Il 4 dicembre 2016, il popolo italiano respinse con referendum la modifica della Costituzione, proposta da Matteo Renzi, al fine di rafforzare l’esecutivo, riducendo, nello stesso tempo, la “rappresentanza popolare” e i “poteri referendari” del popolo sovrano.
Si trattava di una riforma che voleva dar forza, alla politica dei governi succedutisi dopo l’assassinio di Aldo Moro, che mirava a cancellare l’intervento dello Stato nell’economia e procedere il più velocemente possibile alla svendita del nostro “demanio costituzionale”.
Una politica chiaramente ispirata alla distruzione dei successi economici raggiunti dall’Italia nei primi anni del secondo dopoguerra e favorita da alcuni Stati occidentali.
Essa era ispirata alle idee neoliberiste, secondo le quali “la ricchezza deve essere nelle mani di pochi, tra questi deve esserci una forte concorrenza e lo Stato non deve intervenire nell’economia”. In sostanza si tratta di non considerare la dignità dell’uomo, di abolire la solidarietà, che è fondamento dell’esistenza stessa dei popoli; nonché, il “demanio costituzionale”, e cioè quel complesso di beni e servizi sui quali si fonda la “costituzione” e la “identità” dello Stato comunità. Il contrario di quanto prevedeva il “sistema economico keynesiano”, accolto in Costituzione.
Il primo colpo contro quest’ultimo fu inferto, forse inconsapevolmente, dal ministro Andreatta, il quale, con una semplice lettera a Ciampi, Governatore della Banca d’Italia, in data 12 febbraio 1981, dispensò detta banca dall’obbligo di acquistare i buoni del Tesoro rimasti invenduti, facendo in modo che diventasse impossibile pagare i nostri debiti stampando moneta.
Il colpo mancino più duro all’intervento dello Stato nell’economia fu dato, tuttavia, dal governo Amato, il quale (dopo un mese e nove giorni, dal discorso che fece Draghi, il 2 giugno 1992, sul panfilo Britannia sul quale c’erano la regina Elisabetta e 100 delegati della City londinese, invocando un forte impulso della politica per attuare la “privatizzazione” dei beni del popolo), emise il decreto legge 11 luglio 1992, n. 333, convertito nella legge 8 agosto 1992, n. 359, trasformando in SPA le aziende di Stato IRI, ENI, INA e ENEL, che poi furono vendute, dai governi successivi e specialmente dal governo Prodi a prezzi estremamente bassi.
Dopo di che c’è stata la privatizzazione di numerosissimi enti e aziende di Stato, che è impossibile enumerare. E oggi l’azione deleteria del pensiero neoliberista viene disinvoltamente continuata dal governo Draghi, il quale ha firmato il cosiddetto Trattato del Quirinale, che istituzionalizza la nostra inferiorità economica nei confronti della Francia e ora ha l’ardire di proporre al Parlamento un disegno di legge che esalta la “concorrenza” fino al punto di porre a gara sul mercato europeo e internazionale persino il servizio dei taxi e quello delle spiagge, sempre ignorando, e mai nominando, la nostra Costituzione.
Ma è proprio la Costituzione la nostra forza. E dobbiamo farla valere, non solo contro Matteo Renzi, come è stato con il referendum del 2016, ma anche nei confronti di altri governi, come l’attuale, che insistono nel ritenere il sistema economico neoliberista un dato della Natura, mentre i fatti dimostrano che si tratta semplicemente di un cinico disegno studiato a tavolino, per togliere ricchezza al popolo, proprietario del “demanio costituzionale”, e donarla alla finanza e alle multinazionali.
Cancellando così millenni di civiltà, e riconducendo tutti a uno stato di soggezione, se non di schiavitù.