Il sovranismo è un nodo scorsoio

Di Maio ha ragione, perché non indossare tutti (tutti loro) i Gilet gialli dei francesi casseurs, visto che tutti, nel governo Lega-5Stelle sono impegnati in un serio lavoro di distruzione? Infatti basta un po’ di attenzione per capire che il fatto nuovo (le leggendarie nuove leggi del reddito e di quota 100) conta niente, si può congelare, fermare, mettere in lista d’attesa, rinviare a un altro gennaio.

L’importante è distruggere certe cose che c’erano prima e ci sono ancora (buone o cattive non importa, sono “di prima”), allontanare certe persone che non devono più ingombrare le istituzioni, esibire un livello morale che ormai non si misura con niente perché niente è stato lasciato intatto, solo i resti di una rissa continua.

Se pensate che da un lato dello schermo entra in scena un ministro dell’Interno vestito da poliziotto e dall’altra un capo di bande ultras con pesanti precedenti penali – non per una sfida (vediamo chi vince fra vita e malavita) ma per un forte abbraccio e una dichiarazione di amicizia reciproca –, vi rendete conto che la differenza con il pericoloso tumulto francese consiste nel fatto che in Francia i rivoltosi si gettano contro il governo.

Qui il governo si getta nel vuoto, perché ha già manomesso le istituzioni che gli erano state affidate, ha già spintonato (o lasciato spintonare da fascisti veri e dichiarati) giornalisti sgraditi, ha già espulso tutti i titolari di uffici e cariche di nomina governativa, senza incontrarli e senza conoscerli, sulla base dell’unico dato: “Sono quelli di prima”. Ha già fatto molto per spartire la Rai secondo contratto, far tacere Radio Radicale, e limitare il più possibile il resto dell’informazione.

A questo punto, fatti crudeli e, fino a poco tempo fa inimmaginabili, come abbandonare al mare gelato in tempesta una sessantina di naufraghi, si rivela come la più importante azione di governo fino a oggi. Ma sta diventando chiaro che ciò che accade ora è solo un inizio: c’è dell’altro in arrivo, e sarà molto di più. La prima cosa da notare è che l’arco del comportamento persecutorio comincia a farsi ampio.

Le persone cacciate sono molte. Le notizie, anche televisive, sono un po’ peggiorate (pensate) rispetto al prima. Ancora più oleose di prudenza e cautela nel descrivere eventi deliberatamente dimenticati, come l’arresto del sindaco Lucano.

E poi ci sono fatti, non si sa se risibili o tragici, come l’ultima sentenza della Corte Costituzionale. Dichiara che una violazione alla Costituzione, come approvare una legge-chiave senza discuterla, per una volta si può tollerare, però che non si ripeta mai più. Ma poi ci sono i porti chiusi, che il ministro vestito da poliziotto ha concordato con il ministro delle Infrastrutture, uno che si occupa di migranti ma non del porto di Genova.

Qualcuno dice, con mal motivato ottimismo, che questa gente di governo, legata non da una idea ma da un contratto sui rispettivi poteri, non può durare. Eppure il complicato disastro provocato fin dal primo momento (pensate ai vaccini, sacrosanti ma facoltativi) ha tutta l’aria di una preparazione a ben altro.

Pensate a persone non prive di esperienza come Maria Giovanna Maglie che intima alla Comunità ebraica italiana di non interferire negli affari italiani (sic). Pensate alla improvvisa scoperta di supermotoscafi veloci che (viene detto da adulti ad adulti, senza ridere) trasportano velocemente nel Mediterraneo sigarette, terroristi e organi da trapianto (come si sa, basta una borsa e via), alla faccia dei buonisti che non avevano mai pensato ai terroristi che forniscono cliniche e tabaccherie con lo stesso comodissimo trasporto, sotto gli occhi distratti della Marina italiana, Guardia costiera e Guardia di finanza.

Pensateci per dire: se c’è chi si offre di dare queste notizie, e di spiegare il complotto della sostituzione dei popoli ordito dal miliardario ebreo Soros (che dovrà vedersela con la Maglie) e se il vicesindaco di Trieste, dopo avere buttato via le coperte di un clochard (temperatura zero gradi) dichiara che “il potere finanziario mondiale è in mano al sistema giudaico-massonico”, e se ci si ripete con orgoglio di avere chiuso definitivamente l’Italia, qualcosa deve ancora accadere.

Qualcosa di peggio. Il sovranismo è un nodo scorsoio, e prima o poi la vittima è chi lo sbandiera. Purtroppo però ha già messo il nodo al collo di tutto il Paese.

Mail box

 

I referendum sono utili, solo però su argomenti tecnici

Leggo sul Fatto della proposta di un abbassamento del quorum al 25% per i referendum che diventeranno anche propositivi e più numerosi. Da cittadino, andrei cauto con l’utilizzo di questo che è sicuramente un grande strumento di democrazia ma di cui non si deve abusare. Il primo pericolo è di mettere in mano a lobby o partiti l’arma per stravolgere un tal referendum, mentre noi cittadini eleggiamo e deputati e senatori per legiferare. Il referendum deve essere un’eccezione, non la norma. Vedo anche un altro pericolo nel fatto se le proposte o le abrogazioni diventano mere questioni tecniche gli italiani possono non essere in grado di decidere e vengono quindi condizionati nel loro voto senza che se ne accorgano. Un esempio concreto sarebbe il referendum pro-contro Tav Torino-Lione che, mi pare di capire vorrebbe la Lega di Salvini; per fare o meno questa opera vanno valutate principalmente questioni tecnico-economiche prima che politiche. Quante persone in Italia sono in possesso di questi dati e li sanno valutare? Pochini, tutti gli altri voterebbero per forza di cose influenzati.

Umberto Alfieri

 

I 5S hanno “perso” l’innocenza. Ma la sinistra non ci guadagna

Quello che non capisco quando si accusa il Movimento 5 stelle come l’accusa Revelli sul Fatto di ieri che la perdita dei consensi è dovuta all’aver fine dell’età dell’innocenza e la spinta propulsiva iniziale per aver lasciato a Salvini campo libero. Ammesso che ciò sia vero – ma non lo è come ha dimostrato in un recente editoriale il direttore, come mai i consensi persi vanno alla Lega invece che al Partito democratico o a Liberi e uguali? Forse i cittadini che il 4 marzo 2018 hanno votato il Movimento non lo votano più perché fa politiche di destra? Ma allora dovrebbero crescere i partiti di centrosinistra invece dell’alleato di governo. Forse gli intellettuali dovrebbero frequentare di più le periferie. Quando vedrò la povera gente e non i funzionari di partito protestare e scendere in piazza contro Salvini allora capirò che forse Revelli ha ragione.

Michele Lenti

 

L’innovativa quota 100 è un surrogato della Fornero

Tutto il dibattito intorno alla cosiddetta “quota 100” alla fine ha solo regalato un surrogato della Fornero in quanto è rimasta pressoché invariata la penalità nei confronti di tutti coloro che pur avendo l’età contributiva ma non l’età anagrafica subiscono una decurtazione salariale della pensione se accettano di ritirarsi dalla vita lavorativa.

I fautori del cambiamento non si sono accorti che il governo Renzi, il buon centrosinistra, introdusse l’aumento del costo della contribuzione polverizzando così gli aumenti minimi salariali avuti con i rinnovi dei contratti nazionali di categoria. Infatti basta osservare i cedolini del 2018 con quelli di quattro anni fa per accorgersene, con la conseguenza di avere salari più bassi rispetto a prima pur facendo lo stesso lavoro. Una beffa pagata dai lavoratori con il silenzio dell’intera parte sindacale, mentre la controparte imprenditoriale alza nuovamente il tiro scordandosi però che nel 2007 ottennero una grande agevolazione com’è giusto che sia: il taglio del cuneo fiscale. Chi rimane ancora nel mondo del lavoro, oltre a vedersi allontanare la pensione, si troverà in conto di aver non solo lavorato di più ,ma anche versato più contributi con la conseguente diminuzione salariale della propria pensione che sarà calcolata attorno al 70% del valore dell’ultimo stipendio. Ritorniamo ai 35 anni di contributi, almeno così dopo la pensione avremo ancora un po’ di tempo da spendere.

Gianluca Bragatto

 

La borghesia non si rinnova e non sa guardare al futuro

Alessandro Baricco parla delle élite, cui “una sorprendente cecità morale impedisce di vedere le ingiustizie e la violenza che tengono in piedi il sistema in cui credono”, che non hanno previsto la crisi economica e che ne hanno ammesso l’esistenza solo quando tutto ha iniziato a venire giù, mettendo a sicuro solo se stesse. Queste élite debbono al più presto aggiornare il loro sistema, non più in grado di girare con gli ultimi aggiornamenti sociali. Lo scrittore consiglia di riconsiderare l’idea di sviluppo e di progresso secondo parametri di giustizia sociale, redistribuzione delle ricchezze e di pensare un nuovo rapporto con il Pianeta. Le sue provocazioni, invitano a riflettere ma al giornale che le pubblica non le leggono. Quelle élite perdute rispondono da Torino denunciando la totale incapacità di scegliere l’unico futuro possibile.
La seconda volta della piazza torinese del Sì a tutto, mette a nudo che hanno perso la bussola, lo dice anche l’età media di quella piazza e degli amministratori che si sono posti alla sua guida che il nuovo futuro non lo sanno neppure immaginare e sono costretti a difendere residui di potere fondati sul capitalismo vorace che sogna di continuare a fare profitti, allargando la forbice con la maggioranza destinata alla progressiva povertà, senza investire in innovazione ed escludendo le nuove generazioni, cui ha bloccato l’ascensore sociale ed evaporato ogni speranza.

Piazze come quelle emanano miasmi di disperata difesa di privilegi in dissoluzione.

Melquiades

Baricco dimentica le mille sfumature tra élite e popolo

“Respirare. Spegnere ogni tanto i nostri device. Camminare. Smetterla di sventolare lo spettro del fascismo. Pensare in grande. Pensare”.
Alessandro Baricco, “La Repubblica”

Dispiace cogliere solo un frammento del saggio di Alessandro Baricco sul suicidio delle élite (e sulla necessità, per tutti, che esse si rimettano rapidamente in gioco). Dispiace perché raramente abbiamo letto un’analisi così profonda e convincente sul come e perché il mondo che conosciamo si è (è stato) rotto, diviso, scisso come le due parti di una mela a cui non sembra più possibile restituire integrità e forma. “Maggioranza povera contro minoranza ricca. Risposte facili contro ragionamenti complessi. Risentimento contro impotenza”. Tutto chiaro anche se in tanta chiarezza ci sono interrogativi a cui non è facile rispondere. Banalmente: all’interno della contrapposizione secca di Baricco – massa contro élite, popolo contro classe dirigente – possono convivere altre mille sfumature di grigio? E come possiamo declinarle visto che nessuno di noi è solamente questo o quello? O meglio: l’ambiguità del compromesso, che ci accompagna nelle scelte della vita (o in quelle della politica), non finisce per superare, nella realtà dei fatti, la distinzione così netta e implacabile tra bianco e nero, tra ricchi e poveri, tra ignoranza e sapere?

Facciamo un esempio partendo dalla critica mossa dallo scrittore al modo con cui l’élite, sotto attacco, ha reagito “irrigidita nelle proprie certezze”. “Termini vaghi e inesatti come fake news, populismo, se non addirittura fascismo, sono stati ingaggiati per veicolare meglio il messaggio a etichettare sommariamente gli insorti”. Assolutamente condivisibile, se non fosse che nello stesso giornale su cui Baricco scrive, qualche pagina dopo, leggiamo di un incontro pubblico a Roma (ieri) dal titolo: “La parola antifascista”. Organizzato da “L’Espresso” come risposta alle “aggressioni ai giornalisti”, alle “minacce a chi si oppone”, al “silenzio del ministro dell’Interno”. Una iniziativa convocata dopo le violenze subite dal giornalista Federico Marconi e dal fotografo Paolo Marchetti (a loro, naturalmente, la nostra piena solidarietà) per mano di esponenti dell’estrema destra durante la commemorazione dei morti di Acca Larentia. Schiaffi, calci, minacce che secondo il mondo (anche politico) che “Repubblica” rappresenta sono parte della scia nera di intolleranza, razzismo e neofascismo che sta pericolosamente inquinando il paese, sotto lo sguardo complice del ministro dell’Interno, Matteo Salvini.

Dunque, è questo un modo per sventolare “lo spettro del fascismo”, per demonizzare un governo che si disprezza e di cui si diffida? Oppure è la legittima reazione di chi quello “spettro” lo ha subito, fisicamente e moralmente, convinto che dietro le insegne dei fascisti del terzo millennio si nasconda “il braccio armato del sovranismo” che ci governa? Sostanza o accidenti, per dirla con don Ferrante alle prese con una peste della cui natura non si capacitava?

L’Italia di Turone: P2, servizi e golpisti

Una storia nera. Una storia purtroppo vera questa di Giuliano Turone, Italia occulta, dove tutto è minuziosamente documentato da atti di giustizia, sentenze, ordinanze, confessioni, interrogatori, testimonianze, perizie balistiche, verbali magari a suo tempo sottovalutati o non compresi, qui invece analizzati con la furia certosina dello scrittore che spesso, come magistrato, è stato al centro di quel che racconta.

Non è un’autobiografia. Se non si conoscono i fatti ci si può render conto della presenza e della funzione dell’autore solo da una minuscola nota a piè di pagina, l’opposto dell’esibizione. Protagonista delle vicende narrate è un paese malato, spesso moribondo, una palude non prosciugata dove negli anni Settanta-Ottanta del Novecento, dall’indomani di piazza Fontana all’uccisione di Moro al massacro della stazione di Bologna, è accaduta l’iradiddio, stragi, assassinii, complotti, tentati colpi di Stato. (…)

“Quante storie. La P2 non fu nient’altro che un club di gentiluomini” disse più volte l’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi (tessera 1816 della Loggia). E Gelli, anni dopo, nel 2008, ai tempi dell’ultimo governo Berlusconi, ricambiò il favore e rivendicò con orgoglio alla Loggia P2 la paternità del Piano di rinascita democratica con queste parole: “Peccato non averlo depositato alla Siae per i diritti, tutti ne hanno preso spunto: l’unico che può portarlo avanti è l’attuale presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi”.

Gli allora giudici istruttori Giuliano Turone e Gherardo Colombo, responsabili dell’inchiesta sulla P2, erano arrivati a Gelli dopo l’assassinio dell’avvocato Giorgio Ambrosoli. Su un’agendina sequestrata nel 1979 a Sindona, negli Stati Uniti, trasmessa poi in Italia, erano annotati tutti gli indirizzi di Licio Gelli, uomo d’affari di Arezzo non ignoto alla polizia. Fra gli altri il recapito sconosciuto di una ditta di abbigliamento maschile, la Giole, del gruppo Lebole, di Castiglion Fibocchi, nell’aretino, dove il 17 marzo 1981 avvenne la famosa perquisizione del Nucleo regionale di polizia tributaria della guardia di finanza. A insospettire, mesi prima, era stata anche la clamorosa intervista di Maurizio Costanzo (tessera 1819 della Loggia) pubblicata dal Corriere della Sera il 5 ottobre 1980. Titolo: Parla, per la prima volta, il “Signor P2”. Un manifesto pubblicitario. Una presa di possesso zeppa di messaggi in codice. Un avvertimento minaccioso. Nel suo libro Turone è attento anche ai particolari più minuti, utili per far capire il clima del tempo. Come il verbale della perquisizione alla Giole scritto dal maresciallo Francesco Carluccio: la segretaria di Gelli, la signora Carla Venturi, che cercò di far sparire la chiave della cassaforte, lo stupore del sottufficiale quando l’aprì e trovò registri, documenti, carte e, in una valigia, le cartellette con nomi inimmaginabili, ministri, generali e ammiragli, capi dei Servizi segreti, prefetti, parlamentari, editori, direttori di grandi giornali e di telegiornali affiliati alla Loggia segreta con un giuramento. Che avevano già fatto, in molti, ma alla Repubblica.

La colonna di auto che riporta a Milano i materiali sequestrati, con le liste dei 963 nomi di uomini di cui molti ai vertici della Repubblica, sembra un’azione di guerra. La Fiat Ritmo, con i documenti, marcia in mezzo a due Alfetta fatte venire dal comando: a bordo di ciascuna, quattro soldati armati di mitra. Non molti sanno, anche se la notizia comincia a trapelare. (…)

La P2 è “la metastasi delle istituzioni”, il cuore, la matrigna maligna, portatrice di quasi tutte le nequizie di quegli anni. (…) Colpiscono certi fatti che possono sembrare minori. Gelli che convoca nella sua Villa Wanda un alto magistrato, Carmelo Spagnuolo, procuratore generale presso la Corte d’appello di Roma, il generale Giovanbattista Palumbo, comandante della divisione carabinieri Pastrengo di Milano, il generale Franco Picchiotti, comandante della divisione carabinieri di Roma, il generale Luigi Bittoni comandante della brigata carabinieri di Firenze, due colonnelli. Il venerabile ha fretta e gli uomini della Repubblica accorrono proni ad ascoltare l’oracolo. Siamo nel 1973 – scrive la Relazione Anselmi – il pericolo è l’avanzata del Pci dopo le elezioni del 1976, i referendum, il divorzio, l’aborto. Si ventila allora l’ipotesi di un governo presieduto da Carmelo Spagnuolo. Gelli sembra un capo di stato maggior generale che dà gli ordini ai sottoposti pregandoli di trasmetterli a loro volta ai minori di grado.

I loro nomi sono tutti nelle liste della P2 e tornano in molte occasioni. Quello del generale Giovanbattista Palumbo fa usare a Giuliano Turone, sempre misurato, attento ai significati del linguaggio, gli aggettivi “temibile e francamente malvagio”. (Partì dalla Pastrengo, nel 1973, “l’ignobile crimine dello stupro dell’attrice Franca Rame, ideato e commissionato dalla mente perversa del generale Palumbo”).

La sua biografia è un sordido archetipo italico. Fascista convinto, ammiratore del nazismo, cavaliere dell’Ordine dell’Aquila tedesca senza spade, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 aderisce alla Repubblica di Salò e raccomanda ai suoi uomini di fare altrettanto. Poi, quando il vento cambia, si costruisce un inesistente passato partigiano, diventa persino Governatore militare alleato della provincia di Cremona. Il suo nome, nei quadri di avanzamento, galoppa. Nel 1964, per non smentire troppo il suo vero passato, è al fianco del generale De Lorenzo nell’organizzazione del piano Solo.

Il comando della divisione Pastrengo, in via Marcora, a Milano, nei dintorni di piazza della Repubblica, è in quegli anni un luogo sinistro. Tutti gli uomini dello stato maggiore del generale sono iscritti alla P2. Un vero e proprio gruppo di un potere malsano, riferisce il colonnello Nicolò Bozzo, una persona retta, fedele alla Repubblica.

Il generale Palumbo è un appassionato cacciatore di adesioni alla Loggia, gli piace assistere alle iniziazioni dei nuovi fratelli all’Hotel Excelsior, a Roma. È in stretto contatto, scrive la Relazione Anselmi, con il generale Musumeci, segretario generale del Sismi, il servizio segreto militare. È anche un acerrimo nemico del generale Carlo Alberto dalla Chiesa. Probabilmente geloso, lo teme e lo danneggia come può.

(…) Sono gli anni del terrorismo, Dalla Chiesa è designato dal ministro Taviani a costituire uno speciale reparto di polizia giudiziaria antiterrorismo. Nel 1974, un gran colpo: arresta Renato Curcio e Alberto Franceschini, capi storici delle Brigate rosse.

Nonostante i successi ottenuti, forse per questi, viene messo in disparte. Palumbo è diventato vicecomandante dell’Arma dei carabinieri e – il legame è evidente – il reparto antiterrorismo di Dalla Chiesa viene sciolto. I piduisti della divisione Pastrengo hanno vinto la partita. Povera Italia.

Appello al ministro Bonisoli: istituire nuove soprintendenze

Quindici archeologi accademici Lincei scrivono al ministro dei Beni Culturali sottolineando che “il tempo trascorso dalla riforma” del suo predecessore, Dario Franceschini, “ha messo in evidenza pesanti disfunzioni, specialmente nel campo archeologico”. Chiedono pertanto un nuovo intervento sull’organizzazione degli uffici periferici del Mibac. “Modifiche sono richieste – ricordano – da oltre mille archeologi con un documento pubblicato sul sito dell’Istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte. Per raggiungere efficienti livelli nella tutela del patrimonio culturale”, secondo l’appello, è necessario “istituire soprintendenze con specifiche competenze archeologiche estese ai musei, anche a quelli attualmente autonomi, e ai parchi archeologici” e “rivedere le norme dei concorsi per ricondurre la scelta dei dirigenti nelle regole generali della pubblica amministrazione”. La lettera al ministro è sottoscritta da Filippo Coarelli, Giovanni Colonna, Francesco d’Andria, Carlo Gasparri Cairoli, Fulvio Giuliani, Pietro Giovanni Guzzo, Adriano La Regina, Eugenio La Rocca, Elisa Lissi Caronna, Marina Martelli, Paola Pelagatti, Carlo Rescigno, Salvatore Settis, Paolo Sommella, Fausto Zevi.

Docenti a chiamata, Tor Vergata perde al Consiglio di Stato

Un appello pubblico al viceministro dell’università Lorenzo Fioramonti. Lo scrive Giuliano Grüner, ricercatore universitario e professore aggregato di diritto amministrativo a Tor Vergata, che ha appena vinto una battaglia epica e di principio contro il suo rettore, Giuseppe Novelli. Grüner (che si è difeso da solo essendo avvocato cassazionista) chiede al governo “del cambiamento” di battere un colpo. Anche perché il 10 ottobre scorso il viceministro accettò l’invito a un convegno dell’università di Tor Vergata. Una scelta non scontata.

C’era già stata la richiesta di rinvio a giudizio da parte del pm Mario Palazzi per Novelli per la presunta tentata concussione ai danni di Grüner, ricercatore che voleva solo partecipare a un concorso. Le tv e i siti Internet dei quotidiani, per primo ilfattoquotidiano.it, avevano fatto già sentire l’audio nel quale Novelli intimava a Grüner di ritirare il suo ricorso al Tar. Fioramonti quindi conosceva le frasi pronunciate da Novelli e registrate da Grüner: “È un ricorso che io non accetto minimamente (…) sta facendo una causa contro il suo rettore. Cazzo, non è mai accaduto questo! (…) quando mi chiamava il mio rettore io tremavo cazzo (…) lei mi sta dicendo che ho fatto degli atti illegittimi(…) adesso… io la denuncio mo sono cazzi suoi… e vediamo… No. Io qui rappresento il ministro cazzo”.

Gli atti impugnati ora sono stati definiti illegittimi dal Consiglio di Stato e Grüner chiede a Fioramonti un segnale. Il viceministro si limitò dopo le polemiche a una nota in cui stigmatizzava “un atteggiamento da parte del rettore che ritengo assolutamente inaccettabile”. Però andò a Tor Vergata dove lo attendeva raggiante Novelli.

Ora il Consiglio di Stato cambia lo scenario e impone un atteggiamento più chiaro. La difesa di Novelli davanti ai pm è basata sulla presunta legittimità della sua scelta di non fare concorsi bensì chiamate dirette e individuali per la scelta dei professori. La legge in merito non è chiarissima però ora la sentenza demolisce quella prassi. Il punto è che sono decine i professori scelti così a Tor Vergata. Nella causa amministrativa l’Ateneo si difende con la tesi “così fan tutti”: il 60 delle Università adotterebbe questo sistema. Grüner nella sua lettera contesta il dato e anche su questo il viceministro dovrebbe battere un colpo.

La lettera aperta del ricercatore sarà pubblicata oggi su ilfattoquotidiano.it. Grüner scrive: “Le chiedo se Lei avverta il bisogno di spendere qualche Sua parola, naturalmente dai soli punti di vista politico-amministrativo e dell’etica pubblica, in ordine alla gestione dell’Ateneo da parte del Rettore Novelli, nonché del Pro Rettore Vicario Franchini, in ordine alle chiamate dei professori effettuate (…) perché a me sembra chiaro che entrambi abbiano avallato e “tutelato” un prolungato modo di agire dell’Ateneo, concernente numerose di queste chiamate effettuate allo stesso identico modo di quella da me impugnata, che ha violato, come si legge nella sentenza del Consiglio di Stato n. 7155 del 2018, ‘i principi generali dell’ordinamento giuridico in tema di trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento’”.

Anche perché il rettore Novelli pretendeva nella conversazione registrata da Grüner tre anni fa che fosse ritirato proprio quel ricorso che ora i massimi giudici amministrativi accolgono. La sentenza del 19 dicembre del 2018 del Consiglio di Stato, finora inedita, ha annullato i decreti e le delibere che hanno permesso di chiamare un professore senza confronto con altri. Ora l’Università “dovrà indire una nuova procedura, assicurando – qualora vi siano una pluralità di candidati in possesso dei requisiti (…) adeguate procedure valutative di tipo comparativo”. La chiamata del professore associato di diritto amministrativo Marco M. è stata dunque frutto di atti illegittimi, come sosteneva Gruner, anche se Marco M. era l’unico ricercatore abilitato di quel Dipartimento, peraltro poi soppresso. In primo grado invece il Tar aveva dato ragione all’università perché la legge non avrebbe impedito all’Ateneo di escludere i candidati della stessa Università ma di Dipartimenti diversi. Quella sentenza del 2017 legittimava un sistema inefficiente e ingiusto e ora è stata spazzata via dal Consiglio di Stato con una sentenza storica della sesta sezione, estensore Dario Simeoli, presidente Sergio Santoro. “Poiché ogni limitazione del precetto costituzionale del pubblico concorso, alterando le condizioni di parità di trattamento degli aspiranti – si legge nel dispositivo – deve considerarsi del tutto eccezionale, deve preferirsi l’interpretazione secondo cui tutti i candidati “interni” alla stessa Università, in possesso dei medesimi requisiti, devono essere posti in grado di partecipare alla procedura di reclutamento in condizioni di parità”.

A firmare la memoria difensiva dell’Ateneo è stato il prorettore Claudio Franchini: un professore di diritto amministrativo sconfessato dal massimo organo della giurisdizione amministrativa. Ora si dice che Franchini voglia candidarsi come rettore.

Aste stellari alla cieca. L’Italia prima per i fondi

Germania e Francia hanno rimandato le aste in primavera. In Portogallo le Telco hanno chiesto di spostarne il lancio di 3-4 anni. In Svizzera ritengono si debba prima avanzare negli studi sugli impatti. In Italia, come a Bruxelles, il 5G è invece visto come opportunità per il rilancio economico.

Il primo ottobre il governo ha chiuso le aste per le nuove frequenze 5G avviate dal vecchio esecutivo, ricavandone 6,5 miliardi, record in Europa dove a stento si è arrivati a 1,3 miliardi nel Regno Unito e 1,4 in Spagna. Ma da noi i prezzi erano altissimi. “Abbiamo risposto all’appello del governo che finora si è concentrato sulla leva fiscale. Tim ha fatto la sua parte spendendo 2,4 miliardi. Ora ci aspettiamo che si metta in piedi una politica industriale e di sostegno alle municipalità che dovranno investire sul 5G”, dice Mario Di Mauro, capo Strategia di Tim. Dal Mise, guidato dal vicepremier Luigi di Maio, dicono che gli incassi extra saranno rinvestiti in un fondo per le infrastrutture. Di Maio a settembre ha parlato di “centralità assoluta” del 5G nella visione del governo. Intanto porta avanti la stessa politica del suo predecessore, Carlo Calenda, che aveva scelto cinque città per le sperimentazioni: Milano, Bari, Matera, Prato e l’Aquila.

E i rischi per la salute? “Avevamo chiesto al Mise uno studio sull’impatto ambientale e umano del 5G – dice Agostino Di Ciaula di Medici per l’Ambiente – senza ottenere risposta”. “Fare sperimentazioni sull’uomo senza il suo consenso è vietato dal Codice di Norimberga”, dice l’Associazione Amica che ha firmato l’appello internazionale per una moratoria sul 5G. Il Consiglio Superiore della Sanità dice di non essere stato consultato prima delle aste. Marco Bellezza, responsabile telecomunicazioni nel gabinetto Di Maio, assicura che per la preparazione delle aste “ci siamo appoggiati alla Fondazione Bordoni”. Fondata alla fine degli anni ‘90 dalle compagnie di telefonia, è ancora dominata dall’industria attraverso i membri del comitato scientifico e riceve parte del suo bilancio dalle Telco. Nel disciplinare di gara per le aste 5G, non si menziona mai “salute umana”, “protezione dai campi elettromagnetici”, “principio di precauzione”. Ora la Camera (Commissione trasporti) ha avviato un’indagine conoscitiva sul 5G. Primi invitati: Vodafone, Tim e Fastweb.

Intanto i giudici tracciano un percorso più prudenziale. L’Italia è il primo paese Ue dove tre sentenze hanno sancito il nesso causale tra uso del cellulare e tumore al cervello. L’ultima sentenza è del Tribunale di Ivrea che nel 2017, in primo grado, ha chiesto all’Inail di versare un’indennità a vita a un impiegato Tim che usava il cellulare 3-4 ore al giorno. “Lo scopo è di attaccare i produttori di telefonia, i distributori – spiega l’avvocato Stefano Bertone, che ha vinto la causa – ma dobbiamo avanzare per gradi: l’opinione pubblica è ancora troppo favorevole agli smartphone”. Bertone, con l’associazione Apple sta attaccando i ministeri di Salute, Ambiente, Educazione e Sviluppo Economico per non aver informato sui rischi dei campi elettromagnetici (Cem), come previsto da una legge del 2001. “Poi passeremo all’industria e, come per il tabacco, porteremo alla sbarra tutti i produttori”.

Rivoluzione 5G. Tra antenne e i troppi rischi ignorati dall’Ue

Guardi, è fantastico: un drone volerà sopra i palazzi portando medicinali ed evitando il traffico”, dice Paola Pisano (M5s), assessore all’Innovazione del Comune di Torino, mentre un drone vola sulla nostra testa a Piazza Vittorio, spostandosi solo grazie a un computer e un segnale Internet. Il Comune di Torino ha firmato con la Telecom, un Memorandum of Understanding per fare sperimentazioni 5G nella città di Torino che “s’impegna a mettere a disposizione (alla Tim) immobili di proprietà comunale e infrastrutture di proprietà delle aziende del Comune”.

Non finisce qui: a Torino ci sono anche sensori intelligenti nei cassonetti dell’immondizia per dire ai camion quando svuotarli. Nel porto di Bari i sensori sono in ogni container per riferire da dove è arrivata la merce o se il pagamento dei dazi è in ordine. Poi c’è l’ambulanza intelligente a Milano con i medici che possono cominciare a curare un paziente a distanza; i robot nelle industrie telecomandati col wifi, invece dei cavi, molto più costosi; i sensori super intelligenti nei palazzi all’Aquila, che al minimo tremolio chiudono i rubinetti del gas e lanciano l’allarme. Per una vita più smart, più intelligente, ci saranno anche le auto senza conducente, i frigoriferi che dicono quando un alimento è scaduto, gli elettrodomestici che si azioneranno a distanza e i campi di grano che diranno al contadino quando devono essere annaffiati.

È la rivoluzione 5G, non una semplice evoluzione dei nostri cellulari: passando dal 4G al 5G cambierà il nostro modo di vivere. “È l’Internet delle cose”, dice una portavoce Tim mentre ci accompagna dentro il laboratorio storico dell’azienda a Torino: “Tutto l’ambiente circostante sarà costantemente connesso”. Il 5G ha quasi l’unanimità dei consensi: politica, istituzioni europee, industria e università applaudono alla trasformazione digitale che, si stima, porterà 900 miliardi di crescita in Europa e 1,5 milioni di nuovi posti di lavoro. Ma a che prezzo?

Cos’è il 5G. Quello che non ci viene detto è come si farà a trasmettere una quantità di dati mille volte superiore al 4G e a una velocità straordinaria, inferiore a un battito di ciglia. E soprattutto, con una moltitudine di campi elettromagnetici costantemente attivi, che effetto avrà il 5G sulla nostra salute e sull’ambiente. Il 5G viaggia su frequenze altissime, mai usate finora, fino a 27,5 GHz mentre con il 4G si arriva al massimo a 2,6 GHz, quindi un’energia 11 volte superiore, ma che ha una “durata” di viaggio limitata. Queste onde vengono infatti facilmente assorbite dal terreno e sono “riflettenti”, non attraversano i palazzi. Quindi, per poter connettere tra loro fino a un milione di oggetti per chilometro quadrato, bisognerà installare migliaia di piccole antenne, ogni cento metri, che rilanceranno il segnale proveniente da un’antenna base più grande. “L’intensità delle piccole antenne sarà inferiore a quella della stazione base”, dicono gli esperti del laboratorio Tim di Torino. Ma un ingegnere incontrato all’Aquila, tra i firmatari della petizione contro le antenne 5G (preferisce restare anonimo) spiega che “seppur ogni singola antenna 5G avrà una potenza minore rispetto alle stazioni radio-base attuali, essendo infinitamente maggiori di numero sul territorio non esisteranno più per l’uomo zone d’ombra, libere da radio frequenze. Questo fa sì che la densità di campo sul territorio, aumenterà in modo esponenziale. Oltre al fatto che le frequenze scelte per il 5G sono molto più alte, quindi con energie decisamente maggiori”. Sul fronte salute, i sostenitori della rivoluzione 5G dicono anche che questo tipo di onde chiamate “millimetriche”, viaggiando molto velocemente, riesce a penetrare solo la pelle in un organismo vivente. “Ma ammesso che sia così – ha spiegato a Investigate-Europe Dariusz Leszczynski, un ricercatore di fisica finlandese – la pelle è il nostro organo più grande, pieno di cellule che regolano la risposta immunitaria. Se la roviniamo, la risposta immunitaria del corpo va in tilt”.

I rischi per la salute.Il mondo accademico è diviso sulla pericolosità delle onde elettromagnetiche sull’uomo: da una parte ingegneri e fisici riconoscono un effetto termico pericoloso, se per esempio teniamo il cellulare all’orecchio per troppo tempo; dall’altra biologi, oncologi e epidemiologi si battono perché vengano riconosciuti anche gli effetti non-termici, quelli sulle nostre cellule. “Un campo elettromagnetico interferisce con il nostro sistema elettrico interno, alterando il funzionamento delle cellule – dice Francesca Orlando dell’Associazione per le Malattie da Intossicazione Cronica e/o Ambientale – ma purtroppo ingegneri e fisici sono quelli più ascoltati oggi dai politici e dall’industria”. Un’equipe di ricercatori australiani – come riporta la prestigiosa rivista scientifica Lancet in un articolo di dicembre – ha però analizzato 2.266 studi, arrivando alla conclusione che “nel 68% dei casi sono stati dimostrati effetti biologici e sulla salute umana per l’esposizione ai campi elettromagnetici”.

Nel 2018 sono stati pubblicati due studi importanti, durati dieci anni e finanziati con soldi pubblici. Il Dipartimento per la Sanità americano ha finanziato con 25 milioni di dollari il National toxological program (Ntp) dove 7mila topi da laboratorio sono stati sottoposti per tutta la vita a radiazioni corrispondenti all’intensità solo del 2G e 3G.

Nello stesso tempo, l’Istituto Ramazzini di Bologna ha portato avanti la stessa ricerca, finanziata con contributi di privati cittadini, ma usando frequenze più basse, corrispondenti a 50 Volt/metro (il picco a cui si può arrivare in Italia per rispettare la media giornaliera di 6volt/metro). Entrambi gli studi sono arrivati alle stesse conclusioni. “Come negli Usa, abbiamo constatato un aumento ‘statisticamente rilevante’ del numero dei tumori, rarissimi schwannomi, al cervello e al cuore”, spiega Fiorella Belpoggi, direttrice della ricerca all’istituto Ramazzini. “Bisogna agire in fretta, fermare l’avanzata del 5G e informare adeguatamente la popolazione sui rischi”, dice l’epidemiologa italiana che ha già lavorato sulle plastiche, sul glifosato e da 40 anni studia i legami tra tumori e ambiente. Belpoggi spera che alla luce di questi due nuovi studi, l’agenzia dell’Oms sui tumori, la Iarc, riveda le sue priorità e metta le onde elettromagnetiche un gradino più su nella pericolosità: da “possibili cancerogene”, come dichiarato nel 2011, a “probabili cancerogene”. Ma la percentuale di topi ammalati è bassa, intorno al 2,4%: perché preoccuparci? “Se invece di tremila topi ci fossero tre miliardi di persone, quante avrebbero sviluppato un tumore? Abbiamo provato scientificamente il nesso tra radiofrequenze e cancro. In materia di salute umana i numeri non devono avere la meglio. Dovrebbe prevalere il principio di precauzione.

L’appello. Proprio in nome del principio di precauzione, 217 scienziati da tutto il mondo hanno inviato alle istituzioni europee un appello (The 5G Appeal) per una moratoria immediata sulle sperimentazioni del 5G perché “minaccia conseguenze serie e irreversibili per gli umani”. Chiedono di fermarle “fin quando la scienza non avrà studiato gli effetti di queste frequenze” e si chiede ai governi di “informare i cittadini sui campi elettromagnetici e i loro effetti, creare delle zone wiki free in scuole, ospedali e centri di lavoro”. La Commissione Ue però è sorda. A Bruxelles l’appello è stato rigettato con sdegno: “Il principio di precauzione sembra una misura troppo drastica – scrive il capo gabinetto del Commissario alla salute Andriukaitis -. Ma resteremo vigilanti se nuove prove scientifiche arriveranno”. Intanto la Commissione ha stanziato 700 milioni in progetti di ricerca sul 5G, ma solo sulle applicazioni industriali. Niente salute. Bruxelles si basa sulle linee guida dell’Icnirp, un’agenzia privata con sede a Francoforte, punto di riferimento quando si parla di onde elettromagnetiche. Ma l’indipendenza dei membri dell’Icnirp, spesso finanziati dall’industria, è molto dubbia.

1- continua

Popolare Ragusa, azionisti: “Bloccato riacquisto di azioni”

L’ultimo fronte delle crisi bancarie italiane in atto coinvolge la Banca Agricola Popolare di Ragusa. I piccoli soci protestano perché non riescono a vendere le proprie azioni all’istituto. “Dal 2016 la banca ha alzato una cortina di ferro facendosi scudo di una direttiva europea e, senza avvisare i suoi azionisti, ha prima limitato il riacquisto di azioni proprie – consentendolo per quantitativi sempre minori (nell’ordine di sole 30 o 20 azioni per volta) – per poi bloccarlo arbitrariamente”, dicono gli azionisti, che hanno fissato un sit in di protesta per martedì prossimo alle 9, davanti alla sede centrale della Banca. Ma la direttiva europea non obbliga la Banca Agricola Popolare di Ragusa a bloccare il riacquisto delle proprie azioni. Proprio come dice una sentenza della Corte Costituzionale e come ha ribadito negli scorsi giorni Valdis Dombrovskis, vicepresidente della Commissione Ue, rispondendo a un’interrogazione sollevata dall’europarlamentare Innocenzo Leontini. “Il regolamento sui requisiti patrimoniali (575/2013) non vieta di riacquistare il loro capitale regolamentare, ma – ha detto Dombrovskis – impone semplicemente di chiedere la preventiva autorizzazione a Bankitalia”.

Addio a Folco Portinari, critico letterario e corsaro in Rai

È morto a 92 anni a Milano lo scrittore, saggista, poeta e docente universitario Folco Portinari. È stato pioniere della televisione nella Rai degli Anni 50, raffinato intellettuale studioso di Alessandro Manzoni, gran gourmet e gastronomo al quale si deve, insieme a Carlo Petrini, la stesura del Manifesto fondativo di Slow Food (1987), ancora oggi di importante attualità, poiché non fa riferimento solo allo Slow Food fine a se stesso, ma alla lentezza come stile di vita da recuperare nell’era in cui tutto è in costante accelerazione.

Era nato a Cambiano (Torino) il 25 gennaio 1926 e dal 1977 risiedeva a Milano. Il professore Portinari ha insegnato storia della letteratura moderna e contemporanea italiana all’Università di Torino e come critico e storico della letteratura ha pubblicato saggi e monografie su autori della letteratura italiana dell’Ottocento e Novecento. Ha collaborato alle pagine letterarie della Stampa, del Corriere della Sera, di Panorama, dell’Unità e Il Diario. Ha collaborato con le principali riviste letterarie, da Letteratura, al Ponte, a Paragone, al Verri.

Poco più che ventenne, Portinari entrò in Rai negli anni Cinquanta per meriti culturali insieme al gruppo dei cosiddetti corsari di Umberto Eco, Enrico Vaime, Piero Angela, Angelo Guglielmi, Gianni Vattimo, Furio Colombo e altri intellettuali lontani dalla lottizzazione politica. Lavorò per la programmazione radiofonica e televisiva della Rai per un trentennio. Grazie alla sua sensibilità per la terra e alla passione per la cucina dei territori, portò in televisione il gastronomo Luigi Veronelli, con i suoi racconti sulla vita e le storie di contadini, allevatori, cuoche e cuochi, autore e presentatore televisivo del primo programma sulla cucina sugli schermi allora in bianco e nero della Rai.

I funerali di Portinari si svolgeranno lunedì 14 gennaio, alle ore 14, presso la casa funeraria San Siro, in via Corelli 120 a Milano.