Torino
Le sette “madamine” del Tav hanno scelto di nuovo il colore arancione, come per la manifestazione del 10 novembre, pure per il flash mob di ieri. Una scelta fatta dopo un serrato dibattito sulla pagina Facebook del comitato “Sì, Torino va avanti”. L’arancione infatti, come hanno ponderato le samurai ad alta velocità, “aggiunge un tocco, sottolinea o esalta un abbigliamento un po’ troppo smorto. E se il bleu e il marron fanno a pugni o il nero deve stare attento al grigio, l’arancione ha una caratteristica tutta sua: si abbina con ogni altro colore”.
Alla fine il tocco arancione è stato assorbito dalle tinte predominanti dei Sì Tav che hanno affollato (non certo in 20 o 30 mila, ma in alcune migliaia sì) la piazza Castello di Torino: il grigio e il bianco.
Età piuttosto elevata, dunque: assai più della mezza età sdoganata negli anni Sessanta da Marcello Marchesi. E davvero pochissimi giovani, surclassati nella presenza persino dai cani e dei cagnetti con gli adesivi “Sì Tav” appiccicati dai padroni sul pelo dei malcapitati. Ceto medio borghese, in gran prevalenza. Tra un’improvvisata e l’altra delle “madamine” con megafono ai piccoli podi, o tabouret, come li chiamano con classe subalpina, collocati per la piazza, i signori e le lor signore, i grigio-bianchi, discutono più di maglioncini di cachemire e di nipoti, di ferrovie, della neve al Sestriere o della Juve, che di ferrovie. Del resto, c’è poco da discutere.
Ogni tanto qualcuno o qualcuna grida “Sì Tav!”. I sindaci, anche in fascia tricolore, e i semplici amministratori comuni che fungono da primi cittadini, si addensano verso il Palazzo Reale, proprio sotto la loggia da cui re Carlo Alberto, il 23 marzo del 1848, annunciò la guerra all’Austria. Tengono dei piccoli cartelli bianchi con i nomi di paesi e città: da Asti ad Ascoli Piceno, da Bollengo a Milano. A un certo punto, sul declinare della mattina fredda ma soleggiata, presi da fregola patriottica, cantano tutti l’Inno di Mameli (povero Goffredo, povero maestro Novaro…), che tra l’altro fu messo in musica a una manciata di metri da qui.
Di bandiere tricolori, comunque, se ne vedono pochine, e si agitano al vento soprattutto a un banchetto del Pd, all’angolo con via Garibaldi. Seguono per la piazza le bandiere europee, ma meno numerose di quelle che rammentano con nostalgia ai manifestanti le Olimpiadi invernali del 2006. Sempre di vallate e di montagne si tratta. Tav e sciate, fuoripista e gallerie da forare, sono il segno della Weltanschauung, o concezione del mondo, dei partecipanti al flash mob. Una bella signora bionda, questa di reale mezza età, ne sintetizza l’essenza a un’amica: “Peccato, oggi avremmo potuto essere molti di più. Ma, sai, tanti sono andati a sciare, è sabato poi….”
Dai tabouret partono gli accordi di We will rock you dei Queen. Madame e “madami” non ballano, è chiaro, tuttavia fanno di sì con la testa.
Non ballano neanche i governatori di Piemonte e Liguria Sergio Chiamparino e Giovanni Toti, la Gelmini e la Bernini di Forza Italia, il Riccardo Molinari della Lega e il Maurizio Martina del Pd. In ogni caso ci sono, come non manca una discendente di Cesare Balbo di Vinadio, uno dei padri nobili del Risorgimento, e una vecchia gloria del Torino dello scudetto del 1976. Insomma, c’è tanta bella gente, tanti “cerea” e tanti sorrisi; tutta gente che, quando la piazzata finisce, va a prendere l’aperitivo da Baratti o al Caffè Torino di piazza San Carlo. Così il sabato del flash mob Sì Tav, strappato al sabato di Sestriere o di Bardonecchia, delle visite da Eataly di via Lagrange o nelle boutique di via Roma, tramonta poco dopo il mezzodì. E poi? Tutti a tavola, però con attenzione, come ammonivano le sette “madamine”, ai chili di troppo.