Che Colle. Il rischio è trovare B. davanti a casa mentre vende “Lotta comunista”

Al momento in cui scrivo, i trapezisti sono stati bravi, i clown sempre perfetti e aspettiamo gli illusionisti. Quella che si chiama “Corsa al Quirinale”, una versione circense di Helzapoppin, riserva colpacci giorno dopo giorno, numeri nuovi e sorpresone. Se ti distrai dieci minuti non capisci più chi vuole Draghi lì, chi lo vuole là, occhio che finisce né lì né là, oppure può andare là e comandare anche lì. Una trama intricatissima.

Poi, di colpo, spunta un nuovo genere letterario: il Fantasy Costituzionale. Anche qui la trama non è semplice: un doppio incarico con un Draghi con due cappelli, uno da presidente e uno da premier? Non si può. Allora un prestanome? Un uomo di assoluta fiducia? Da qualunque parte la si guardi è un po’ imbarazzante. Il coro “Draghi stai lì” risuona in ogni dove, tutti lo vogliono al Quirinale e nessuno lo vuole al Quirinale, lui cosa vuole non lo dice. Così si favoleggia di astruse architetture costituzionali, Granducati, Superpresidenze, Imperi.

Gli attori, poi, memorabili. Di Silvio nostro si è detto in lungo e in largo, manca poco che si iscriva agli Inti-Illimani, che si mostri con l’eskimo. Dopo le aperture ai Cinquestelle (forse non ricorda “Nelle mie aziende pulirebbero i cessi”, aprile 2018) mi aspetto di trovarmelo da un momento all’altro sul pianerottolo, che tenta di vendermi Lotta comunista. In generale gli altri si barcamenano, cercano di capire cosa succede intorno a loro, menandosi come fabbri anche se stanno nello stesso governo, votano le stesse leggi, esultano per i mirabolanti risultati raggiunti (eh?). Non mancano le note di colore locale: se Draghi andasse al Quirinale il presidente del Consiglio designato sarebbe il ministro più anziano, cioè Renato Brunetta.

Nel frattempo, divampa l’incendio nel campo largo. È largo? Non è largo? Maria Elena Boschi lancia ultimatum: “O noi (intende i renzisti, ndr) o i Cinquestelle”. Urca. Carlo Calenda, autocandidatosi (è un vizio) per dispetto e poi autoritiratosi dalle Suppletive a Roma, dice invece che ora va da Letta e gli dice serio: “O noi (intende Calenda, ndr) o i Cinquestelle”. Anche questo a suo modo è un Fantasy, con le tribù, capi e capetti, territorial pissing, offensive, colpi bassi e incantesimi. Se si esce da questa confortevole e appassionante fiction, la situazione è un po’ più grama. Incombe uno sciopero generale, cosa che non avveniva da anni, contro un governo che – a leggere stampa e propaganda – risulta amatissimo, competentissimo, geniale. Basterebbe questo a dire di una notevole distonia tra la realtà e la sua narrazione incoraggiata: il sei e uno, sei e due, sei e tre di aumento del Pil non si vede nelle tasche del Paese, dove anzi si vede l’inflazione, che erode il potere d’acquisto ed è di fatto una flat tax che colpisce i più poveri. Mentre si assiste alle schermaglie pre o post-quirinalizie, ai tatticismi e allo spettacolino, insomma, emerge una verità. Tutti quei soldi, quegli investimenti, quel “è il momento di dare” che potevano cambiare il Paese, sono andati e stanno andando nella direzione di lasciarlo com’è. Dare qualcosa a quasi tutti, rafforzare qualche posizione cardine, smollare contentini, ma niente di strutturale, capace di cambiare in modo più egualitario il corpo sociale del Paese. Un’operazione di mantenimento dell’esistente, mediocre e troppo diseguale. Il resto, quel che avviene intorno al disegno, è poco più che coreografia, un gran parlare di tattiche e strategie, mentre il gioco si fa da un’altra parte.

 

“B. ha fatto pure cose buone”: quali? Ecco perché non lo voglio

Dopo aver ascoltato Giuseppe Conte dire che “Silvio Berlusconi ha anche fatto molte cose buone” ho preso carta e penna per redigerne un elenco. Sarà perché comincio ad avere dei vuoti di memoria, ma me ne sono venute in mente solo tre: la patente a punti, il divieto di fumo nei locali pubblici e la legge contro la prostituzione minorile che, per un paradosso della storia, ha fatto temere proprio al leader di Forza Italia una condanna. Ovvio, ve ne sono di certo delle altre. Solo che se ci penso mi sfilano davanti agli occhi norme come la sostanziale cancellazione del falso in bilancio; la legge ex-Cirielli con il dimezzamento dei termini di prescrizione; il lodo Alfano che rendeva il presidente del Consiglio un cittadino diverso dagli altri; il lodo Maccanico-Schifani (idem come sopra); il decreto salva-ladri per bloccare nel 1994 le indagini di Mani Pulite; la riforma delle rogatorie ideata per azzerare i risultati delle inchieste all’estero (le sue); la legge Cirami per tentare di far trasferire i (suoi) processi in base alle legittima suspicione; la legge Frattini in base alla quale non vi è conflitto d’interessi se chi va al governo è solo “mero proprietario” di un’azienda senza ricoprire cariche sociali. Vabbè direte voi: sei il solito anti-berlusconiano viscerale. Neghi il fatto che quando c’era lui “i ristoranti erano pieni” (anche se l’economia andava a ramengo) e soprattutto che i giornali vendevano un sacco di copie perché l’Italia era divisa in due: c’era chi stava con Silvio e chi gli era contro. E quasi tutti, proprio per questo, leggevano avidamente un quotidiano. Ebbene, devo confessarvi, che io di viscerale contro Berlusconi non ho mai avuto nulla. Silvio, personalmente, mi è invece stato sempre simpatico. E, nemmeno ho mai considerato dei “coglioni” gli elettori che lo votavano, al contrario di quanto faceva lui con i cittadini che nell’urna sceglievano la parte avversa.

A rendere invece ai miei occhi Berlusconi unfit (inadatto) a fare il presidente della Repubblica è sopratutto mia figlia Olga. Sapete come vanno certe cose: quando hai un figlio cerchi di trasmettergli qualche principio. Cose semplici, del tipo: le tasse anche se non piacciono vanno sempre pagate; la mafia va combattuta perché la violenza va sempre rigettata; alla corruzione e alle bustarelle si dice di no perché sono il contrario della giustizia e del merito. Per questo, vista la sua condanna per frode fiscale, quella del suo braccio destro Marcello Dell’Utri per concorso esterno in Cosa Nostra e quella del suo braccio sinistro, Cesare Previti, per corruzione dei giudici, mi chiedo cosa direi a mia figlia se davvero Berlusconi salisse al Colle per rappresentare “l’unità della nazione”. Me lo chiedo e lo chiedo a Giuseppe Conte che nei suoi interventi si limita a spiegare che a causa del “macroscopico conflitto d’interessi” il suo movimento non voterà per lui. Ma lo domando anche agli altri leader di partito: a partire da Giorgia Meloni che ha messo Paolo Borsellino nel pantheon di Fratelli d’Italia e della destra. Io ho ormai i capelli bianchi. Capisco tutto. Anche che in Parlamento non si può andare a eleggere un capo dello Stato tirandosi sul nome di Berlusconi i pesci in faccia. Ma caro Conte, cara Meloni, caro Salvini, caro Renzi e caro Enrico Letta, e cari pure direttori di giornale che prendete la candidatura di Silvio come una cosa di cui si può davvero discutere, me lo dite voi cosa spiegare a Olga, che tra due anni voterà per la prima volta? Resto in attesa di una cortese risposta. Grazie.

 

Il paradiso Lussemburgo ostacola la giustizia Ue

La Corte dei conti europea di Lussemburgo deve controllare l’uso del denaro pubblico nelle istituzioni dell’Ue. Per questo assume più rilevanza la “cresta” di oltre 300 mila euro contestata al suo presidente, l’ex eurodeputato popolare tedesco Klaus-Heiner Lehne, dal quotidiano Libération di Parigi. Il caso rilancia anche due problemi: gli insufficienti controlli sui “controllori” dell’Ue e se Corte dei conti, Corte di giustizia e Procura europea possano restare nel piccolo Lussemburgo, dove non avviene nemmeno la costante verifica esterna dei giornalisti di media internazionali attendibili. E dove le autorità locali considerano prioritari gli interessi miliardari, la riservatezza e l’immagine del locale sistema bancario con annesso regime da paradiso fiscale.

Lehne, per il suo ruolo, doveva risiedere nel Granducato. Secondo Libération, preferiva la sua Düsseldorf a 220 chilometri di distanza. Avrebbe così subaffittato il suo alloggio per anni a sottoposti del suo gabinetto. In questo modo avrebbe incassato gran parte della ricca indennità per l’affitto, oltre a 24 mila euro di stipendio mensile e altri benefit. Usava poi, per fini privati, auto di lusso con autista della Corte pagando un costo irrisorio. Il tedesco, interrogato nell’Europarlamento, si è appellato alla “privacy” su dove e con chi abita. Ha ammesso che va rivisto l’uso privato delle auto quasi gratis per i membri della Corte dei conti.

Un altro eurogiudice contabile, l’ex ministro belga Karel Pinxten, è stato sanzionato dalla Corte Ue di giustizia per condotte e spese irregolari. A una sua cena – durante una battuta di caccia offerta da una lobby – partecipò il commissario Ue “controllato”, l’austriaco Johannes Hahn, con la compagna. Nel 2015 il Corriere della Sera informò sulla zona d’ombra degli appalti esterni milionari negli Eurotribunali. L’antifrode Ue Olaf di Bruxelles aveva scoperto un contratto anomalo per la sicurezza della Corte dei conti, allora presieduta dal portoghese Vitor Caldeira. L’indagine consentì di bloccare altri appalti della Corte Ue di giustizia. Ma la magistratura lussemburghese, ricevuto il rapporto dell’Olaf, procedette con lentezza. Uno sviluppo noto è una verifica della Corte dei conti sulle spese della stessa antifrode Ue.

Il governo lussemburghese tende a gestire gli scandali Ue nel Granducato “confidenzialmente” con Bruxelles. Partiti, grandi imprese, politici e alti euroburocrati sono stati invogliati ad aprire conti nelle banche del Lussemburgo e a beneficiare del paradiso fiscale nella massima riservatezza. Perfino il Partito popolare europeo (Ppe) della cancelliera tedesca Angela Merkel ha domiciliato nel Granducato la sua Fondazione Schuman, epicentro anche di flussi finanziari. Nel 1994 sempre il Corriere della sera rivelò la Sbf (Silvio Berlusconi Finanziaria) di Lussemburgo e la rete di società offshore collegate, che entreranno poi in procedimenti giudiziari a Milano (Berlusconi sarà poi condannato per frode fiscale). L’allora premier lussemburghese filo-Berlino, Jean-Claude Juncker, favorì l’ingresso nel Ppe di Forza Italia, il partito dell’ottimo cliente del suo Paese. Accettò di ricevere last minute l’allora premier Berlusconi, che lo usò come “legittimo impedimento” per non presentarsi in tribunale. Nei summit Ue, Juncker appoggiava l’ex Cavaliere, che ricambiò sostenendo la nomina del collega alla Commissione Ue.

I segreti di clienti potenti custoditi in Lussemburgo sono infiniti. Fanno intuire perché l’Ue consenta il regime da paradiso fiscale e non contesti le enormi esposizioni di banche del Granducato su derivati finanziari ad alto rischio, pericolose per la stabilità della zona euro. Ma lasciarci gli Eurotribunali e la Procura Ue non è un po’ troppo? A Bruxelles almeno opererebbero sotto il controllo dei principali giornali europei accreditati presso l’Ue, a tutela dei cittadini dei 27 Paesi membri. A Strasburgo la magistratura francese darebbe più garanzie, rispetto a quella del Granducato, sulla corruzione e altri abusi con fondi pubblici. Lì i due Eurotribunali e la Procura Ue farebbero nascere “la città della giustizia europea”, in quanto vi ha già sede la Corte dei diritti dell’uomo (parte del Consiglio d’Europa con 47 Paesi membri). Questo potrebbe convincere la Francia ad accettare l’Europarlamento solo a Bruxelles: eliminando l’assurdo e costosissimo trasferimento a Strasburgo per soli 3-4 giorni al mese. E sarebbe giusto trasferire anche le altre attività Ue del Granducato (Consigli dei ministri tre mesi l’anno, banca Bei, Mes, uffici amministrativi), generatrici di ingenti introiti per un paradiso fiscale che ha sottratto miliardi di euro di tasse all’Italia e a tanti altri Paesi membri.

 

Sono il miglior cagone del pianeta Terra (e vi spiego il perché)

Buona parte dell’interesse per un articolo di giornale viene creato dal suo titolo, alla cui elaborazione si dedicano redattrici e redattori titolisti. Sono proprio curioso di vedere come se la caveranno con questo pezzo. Che è l’unico motivo per cui l’ho scritto. :-)

Cagare mi piace. È facile e divertente: per questo nei miei monologhi parlo di merda più di un ragazzino all’asilo. Probabilmente in Italia sono il più grande esperto di merda che non sia un proctologo professionista a tempo pieno: chi può dirlo? Mi sono persino comprato un kit per i clisteri. Non tutti possono capire. ADDETTA ALLA SICUREZZA IN AEROPORTO: “Questo cos’è?” IO: “Un thermos di acqua calda”. ADDETTA: “Acqua calda?” IO: “Sì, per i miei clisteri. Mi piace fare clisteri in volo”. ADDETTA: (mi fa l’occhiolino). Ricordo quando ho scoperto la defecazione: ero così felice! Ma a chi non piace? Nessuno dice: “Cagare fa schifo”. È un atto universalmente apprezzato, e poiché sono convinto che Dio ci consideri personaggi di una commedia, lo immagino che ci guarda mentre caghiamo e ride, lo stronzo. Gli esseri umani cagano da sempre. Tutti: Shakespeare, Pippo Baudo, la regina Elisabetta. Quanto a me, sono il miglior cagone del pianeta Terra. Sono davvero bravo e voglio continuare a eccellere. Mi concentrerò su questo e sulla mia ragazza. Le due cose non sono equivalenti, ma sono le due cose che mi danno quello che Vittorini chiamava “l’intenso”. Per cagare non ho bisogno di artifici. Alcune persone sì. Per esempio, una mia ex, che era stitica, usava un vibratore: lo accendeva, lo poggiava ronzante contro l’ano e lo faceva roteare dolcemente fino al jackpot. Diciamocelo, cagare è bello; ma non ai party, perché quando esci dal bagno incontri sempre qualcuno, e quello capisce subito che hai cagato, una cosa che mi scoccia, specie se l’importuno ti rivolge un sorrisetto di sgamata. Dunque aspetto un po’ prima di uscire dal cesso: apro la finestra, tiro lo sciacquone, mi lavo le mani (c’è chi non lo fa, specie ai party, di solito il cameriere addetto ai tramezzini), conto fino a venti, e solo a questo punto torno in società. Non prima. Una scocciatura dell’invecchiare è che la presbiopia non ti permette di guardare la tua merda da vicino: la vedi sfuocata. Sono dovuto andare all’Iper a comprare occhiali da lettura da 1 euro e ho avuto la netta sensazione che la commessa sapesse per quale motivo li stavo comprando. “Lo so che non ci leggi Hanna Arendt, sporcaccione…”. Compro gli occhiali da lettura, torno a casa, guardo la merda, ed era ancora sfuocata. Ne ho dedotto che non sono i miei occhi. Cago merda sfuocata. E cagare è un test per tante altre cose. Per esempio puoi capire quanto sei malvagio da quanto tempo, dopo una strage di Stato, hai cagato con gusto. Al momento dell’esplosione? Eri Gelli. E ogni volta che esco con una ragazza nuova, mentre le dico frasi romantiche devo trattenermi dal chiederle subito quello che mi interessa: “Ti trovo incantevole. Vorrei ciucciarti le tette, e vederti cagare. Non necessariamente in quest’ordine, ma magari le due cose insieme”. So che scapperebbe a gambe levate. Al suo posto io non scapperei, ma nessuno è perfetto. E comunque ogni avance, vista da fuori, è ridicola; se però la ragazza ci sta, chi è il ridicolo? Una volta non mi sono trattenuto, e lei non è scappata. Sale da me. LEI: “Sei bravissimo. Nessuno dei miei ex mi ha mai ciucciato le tette così”. IO: “Oh. Hai avuto molti ex?” LEI: “No”. Nel mio bagno ho fatto installare un water dirimpetto al mio, così posso cagare insieme con ogni ragazza che ci sta. LEI: “Questo Bach è perfetto per cagare”. IO: “È Händel”.

 

Conte e il duo Gianni&Pinotto del centrino

Se invece di starnazzare come le oche del Campidoglio i Gianni&Pinotto del centrino da tavolo si fossero tenuti il cecio in bocca avrebbero messo Giuseppe Conte in un bel pasticcio. Poiché, sicuramente dettata da spirito costruttivo, l’offerta del seggio di Roberto Gualtieri avanzata da Enrico Letta avrebbe creato non pochi grattacapi al capo politico dei 5Stelle. Intanto, impegnarsi in Parlamento con un movimento da ricostruire dalle Alpi alla Sicilia, nonché tormentato da frustrazioni e nevrosi non sarebbe stata affatto una passeggiata (“non voglio fare il deputato assenteista”, ha detto e sottoscriviamo).

Ma, soprattutto, sarebbero piovute sull’ex premier le inevitabili accuse di avere approfittato dell’acquisito ruolo di partito per arraffare una poltrona di deputato: classico comportamento da membro della casta che i grillini dei primordi avrebbero ricoperto di vaffa. Un Conte candidato sarebbe stato dunque per Gianni&Pinotto uno straordinario bersaglio da tre palle un soldo, uno stillicidio quotidiano di critiche e insulti, magari con la speranza di fargli perdere la partita. Siccome però l’altro non c’è cascato la coppia che scoppia ha espettorato roboanti interviste con la stessa faccia di chi si è appena sparato sui piedi. Colui che vanta come fosse una medaglia olimpica la terza posizione nella corsa a sindaco di Roma ha modestamente dichiarato a Repubblica: “l’avrei sconfitto, non potevo accettare l’idea che un 5S calcasse i Sacri colli” (ha detto proprio così). “Conte è un uomo senza coraggio”, ha invece commentato Pinotto, che con il suo abuso della lingua inglese è il comico più acclamato del Golfo Persico. Ovviamente, stiamo parlando di Carlo Calenda e Matteo Renzi anche se paragonati a Gianni &Pinotto loro fanno ridere molto di più.

Tornando seri non si capisce proprio come possa il segretario del Pd pensare a un’alleanza per il Quirinale, sia pure tattica, con i leader dei due partitini Italia Viva e Azione. Affidabili come il no vax con il braccio al silicone, quelli hanno i franchi tiratori incorporati.

Lo stupore del “fanciullino” premier

Il premier Draghi questo sciopero proprio non se l’aspettava e, addirittura, c’è pure rimasto male quando gliel’hanno annunciato. “Nessun esecutivo aveva mai fatto così tanto sul lavoro…”. A SuperMario, che ha sempre cercato di accontentare i sindacati, non gli andava proprio fatto questo sgarbo… E poco importa se le modalità con cui il premier abbia convocato le parti sociali non siano state così esplicative: incontrarli solo per riferirgli quello che era stato già deciso sulla manovra. Ma qui il punto non è affatto il perché della rottura con i sindacati (sic!), di questo conflitto sociale. I grandi giornali ieri si sono spesi all’unisono a raccontare dello “stupore” di Draghi che, al pari del Fanciullino di Giovanni Pascoli, ha commesso – signor giudice – solo un unico errore: guardare la realtà che lo circonda con entusiasmo, percepire il lato bello e commovente di ogni situazione.

Dimenticandosi però di parlare con i sindacati.

“Ferrero fa un buco al giorno per far scendere dei soldi”

Mi’ padre ogni volta: ah, quando cresci… che te fai le cose da sola… perché ce so’ io… perché me danno credibilità a me… ‘Io so’ io e voi non siete un cazzo’. Ma li mortacci tua, no”. Dura la vita per Vanessa in casa Ferrero, con papà Massimo versione Marchese del Grillo e il recente epilogo ai domiciliari per bancarotta fraudolenta. A raccontarla, questa vita, decine di intercettazioni. In uno stile che potremmo definire “intercettazioni a specchio”, tipo le famose plusvalenze del calcio, ma senza dubbio più reali. E se il “Viperetta” è noto per le sue intemperanze, come vedremo, Vanessa non è da meno. Dura la vita, infatti, pure per i finanzieri che il procuratore di Paola, Pierpaolo Bruni, ha inviato a eseguire le perquisizioni. Pare che Vanessa, prima di aprire la porta, li abbia fatti attendere un bel po’ (c’è chi dice un’oretta) mentre suo padre, quando gli hanno chiesto la combinazione della cassaforte, forse in preda a un’amnesia, non l’ha fornita. E così i militari hanno dovuto convocare un fabbro e procedere allo scasso. Gli atti contabili descrivono la (per ora soltanto presunta) bancarotta fraudolenta di quattro società fatte fallire per “soddisfare esigenze di carattere personale”.

Ma le intercettazioni raccontano il clima familiare che, seppur impreziosito da una Ferrari F430 Spider e uno yacht di 36 metri a noleggio, passando per la “barchetta” Azimut 105/25 (valore commerciale di 7,7 milioni battezzata “Laura” come la moglie Laura Sini, anche lei indagata), non pare affatto disteso. Anzi, sempre sul filo, racconta di lui, intercettato, il commercialista del gruppo: “… gli ho detto: ‘Ma scusa Massimo mi fai quasi ridere! Hai 200 milioni di debiti. Non sai come uscirne da questi!’. Mi ha detto che la sua vita è fatta di battaglie e le battaglie vanno vinte una alla volta. D’altra parte lui ha una propensione al rischio (…). Lui ogni giorno deve trovare un posto dove bucare e far scendere dei soldi…”. Lui era il dominus e sua figlia Vanessa, secondo l’accusa, la prestanome. E al commercialista, che si lamenta di lei (“sta chiedendo cagate… sta chiedendo 50mila euro per riavviare… per i danni che…”), Ferrero risponde così: “E gli diamo ’na piotta e fa tutto”. Vidal è prudente: “Fa tutto alla grande. Non glieli diamo tutti assieme i ciccioli! Gli diamo 50 e 50”. Il Viperetta accorcia ulteriormente il braccino: “Gliene diamo 30, 30 e 30”.

E quando a gennaio il consulente gli dice che le società sono state “gestite di merda” – “Su questo Massimo, purtroppo, c’è poco da dire. È la verità dei fatti” – Ferrero quasi confessa: “Certo lo sappiamo. Però sono state gestite da Diamanti… se vai a vedere! Perché Vanessa non capisce un cazzo! È colpa mia cazzo! Ci sono ricascato tante volte”. Ecco, è Vanessa che “non capisce un cazzo”. Nell’intercettazione “a specchio” di Vanessa la versione è un tantino differente. “Tesò – dice Vanessa a una collaboratrice – io senza stipendio… no io non avrei lavorato! Io me l’ero preso in der culo prima della pandemia non te preoccupa’… e lo sapete bene tutti… che so il titolare effettivo! Titolare anche delle due società che t’hanno fatto magna’…”. Ma la riconoscenza non sembra di casa: “… Tutte ‘ste cose… e nessuno… non solo non sono riconoscenti… cioè mio padre che… mio padre c’ha pure il coraggio di dirmi, che io gli darei una capocciata, perché non se ne rende conto, che io ho creato… che io ho fatto casini… che è tutta colpa mia che sto qua… che qua… capito come si è convinto il pezzo de merda? Cioè capisci? Io non ho fatto un cazzo de quello che sto a paga’! Ha fatto tutto mi padre!”.

Riepilogando: per il papà è colpa della figlia e per la figlia è colpa del papà. Ma chi sta peggio, a sentire Vanessa, è lei: “Non … non sto manco a magna’… m’ha prestato due spicci perché è una cosa che un altro padre te l’avrebbe comprata già cento anni fa senza problemi! … Non posso neanche andarlo a di’ in giro che Massimo Ferrero è ‘na merda… che fa schifo… che va a di’ che tutti i figli so’ attaccati alla bocca… invece lui che fa sta cazzo di vita la fa grazie a me! Capito? Se lui sta dove sta… se è arrivato in Sampdoria… se è arrivato a essere qualcuno è grazie a sta pezza de merda che ha firmato tutto! E guarda come me fa sta? E un cazzo de mutuo che m’ha dato… tutti i giorni a romperme il cazzo!”.

Concerti, ma senza folle e veglioni col Super pass

A Torino il sindaco Stefano Lo Russo rinuncia al Capodanno in piazza: “Sarebbe folle un sindaco che impone mascherine e poi organizza un evento che porta ad assembramenti”, ha detto. A Napoli Gaetano Manfredi ci sta pensando. Non sarà “un Natale normale”, nemmeno “per i vaccinati”, come prevedeva un po’ ottimisticamente il presidente Mario Draghi. In tutta Italia si ragiona su come ridurre il pericolo che le feste portino ad assembramenti fuori controllo destinate a far schizzare nuovamente in alto i contagi. Ci ragiona anche il governo, naturalmente. E si punta sul super green pass per gli eventi.

I contagi aumentano, forse alimentati anche dalla variante Omicron che è più contagiosa della Delta, ma non ha effetti più gravi. Sembrano aumentare un po’ meno di prima (Rt è sceso leggermente ma è sempre a 1,2, sopra la soglia epidemica) come se fossimo all’inizio di un appiattimento della curva, ma l’effetto sugli ospedali si registra dopo almeno due settimane. Per ora i ricoveri crescono, sia pure molto più lentamente rispetto ai tempi pre-vaccini, creando difficoltà nei pronto soccorso perché mancano i letti nei reparti e costringendo gli anestesisti a dedicarsi al Covid-19 anziché alle chirurgie, che dovrebbero anche recuperare gli interventi rinviati per la pandemia.

Ieri si sono registrate 15.756 nuove infezioni con un tasso di positività del 2,2%, l’incidenza a livello nazionale è attorno ai 175 casi a settimana ogni centomila abitanti contro 155 al 2 dicembre, 125 al 25 novembre e 98 al 18 novembre. I morti sono stati 99. Abbiamo 6.078 ricoverati (+199 ieri) nei reparti ordinari pari al 10% dei letti dichiarati e 776 (+33) nelle terapie intensive (9%), ma la situazione è molto diversificata sul territorio. Alcune Regioni corrono ai ripari per convertire reparti e posti letto e aumentare la capienza, evitando il superamento dei limiti della zona gialla. Lo ha fatto, per l’area medica, la Lombardia, che ha aperto circa 1.300 nuovi letti: era vicina al 15% di malati Covid ed è scesa al 12%, aumentando l’offerta. L’hanno fatto anche altre Regioni e potrebbe farlo la Calabria. I letti nelle terapie intensive, peraltro, sono già calcolati su quelli “attivabili”

Israele, altro picco di contagi e presto l’ok alla quarta dose

Risalgono i casi di SarsCov2 in Israele: si torna a 719 positivi, in 24 ore. Per le sue caratteristiche (numeri piccoli rispetto a quelli europei) e per l’anticipo tra i Paesi occidentali nella campagna vaccinale, Israele è un buon laboratorio per capire cosa potrà accadere in Europa fra poche settimane, come lo è già stato per le ondate passate, con curve del contagio spesso sovrapponibili dopo uno o due mesi. I dati governativi confermano il nuovo picco di contagi come non avveniva da un sessanta giorni, ma la variante Omicron non è attualmente prevalente, la sua diffusione è ancora circoscritta. Dal 1° al 7 dicembre si sono registrati 7 decessi totali, di cui 5 tra soggetti non-vaccinati e 2 tra soggetti con tre dosi, tutti over 60. Mentre i casi “gravi”, sempre nell’ultima settimana, sono stati 13 nei non-vaccinati, 2 nei doppi-vaccinati, e 4 con tripla-dose. Il tasso di infezione, su 490.586 test condotti, è ora pari allo 0,68%. Salgono a 106 i pazienti Covid ricoverati in gravi condizioni negli ospedali israeliani, 61 sono sottoposti a ventilazione, quasi tutti sopra i sessant’anni. I pazienti positivi, al momento, sono in totale 5.663.

A partire da agosto il governo ha offerto la terza dose alla popolazione, primo Paese al mondo, creando il caso-guida per l’Occidente, appunto. Da allora a oggi, il booster è stato somministrato a 4,1 milioni di israeliani, mancano all’appello 1,6 milioni di soggetti per poter raggiungere i 5,7 milioni che hanno completato la doppia dose. Circa il 20% della popolazione sta esitando. Sono invece 6,3 milioni gli israeliani già vaccinati con una dose. Mentre da quanto riportato dal Jerusalem Post, secondo Sigal Regev Rosenberg, ceo di Meuhedet Health Services – una delle strutture sanitarie più grandi del Paese –, gli israeliani potrebbero aver bisogno di una quarta dose di vaccino contro il Covid-19 entro i prossimi due mesi. Sulla stessa posizione l’ad di Pfizer, che ha rilasciato una dichiarazione netta, “serviranno vaccinazioni annuali anti-Covid per molti anni”, anche se questa interpretazione non è condivisa da esperti della Comunità scientifica come Antonio Cassone – membro dell’American Academy of Microbiology –, il quale ci ha spiegato che “questa presa di posizione del responsabile della Pfizer è finora priva di un fondamento scientifico”. La strategia globale contro il Covid è sicuramente influenzata dalle scelte che Israele sta prendendo in questa fase, ma nella bilancia c’è da considerare la bussola Stati Uniti. In America la situazione sta mutando in corsa. L’obbligo vaccinale per gli operatori sanitari è stato congelato in dieci Stati americani – a seguito di una sentenza federale –, un dietrofront destinato sicuramente ad aprire un dibattito a livello internazionale. Quello che è certo è che grandi strutture sanitarie private stanno aggiornando la loro strategia. La Advent Health, una delle strutture private con più dipendenti oltreoceano – 83 mila – ha sospeso l’obbligo per i sanitari attraverso un comunicato stampa a firma del chief clinical officer, Neil Finkler.

Oltrché per la quarta dose, il board di esperti che consiglia il ministro della Salute israeliano nella strategia vaccinale, è sotto pressione dell’opinione pubblica anche per un’altra questione estremamente delicata: i vaccini pediatrici per i bambini di 5-11 anni già “guariti” da Covid-19. Il comitato è spaccato sulla questione, tuttavia, da quanto appreso dal Jerusalem Post, nelle prossime ore gli esperti prenderanno comunque posizione definitiva. Alcuni membri sostengono che i bambini guariti da Covid siano ben protetti e potrebbero aspettare fino a un anno prima di pensare a una possibile vaccinazione. Altri membri, in senso opposto, sostengono invece che i bambini guariti dovrebbero essere vaccinati subito dopo tre mesi da tampone molecolare negativo. Il dibattito è ancora aperto, anche in Italia, e sicuramente la decisione di Israele influenzerà anche le cancellerie europee.

L’Ue benedice nucleare e gas: Cingolani fa festa con Descalzi ad Atreju

Più che le parole conta a volte la potenza dei fatti. Poco dopo che la Commissione europea ha anticipato che nell’ormai famigerata “tassonomia Ue” sulle fonti di energia finanziabili nella lotta ai cambiamenti climatici ci saranno nucleare e gas, sul palco di Atreju siedono vicini il ministro Roberto Cingolani e il numero 1 di Eni Claudio Descalzi, i due italiani più soddisfatti per la scelta di Bruxelles, che fa invece incazzare assai gli ambientalisti e l’Enel.

La notizia, tolto il pubblico più naïf, era assolutamente attesa: di fatto l’Italia si è schierata coi dieci Paesi, capitanati dalla Francia, che chiedevano di considerare “verde” anche il nucleare a fissione vecchio di decenni: la Germania e altri sei Stati erano duramente contrari a sovvenzionare l’allungamento della vita di impianti che hanno problemi di scorie e sono assai pericolosi (e ora la battaglia s’è spostata su quanto a lungo sarà considerato “green”), ma l’asse Draghi-Macron per ora pare saldo.

L’inserimento di un fossile come il gas nella tassonomia verde, richiesto anche dall’Italia, è il contentino dato a Berlino per rendere meno costosa l’uscita dal carbone a cui s’era affidata finora senza risparmio. “La tassonomia ci dice cosa è green e sarà aggiornata ogni anno: in sostanza lascia agli Stati la scelta sul loro energy mix per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione”, minimizzava in mattinata Cingolani: “Fino al 2030 la strategia è 72% di energie rinnovabili e non è negoziabile. Sul dopo, dobbiamo guardare qualche numero”. In sostanza – secondo il ministro – per non toccare di una virgola le abitudini di consumo occidentali (e italiane) dopo il 2030 avremo bisogno di energia che le rinnovabili non potranno darci e “dico che stanno accadendo alcune cose: ci sono investimenti nello sviluppo di piccoli reattori nucleari modulari e sulla fusione, dove c’è un’accelerazione”. Che tradotto per i soliti naif vuol dire che l’Italia ritiene strategici per il futuro i piccoli reattori a fissione detti SRM, perché la fusione non sarà certo pronta alla produzione industriale all’inizio del prossimo decennio.

È in questo contesto che vanno inquadrate le parole del vicepresidente della Commissione Valdis Dombrovskis dopo l’Ecofin: “Per il mix energetico del futuro abbiamo bisogno di più rinnovabili ma anche di fonti stabili e la Ue adotterà una tassonomia che copre anche nucleare e gas”. Sarà il vertice dei leader del 16 dicembre probabilmente a mettere la parola fine su una trattativa complicata.

Come detto, neanche due ore dopo Cingolani era sul palco della festa di Fratelli d’Italia col trionfatore italiano di questa partita, Descalzi dell’Eni: ora la grande festa del Pnrr a sei zampe può partire. Il duo la butta sul pragmatismo: loro sono per il fare, gli altri chiacchierano e fanno danni. Descalzi non si risparmia nemmeno un predicozzo ai giovani, s’immagina quelli di Fridays for future più che i fan di Giorgia Meloni: “Non aprite la bocca per bere tutto quello che vi danno. Bisogna lavorare e studiare”. Come si fa la transizione? “Non si può dare la responsabilità delle emissioni al consumatore, devo dargli prodotti puliti e questo lo puoi fare solo se ti metti a lavorare e investi. Non si fa con le parole, con la demagogia, con l’ideologia. Non possiamo pensare che con le parole cambieremo il mondo. Ci moriamo di parole. Ci seppelliscono”. Invece di farsi seppellire dalle parole, l’Eni vuol seppellire coi soldi pubblici tonnellate di CO2 nei giacimenti esausti di Ravenna, salvare il sacro diritto a muoversi sempre in macchina coi biocarburanti e quello a consumare con le nuove plastiche da riciclo. Se credono ai loro stessi allarmi sul clima, siamo quasi alla presa in giro.

Bisogna stare attenti, dice Cingolani, “vanno calcolati bene i tempi: andare troppo veloci vuol dire fermare tutto e avere un impatto sociale devastante; andare troppo lenti ci porta alla crisi climatica. Si muore di entrambe”. Alla fine, è convinto il ministro, ci salverà la tecnologia, come è sempre successo: che quella citata come più promettente sia sostanzialmente identica a quella già bocciata da due referendum non rileva…