”. Era scattata una denuncia per vilipendio al Senato. Ora è arrivata la decisione del gup che archivia la vicenda e fa cadere le accuse all’ex magistrato, da dicembre in pensione.

Sull’intero “caso Robledo” fa il punto, domani sera, il programma di Riccardo Iacona Presa diretta, su Rai3, con servizi a cura di Danilo Procaccianti e Luigi Mastropaolo. Robledo ricapitola la vicenda che lo ha visto protagonista. Racconta che, mentre nel 2014 stava indagando, anche con intercettazioni telefoniche, sul più grande degli appalti di Expo 2015, il procuratore gli vietò di interrogare un indagato e poi lo estromise dalle indagini.

Ricorda che, in seguito, l’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi ringraziò la Procura di Milano per la dimostrata “sensibilità istituzionale”. Intervenne anche l’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, con una lettera inviata al Consiglio superiore della magistratura in cui sosteneva che “le funzioni ordinatrici e coordinatrici spettano al procuratore della Repubblica” e che “l’indipendenza e autonomia della Procura riguardano l’ufficio nel suo complesso e non il singolo magistrato”. “Insomma il capo ha sempre ragione”, conclude Robledo. Sotto accusa la gerarchizzazione delle Procure e la degenerazione delle correnti della magistratura che si spartiscono il potere di gestire carriere e uffici giudiziari.

Robledo nel corso del programma dichiara anche che Bruti gli proibì di iscrivere nel registro degli indagati l’allora presidente della Provincia di Milano, Guido Podestà; ricorda che fu dimenticato nei cassetti il fascicolo di un’indagine che riguardava Sea, la società del Comune che gestisce gli aeroporti milanesi; e che fu rallentata un’inchiesta su alcuni poliziotti infedeli che taglieggiavano piccoli spacciatori di droga.

Poliziotti a Roma: stanchi, pochi e sempre più vecchi

Un fenomeno inesorabile e irreversibile. I poliziotti a Roma sono sempre di meno. E sempre più anziani. Così, i nuovi arrivi promessi dal ministro dell’Interno, Matteo Salvini, sembrano una goccia nel mare, alla luce dei pensionamenti e dei servizi straordinari che si accavallano. La Questura di Roma oggi conta appena 6.749 unità in servizio fra i 49 commissariati e i vari reparti a controllo dei 1.285 km quadrati del Comune di Roma. Un territorio enorme, se si pensa che a Milano circa 4.000 agenti sono dislocati su un’estensione di appena 181 kmq, mentre a Napoli ce ne sono quasi 5.000 su 117,3 kmq. Nel 1989, 30 anni fa, i poliziotti attivi a Roma erano 9.500, quasi 3.000 in più. Ma è il dato sull’età anagrafica a preoccupare. Gli agenti nella Capitale hanno circa 48,5 anni di media – dato aderente alla media nazionale – con tutte le problematiche fisiche che ne derivano. In tutta Italia, ogni anno vanno in pensione quasi 1.500 poliziotti l’anno, dal 2021 saranno fra i 4.000 e i 5.000 l’anno fino ad arrivare ai 6.000 del 2026. Rapportato alla Capitale, vuol dire che fra 3 anni inizieranno ad andare in pensione almeno 300 agenti l’anno, fino ad arrivare a quasi 400 dal 2026. “A quel punto a poco potrebbero servire i 2.000 ingressi nazionali per concorso annunciati dal ministro Salvini”, spiega il segretario provinciale del Siulp Roma, Saturno Carbone.

Sul territorio capitolino, questi dati si traducono in una battaglia impari. La situazione più critica è al commissariato Casilino Nuovo, alla periferia est della città, la zona più problematica fra criminalità autoctona, infiltrazioni mafiose, clan e delinquenza comune. In un’area grande quanto la città di Napoli (113 kmq), fra quartieri come Tor Bella Monaca, Giardinetti, Ponte di Nona e Romanina, vi sono in servizio appena 92 agenti, nonostante negli ultimi 15 anni la popolazione del quadrante abbia raggiunto ben 400.000 abitanti. A San Basilio, invece, i poliziotti impiegati sono solo 74. Fra loro, secondo il sindacato Mosap, solo 17 sono assegnati all’Ufficio prevenzione e soccorso pubblico, di cui 5 ispettori superiori, 2 aggregati presso l’ufficio scorte del Ministero, 1 distaccato in Procura, 2 pensionandi e 5 spesso assenti per la legge ex 104. Tutto ciò a fronte di ben 479 pregiudicati sottoposti a sorveglianza speciale (domiciliari e obbligo di firma) di cui 37 con braccialetto elettronico. “Auspichiamo che il ministro Salvini acceleri quel processo di potenziamento della pianta organica”, afferma Fabio Conestà, segretario generale del Mosap. E che dire di Ostia – con un territorio 151 kmq – dove ai fatti di sangue documentati dalle faide criminali si risponde con un contingente di 98 unità. Di notte, poi, dei 49 commissariati romani funzionano attivamente solo in 10, di cui 4 nei due municipi centrali della città (Trevi, Viminale, San Lorenzo e Ponte Milvio). In totale, le volanti impiegate ogni giorno sono 200, circa 50 per turno, “mentre nell’area urbana di Parigi sono 200 per turno”, fa sapere il Siulp.

Ma Roma non è solo una città con le sue dinamiche criminali. È anche la Capitale e come tale vive una serie di “emergenze” amplificate rispetto al resto del Paese. Vigilanza antiterrorismo, ultras e immigrazione vengono affrontati con sempre meno personale. Alla Divisione Stranieri di via Patini (periferia est) ogni giorno fanno la fila centinaia di migranti fra rifugiati, richiedenti asilo e persone che chiedono documenti e rinnovi, “con gli agenti spesso costretti al doppio lavoro dell’identificazione”, spiegano i sindacati. Alle intemperanze dei violenti delle curve, italiani e stranieri, il Reparto Mobile risponde con 700 unità, contro le oltre 1.000 del 2004: i “celerini” oltre ai tifosi da stadio devono far fronte ogni giorno a manifestazioni politiche, sgomberi ed eventi di ogni tipo. Stessi numeri per la Polaria di Fiumicino, dimagrita di oltre 300 persone in 15 anni mentre il traffico nel primo aeroporto italiano cresceva a dismisura. “La situazione non è più sostenibile – afferma Carbone del Siulp –. Ci sono agenti che hanno anche 2 anni di ferie arretrate, più recuperi vari e che non riposano da 4-5 mesi. La polizia italiana è una delle migliori al mondo per risultati ottenuti, ma di questo passo non riusciremo a mantenere i nostri standard. L’età media è troppo elevata e i pensionamenti sono alle porte: Salvini come pensa di sostituire queste persone? E come vorrebbe addestrarle se le scuole sono sempre di meno?”.

Paletti al reddito di cittadinanza: tutte le nuove ipotesi tecniche

Continua, alacre, il lavoro dei tecnici attorno al decreto che dovrà trasformare in realtà quota 100 per i pensionati (ma solo quelli che si possono permettere le relative decurtazioni) e il cosiddetto reddito di cittadinanza. Pian piano cominciano pure a delinearsi i criteri attraverso i quali si potrà ottenere l’integrazione al reddito fino a 780 euro per 18 mesi rinnovabili: devi essere maggiorenne, disoccupato (ma non se ti sei dimesso), con Isee inferiore a 9.360 euro, patrimonio immobiliare non superiore a 30mila (prima casa esclusa, ma la proprietà della casa abbassa l’assegno). Se imbrogli, la pena va da uno a sei anni: tipo rapinatore. Per avere i soldi, com’è noto, ci si impegna a fare formazione e a lavorare 8 ore a settimana per il Comune. Il beneficio decade per chi rifiuta tre offerte di lavoro “congrue”: la prima entro 100 km da casa, la seconda entro 250 km e, dopo un anno e mezzo, nell’intero territorio nazionale se non si hanno minori o disabili a carico. Ora pare che, se l’offerta ti arriva dopo un anno, non la puoi rifiutare. Il lavorio giuridico, però, continua e – a quanto risulta al Fatto – sono al vaglio nuove ipotesi: addio all’assegno se non sai fischiare le Variazioni Goldberg o se l’offerta arriva quando piove; la formazione va fatta in sanscrito; la carta coi soldi si smagnetizza se hai votato Pd; la seconda offerta di lavoro è da considerarsi terza nei giorni dispari e altre ancora. I maligni sostengono che se una cosa costa 15 miliardi e ne stanzi 6,5 poi devi mettere molte barriere all’accesso, ma noi non ci crediamo: è solo amore per il dettaglio.

Banche, in arrivo per l’Italia la vera tempesta perfetta

Per le banche italiane si prepara una tempesta perfetta. Chi si sente già bastonato dalla crisi economica dovrebbe valutare l’ipotesi che il peggio debba ancora venire. Qui non si tratta di fare catastrofismo a buon mercato ma di indicare al governo e alle istituzioni, compresi il Quirinale e la stessa Banca d’Italia, l’urgenza di affrontare la situazione con serietà anziché con infantili polemiche via Twitter a base di “chi lo dice lo è” e “ci hai creduto faccia di velluto”.

Due giorni fa il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco ha detto una cosa che merita di essere letta nella sua allarmante testualità: “Oggi, con il beneficio della retrospettiva storica, i costi economici e sociali di fenomeni di instabilità finanziaria sistemica sono divenuti a tutti evidenti e portano a considerare sotto una luce diversa l’opportunità di interventi pubblici non solo per le banche illiquide ma solvibili, ma anche nei casi potenzialmente in grado di pregiudicare il funzionamento del sistema finanziario nel suo complesso”. Ci ha detto che l’intervento statale per salvare la Carige è solo il primo.

A proposito di prospettiva storica: dal 2015 al 2017 si sono avuti una serie di “casi isolati” come amano definirli le autorità di vigilanza distratte, che hanno visto cadere come birilli Banca Marche, Banca Etruria, Cassa di Ferrara, Carichieti, Monte dei Paschi, Veneto Banca e Popolare di Vicenza. Adesso si ricomincia, con l’aggravante della recessione e del peso dello spread sul patrimonio degli istituti. Dopo Carige, le cronache riferiscono che la Popolare di Bari sarebbe in marcia verso il pronto soccorso. I medici della Bce dicono che i miliardi pubblici iniettati dal governo Gentiloni in Mps sono già finiti nello scarico del lavandino. Un banchiere del calibro di Corrado Passera dichiara in un’intervista che le banche medio-grandi devono fondersi tra loro per sopravvivere, e sembra riferirsi a Mps, Ubi, Banco Bpm e Bper.

Nel frattempo la Consob sta consultando le banche su un quesito drammatico. Quando arrivano le verifiche della Bce sulla solidità degli istituti (in sigla Srep) che cosa devono comunicare le banche al mercato? Tutta la verità, in nome della trasparenza, con il rischio di sfiduciare i clienti e far crollare la banca? O qualcosa sì e qualcosa no per salvare la baracca, con il rischio di ingannare il mercato? Sul punto si possono avere opinioni diverse, ma la notizia è che di questo si sta discutendo.

Dice Visco che la vigilanza “riduce la probabilità che si verifichino episodi di dissesto, ma non può annullarla”. Infatti il governatore ha spesso denunciato casi di mala gestio, cioè di banchieri furbi e ispettori fessi. Per questo una direttiva europea del 2013 (in sigla CRD IV) ha fissato regole più stringenti sui requisiti di onorabilità e correttezza dei banchieri. La CRD IV è stata recepita dopo due anni, nel maggio 2015, e il ministro Pier Carlo Padoan ha impiegato altri due anni per scrivere il decreto attuativo, pronto dal 22 settembre 2017. Ma da quel giorno al 1 giugno successivo, quando ha passato le consegne a Giovanni Tria, Padoan non ha trovato il tempo di emanarlo. E neppure Tria, in sette mesi, ha avuto trenta secondi liberi per firmare il decreto. Il governo del cambiamento non ha cambiato lo scandaloso andazzo. Da quasi sei anni i banchieri fanno marameo al giro di vite dell’Europa. E il vertice dell’Ubi, in testa il presidente Andrea Moltrasio e l’ad Victor Massiah, continua a gestire la banca pur essendo sotto processo per “influenza illecita sulle decisioni dell’assemblea” nella quale furono eletti al vertice nel 2013. Poi, quando scoppieranno i bubboni, lorsignori ci diranno: “Ma chi poteva immaginare?”.

 

Il battesimo di Gesù ci rende partecipi della sua risurrezione

Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: “Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco”. Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto degno di slegare anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: “Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento” (Luca 3,15-16.21-22).

Il Vangelo di oggi ci parla di un popolo in attesa. Sappiamo bene che solo chi attende con ardore, solo chi spera nel profondo dell’anima che si avveri una promessa, solo chi ha coltivato e ha impegnato se stesso in un’aspettativa esistenziale importante, può giungere ad ascoltare la voce che annuncia il nostro Dio (Isaia 40,9). Tutti nutrono il desiderio che si compiano le promesse profetizzate da Isaia: che Dio liberi il suo popolo, lo consoli e che ogni uomo possa vedere la Sua gloria! Ma è la Parola di Dio che suscita la richiesta del perdono dei peccati, che genera disponibilità a lasciarsi purificare, convertire.

La prima immagine di Gesù che l’evangelista ci offre, dopo i racconti dell’infanzia, è questa in cui riceve il battesimo d’acqua di Giovanni. Il più forte è in mezzo al suo popolo, confuso tra i penitenti, in fila per sottoporsi al rito della purificazione del Battista. Proprio in questa umile esperienza di abbassamento, di fraterna condivisione con i peccatori, i cieli si aprono e scende su Gesù la conferma della sua singolare identità e del ministero messianico: Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento.

Egli stava in preghiera, è la nota caratteristica di Luca che nei momenti decisivi della vocazione e della vita ci presenta Gesù in relazione privilegiata, in comunione profonda col Padre, che parla solo qui e nella Trasfigurazione. Mettendosi con i bisognosi di perdono, i peccatori, e poi con i più poveri, Egli, il giusto, condivide in tutto la nostra condizione di creature peccatrici e mortali. In questa azione battesimale, Gesù anticipa ciò che vivrà nella Pasqua.

È chiamato Figlio e così riapre per noi il cielo rendendoci figli dell’unico Padre, in forza della Sua Relazione filiale. È l’Amato perché l’azione prima di Dio è l’amore: mette ogni uomo nella condizione di grazia che, in modo incondizionato e unilaterale, fa cogliere la vita come dono inestimabile e incommensurabile. Mio compiacimento aggiunge, perché il libero compimento della missione salvifica dell’uomo operata da Gesù rende contento, felice il Padre.

Il battesimo di Gesù, ricevuto in Spirito Santo e fuoco, diversamente da quello di Giovanni, ci rende partecipi della sua morte per condividere con noi la potenza della sua risurrezione e la forza della sua grazia. Perdono, grazia e carità sono i doni dell’amore immeritato e senza confini capace di farci cambiare vita: l’acqua che rigenera e rinnova nello Spirito Santo.

Le parole che il Padre indirizza a Gesù, il suo Figlio, sono rivolte anche ai discepoli, a ciascuno di noi, a ogni uomo. Lo Spirito del Signore Risorto conferma a tutti il suo amore di predilezione e il suo compiacimento: Egli ci ha salvati, non per opere giuste da noi compiute, ma per la sua misericordia.