Zaki “l’italiano” già sogna di poter tornare a Bologna

“Va tutto bene. Grazie agli italiani, ai professori, ai miei colleghi. Forza Bologna!”. Sono le prime parole, in italiano, che l’egiziano Patrick Zaki, studente dell’Università di Bologna, ha rilasciato alla stampa che lo attendeva con la famiglia fuori da un commissariato di Mansura, la sua città natale. Dopo 24 ore dalla decisione dei giudici di scarcerarlo in attesa dell’udienza del prossimo 1º febbraio, quando un tribunale di emergenza (nel frattempo aboliti ma ancora attivi per i processi in corso), dovrà stabilire se assolverlo o condannarlo definitivamente a cinque anni di reclusione, Zaki è tornato finalmente a casa. Prima di lasciarsi andare a un lungo abbraccio con la mamma e il resto della famiglia, l’attivista per i diritti umani ha dunque ricordato anche la sua squadra del cuore. La dirigenza rossoblù gli ha subito risposto con un tweet gioioso in cui lo invita quanto prima allo stadio Dall’Ara.

“Aspettavamo di vedere questo abbraccio da 22 mesi, il tempo in cui Zaki è stato messo dietro le sbarre in custodia cautelare, e questo abbraccio arriva dall’Italia, da tutte le persone, tutti i gruppi e gli enti locali, l’università, i parlamentari che hanno fatto sì che questo abbraccio avvenisse”, ha sottolineato Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia.

Tralasciata la cautela, anche l’Organizzazione per i diritti personali, l’Eipr, che lotta da anni contro le violazioni dei diritti dei cittadini egiziani, ha postato via tweet una foto del ricercatore in strada mentre abbraccia la sorella.

“Il rilascio è il miglior scenario possibile e Patrick Zaki dovrebbe anche poter tornare a Bologna per riprendere gli studi post-laurea”. Lo ha detto al Mada Masr – l’unico quotidiano online indipendente rimasto attivo in seguito alla chiusura da parte del governo di molti media e la carcerazione di numerosi giornalisti –, l’avvocata dello studente Hoda Nasrallah, che lavora all’Eipr. Ha aggiunto che questa ipotesi si può avverare “a meno che nei suoi confronti venga emesso il divieto di uscire dall’Egitto”. Nasrallah ha precisato che lo studente non avrà l’obbligo di firma nel periodo che lo separerà dalla nuova udienza del processo che lo vede imputato. Zaki deve infatti affrontare le accuse di “diffusione di notizie false”, “danno alla sicurezza nazionale” e “incitamento a rovesciare lo Stato”, tra le altre.

A settembre lo studente di religione cristiana-copta è stato rinviato a giudizio davanti a un tribunale per la sicurezza dello Stato a causa di un articolo contenente estratti del suo diario in cui raccontava la discriminazione subita dalla minoranza cristiana copta del Paese. I cristiani copti costituiscono circa il 10-15% della popolazione dell’Egitto, che conta quasi 100 milioni di abitanti, per la maggior parte di confessione musulmana sunnita. Hossam Bahgat, il giornalista e attivista fondatore dell’Eipr e multato da un tribunale il mese scorso per un tweet “offensivo”, ha accolto la notizia del rilascio di Zaki scrivendo due parole che dicono tutto via twitter: “Grazie a Dio”. Tre membri dello staff dell’Eipr sono stati incarcerati l’anno scorso, una campagna internazionale supportata da celebrità, tra cui l’attrice Scarlett Johansson, ha portato al loro rilascio. Diversi ricercatori sono stati incarcerati, tra cui Ahmed Samir, uno studente post-laurea presso l’Università dell’Europa centrale a Vienna, e Kholoud Amer, capo dell’unità di traduzione presso la Biblioteca di Alessandria. L’Egitto si colloca nel gruppo più basso nell’Academic Freedom Index del Global Public Policy.

Scholz diventa cancelliere e prepara l’asse con Macron

Olaf Scholz ha risposto con un semplice Ja. “Accetta l’incarico?” aveva chiesto la presidente del Bundestag, Barbara Bas (Spd). Ieri mattina il Parlamento tedesco ha eletto, con voto segreto, il nuovo cancelliere. 395 voti a favore, sui 707 presenti. I tre partiti che formano la coalizione Semaforo (Spd, Verdi e Fdp) contano però 416 eletti. C’erano degli assenti e sei astenuti, ma a conti fatti più di un parlamentare della nuova maggioranza ha votato contro Scholz. Il primo appuntamento ufficiale del cancelliere sarà venerdì a Parigi per un incontro con il presidente Macron. Prima di lasciare, momentaneamente, il Bundestag il neo cancelliere ha ricevuto mazzi di fiori e salutato, pugno contro pugno come imposto dalla pandemia, centinaia di parlamentari. Subito dopo si è recato a palazzo Bellevue, residenza del presidente della Repubblica Federale Frank-Walter Steinmeier, dove ha ricevuto la nomina. Poi di nuovo al Bundestag per la terza parte della cerimonia: il giuramento. Nessun commento, nessun discorso. A fine mattinata l’avvicendamento con Angela Merkel presso la Cancelleria Federale, che si trova a poche decine di metri dal parlamento. “So per esperienza personale che momento commovente è essere eletti a questa carica” ha detto Merkel accogliendo il suo ex ministro delle Finanze, sottolineando che gli lascia “il più bel lavoro che ci sia”. Al tramonto, poco prima delle 16, la ex cancelliera abbandona gli uffici che ha occupato per 16 anni. Due auto blindate si allontano a guardarle una decina di curiosi e altrettanti giornalisti. Niente applausi, fa troppo freddo per mettere le mani fuori dalle tasche. Merkel non va in pensione. Ha detto che non farà più politica, non cercherà più i partiti, ma resta a disposizione per dare una mano. Avrà una decina di collaboratori per l’ufficio che ha preso in centro città, lo stesso ufficio che prima fu di Helmut Kohl. L’ex cancelliera era ancora in auto quando Scholz ha iniziato il suo primo Consiglio dei ministri: 16 persone, otto uomini e otto donne. Alla prima riunione dell’esecutivo si è parlato di Covid. Ieri sono stati registrati 529 morti, il numero più alto da febbraio.

Tutte le bugie del premie. Covid party, BoJo nei guai

Il 2 dicembre 2020, in Inghilterra scattano una serie di restrizioni imposte dall’esecutivo per ‘salvare’ il primo Natale dell’era Covid. Fra queste, i limiti alle aggregazioni non indispensabili, come i tradizionali drink di lavoro di Natale, le feste dell’ufficio che per gli inglesi sono una irrinunciabile tradizione. Il Paese si attiene. La scorsa settimana uno scoop del Daily Mirror rivela che a non attenersi è stato proprio Downing Street, cioè l’ufficio del primo ministro Boris Johnson, i cui dipendenti si sono concessi almeno un festino senza distanziamento sociale il 18 dicembre. L’effetto “noi siamo noi e voi non siete un c..” è immediato: su Twitter una dottoressa racconta di aver perso il fratello per Covid proprio quel 18 dicembre, mentre a Downing Street si violavano le regole, e quel tweet diventa una valanga di reale e generale indignazione. La linea difensiva ufficiale è un pasticcio: prima Downing Street assicura che nessuna norma è stata violata, poi nega che il festino ci sia mai stato. Ieri mattina il canale Itv sgancia la bomba: un video in cui la responsabile dell’ufficio stampa del governo, Allegra Stratton, durante una prova di conferenza stampa, allude esattamente alla festa finora negata, ridendo dell’assenza di distanziamento. La Stratton si dimette dopo poche ore. Il consenso per il partito conservatore, già in picchiata da settimane, precipita: secondo alcuni sondaggi i Tories al governo questa settimana sono stati superati dal Labour all’opposizione. Ieri, la domanda “cancellare la tessera del partito conservatore” su Google si impenna quasi del 2000%. L’umore fra i deputati conservatori è riassunto nell’inequivocabile “siamo fottuti”. Boris Johnson si è scusato, incalzato dal leader laburista Keir Starmer, dicendo di essere stato informato male. Ma ormai l’idea che Johnson sia un bugiardo è passata dall’opinione dei suoi detrattori alla coscienza comune, e mentre prima suscitava simpatia oggi può essere la pietra tombale sul suo governo: perché riemergono, in sequenza, tutte le sue menzogne. Ecco le più gravi.

 

Come mentire alla regina

Nel settembre 2020, nel mezzo di una crisi politica scatenata dallo stallo sulla Brexit, il governo ottiene l’assenso della Regina Elisabetta alla sospensione, per cinque settimane, del Parlamento. Decisione considerata ‘illegittima’ dalla Corte Suprema, con enorme imbarazzo della Corona che ha agito in base alle motivazioni fornite dal primo ministro. I giudici supremi preferiscono non andare a fondo nello scontro tra poteri, ma il primo ministro è costretto a negare pubblicamente di aver mentito alla Regina.

 

Prima i cani, poi gli afghani

Nelle ore convulse del ritiro delle forze occidentali da Kabul emerge la vicenda di Pen Farthing, veterano dell’esercito britannico che in Afghanistan gestiva un ricovero per animali. Chiede l’evacuazione immediata delle bestie e, secondo alcune fonti, la ottiene grazie all’interessamento diretto della moglie e consulente di Johnson, Carrie Symonds. I cani trovano posto su un charter per il Regno Unito: i 68 dipendenti li salva la Raf, mentre migliaia di afghani collaboratori delle forze britanniche restano a terra. Il primo ministro nega favoritismi, ma ieri è emersa una lettera in cui uno degli assistenti parlamentari di Johnson si impegnava nell’operazione di salvataggio.

 

I “40 nuovi ospedali”

Boris Johnson trionfa alle Politiche del 2019 per molte ragioni, fra cui una serie di impegni elettorali. Alcuni si scontrano in seguito con la realtà, altri sono bugie fin dall’inizio. La principale è la promessa di costruire 40 nuovi ospedali. In dieci anni. I dubbi di fattibilità si susseguono, finché il ministero della Salute chiarisce imponendo alle aziende sanitarie la linea ufficiale per i media: nella definizione ‘nuovo ospedale’ vanno fatti rientrare anche nuovi reparti o ristrutturazioni di nosocomi preesistenti.

 

I soldi all’Ue

Durante la campagna pre-referendum sulla Brexit, con Boris grande campione del Leave, il futuro primo ministro girava su un autobus sulla cui fiancata era scritto che grazie alla Brexit l’Nhs, il sistema sanitario, avrebbe potuto ricevere i 350 milioni a settimana che il Regno Unito inviava all’Unione europea. “Un evidente uso improprio delle statistiche ufficiali”, per la Statistics Authority: la somma reale era di 234 milioni, di cui 90 tornavano indietro in fondi Ue. Johnson non ha mai ritrattato.

Scioperano per avere salari più alti, Kellogg’s caccia 1.400 operai negli Usa

La multinazionale dei cereali Kellogg’s ha deciso di rimpiazzare i 1.400 lavoratori in sciopero da ottobre nei quattro stabilimenti negli Stati Uniti dopo che hanno bocciato un accordo quinquennale che prevedeva un aumento dei salari del 3% e la conservazione degli attuali benefici dell’assicurazione sanitaria. I dipendenti della società ritengono, invece, di meritare di più perché lavorano oltre 80 ore a settimana e hanno garantito l’attività degli impianti durante la pandemia. Inoltre protestano perché l’accordo include tagli di personale e, per i nuovi assunti, stipendi e benefici più bassi. La decisione segue mesi di aspro disaccordo tra l’azienda e il sindacato che rappresenta i lavoratori degli stabilimenti in Michigan, Nebraska, Pennsylvania e Tennessee che si occupano della produzione di alcuni dei ‘cavalli di battaglia’ del brand, tra cui Rice Krispies, Raisin Bran e Frosted Flakes. “I lavoratori si sono espressi, lo sciopero continua”, ha annunciato Anthony Shelton, presidente del sindacato di settore, il Bakery, Confectionary, Tobacco Workers and Grain Millers International Union (Bctgm). “Solo un anno fa eravamo celebrati come eroi mentre lavoravamo durante la pandemia, sette giorni a settimana, 16 ore al giorno. Ora apparentemente non siamo più eroi”, ha osservato Trevor Bidelman, dipendente e dirigente sindacale. “Non abbiamo weekend, lavoriamo sette giorni su sette, qualche volta da 100 a 130 giorni di fila”, ha denunciato, riferendo che i dipendenti sono trattati peggio dei macchinari perché quelli dopo un mese si fermano tre giorni per essere puliti. “Anche se certamente non è il risultato che avevamo sperato, dobbiamo prendere le misure necessarie per garantire la continuità del business”, ha detto Chris Hood, presidente di Kellogg Nord America. “Abbiamo l’obbligo verso i nostri clienti e consumatori di continuare a fornire i cereali che conoscono e amano”. Ora l’azienda vuole assumere nuovo personale per sostituire quello in sciopero. Ma non sarà facile nell’attuale mercato del lavoro, dove manca la manodopera. Senza contare la sfida di varcare la linea dei picchetti. Recentemente oltre 10 mila dipendenti della Deere, industria di macchinari agricoli forestali, hanno strappato aumenti del 10% e miglioramenti dei benefit ma dopo essere rimasti un mese in sciopero e aver rifiutato due offerte della società.

Xenobot, la ricerca deve avere limiti

Il pensiero unico dei ricercatori è sempre stato che nulla dovesse fermare la scienza. La Storia ci offre numerosi esempi di persecuzioni, torture e uccisioni di quegli scienziati che non si sono lasciati fermare. Con il progredire dello sviluppo scientifico è sorta la necessità di combattere il suo uso duale, cioè non permettere che ricerche, effettuate per ottenere benefici all’umanità, potessero essere usate a fini negativi, fenomeno detto DURC (Dual Use of Concern, Il preoccupante uso duale). Da qui la richiesta, spesso non accettata, di poter esercitare un certo controllo della ricerca da parte di istituzioni competenti.

Il problema è cosi complesso che da decenni continua a essere dibattuto, anche in sede delle Nazioni Unite, nell’ambito dell’implementazione della Convenzione per il Disarmo Biologico. Mentre i tavoli di discussione non trovano un accordo, la ricerca corre e ci troviamo davanti a un nuovo enorme problema, lo sviluppo dell’intelligenza artificiale che si sta spingendo oltre i limiti del nostro immaginario. Un team di ricercatori dell’Università del Vermont, della Tufts e dell’Istituto Wyss di Harvard, hanno creato gli xenobot. Sono organismi ibridi, artificiali ma realizzati a partire dalle cellule staminali di uno Xenopus Laevis, lo xenopo liscio o platanna, vale a dire una rana acquatica appartenente alla famiglia Pipidae, endemica dell’Africa australe. Questi “esseri” si sono rivelati in grado di muoversi autonomamente, auto-ripararsi e anche trasportare un piccolo carico. Sono nati grazie a un super computer, capace di programmare nuove forme viventi. Gli xenobot hanno persino dimostrato di sapersi riprodurre autonomamente. Sono come delle piccole macchine organiche capaci di dar vita a nuove cellule, attraverso un fenomeno detto replicazione cinetica.

Mentre i “padri” di questi xenobot sono sicuri che potranno essere impiegati utilmente, sorge la domanda se, in questo caso, non si tratti davvero di “eresia”, non di tipo religioso ma di tipo etico. Forse è arrivato il tempo di poter dire stop ad alcune ricerche?

 

L’Ocse e le pensioni: un gioco di sguardi

Anche nel 2021,come ogni anno, l’Ocse, benemerita Organizzazione parigina che riunisce i Paesi ricchi, pubblica il suo Pensions at a glance, diciamo “Uno sguardo alle pensioni”. E qui c’è già un problema: non per fare della fisica quantistica da cortile, ma l’occhio di chi guarda non è mica secondario. C’è l’ideologia, c’è la difficoltà di comparazione di sistemi diversi a non dire della miopia. In Italia, ci dice lo sguardo dell’Ocse, “la concessione di benefici relativamente alti a pensionati giovani fa sì che la spesa pensionistica pubblica si collochi al secondo posto tra le più alte dei Paesi Ocse, pari al 15,4% del Pil nel 2019”, cioè circa cinque punti più su della media. Orrore, spendaccioni, nessuno pensa ai giovani! Ci sono un paio di problemi: l’Italia, a differenza di altri Paesi come la Germania, paga pensioni lorde a cui poi vanno sottratte le normali imposte sul reddito e dunque – tolto di mezzo il bilancio Inps – la partita tra dare e avere dello Stato (no, non è come un’azienda) è un po’ diversa: togliendo la tassazione, il peso della spesa previdenziale scende al 12% del Pil. Per di più, se quel che conta è proprio il rapporto col Prodotto interno, forse il peso delle pensioni (come di altre voci) risulta alto anche perché da vent’anni cresciamo poco o niente (il Pil reale è inferiore a quello del 2007). E ancora: questi benefici sibaritici (“relativamente alti”) ai pensionati paiono bizzarri in un Paese in cui un terzo degli assegni è sotto i mille euro e la mediana a 19mila annui. E infatti, dice sempre Ocse, il reddito degli over 65 è simile a quello della popolazione totale, ma “inferiore in media del 12% rispetto alla zona Ocse e del 15% rispetto all’Italia di 20 anni fa”. Poi c’è l’età pensionabile: oggi a 61,8 anni contro i 63,1 della media Ocse, ma destinata ad arrivare in una generazione a 71 anni (66 anni la media). E infine gli stipendi: tre mesi fa sempre i parigini ci hanno detto che quelli italiani sono gli unici a essere calati in termini reali in 20 anni. Se ne deduce che in due decenni abbiamo messo su un Paese che funzionerà così: Pil basso, rendite alte, lavoro malpagato fino a vecchiaia inoltrata per avere da vecchissimi una pensione di merda. Capito che uno sguardo alle pensioni può vedere molte cose diverse?

Mail box

 

 

 

 

La confusione creata dai troppi “esperti”

Da medico dico che nel corso della pandemia i miei colleghi hanno dato pessima prova di sé, scambiando la platea mediatica per un’aula congressuale. I media hanno alimentato un dibattito surreale, riportando le opinioni più disparate. Nessun giornalista ha chiesto agli esperti (virologi, epidemiologi, tuttologi) quali conseguenze avrebbero potuto avere pareri così disparati sull’opinione pubblica, disorientata oltre ogni dire, sulle scelte da operare per sé e per i familiari. Credo sia stato smarrito il buon senso del quale c’è assoluto bisogno per le scelte che si dovranno operare nei mesi a venire. La vaccinazione dei bambini acuisce questo dibattito anche all’interno del singolo nucleo familiare (ne ho testimonianza diretta) e i genitori (di pareri opposti) chiedono consigli sul da farsi. Il buon senso ha ceduto il passo al prestigio personale e agli indici di ascolto. Sabato la mia nipotina di tre mesi ha praticato due vaccinazioni (esavalente e rotavirus) in assoluta serenità, per la semplice ragione che su queste vaccinazioni non si è mai alzato il polverone al quale assistiamo sgomenti. Nel documento rilasciato erano riportati eventuali effetti collaterali e opportuni antidoti. Nel corso di laurea della facoltà medica dell’ospedale San Raffaele di Milano (frequentato dalle tre mie figlie) era contemplato il corso di “Comunicazione” tenuto all’epoca dal prof. Cosmacini. Sarebbe opportuno che tutti i dipartimenti di medicina operassero una scelta analoga. Sono allergico a un tipo di penicillina, la carbencillina, che si somministra a goccia lenta per via endovenosa. Dopo la prima goccia ho presentato lo shock anafilattico e sarei morto se non fossi stato in ospedale. Esiste il malato, non la malattia.

Mario A. Querques

 

Caro Querques, condivido quasi tutto. Ma è sicuro che i vaccini pediatrici di routine siano lontanamente paragonabili a quelli anti-Covid (almeno per quanto attiene all’esiguità numerica e temporale del “trial”), che le patologie dell’esavalente e del rotavirus abbiano sui bambini le stesse conseguenze del Covid?

M. Trav.

 

Basta offendere “Il Fatto” (e i lettori)

Rispondo al lettore Giampiero Bonatti: io sono uno di quelli che leggono Il Fatto sin dal primo numero perché è un giornale libero che non guarda in faccia a nessuno. Non mi sento affatto né becero né disgustato dagli articoli del Fatto, anche se talvolta dissento. Le faccio quindi notare che lei offende tutti quelli come me, e mentre accusa Travaglio di scrivere volgarità ne approfitta dell’ospitalità per essere volgare pure lei. Egregio signor Bonazzi, vede della veemenza nei confronti di Berlusconi citando Orazio, che se potesse leggere il suo monito si rivolterebbe nella tomba! Se lo lasci dire da uno che, nonostante tutto, non ha mai saltato una votazione, neppure da ricoverato in ospedale.

Massimo Fabbrini

 

La saggezza del geniale Chesterton sui milionari

Travaglio, se ne faccia una ragione, è storia vecchia, lo scriveva già Chesterton ne L’utopia degli usurai: “Un poveruomo intelligente non può essere costretto a lodare l’anima di un milionario se non a pagamento, come non può essere costretto a vendere il sapone di un milionario, se non a pagamento”.

Francesco Busalacchi

 

Per parlare di povertà serve più rispetto

Vi mando qualche pensiero sulla sollevata di scudi circa la timida proposta di sostenere, col congelamento delle tasse, le fasce più deboli. Chicco Testa ha detto: “Considerare ricchi coloro che hanno un reddito lordo di 75mila euro è un filino esagerato”. Che vergogna, che tristezza e che avidità, disumana. Faccio l’insegnante, ho qualche problema di salute che la sanità pubblica sostiene economicamente. Eppure ritengo doveroso dare una mano alle tantissime famiglie che non hanno il pane quotidiano, non hanno casa propria, non hanno la sicurezza del lavoro, hanno pochi o nessun diritto a stare a casa se malati: io, nel mio piccolo, pur non nuotando nell’oro, rispondo quando e quanto posso. Basta leggere un tantino, basta guardarsi intorno, basta guardare “un filino”. Certo, adagiarsi su discorsi astratti è comodo, ma questi signori che hanno congelato la timida mossa di Draghi, come dormono la notte?

Giusy De Milato

Folle Italia “Scendiamo in piazza per i complotti e non per la Carta”

 

 

Caro “Fatto”, tenuto conto dei risultati della petizione da voi lanciata, riflettevo su che strano Paese sia l’Italia. Scendiamo in piazza cavalcando teorie complottistiche importate dall’estero e rimaniamo a casa di fronte allo spettacolo straziante di una Costituzione torturata. Se fosse solo un pezzo di carta, un libro qualunque, uno potrebbe anche fare finta di niente. Il punto però, ormai non troppo scontato, è che si tratta del fondamento della nostra democrazia, sia pure migliorabile. Abbiamo assistito a un 2% che è riuscito a mandare a casa Conte. È lo stesso “quasi 2%” che ora viene coccolato dalla destra (chissà perché), che si spinge oltre l’impensabile: Berlusconi presidente della Repubblica e del Csm! Si sono avventati sui soldi che Conte è riuscito a strappare all’Europa come era prevedibile, animali famelici che addentano la preda muta. Sullo sfondo di questa tragedia c’è il silenzio di Draghi. Ha taciuto quando lo pregavano di liberarci dal male-Conte, tace ora di fronte all’ipotesi di diventare presidente della Repubblica, oppure di fare la staffetta con Berlusconi, oppure di mettere un piede al Quirinale e uno a Palazzo Chigi, oppure chissà cos’altro. Mi chiedo: sospettiamo il complotto mondiale e non vediamo cosa sta accadendo di fronte ai nostri occhi, a casa nostra? Non varrebbe forse la pena di manifestare per tutto questo? E anche l’eccessiva diplomazia del M5S e del Pd comincia a diventare fastidiosa. Forse è giunto il momento di iniziare a fare la campagna elettorale, invece di dimostrarsi troppo solidali con un governo a cui si è ritenuto di dover prendere parte (il che è tutto da dimostrare). Un governo che non ci rappresenta, ma che è il campo da gioco su cui sembrano divertirsi a porte chiuse solo i politici. Questa grande ammucchiata parlamentare in nome della responsabilità per la pandemia, sta diventando una tragica pantomima e siccome non ci fanno votare, non sarebbe forse il caso di manifestare con sacrosanta indignazione? Ci siamo talmente assuefatti a una politica completamente scollegata dal Paese reale, al formalismo del politically correct, alla balla della necessità di chiamare l’ennesimo tecnico sapientone, che vorremmo inculcare l’ignavia anche nei giovani. Agli studenti che protestano perché costretti a studiare in scuole fatiscenti, a sorbirsi le lagne di professori demotivati, a stare al freddo in aule senza riscaldamento, diciamo che semplicemente non hanno voglia di studiare. Quando invece dovremmo incoraggiarli a chiedere argomentando. Dalla scuola alla politica, in Italia ci vogliono tutti bene educati e possibilmente intenti ciascuno a zappare il proprio orticello. Chissà perché.

Barbara Pettirossi

Il veleno di Mitridate, lo stato d’emergenza e il voto per il Colle

Quando andava ancora di moda la parola scritta, e la gente con in mano una penna era in grado di formulare su carta pensieri financo articolati, a scuola ci facevano fare le traduzioni. Attività oggi giudicata inutile dai più perché “non serve a niente”. Un epigramma di Marziale, per esempio, a cosa mai potrebbe servire? Forse a conoscere l’istruttiva storia di Mitridate, mitico re del Ponto che si era immunizzato contro l’effetto letale dei veleni assumendone con frequenza piccole quantità. Da qui deriva il bizzarro sostantivo “mitridatizzazione” che ci aiuta a capire come siamo giunti fin qui. Parliamo da giorni – e con che toni assertivi! – della liceità (anzi: della necessità) di non dare voce alla minoranza di no vax e no pass. I sostenitori del bavaglio ne fanno una questione di competenza: non si possono mettere sullo stesso piano uno scienziato e un quivis stregone che si cura con la candeggina, non tutte le opinioni hanno lo stesso valore. E questa è, appunto, una legittima opinione, ma pur sempre opinione. E non è il sale della democrazia. A parte il fatto che gli scienziati non sono una categoria monolitica (e a turno hanno detto tutto il contrario di tutto), di fronte ad affermazioni di questo tenore solo due anni fa gli stessi che oggi invocano il silenziatore scientista avrebbero gridato al fascismo. E questo accade perché ci siamo abituati al veleno.

Attenzione però. Il veleno “può essere una corazza ma anche un pugnale”. Parlando dei popoli orientali, il conte di Montecristo dice che “nelle loro mani la scienza diventa non solo un’arma di difesa, ma molto spesso di offesa: l’una serve contro le loro sofferenze fisiche, l’altra contro i loro nemici. E con l’oppio, la belladonna, la falsa angostura addormentano coloro che vorrebbero svegliarli”. È così – a forza di somministrazioni di libertà limitate – che ci siamo abituati. A breve bisognerà decidere che fare con lo stato d’emergenza, che sta per scadere (per legge è previsto per un massimo di 24 mesi). Vi pare che ci sia un dibattito su questo tema? E non è una quisquilia, visto che dall’emergenza dipendono procedure e limitazioni straordinarie. Il paradosso, tra l’altro, è che in questo momento la situazione sanitaria (indice Rt, occupazione delle terapie intensive, numero di morti) potrebbe essere gestita anche senza lo stato d’emergenza. Emergenza che, con tutta evidenza, perde il suo carattere principale se si cronicizza. Dunque: cos’è l’emergenza?

Quest’estate su Repubblica Gustavo Zagrebelsky distingueva tra emergenza ed eccezione: “All’emergenza si ricorre per rientrare quanto più presto è possibile nella normalità”, all’eccezione “per infrangere la regola e imporre un nuovo ordine”. Lo stato di emergenza presuppone “la stabilità di un sistema”, l’eccezione “il suo disfacimento che apre la strada a un sistema diverso”. Questa distinzione torna in mente riflettendo sulle acrobazie che si prospettano per la prossima elezione quirinalizia. Ieri sul Fatto Gaetano Azzariti osservava che se Draghi si dimettesse dalla presidenza del Consiglio perché eletto a quella della Repubblica, dovrebbe essere in teoria lui a gestire la crisi di governo causata dalle sue dimissioni e a nominare il suo successore. La situazione non è esplicitamente vietata dalla Costituzione, ma ciò non significa che sia priva di profili di inopportunità e opacità. Soprattutto dal momento che con l’elezione di Draghi al Colle – secondo il ministro Giorgetti, non l’usciere di Palazzo Chigi – si configurerebbe un semi presidenzialismo “de facto”. Onestamente: a noi il cambiamento de facto della forma di governo pare rappresentare un poco rassicurante stato d’eccezione. E se succederà, sappiamo come è stato possibile: un pezzettino alla volta, ogni giorno. Come diceva il professor Cordero, al ralenti.

 

Calenda, povero-ricco-parvenu con la costituzione dei parioli

(Premessa necessaria: non s’illuda il protagonista di queste righe: se ci occupiamo di lui è solo perché Renzi ormai è ridotto com’è ridotto e per i corsivi di divertissement dobbiamo accontentarci di quel che passa il convento).

Carlo Calenda, europarlamentare coi voti del Pd e leader di Azione (un partito che esiste solo per mettere i bastoni tra le ruote al Pd), è un chiaro esempio che non basta nascere in famiglie benestanti, studiare nei migliori istituti, crescere in ambienti raffinati e ad alta scolarizzazione: la prima cosa che viene in mente a sentirlo parlare e ancor più a leggerne i pensieri (passa su Twitter 18 ore al giorno, chissà come deve sentirsi stanco la sera) è: “A questo bisognerebbe insegnargli l’educazione”. L’ultima candidatura a qualcosa di Calenda – uno che ha una vocazione non ricambiata per la politica – risale all’altro ieri, quando per qualche ora si è auto-candidato alle Suppletive al collegio Roma 1 (centro storico) perché aveva sentito dire che forse Conte avrebbe lì corso per il seggio lasciato libero da Gualtieri. Non poteva “accettare l’idea che un 5S calcasse i sacri Colli” (un eloquio pomposo per una candidatura utile a marcare il territorio, come fanno i cani con gli spruzzetti di urina). Sfumata l’idea di Conte, ha rinunciato anche lui: “Per me il problema non sussiste più”, ha detto a Repubblica con toni di trionfo, come avesse sventato l’annessione del Gianicolo al Venezuela. Non gli andava giù “che il Pd abbandonasse i propri elettori a un Movimento che in quel collegio ha preso il 5,3%”, ragionamento che se fosse valido implicherebbe che lui, che con Azione ha il 3%, non parlasse di affari nazionali e si limitasse a segnalare il malfunzionamento dei parchimetri in via Ludovisi, cosa che in teoria potrebbe fare, anche se dopo la sconfitta alle Comunali ha annunciato che non avrebbe fatto il consigliere comunale, buttando a fiume 220mila voti di romani che chissà perché avevano creduto in lui, salvo poi ripensarci, in attesa di lasciare il posto a “un ragazzo” della sua lista (il suo slogan: “Roma, sul serio”). Comunque, terrorizzato Conte con la minaccia di prendersi la Circonvallazione Trionfale, Calenda ha spiegato la sua missione, ovviamente su Twitter: “Ogni 5S dovrebbe restare fuori da qualsiasi incarico superiore alla vendita di lattine di chinotto allo stadio. E mi impegnerò attivamente per conseguire questo risultato”, e nessuno in famiglia ha cuore di spiegargli che i 5Stelle, col Pd etc., governano la nazione. È tipico di questi giovanotti maleducati: chi non viene da ambienti rinomati non può fare politica (hanno una Costituzione tutta loro, valida dall’imbocco di Corso Trieste al secondo semaforo dopo la Luiss, però si sentono molto europei). Meno hanno fatto nella vita, e intendiamo: con la farina del proprio sacco e non grazie agli amici di papà, più parlano di merito. Come Renzi, che intima ai giovani di spezzarsi la schiena mentre pasteggia a champagne nella reggia di un tagliagole, Calenda ha una fobia per i lavori umili (“Non gli dareste da gestire un bar, non fategli governare un grande Paese”), e a chiunque lo accusi di classismo dà dell’analfabeta funzionale. Ignora, povero ricco, che il disprezzo per i bisognosi, i percettori di reddito di cittadinanza e i lavoratori in mansioni umili è un segnale inequivocabile del provincialismo dei parvenu. Uno arrivato davvero in alto, tanto più se si professa moderato, sarebbe munifico coi più sfortunati, anche solo per sprezzatura. Invece questi burini arricchiti (sì, si può essere cafoni e analfabeti della democrazia pur abitando ai quartieri alti e avendo passato un’infanzia col culo al caldo) nutrono rancore verso chi con un centesimo dei loro mezzi è arrivato più in alto di loro (3%).

(Poi, certo, se uno così – famoso per la foto in mutande accanto a un attonito cigno – facesse anche l’umile, dovremmo concludere che al mondo c’è gente di quel calibro che si permette pure il lusso di essere modesta).