“Non abbiamopotuto vedere il fascicolo”, per questo “sarà impossibile rispondere”. Lo ha detto l’avvocato Pina Tenga, difensore di Massimo Ferrero, in carcere a Milano per bancarotta, in vista dell’interrogatorio di garanzia in programma oggi alle 13.30. “L’avviso è stato notificato ieri (martedì, ndr) alle 16 – aggiunge la penalista – con la cancelleria del tribunale di Paola non accessibile per chiedere le copie di 17 faldoni. Oggi (ieri, ndr) il tribunale è chiuso per l’Immacolata. Domani (oggi, ndr) dovremmo andare in Calabria per prendere 17 faldoni di copie, arrivare a Milano, confrontarci con Ferrero e farlo rispondere. È vero che gli avvocati hanno i superpoteri ma non fino a questo punto. Comunque non come quelli dei giudici”.
Tarquinia, c’è la pista del delitto passionale
I carabinieri di Civitavecchia hanno impostato le indagini sull’omicidio di Dario Angeletti, il professore di Biologia dell’Università Tuscia, freddato due giorni fa con due colpi di pistola da un killer incappucciato sul lungomare di Tarquinia, in provincia di Viterbo, sulla pista del delitto passionale. Gli inquirenti sospettano di un suo collega di laboratorio. Fonti investigative parlano di una donna contesa e di una forte gelosia da parte del sospettato. Le telecamere avrebbero ripreso la sua auto lanciata all’inseguimento di quella della vittima. Forse già oggi sarà eseguita l’autopsia, tesa a stabilire se la ferita alla testa sia stata provocata dall’arma che, allo stato, non è stata ancora trovata.
NoTav, sassaiola nel cantiere di San Didero Polizia: idranti e lacrimogeni contro la gente
Nella notte l’assalto al cantiere di San Didero (Torino), con il lancio di pietre, grossi petardi e razzi, nel pomeriggio nuovi disordini dopo una marcia che si era svolta pacificamente, con la partecipazione di una ventina di sindaci. I No Tav hanno celebrato così la ricorrenza dell’8 dicembre, data degli scontri al cantiere di Venaus, nel 2005, prima che il progetto dell’infrastruttura europea del corridoio Mediterraneo venisse profondamente cambiato. Sale nuovamente, quindi, la tensione in Val di Susa dopo gli attacchi dell’ala più oltranzista del movimento No Tav a San Didero, dove sorgerà il nuovo autoporto di Susa, progetto collegato alla Torino-Lione ad alta capacità e velocità. Alla marcia, partita nel primo pomeriggio da Borgone, con 5.000 partecipanti secondo il movimento No Tav, tra cui i sindaci di una ventina di comuni valsusini e l’Unione Montana, tutto era filato tranquillo. Gli attivisti e alcuni amministratori pubblici si sono dati appuntamento, nonostante la neve, e sono partiti verso San Didero, dove si trova cantiere del nuovo autoporto di Susa, opera collegata alla linea ferroviaria ad alta velocità. In testa lo striscione dei giovani No Tav con la scritta: “C’eravamo, ci siamo e ci saremo. Ora e sempre No Tav”. Per i manifestanti vi hanno partecipato 5.000 persone, per le forze dell’ordine circa 1.500. La marcia si è conclusa senza tensioni. Ma quando il grosso dei manifestanti stava già smobilitando, due gruppi di incappucciati protetti da scudi di plexiglass si sono avvicinati alle reti e, usando delle corde, hanno tentato di tirare giù le recinzioni. Le forze dell’ordine hanno usato l’idrante e lacrimogeni per respingere l’assalto. Nella notte precedente, un centinaio di militanti No Tav avevano scagliato bombe carte, fuochi d’artificio e razzi contro i reparti schierati in difesa dell’area. All’attacco secondo la Digos hanno partecipato attivisti anche da altre città, Askatasuna, centro sociale torinese. Respinti dalle forze dell’ordine con idranti e lacrimogeni, dopo un’ora i No Tav si sono ritirati. Un carabiniere è rimasto ferito, colpito da un sasso. Gli antagonisti, secondo una prima ricostruzione degli investigatori, da come si sono mossi avevano pianificato le azioni a tavolino. Come provano i grossi scudi di plexiglass usati per avanzare dalla strada provinciale verso le reti del cantiere.
Busia: “Rischio infiltrazione mafie negli appalti”
Con l’arrivo di oltre 200 miliardi per il Pnrr e l’avvio degli appalti, “s’intensifica il rischio di corruzione e di infiltrazioni criminose”. Il presidente dell’Anac, Giuseppe Busia, lancia un alert: “Non è certo il momento di smobilitare la lotta alla corruzione e l’azione di prevenzione, attraverso la digitalizzazione e l’incrocio di dati, su cui Anac sta puntando con forza”. Da Dubai, dove si trova per la Giornata Internazionale contro la Corruzione che si celebra oggi in tutto il mondo, Busia ricorda che l’Italia è osservata speciale, e dopo i progressi fatti negli ultimi anni l’attenzione non può calare. “Il Pnrr – spiega – non deve significare soltanto opere pubbliche, ma anche riforme che il Paese attende”. Il presidente dell’Anac ritiene sia arrivato il momento di un tagliando alla normativa e di completare la regolamentazione sul whisleblowing, sulla quale “eravamo tra i più avanzati in Europa” ma “rischiamo di sperperare il lavoro fatto, arrivando per ultimi”. “A distanza di 10 anni dalla legge 190/2012 – spiega – è necessario rivedere la normativa tenendo conto delle criticità”.
Gualtieri non vuole la discarica in città. Ma non è la Raggi e Zingaretti lo salva
“La Regione non chiede una discarica. Realizzarla dentro o fuori Roma? Non è rilevante”. A leggere l’intervista di qualche giorno fa rilasciata a Roma Today dalla nuova assessora ai rifiuti di Roma, Sabrina Alfonsi – storico volto del Pd, vicinissima a Nicola Zingaretti – si rimane interdetti. Invece è tutto vero. Dopo aver passato 5 anni ad attaccare Virginia Raggi, chiedendole di realizzare una nuova discarica nel perimetro della città di Roma, con l’arrivo di Roberto Gualtieri in Campidoglio improvvisamente la “buca” non serve più. O meglio, continua a servire, ma non per forza all’interno del Grande Raccordo Anulare. La conferma è arrivata il 2 dicembre, quando Nicola Zingaretti ha firmato la nomina del commissario per l’emergenza rifiuti a Latina e ha congelato lo stesso iter per Roma, provvedimento minacciato per mesi a Raggi e ai suoi. “Il neo sindaco Roberto Gualtieri – si legge nella nota – ha comunicato l’impegno dell’Amministrazione capitolina di dotare la città di Roma e l’Area Metropolitana di tutti gli impianti di servizio necessari”. Attenzione ai termini: “impianti”, non “discarica”. La stessa idea procedurale seguita dalla Raggi. Figli e figliastre, insomma.
Di fatto Zingaretti commissaria Latina per salvare Gualtieri. Da un lato, il neo nominato Illuminato Bonsignore avrà il compito di indicare un sito idoneo per la provincia pontina. Dall’altro, è in dirittura d’arrivo l’iter regionale per autorizzare il cambio di destinazione d’uso della discarica di inerti di Magliano Romano, a nord della Capitale: l’impianto è già pronto, basterà qualche lavoro di adeguamento. Ufficialmente non saranno le discariche di Roma, ma lo diverranno di fatto per il principio della territorialità. E questo basterà a Gualtieri per stare tranquillo qualche anno, sfruttare la pioggia di milioni in arrivo dal Pnrr e mettere in pratica il piano industriale di Raggi.
L’impianto di Magliano è molto discusso. L’iter, su proposta privata, è in corso dal 2014, ma da qualche mese ha subito un’accelerazione. Il terreno è di proprietà della Idea 4 srl, tra i cui soci figura Ester Fusco, una funzionaria del ministero dell’Interno. A gestirlo è la Berg Spa, al 60% di proprietà di Acea Spa. Sull’amministratore delegato Ottaviano Sabellico, pende una richiesta di rinvio a giudizio nell’ambito dell’inchiesta “Maschera” della Procura di Frosinone: l’ad deve rispondere di traffico illecito di rifiuti, in qualità di responsabile dalla Dsi Servizi Industriali (la denominazione della Berg precedente all’ingresso in società, nel 2018, di Acea). L’indagine è quella della Dda di Roma che vede come principale indagato il re dei rifiuti in Ciociaria, Valter Lozza. Ma gli avvocati sono piuttosto tranquilli. “Confidiamo in un proscioglimento, avendo l’Ue fornito pareri a noi favorevoli sulle fattispecie tecniche del reato contestato”, spiegano dal collegio difensivo. A Roma, invece, la Procura ha archiviato le indagini aperte sui recenti esposti dei comitati locali. A nulla sono valse le varie sospensive in cui il Tar del Lazio parlava di “pregiudizio imminente e irreparabile per l’ambiente e i cittadini”. Chissà cosa diranno ora i sindaci della provincia di Roma (quasi tutti a trazione dem) che il 14 luglio scorso si erano presentati sotto il Campidoglio per protestare contro la gestione di Virginia Raggi.
Come anticipato da Il Fatto il 16 novembre scorso, è difficile che Roberto Gualtieri riesca in pieno nell’annunciata opera di maquillage, restituendo la pulizia completa della città entro Natale. Questo perché, come sottolinea l’Antitrust in una delibera del 2 dicembre, esiste in tutto il Lazio un importante “gap impiantistico”. Tradotto: quando si raccolgono i rifiuti, non si sa dove portarli. Gualtieri ha affidato questo tentativo estremo all’Ama Spa, dove ha ripescato due manager dal passato. Il nuovo direttore generale è Maurizio Pucci, già assessore ai Lavori Pubblici con Ignazio Marino e prima ancora coordinatore del Giubileo 2000 con Francesco Rutelli. Suo vice è Emiliano Limiti, in auge ai tempi di Gianni Alemanno, indagato nel 2014 e poi archiviato (dunque, totalmente prosciolto) nell’indagine della Procura di Roma sul Mondo di Mezzo.
Roma, l’infornata di 27 manager: al Comune amici e “trombati” Pd
Roberto Gualtieri è pronto a portare in Campidoglio 27 nuovi dirigenti a sua scelta. Nonostante sia già in atto un concorso pubblico giunto alla prova scritta il cui iter è fermo. Il nuovo sindaco della Capitale ha deciso di affidarsi a persone esterne al Comune, di sua fiducia, per rilanciare l’azione burocratica di Palazzo Senatorio. Andranno a guadagnare mediamente tra i 100mila e i 120mila euro lordi annui.
La decisione è stata comunicata lo scorso 30 novembre ai sindacati, insieme alla bozza del nuovo piano assunzionale. Si tratta di personale da prendere “in prestito” da altre amministrazioni (attraverso gli istituti del comando o del distacco); di cui avvalersi pescando dalle graduatorie dei concorsi pubblici di altri enti pubblici; oppure da scegliere in via del tutto fiduciaria, come previsto dall’articolo 110 del Testo unico enti locali. Dal Campidoglio spiegano che “il piano del Comune consentirà di completare l’organico” e che “prevederà nuove opportunità di assunzione” anche “con la conclusione delle procedure in corso”. Inoltre, viene ricordato, “al 1 dicembre in Campidoglio lavoravano 20 dirigenti esterni, di cui quattro articolo 110”.
Dal suo arrivo, intanto, Gualtieri ha riempito gli staff della sua giunta di militanti Pd e aspiranti consiglieri non eletti, impegnando circa 2,3 milioni di euro l’anno per gli stipendi lordi dei 34 arruolati. Fra i nomi più noti in città ci sono l’ex presidente del Municipio XII Monteverde, Cristina Maltese, che andrà a guadagnare 113mila euro lordi in qualità di segretaria particolare del sindaco; Valerio Barletta, ex minisindaco del XIV Monte Mario, assegnato all’assessorato Ambiente di Sabrina Alfonsi per 91mila euro l’anno; Emiliano Sciascia, già presidente del IV Tiburtino, andrà a guadagnare 47mila euro nella segreteria di Ornella Segnalini (Lavori Pubblici). Nell’ultima infornata, tra gli altri, sono rientrati anche Jacopo Emiliani Pescetelli, ex vicepresidente nel Municipio I Centro storico (quello di Alfonsi), Emanuela Mino e Donato Mattei (ex consiglieri all’XI Portuense), nelle segreterie di Monica Lucarelli (Attività Produttive) e Andrea Catarci (Decentramento), oltre ad Anna Vincenzoni, anche lei ex assessora al I Centro storico. Tommaso Sasso, 25enne enfant prodige della scuola politica di Massimo D’Alema guadagnerà 57mila euro nella segreteria di Gualtieri. Spazio anche per due ex consiglieri non rieletti: Giulio Bugarini, è il capo segreteria a 113 mila euro, quasi il doppio dei 60mila di Antongiulio Pelonzi, capogruppo Pd uscente.
Le mosse sono “sorvegliate” dal nuovo capo di gabinetto, Albino Ruberti, che fino a due mesi fa ricopriva lo stesso ruolo in Regione Lazio con Nicola Zingaretti. Lo stesso Ruberti, che il 1º maggio 2020 con l’Italia ancora in lockdown, partecipò a un pranzo “clandestino” a base di ostriche nel quartiere Pigneto, inveendo contro il poliziotto che voleva multarlo al grido di “lei non sa chi sono io” (poi chiese scusa). Guadagnerà 200mila euro lordi all’anno.
Burlando, il ritorno: con destra e Iv
Il grande ritorno, dopo sei anni di silenzio, è previsto per sabato. Claudio Burlando, dominus del centrosinistra ligure già sindaco di Genova e governatore, oltreché ministro, è pronto a riunire i suoi fedelissimi, oggi sparsi tra Pd, Italia Viva e Azione. L’obiettivo è a medio termine: nel 2022 a Genova si voterà per le Amministrative e Burlando, che vanta ancora una certa influenza sui partiti e su pezzi di potere imprenditoriale, farà di tutto per spostare l’asse del Pd verso il centro, boicottando il percorso già avviato in Regione con il Movimento 5 Stelle e la lista di Ferruccio Sansa.
E magari strizzando l’occhio all’attuale sindaco di centrodestra Marco Bucci, apprezzato – anche con ripetute uscite pubbliche – da parte dei dem e dai renziani, qui guidati da Raffaella Paita. L’appuntamento è per sabato alla Sala Cap, ufficialmente “per farsi gli auguri di Natale”, ma in realtà per mettere insieme le decine di persone che in questi anni hanno continuato a seguire Burlando in una chat denominata “Vasta Liguria”. Qui l’ex governatore condivide ogni giorno i suoi pensieri e adesso, pur giurando che l’iniziativa di sabato “non ha legami con correnti del Pd né ha alcuna intenzione verso le elezioni genovesi”, questa comunità diventerà per la prima volta fisica. A Genova potrebbero allora arrivare alcuni tra i tanti componenti della chat, come l’ex capogruppo Pd in Liguria Nino Miceli o l’ex dirigente delle infrastrutture Gian Poggi, o ancora Enrico Vesco, per anni assessore in Regione.
Il ritorno di Burlando agita non poco M5S e Lista Sansa, grandi accusatori delle politiche di cementificazione di Burlando e della sua classe dirigente. Da parte sua, l’ex governatore vuole approfittare dell’instabilità nel Pd ligure per recuperare peso e trainare il partito verso i “riformisti”, lasciando perdere la coalizione giallorosa. E così nelle ultime settimane Burlando ha ripreso a farsi vedere con una certa frequenza. Prima ha mediato in un conflitto sulle concessioni portuali, salendo a bordo dello yacht di Aldo e Roberto Spinelli. Poi ha presenziato a diversi incontri sul progetto del Tunnel Fontanabuona, dopo che già aveva inaugurato insieme a Giovanni Toti e Marco Bucci il cantiere dello scolmatore del Bisagno.
L’idea che il centrosinistra possa avvicinarsi al centro, se non a Bucci, ha peraltro illustri sostenitori. Qualche mese fa Carlo Rognoni, parlamentare Pds eletto a Genova per quattro legislature, lo ha teorizzato con un editoriale sul Secolo XIX: “Al Pd serve la mossa del cavallo. Se il centrosinistra avesse il coraggio di mettere in campo una grande forza civica riformista potrebbe persino cercare di confrontarsi e dialogare con Bucci. C’è un forte candidato da contrapporgli? Se non c’è, perché temere di appoggiare Bucci?”. Ergo: in mancanza di un candidato forte, o si trova qualcuno che perda con onore oppure si sostenga direttamente il sindaco. In questo senso, più che “Vasta Liguria” sarà un vastissimo centrosinistra: lungo quasi fino al centrodestra.
Il detenuto Pittelli prepara la sua “difesa” con Sgarbi
Interrogazioni parlamentari ancora da presentare in favore di imputati per mafia che già sanno il nome del deputato che ne sarà il primo firmatario. Detenuti agli arresti domiciliari mai abbandonati da direttori di giornali che conoscono “tutti gli atti dell’inchiesta” e, in nome di un garantismo peloso, attaccano con cadenza giornaliera i magistrati che hanno coordinato le indagini. E poi c’è quella prima persona plurale (“Stiamo preparando…”) che lascia intravedere il mondo che si muove per difendere uno dei principali imputati del processo “Rinascita-Scott”, istruito dai pm della Dda di Catanzaro contro la cosca Mancuso di Limbadi. Dopo meno di un mese, è tornato in carcere l’avvocato Giancarlo Pittelli, l’ex senatore di Forza Italia che per il Tribunale di Vibo Valentia ha “consapevolmente trasgredito alle prescrizioni” previste dagli arresti domiciliari. Lo ha fatto scrivendo una lettera al ministro per il Sud, Mara Carfagna, chiedendole “aiuto in qualunque modo”.
Cosa possa fare un ministro o un esponente di partito per dare una mano a un presunto concorrente esterno della ’ndrangheta? Non è dato saperlo, Pittelli non lo dice. Ma il giudice Brigida Cavasino non ha dubbi che, con quella lettera, “Pittelli manifesta la volontà di instaurare contatti, con la precipua finalità di incidere sul regolare svolgimento del processo”. Le indagini della Dda guidata dal procuratore Nicola Gratteri stabiliranno se si è trattato del gesto disperato di un ex parlamentare travolto dalle accuse per mafia o di una manovra per condizionare il maxi-processo in corso. Se così fosse, l’operazione non è riuscita perché la segreteria del ministro Carfagna ha consegnato la lettera di Pittelli all’Ispettorato di Pubblica sicurezza di Palazzo Chigi, che poi l’ha trasmessa alla Squadra mobile di Catanzaro.
Una missiva in cui Pittelli si rivolge al ministro dandole del “tu” in nome degli anni trascorsi insieme nelle file di Forza Italia: “Non potrei avere rapporti di corrispondenza con nessuno, ma ti prego di credere che sono ormai disperato”. L’ex senatore sa di non poter comunicare con l’esterno, ma lo fa lo stesso. Prima attacca i magistrati (“Sono detenuto in ragione di accuse folli formulate dalla Procura di Gratteri e asseverate dalla giurisdizione asservita”) e poi sintetizza i suoi capi di imputazione ipotizzando addirittura “la manipolazione” delle intercettazioni che lo riguardano. Ma sono le ultime dieci righe della lettera che lasciano perplessi gli investigatori e il giudice che lo ha rispedito in carcere: “Stiamo preparando – scrive – una nuova istanza nel merito ed un’interrogazione parlamentare che Vittorio Sgarbi proporrà quale primo firmatario. Piero Sansonetti (direttore del quotidiano Il Riformista, ndr), che non mi ha mai abbandonato, conosce tutti gli atti e i particolari dell’inchiesta a mio carico”.
Contro la Dda di Catanzaro, quindi, Pittelli schiera un parlamentare in carica e un direttore di giornale. In questa difesa “dal processo” (e non “nel processo”) vorrebbe al suo fianco pure un ministro della Repubblica contro i magistrati: “Ti chiedo di non abbandonarmi perché sono un innocente finito nelle grinfie di folli per ragioni che ti rivelerò alla prima occasione. Aiutami in qualunque modo… Grazie per quanto potrai fare”. Per convincere la Carfagna a farsi sentire, Pittelli le ricorda che, essendo parlamentare, la Costituzione le garantisce la possibilità di non essere intercettata. “Le tue telefonate come ben sai sono tutelate ex articolo 68 anche se… talvolta qualcuno se ne dimentica di proposito”. Chi è questo “qualcuno”, l’ex senatore imputato per mafia non lo scrive.
Omicron avanza. Londra cede al Green pass (in forma light)
Alla fine anche il governo inglese cede al Green pass, con Boris Johnson che ieri, in una tesa conferenza stampa convocata in emergenza, ha annunciato nuove restrizioni imposte dalla rapida avanzata anche in Uk della variante Omicron. Affiancato dai massimi consulenti del governo, il Chief Medical Officer Prof Chris Whitty e il Chief Scientific Officer Sir Patrick Vallance, il primo ministro ha detto: “È ormai chiaro che Omicron si sta diffondendo più rapidamente della variante Delta e che i 568 casi finora registrati sono quasi certamente una stima al ribasso. La cosa giusta e responsabile da fare ora è attivare il Piano B”.
Ovvero il ritorno di imposizioni eliminate completamente lo scorso 18 luglio, quelFreedom Day che aveva visto un anomalo ritorno alla normalità, con la riapertura totale delle attività malgrado i casi si aggirassero sui 50 mila al giorno. Esteso l’obbligo, da questo venerdì, di indossare mascherine nei luoghi al chiuso, compresi teatri e cinema. Pochi giorni fa erano state imposte solo nei negozi e trasporti pubblici. E ancora: ove sia possibile, fin da lunedì 13, si raccomanda il lavoro da casa. E soprattutto, questa la grande novità, l’introduzione del green pass, già annunciata ad ottobre ma poi rimandata per un difficile compromesso fra le opposte esigenze della salute pubblica e di una economia già molto danneggiata dal Covid.
L’NHS pass, cioè la prova di avvenuta vaccinazione, sarà obbligatorio solo per i raduni di massa: il limite è fissato a più di 500 persone in piedi per i locali al chiuso, a oltre 4.000 sedute se all’aperto, mentre l’obbligo vale in ogni caso oltre i 10 mila presenti. Johnson ha concluso con un invito a immunizzarsi: ma la campagna per velocizzare le terze dosi, annunciata ormai quasi 2 settimane fa, è ancora lontana dall’obiettivo ufficiale delle 500 mila al giorno. I dati preoccupano: nell’ultima settimana la media dei nuovi contagi, in ascesa, è stata di 48.552 al giorno; i decessi 121, mentre i ricoveri totali sono oltre 7 mila. Ma alla domanda di un giornalista: “Perché non l’obbligo vaccinale?”. Johnson ha risposto: “Non voglio una società in cui costringiamo la gente a vaccinarsi”.
Non solo Covid: pronto soccorso in allarme
Niente a che vedere con le prime ondate, però “i pronto soccorso cominciano ad avere difficoltà perché i posti letto dedicati al Covid, nei reparti specialistici, cominciano a scarseggiare”, spiega Fabio De Iaco, direttore del Pronto soccorso all’ospedale Martini di Torino e dirigente del Simeu, la società scientifica di medici e infermieri dell’emergenza-urgenza. Nei giorni scorsi a Roma si sono riviste le ambulanze in coda davanti ai pronto soccorso del Policlinico Casilino, del Gemelli, del San Giovanni, del Grassi di Ostia e di altri ospedali. “Succede che i malati infettivi non Covid vengano trattati solo in pronto soccorso, i tempi si allungano, da tre giorni si può arrivare anche a sette. C’è sovraffollamento anche dove non c’era mai stato”, dice ancora De Iaco. È il boarding, o overboarding, l’incubo dei medici urgentisti che infatti scarseggiano – i giovani scappano – e hanno aperto una delicata vertenza con il ministero della Salute. “Stavolta non spariranno le patologie non Covid, la pandemia non ha più un effetto deterrente, la gente – sottolinea De Iaco – continua a venire in ospedale, direi per fortuna”.
Non c’è da sorprendersi, con i primi freddi e nonostante i vaccini, anche senza il Covid in questa stagione aumentano le sindromi respiratorie e si riacutizzano malati cronici, soprattutto anziani che a volte hanno davvero bisogno dell’ospedale e a volte no, ma sul territorio non c’è altro. “I pazienti Covid più seri che hanno davvero bisogno di pronto soccorso, monoclonali, Niv (ventilazione meccanica, ndr) sono tutti con vaccinazione non efficace, spesso anziani vaccinati tra i primi che non hanno fatto la terza dose, o non vaccinati – osserva Giulio Maria Ricciuto, direttore delle urgenze al Grassi di Ostia, presidente del Simeu nel Lazio –. E la terapia intensiva, che forse è usata male. Gli intubati sono pochi, altri sono pazienti per i quali basterebbe la semintensiva, i caschi Niv che possiamo gestire anche noi, ma purtroppo non siamo in numero sufficiente. E dobbiamo fare tutto, dai codici minori a pazienti che non trovano posto nei reparti specialistici. Senza il boarding sarebbe un’altra cosa”.
I contagi purtroppo aumentano, forse un po’ meno di prima con il tasso di riproduzione del virus stabile ma a 1,2, sopra la soglia epidemica. E gli effetti sugli ospedali si vedono in ritardo. “I prossimi dieci giorni sarà peggio”, prevede Ricciuto. Poi ci saranno le feste e chissà che a metà gennaio non sia peggio ancora. Le Regioni stanno aumentando e convertendo i posti letto per accogliere un maggior numero di pazienti Covid: “Anche nel Lazio, noi a Tor Vergata siamo a 40 e ne chiedono altri 20 – conferma Massimo Andreoni, primario infettivologo a Roma Tor Vergata e direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive e tropicali –. Stavamo cercando di mantenere le terapie intensive per le attività chirurgiche, ma saremo costretti ad aprire anche qualche letto di intensiva per il Covid. Siamo lontani dalla seconda e terza ondata, ma serve attenzione, forse saranno necessarie misure di contenimento”.
Gli specialisti delle terapie intensive, con il presidente della società scientifica Siarti, Antonino Giarratano, e quello del sindacato Aaroi-Emac, Alessandro Vergallo, avevano segnalato il problema già qualche settimana fa: l’aumento dei pazienti Covid, che oggi occupano a livello nazionale il 9 per cento dei posti nelle rianimazioni (la soglia della zona gialla è il 10), penalizzerà l’attività chirurgica, che invece dovrebbe recuperare centinaia di migliaia di interventi rimandati nelle fasi emergenziali della pandemia per ridurre la scia di morti che ci porteremo dietro nei prossimi anni. Osserva però Pierpaolo Sileri, chirurgo e sottosegretario alla Salute: “Ci sono stati anche errori strategici delle aziende sanitarie che hanno stornato personale quando l’emergenza non c’era. Solo poche di esse hanno puntato sulle strutture sanitarie private convenzionate per ridurre le liste d’attesa, consentendo ai medici di spostarsi”, dice Sileri, che è anche il referente di un Tavolo delle chirurgie impegnato proprio sul recupero delle prestazioni saltate nel 2020 e all’inizio del 2021.
Per le terapie intensive “ci siamo basati – sottolinea ancora Giarratano – sul 10 per cento, calcolato però sui posti attivabili, per i quali ci sono i ventilatori ma non i medici e gli infermieri necessari. Occupano pneumologie, aree di subintensiva e unità coronariche, sottraendo anestesisti . E non sono utilizzabili per i pazienti non Covid. Così si riducono le risorse per i pazienti fragili, la neurochirurgia, parte della cardiochirurgia”. Sta già accadendo in alcune realtà. “Non è un quadro drammatico – dice il presidente della Siaarti – ma la crescita c’è, lenta e inesorabile. Bisogna insistere sui 3.500 nuovi posti di terapia intensiva che il governo si era impegnato a creare e per lo più non ci sono. Mancano gli anestesisti? Con gli specializzandi del quarto e quinto anno riusciamo a far fronte”. A Milano hanno riattivato le rianimazioni nel discusso Ospedale della Fiera: “Sono d’accordo – dice Vergallo, anestesista agli Spedali Civili di Brescia – ma l’andamento elastico serve in fase emergenziale, non in questa che dovrebbe essere di recupero dell’attività ordinaria. Se metto i rianimatori alla Fiera gli interventi chirurgici non li vedo più”.
Tutti insistono sulle vaccinazioni per frenare il virus che circola, di fatto, poco meno della metà di quanto circolerebbe senza vaccini. Sulle gambe dei vaccinati e, in misura minore, anche su quelle dei vaccinati, dal momento che la protezione dall’infezione non è completa e scende fino al 40 per cento dopo 5/6 mesi: “Non abbiamo saputo in tempo della necessità immediata della terza dose, non eravamo pronti a farla a tutti, siamo ancora al 47 per cento e la fascia degli over 50, vaccinati nella prima fase, è la popolazione più a rischio”.
Lo confermano i dati diffusi ieri dalla Fiaso, la Federazione delle aziende ospedaliere, riferiti a 16 ospedali-sentinella. Rilevano “un incremento complessivo delle ospedalizzazioni per Covid pari al 10,1 per cento. L’età media di chi finisce in ospedale è più alta, 75 anni, tra i vaccinati, e più bassa, 64, tra i non vaccinati. Tra i ricoverati in gravi condizioni – scrive la Fiaso – non ci sono soggetti che hanno completato il ciclo vaccinale da meno di 4 mesi”. Secondo la Federazione, in una settimana, i non vaccinati in rianimazione sono aumentati del 32 per cento, i vaccinati sono diminuiti del 33. E per il 75 per cento i vaccinati in rianimazione sono “affetti da gravi comorbidità e con un’età media di 69 anni”, mentre i non vaccinati “sono in media più giovani, 62 anni, e nel 42% dei casi sono persone sane”.