La sai l’ultima?

 

Biella Un dentista no vax va vaccinarsi con il braccio finto in silicone: denunciato

La notizia della settimana è quella del fenomeno parastatale no vax di Biella che è andato a vaccinarsi con un braccio finto in silicone, sperando che nessuno se ne accorgesse. O che magari gli infermieri avessero gli occhi di vetro. Il 57enne, un medico odontoiatra sospeso dal servizio proprio perché non vaccinato, è stato invece scoperto subito e denunciato. Ad accorgersene è stata l’infermiera Filippa Bua (nomen omen): “Era una persona distinta, come tante altre, perfino sorridente”. L’inoculatrice ha provato “sgomento” quando si è accorta dell’avambraccio fasullo: “Ho subito intuito che qualcosa non andava. Siamo professionisti, ma di cose tanto fantasiose non mi erano mai accadute”. Il fuoriclasse no vax pare le abbia chiesto di chiudere un occhio, pure con un certo compiacimento. Voleva il green passo vero vaccinando un arto finto. Missione fallita. Nonostante il braccio di gomma e la faccia come il culo.

 

Alessandria Il cacciatore folle si mette a sparare ai cinghiali dal bordo della strada, vicino a un ospedale

Questa incoraggiante notizia da Alessandria incrocia due temi sensibili di questa fragile epoca: la proliferazione dei cinghiali e la precarietà della salute mentale collettiva. Il protagonista è un morigerato cacciatore che si è messo a sparare agli ungulati dal ciglio della strada, in mezzo alle altre auto e nei pressi di un ospedale. Lo racconta Repubblica: “Nel video di 14 secondi si vede un uomo che scende dalla sua Fiat Panda verde in mezzo alla provinciale, imbraccia il fucile e spara, mentre un’altra auto è in arrivo. Poco prima il cellulare di chi riprende ha inquadrato anche il suo obiettivo, una famiglia di cinghiali che si trova a bordo strada. È stato girato lunedì ad Alessandria, sulla provinciale, proprio dietro all’ospedale Borsalino. L’uomo con il fucile è stato identificato dalla questura alessandrina: è un cacciatore che stava tornando da una battuta. La sezione locale di Federcaccia lo ha già espulso. Ora rischia, oltre alla denuncia, il ritiro del porto d’armi”.

 

Usa La moglie seriale Monet sembra davvero un personaggio di Beautiful: si è sposata 11 volte e ancora cerca quello giusto

Beautiful davvero. Come una Brooke Logan qualsiasi, la protagonista di questa storia è una donna americana che si è sposata 11 volte (e con alcuni mariti ha pure fatto il bis). Si chiama Monet, ha 52 anni e continua con fiducia a cercare l’amore definitivo della sua vita. La notizia arriva dal sito Today: “Undici matrimoni per un totale di nove mariti (il secondo e il sesto successivamente li aveva pure risposati): Monet ha raccontato – nel corso del programma Addicted to Marriage di Tlc – di aver iniziato con i matrimoni subito dopo aver terminato gli studi: ‘Il mio primo marito ed io ci siamo conosciuti al liceo, avevo subito detto a mia sorella che un giorno lo avrei sposato e così è stato’”. Il quinto sembrava quello giusto – “Probabilmente è stato uno dei veri amori della mia vita” – ma il sesto le è rimasto nel cuore più a lungo: “Sembrava così carino e gentile, così l’ho sposato, e poi l’ho risposato anche in seguito”. Piano piano è arrivata a 11 (e il conto è aperto). Chissà quante bomboniere.

 

Foggia Riesce a farsi arrestare due volte nell’arco di 24 ore e in entrambi i casi dalla stessa pattuglia dei carabinieri

La criminalità foggiana è una delle più prolifiche d’Italia e questa storia non poteva che essere sceneggiata lì, a San Severo, a pochi chilometri dal capoluogo. Un bandito 33enne è riuscito a farsi arrestare due volte nell’arco di 24 ore e in entrambi i casi dalla stessa pattuglia di carabinieri. Il 29 novembre scorso gli agenti “hanno notato un soggetto in bicicletta che alla vista della gazzella ha invertito repentinamente il senso di marcia nel tentativo di far perdere le proprie tracce”, scrive Foggia Today. “Inseguito, ha proseguito la fuga contromano e con manovre pericolose per l’incolumità di automobilisti e passanti”. Finalmente bloccato, i militari si sono accorti che era la stessa persona arrestata il giorno prima “e che quella mattina, peraltro, si era tenuta l’udienza di convalida che aveva confermato l’ennesima misura restrittiva dei domiciliari”. Il genio è finito in carcere. Si è giustificato “sostenendo di aver deciso di fare una passeggiata in bici”.

 

Washington Un gatto resta bloccato 5 giorni su un albero di 18 metri. Per portarlo giù lavorano insieme oltre 30 persone

Tra le discipline preferite dei giornali locali c’è il salvataggio acrobatico di gatti bloccati sugli alberi. Servono spesso grandi risorse e strategie cervellotiche, ma raramente l’operazione è complessa come questa. A Washington il gatto Hank, scrive LaZampa.it, “ è rimasto bloccato su un albero alto circa 18 metri per cinque giorni e quattro notti senza cibo né acqua. Ci sono volute circa tre dozzine di vicini, amici, volontari per il salvataggio degli animali e sconosciuti che hanno lavorato insieme e hanno provato una mezza dozzina di metodi, incluso l’uso di scale alte, cestini e erba gatta, per farlo scendere in sicurezza”. Alla fine la carta vincente è stata proposta da un’impiegata della Humane Rescue Alliance, un servizio di soccorso animali. I volontari hanno fatto “un tentativo con delle corde e diversi strumenti hanno manovrato una piccola cassa con oggetti speciali all’interno: erba gatta, un paio di pantofole della padrona, un blocco tiragraffi e una coperta pelosa. Hank ha abboccato all’amo: è saltato dentro”. Ed è stato riportato a terra.

 

Cesena Smaltisce il suo televisore all’isola ecologica ma poi ne ruba uno più grande (e investe un netturbino)

Nelle discariche di Cesena, se ci si va con un certo spirito e una forte propensione al “baratto”, si possono fare grandi affari. Un microcriminale 54enne, originario della provincia di Foggia, ha usato l’isola ecologica per lo smaltimento degli elettrodomestici come se fosse il reparto delle televisioni di un centro commerciale: ha buttato la sua vecchia tv e ha provato a tornarsene a casa con una più grande e più nuova. Un normale cambio merce, insomma. “L’addetto dell’isola ecologica – riporta il Corriere Romagna, con prosa questurina – accortosi di quanto accaduto, si avvicinava all’auto in questione richiamando l’uomo alla restituzione dell’elettrodomestico prelevato. Questi per tutta risposta, incurante del richiamo, salito a bordo della propria auto, ripartiva con una brusca manovra investendo, a forte velocità e senza fermarsi, l’addetto causandone una violenta caduta a terra, che gli procurava delle lesioni con una prognosi di trenta giorni”. Niente tv, ma la solita, banale denuncia.

 

Meraviglia Il sito di basket confonde il giocatore più forte del mondo con l’ex sindaco Gianni Alemanno

Il primo è Giannis Antetokounmpo, il giocatore di basket più forte del mondo. Il secondo è Gianni Alemanno, forse il peggior sindaco della storia di Roma. Il primo è nigeriano, è arrivato dal nulla ed è salito sul tetto dell’Nba sconfiggendo pregiudizi e indifferenza. Il secondo è nato a Bari, è arrivato dalla giovanile fascista ed è salito al Campidoglio tra i saluti romani dei suoi elettori. Sembra difficile confonderli o persino citarli nella stessa pagina, ma su internet succedono cose meravigliose. Nel post su Facebook del sito americano The Score, dove si analizzava la vittoria di Antetokounmpo contro gli Charlotte Hornets, al posto di Giannis è stato taggato per errore Gianni. L’effetto è straordinario: “Il futuro della Lega. Gianni Alemanno vince questa battaglia”, sotto la foto del fenomeno nigeriano. Antetokounmpo probabilmente non saprà mai di questa perla quasi distopica, Alemanno invece ci ha riso su: “Grazie per la qualificazione…”, ha commentato, “ma io preferisco l’alpinismo e le arti marziali”. Chissà che ha capito.

Non solo Juve: mezza Serie A rischia il default

I casi eclatanti sotto la lente della Procura sono quelli dove gli scambi incrociati tra due società permettevano ad entrambe di far figurare a bilancio plusvalenze, senza però che ci fossero passaggi di denaro. Il caso clamoroso, racconta Report, è quello tra Juve e Genoa del gennaio scorso, con Nicolò Rovella passato dal Genoa alla squadra degli Agnelli per la cifra monstre di 18 milioni, mentre nella stessa data la Juve cedeva al Genoa, Manolo Portanova ed Elia Petrelli per 10 e 8 milioni. Guarda caso cifre che combaciano e che hanno permesso alle due squadre di segnare plusvalenze a bilancio senza che ci fosse nessuna entrata di denaro per entrambe. Poi gli scambi incrociati con il Lugano (Monzialo per Lungoyi) e con il Marsiglia (Tongya per Marley), tutti a saldo zero.

Non solo la Juve. Report allarga lo sguardo all’intero sistema, mostrando quanto le plusvalenze reali e fittizie drogassero i conti dei club. L’inchiesta ha spulciato i bilanci del 2019, quindi pre Covid, dimostrando che il Genoa nel 2019 aveva iscritte plusvalenze per 79 milioni pari al 51% di tutti i ricavi. La Sampdoria aveva un rapporto plus/ricavi del 44%. Per la stessa Juve i guadagni da cessioni erano il 25% di tutti i ricavi. La Roma di Pallotta vantava plusvalenze per 132 milioni su 364 milioni di ricavi. Napoli e Atalanta con un peso di plusvalenze del 27 e 20%. Sull’intero sistema i ricavi da plusvalenze sono raddoppiati negli ultimi 5 anni da 381 milioni a 753 milioni, il 20% sui fatturati.

A cosa serviva dopare le entrate? A fronteggiare l’impennata di costi di cartellini e stipendi dei calciatori. Senza maquillage le perdite, che per l’intera azienda calcio sono state di 1,6 miliardi in 4 anni, sarebbero salite molto di più, bruciando i patrimoni con molte società non più in grado di iscriversi al campionato. È qui il tema chiave, noto da anni ma ignorato da sempre. La prova è in una lettera di giugno inviata dalla Covisoc alla Figc, che critica le deroghe alle licenze 2021/2022 per l’ammissione ai campionati e allerta sull’esigenza “di selettività nei criteri di ammissione” e di porre attenzione alle misure di favore indotte dalla pandemia come “la sterilizzazione delle perdite, la sospensione degli obblighi di ricapitalizzazione, e la sospensione degli obblighi di pagamento dei debiti fiscali e contributivi”. Il richiamo avverte che le regole per l’iscrizione ai campionati 2021/2022 “possono tradursi in un’eccessiva mitigazione dei requisiti di capitale e liquidità” per cui anche società già chiaramente fragili potrebbero conseguire la licenza con il rischio di default di club a campionato in corso. Segno che per Covisoc le regole anziché essere ammorbidite, dovrebbero essere ancora più rigide, pur in pandemia. E invece per tutta risposta la Federcalcio a settembre ha rassicurato i club sul fatto che non applicherà sanzioni.

Un liberi tutti, in una situazione in cui come Report spiegherà le società sono già in grave ritardo sugli obblighi fiscali e sugli stipendi arretrati. Un documento riservato di fine agosto 2021 mostra che su 20 club si serie A ben 10 erano in ritardo di 2 mesi nel pagamento degli stipendi; e ben 11 su 20 erano in ritardo di 3 mesi sul versamento delle ritenute Irpef.

Conte, squadra 5S pronta e tentazione di candidarsi

Giuseppe Conte sta pensando seriamente ad accettare la candidatura al seggio Roma 1 (quello lasciato libero da Roberto Gualtieri) per un posto da deputato. Di correre per entrare in Parlamento glielo stanno chiedendo un po’ tutti, dai big del Movimento a quelli del Pd. La decisione non è ancora presa, ma potrebbe arrivare nei prossimi giorni, se non nelle prossime ore.

Il tempo stringe: si vota il 16 e 17 gennaio, le candidature vanno presentate un mese prima. E per farlo, bisogna raccogliere le firme. Conte, fino ad ora, aveva sempre detto no alle proposte di candidarsi a un seggio per le suppletive: a Siena, dove poi è stato eletto Enrico Letta, e a Primavalle, dove è stato eletto Andrea Casu.

Aveva promesso un tour per l’Italia in autunno e non gli sembrava il caso di farlo appena eletto, non potendo garantire una presenza costante. E poi, in assoluto, preferirebbe entrare in Parlamento per una legislatura intera. Ma la fase è importante e la situazione dei Cinque Stelle complicata. L’ex premier potrebbe arrivare alla Camera in tempo per partecipare a un appuntamento cruciale come l’elezione del Presidente della Repubblica, rinsaldando e galvanizzando con la sua presenza il gruppo dei Cinque Stelle a Montecitorio, che è piuttosto allo sbando.

A costruire l’operazione insieme con lui è stato il segretario del Pd, Enrico Letta. Per il suo progetto di alleanza strutturale con M5s, la presenza di Conte in Parlamento sarebbe importante. Stanno lavorando per questo soprattutto Nicola Zingaretti, Roberto Gualtieri e Goffredo Bettini. Per il segretario del Pd è anche l’occasione di mettere un argine al Pd romano, che stava cercando di imporre un uomo suo (si è parlato di Enrico Gasbarra, in campo c’era però anche Cecilia D’Elia). In chiave interna preoccupa anche il potere crescente di Claudio Mancini (vicinissimo al neo sindaco di Roma).

Portare Conte a Montecitorio viene considerato un colpo importante anche da Dario Franceschini. C’è chi vede la sua presenza attiva anche in questa partita come un ulteriore tentativo di soddisfare la sua ambizione per il Quirinale. “È incredibile il livello di sottomissione del Pd al Movimento Cinquestelle. Incredibile. Non esiste alcun Ulivo 2.0 ma semplicemente un patto di potere tra due classi dirigenti prive di coraggio, spinta ideale e coerenza. Contrasteremo questa scelta”, tuona invece su Twitter Carlo Calenda, leader di Azione, che pensa alla candidatura dell’ex sindacalista Marco Bentivogli (non stimato affatto da Letta), ma anche alla propria. Non a caso i dem sanno che la mobilitazione dovrà essere capillare e importante, anche per neutralizzare le manovre interne dei filorenziani di “Base riformista”.

Intanto, ieri sera i Cinque Stelle hanno lanciato il voto sulla piattaforma per i coordinatori, che si terrà alla fine della settimana, fra giovedì e venerdì. Dovrebbero entrare con ruoli di vertice Alfonso Bonafede, Chiara Appendino, Fabio Massimo Castaldo. Gianluca Perilli. Anche questo un modo per Conte per completare la squadra strutturandola e organizzandola sui territori.

Il “rigorista” Fedriga vuole già un rinvio dei controlli sui bus

Massimiliano Fedriga è il leghista “ragionevole”. Di fronte al Covid-19 che cominciava a far male nella sua Regione, al confine con Austria e Slovenia già in crisi e segnata da una forte presenza no vax, ha chiesto al governo misure restrittive, sia pure limitate ai non vaccinati. Mettendosi contro Matteo Salvini, che non vuole lasciare la bandiera anti-vaccini a Giorgia Meloni e si opponeva a qualsiasi provvedimento. E così il presidente del Friuli-Venezia Giulia, che guida anche la Conferenza delle Regioni, è stato più volte lodato da Mario Draghi e dai ministri Mariastella Gelmini e Roberto Speranza nella conferenza stampa del 24 novembre in cui hanno annunciato il super green pass e l’estensione del green pass base o normale, da oggi in vigore. Quasi un “rigorista”, Fedriga. E però, alla vigilia dell’applicazione delle nuove regole approvate quasi su sua richiesta, Fedriga ha proposto di applicarle un po’ meno. O di applicarle tra un mese. Almeno sugli autobus, almeno ai ragazzi non vaccinati che hanno diritto di andare a scuola. Anche altri presidenti di Regione avevano sollevato il problema.

 

Trasporti Gelmini apre i prefetti stringono

“Avremo questa settimana – ha detto ieri – la questione del green pass per il Trasporto pubblico locale. Ho avuto modo di confrontarmi con il governo nelle scorse ore e abbiamo fatto presente che, dal mio punto di vista e di molti governatori, bisogna prendersi una parentesi per fare sì che un ragazzino di 13 anni possa fare il vaccino”. Un mese, appunto. E ha ricordato i piccoli paesi della sua Regione, da sette giorni in zona gialla (per quel poco che vuol dire) come da oggi tocca anche a Bolzano, dove “non è facilissimo fare un tampone”. Preferirebbe “un accompagnamento” o magari “la Ffp2 in alternativa”.

Il governo gli è subito corso incontro, almeno a parole, con la ministra degli Affari regionali, Gelmini: “Fedriga ha chiesto un mese di tempo. Il dialogo con le Regione è sempre aperto e fattivo. Valuteremo anche questa richiesta. Ma è importante che siano sicuri anche i mezzi di trasporto”, ha detto Gelmini a Sky. Cercheranno una soluzione. Vedremo. Forse basterà chiudere un occhio. Peraltro la legge prevede solo controlli “a campione”, come sui posti di lavoro. Ma la multa può arrivare a mille euro.

Lo sapevano tutti che le verifiche del green pass su metropolitane, tram e autobus urbani ed extraurbani sarebbero state un problema. Come si ricorderà, quasi nessuna azienda di trasporto pubblico locale è mai riuscita a far rispettare i limiti di capienza. Ora però Draghi esige controlli, ha anche strigliato la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese che faceva notare come le forze dell’ordine abbiano altro da fare con organici già ridotti all’osso. Ma tant’è.

Secondo le disposizioni del Viminale bisognerà evitare “assembramenti” alle fermate: sarebbero il sistema migliore per alimentare i contagi. I controlli sui mezzi pubblici spetteranno al personale delle aziende di trasporto, coadiuvati ove possibile da polizia e carabinieri. La Prefettura di Milano annuncia squadre interforze, quella di Roma concentrerà i controlli all’uscita. Le polizie locali e la Guardia di finanza, invece, si occuperanno di ristoranti e bar, per i quali da oggi c’è obbligo di super green pass (solo vaccinati e guariti) almeno per sedersi al chiuso. Vale anche per cinema, teatri e stadi.

 

Alberghi basterà il tampone anche per ristoranti e bar

Il green pass (normale) era già obbligatorio per i treni a lunga percorrenza e gli aerei, da oggi sarà necessario anche sui treni regionali. E per accedere agli spogliatoi dei centri sportivi, alle piscine e alle palestre (almeno nelle zone bianche e gialle, ma non in quelle arancioni, per ora eventuali). Servirà il green pass (normale) anche per gli alberghi. Basterà dunque un tampone negativo per prenotare. E poi i clienti potranno fare tutto: anche mangiare al ristorante. Contenti gli albergatori, contento il ministro del Turismo leghista Massimo Garavaglia, contentissimi i no vax che hanno i mezzi per passare Natale e Capodanno in albergo. Senza troppi controlli, scommettiamo?

Franco, Lamorgese, Bianchi&C. Super Mario litiga con i Migliori

Non è piaciuta a Mario Draghi la gestione della manovra con i sindacati del ministro dell’Economia, Daniele Franco. Non li ha convocati prima, ha fatto vedere solo delle slide, esacerbando il conflitto. Il rapporto tra il premier e il ministro a lui tanto vicino da essere considerato una sua emanazione resta inossidabile. Anche perché la sua eventuale successione al premier, nel caso si trasferisse al Quirinale, resta un’opzione. Ma la questione la dice lunga sullo stato di salute dei “Migliori”. La situazione nella maggioranza si fa più sfilacciata man mano che ci si avvicina all’elezione del Presidente. La candidatura – mai esplicitata, ma mai neanche negata – del premier è ulteriore elemento di tensione. E poi c’è una certezza: sia che Draghi salga al Colle, sia che ci vada qualcun altro (compresa l’ipotesi che resti Sergio Mattarella), ci sarà un momento di reset. Nei fatti sia dal punto di vista istituzionale, che da quello dei rapporti. Solo in questa settimana, Draghi ha litigato con Roberto Speranza (Salute) e Patrizio Bianchi (Scuola). I loro dicasteri avevano emanato una circolare che stabiliva la Dad anche anche con un solo positivo in classe, senza neanche dirglielo. Il premier ha imposto immediato dietrofront. Dopo una serie di alti e bassi (dovuti al rigore del ministro, ritenuto eccessivo), i rapporti di Draghi con Speranza sono ora abbastanza buoni. Meno con la struttura della Salute, infatti Draghi ascolta solo il professor Franco Locatelli. Bianchi è riuscito a far partire tutti i bandi del Miur, ma che comunque viene visto come uno da monitorare.

Per stare ai casi eclatanti, c’è quello della ministra leghista alla Disabilità, Erika Stefani, che il 18 novembre è uscita da un Cdm in corso per andare in Senato a votare contro il suo governo. Draghi non ha fatto trapelare nulla pubblicamente, ma la cosa non gli è andata giù. Qualche perplessità sulla gestione del Pnnr la crea anche il ministro delle Infrastrutture, Enrico Giovannini. Se è per Luciana Lamorgese (Interno), i motivi di dissidio non si contano. Dalla gestione dei disordini in piazza nella manifestazione del 9 ottobre, per arrivare ai mancati controlli del Green pass. Draghi durante il Cdm del 24 novembre, ha zittito più volte la titolare del Viminale, che faceva presente la mancanza di risorse. In generale, viene considerata troppo poco attiva sulla pandemia. Pessimi anche i rapporti con il dem Dario Franceschini (Cultura), che ha affrontato il premier a muso duro più volte: prima per salvare il bonus facciate, poi in difesa dell’App 18 (il bonus di 500 euro introdotto dal governo Renzi per i ragazzi che diventano maggiorenni). Sullo sfondo si stagliano anche le ambizioni del dem per il Quirinale, destinate a rimanere frustrate. Cosa che però non gli impedisce di lavorare attivamente contro la candidatura dell’ex Bce. Ad affrontare il premier frontalmente per il M5s fu Stefano Patuanelli (Agricoltura) che protestò contro la sostituzione di Domenico Arcuri con il generale Figliuolo. È sempre lui a evidenziare che spesso i ministri non vedono i testi.

Con il dem Andrea Orlando (Lavoro), dopo un esordio difficile (era arrivato a mettere sul tavolo le sue dimissioni per difendere il blocco dei licenziamenti), le cose vanno meglio. Vanno un po’ peggio con Giancarlo Giorgetti (Mise), il più vicino al premier tra i politici. E non perché i rapporti tra i due si siano guastati, ma perché è diventato sempre più chiaro che non basta lui a garantire l’appoggio della Lega. Marta Cartabia merita un approfondimento a sé: in occasione della riforma della Giustizia, il premier dovette scendere in campo con forza, soprattutto per mediare con Giuseppe Conte. L’ approccio della Guardasigilli, in quelle settimane, veniva valutato un po’ eccessivo. Ma nei mesi ha riguadagnato punti: Draghi ha apprezzato anche il suo recente viaggio a Washington e New York. D’altra parte, anche lei è nome ricorrente come eventuale successore a Palazzo Chigi. Il cerchio si chiude: se il Colle per il premier è anche occasione per chiudere una situazione logorata, non è neanche il caso di inimicarsi chi potrebbe sostituirlo.

Ma mi faccia

Il cavalier Trevi. “NO a chi vuole rubarci il Quirinale. Petizione di Libero. Il Fatto lancia la campagna per fermare la candidatura di Berlusconi al Colle. Ma il centrodestra ha diritto di stare in corsa con chi gli pare. Firma anche tu” (Alessandro Sallusti, Libero, 2.12). Povero zio Tibia, è convinto che il Quirinale sia suo e qualcuno glielo voglia rubare. Ora venderà pure la fontana di Trevi a Decio Cavallo, alias Caciocavallo.

Draghi da tiro. “Muro di centrodestra e renziani. E il premier che tira diritto questa volta deve mediare” (Repubblica, 4.12). Noi tireremo storto!

Lingua per la vittoria. “Francesco, figlio di Matteo, segna un gol da cineteca, in rovesciata: ‘Dedicato alla mamma’. Renzi junior come Pelé, in ‘Fuga per la Vittoria’” (Giuseppe Pastore, Foglio, Twitter, 29.11). Un posto nella Nazionale Saudita non glielo leva nessuno.

Sambuca forever. “Un sistema di sicurezza collettiva- basato sul Green Pass – che gran parte dei Paesi europei ci invidia e non pochi stanno tentando di imitare” (Maurizio Molinari, Repubblica, 28.11). Infatti non ce l’ha alcun Paese del mondo. Tentano tutti di imitarci, ma nessuno ci riesce.

Un senso non ce l’ha. “Gli unici per cui non ha senso il vaccino sono i bambini sotto i dodici anni. Dica questo in parlamento, perché è la verità” (Roberto Burioni al leghista Claudio Borghi, Twitter, 29.8). “Aifa approva vaccino Covid19 per bimbi 5-11 anni. Evviva!” (Burioni, Twitter, 1.12). Wow, hanno approvato un vaccino che non ha senso, evvai!

Peggio la toppa del buco. “Il 29 agosto il vaccino per i bambini sotto i 12 anni non c’era. Per questo non aveva senso” (Burioni, 2.12). Quindi lui definirebbe senza senso dei vaccini anti-cancro o anti-Aids solo perchè oggi non ci sono?

La strada. “Draghi, rebus futuro: ‘Cerco la mia strada’” (Messaggero, 24.11). Noi l’avevamo detto: guai ad abbandonarlo in autostrada.

Il culone inchiavabile. “Dopo la Merkel c’è il Cav. La spettacolare centralità del Cav. Illumina i limiti della destra europea e allontana il dopo Mattarella dalle mani di Salvini e Meloni” (rag. Claudio Cerasa, Foglio, 4.12). Ma non è che poi Draghi si offende?

Ucci ucci. “Berlusconi al Quirinale? È legittimato a candidarsi,ma mi sembra un filino di parte” (Andrea Marcucci, senatore Pd, Un giorno da pecora, Rai Radio1, 2.12). Ce l’avevamo lì sulla punta della lingua, poi Marcucci ce l’ha strappato di bocca: il guaio di B. è che è un filino di parte.

Voce del verbo violare. “Berlusconi è candidabile: chi ha più di 50 anni può farsi avanti” (Luciano Violante, ex deputato Pci, Pds-Ds, Giornale, 2.12). Per ora di anni ne ha solo 4 per frode fiscale, ma non poniamo limiti alla Provvidenza.

Truppe mastellate. “Il mio partito ‘Noi di Centro’ è un centro più popolare, quello di Carlo Calenda è tolemaico perché basato su di sé; quello di Matteo Renzi è più di sinistra, mentre con quello di Toti e Brugnaro ci guardiamo con simpatia. domani alla costituente ci sarà Ettore Rosato e poi ci sarà anche Gaetano Quagliariello” (Clemente Mastella, sindaco di Benevento, Un giorno da pecora, Rai Radio1, 3.12). Sono soddisfazioni.

Tela cerata. “La tela di Renzi e Toti in vista del Colle. L’idea di una federazione per giocare un ruolo” (Corriere della sera, 3.12). Poro Toto, nonostante tutto non lo meritava.
Mo’ me lo segno. “Basta processi mediatici” (Marta Cartabia, ministra della Giustizia, Foglio, 3.12). Se no?

Presunti innocenti/1. “Presunzione d’innocenza. Appena cominciata la riforma è già finita… La Procura di Bergamo vuole i colpevoli della pandemia e quella di Torino indaga sui bianconeri” (Dubbio, 30.11). Incredibile: le Procure fanno ancora indagini e i giornali ancora le raccontano. Onde evitare le due spiacevoli reazioni avverse, abolire i giornali non basta: bisogna abrogare le Procure.

Presunti innocenti/2. “’Silvia inattendibile’. Grillo punta a screditare la vittima della violenza” (Repubblica, 28.11). Pretende addirittura di difendersi, mentre Repubblica ha già sentenziato che c’è stata violenza: a questo punto, aboliamo anche i Tribunali.

Tutta colpa sua. “Da geologo a sindaco di Torino. E ho iniziato a fare politica grazie a un prete” (Stefano Lo Russo, Pd, sindaco di Torino, Sette-Corriere della sera, 26.11). Ora il sant’uomo, per comprensibili ragioni, ha chiesto l’anonimato.

I titoli della settimana/1. “Parigi-Roma-Berlino: nasce il ‘Triangolo’ nuova guida della Ue” (Repubblica, 1.12). Manca poco e torna pure l’asse Roma-Berlino-Tokyo.

I titoli della settimana/2. “Il Natale batte la sinistra. Meloni: ‘Visto? Serve più destra’” (Libero, 1.12). “Vittoria, l’Europa torna cristiana” (Giornale, 1.12). “Se la sinistra abbandona il Natale alla destra” (Francesco Merlo, Repubblica, 1.12). Posto che i titoli sono praticamente identici, scelga il candidato quale dei tre è il più stupido.

I titoli della settimana/3. “La chitarra di Gualtieri non suona in Campidoglio” (Messaggero, 2.12). Oh, che dolore, e adesso come facciamo?

‘Lehman Trilogy’ diventa serie tv, mentre Accorsi studia psicologia

La Fandango di Domenico Procacci realizzerà una serie televisiva da The Lehman Trilogy, l’opera teatrale di Stefano Massini incentrata su 160 anni di storia di una potente famiglia americana, di un Paese e dei cambiamenti sociali ed economici, allestita con grande successo nel 2015 da Luca Ronconi e in seguito da Sam Mendes prima nel West End e poi a Broadway.

La Fandango produrrà inoltre in primavera insieme a Rai Cinema Il punto di rugiada, il nuovo film di Marco Risi, scritto dal regista con Riccardo De Torrebruna e Francesco Frangipane, ambientato in una piccola e ricca località del Nord Italia. Racconterà l’incontro tra due generazioni opposte, una di anziani e una di giovani, e in particolare quello di un ragazzo con un vecchietto all’interno di un ospizio.

Si sono concluse a Roma le riprese diIpersonnia, un thriller con Stefano Accorsi, diretto dall’esordiente Alberto Mascia, autore anche della sceneggiatura con Enrico Saccà. Interpretato da Caterina Shulha, Astrid Meloni, Andrea Germani, Paolo Pierobon e Sandra Ceccarelli, e prodotto da Ascent Film e Nightswim, è ambientato in Italia in un futuro prossimo in cui le vecchie carceri, sporche, congestionate e piene di violenze e soprusi sono solo un ricordo: i detenuti scontano la pena in uno stato di sonno profondo che li rende inoffensivi e che ha drasticamente ridotto il tasso di recidiva criminale. L’ipersonno si rivela un sistema efficiente, economico e affidabile fino al giorno in cui David Damiani (Stefano Accorsi), uno psicologo incaricato di monitorare lo stato psichico dei carcerati, si trova di fronte a un detenuto di cui sono andati persi tutti i dati. L’imprevisto innescherà una catena di eventi e costringerà lo stesso David a confrontarsi con i fantasmi del proprio passato.

“Il maestro Corbucci girava western contro i fascisti”

Dopo aver fatto Bastardi senza gloria, avevo in mente di scrivere un libro su Sergio Corbucci. Volevo chiamarlo L’altro Sergio, o qualcosa del genere. E proprio nel riguardare i suoi film e analizzarli, iniziai a elaborare la mia teoria secondo cui tutto nei suoi film western riguardava il fascismo: era quello l’aspetto sub-testuale dei suoi film. Così cominciai a smontare gli archetipi, a vedere come ricorrevano da un film all’altro.

Una delle cose che penso sia fondamentale nella comprensione del suo lavoro, è l’idea che Corbucci da bambino sia cresciuto in un’Italia dominata dai fascisti, quella della seconda guerra mondiale. Suo padre era un fascista in uniforme, ma a suo padre non piacevano i fascisti, a quanto pare: quando rientrava a casa, si toglieva l’uniforme e la buttava in un angolo. Non solo: quando Sergio era un ragazzino faceva parte di uno dei cori della gioventù fascista. E addirittura ci fu una occasione in cui incontrò Hitler, in visita a Roma per incontrare Mussolini. E così, quando Hitler arrivò, trovò ad accoglierlo un coro di ragazzini fascisti che cantava per lui. E Corbucci si ritrovò seduto nel coro a un metro e mezzo da Hitler e Mussolini, che si abbracciavano. E Hitler avrà anche detto: “Oh, i ragazzi stanno facendo un ottimo lavoro, una bella accoglienza. La crema della gioventù italiana”.

Credo che una volta che Sergio Corbucci ha iniziato a fare i western per cui lo conosciamo avesse un tema: penso che tutti i suoi western fossero il suo trattato sul fascismo, che conosceva da tutta la vita. Penso che quei film fossero tutti una risposta a quel vissuto…

Sergio Leone ha realizzato la più grande trilogia della storia del cinema, con la Trilogia del dollaro. Ogni film è un’epopea più grande del precedente. Ognuno rappresenta una dichiarazione più grande sul genere western. Ognuno rappresenta una dichiarazione più grande su di lui come artista, su chi è e su cosa vuole fare. Ognuno rappresenta una ricostruzione più grande del western visto dai suoi occhi. Sergio Corbucci è diverso: decise di non fare una cosa del genere. Una volta che ha iniziato a fare Spaghetti Western, non ha cercato di essere epico, ha cercato di fare i più violenti film di cowboy. Voleva mantenersi sul genere. Non sono epici. Sono film di cowboy. È cinema della vendetta. Questo regista ha creato il west più violento possibile, e questo finisce per dargli una qualità operistica. Il cattivo è il personaggio più importante di tutto il film. Il cattivo porta avanti lo spettacolo, racconta la storia, definisce il paesaggio. Tutto ciò che Corbucci vuole dire sul fascismo lo dice attraverso i suoi cattivi, che sono sempre controfigure di cattivi del XX secolo, sono sempre una metafora di un membro del Partito nazionalsocialista, o delle camicie nere, o di bande di assassini alla Manson, o di un corpo di guardia fascista… Ma anche di Giulio Cesare, di Caligola…

Ciò che Corbucci fa nei suoi film, diverso da qualsiasi altro dei registi western, è il dare ai suoi eroi un carattere da fumetto, quando si tratta delle loro abilità. Sono più veloci di quanto potresti essere nella vita reale, hanno qualcosa che dà loro poteri quasi da supereroi. Tuttavia, a un certo punto, toglie loro il “superpotere” e li fa affrontare con il cattivo: è solo affrontando il cattivo senza i loro superpoteri che possono affermare di essere un eroe. È solo alla fine, quando affrontano effettivamente queste controfigure del fascismo, senza i loro superpoteri in tasca, senza il loro asso nella manica, negli ultimi cinque minuti, è il momento in cui possono definirsi eroi…

Così come Corbucci odia i fascisti, odia ancora di più le comunità. Intendo le comunità rappresentate da ognuna delle “sue” città: le persone che vivono in queste città sono orribili rappresentanti della società… In sostanza nei film di Corbucci la società è un pozzo nero, una fogna, e tutte queste persone in queste città meritano tutto ciò che poi accade. Ce n’è una per tutti loro… Tra tutti i grandi registi western, Corbucci ha creato il West più spietato che ci fosse. Il più spietato, il più pessimista, il più surrealisticamente grottesco, il più violento. A nessuno è garantito di farla franca in un film di Corbucci, l’eroe alla fine potrebbe morire facilmente come chiunque altro. Nessun personaggio ha la certezza di cavarsela. Anzi, addirittura la loro innocenza stessa potrebbe condannarli…

Certo c’era un aspetto da regista commerciale in Corbucci, ed è una delle cose che ammiro. C’è però una parte di me che vorrebbe che fosse stato un po’ più artista, come era stato Leone. Ma non c’è niente di male nell’etichetta: “Secondo miglior regista di Spaghetti Western dopo Leone”.

 

“Vado da solo al ristorante per rubare frasi agli altri. E temo il successo effimero”

La prima vignetta se l’è portata via il vento. “Ho sempre amato giocare con le parole; un giorno la professoressa di Chimica del liceo domanda alla classe: ‘Conoscete qualche tipo di etere?’. Immediatamente mi alzo davanti al banco e rispondo: ‘Sì, Etere Parisi’. Tutti iniziano a ridere, meno la professoressa che decide di assegnarmi un due sul registro; solo un amico si ribella: ‘Ma je metta un più, se lo merita’”.

Federico Palmaroli ormai di secondo nome (“spesso anche di primo”) fa “Osho”, il santone indiano al quale sono state affibbiate le frasi più stravaganti, estemporanee e improbabili, tanto da creare un caso diplomatico con la comunità di fedeli (“ho dovuto smetterla, non posto più sue immagini”). Lui è un’evoluzione inversa del fenomeno social: non è un ragazzino, ha 48 anni, ama apparire ma evita l’ossessione; è consapevole di quanto l’immediato dei like possa tramutarsi in effimero (“Infatti continuo a lavorare, pure per mantenere il giusto contatto con la realtà”); e, soprattutto, ha capito che il miglior fornitore di battute è la socialità oltre la tastiera (“Da ragazzino la mia fonte era l’ascolto in autobus, ora pure il ristorante: vado da solo, mi siedo e mi concentro sugli altri”).

Come cambia l’approccio con le vignette dal cazzeggio al lavoro.

Prima era solo uno scherzo, ora c’è la necessità di soddisfare un’aspettativa; alla fine uno si innamora pure dei numeri raggiunti con i like, poi viene pagato, ed è normale che la creatività un po’ ne risenta; tutti gli artisti creano meglio quando c’è maggiore libertà.

Si sente un artista?

(Si ferma, sorride, si imbarazza, quasi balbetta. Poi prende coraggio) Sì, perché sotto il termine arte ci sono varie declinazioni, compresa quella povera o quella più evoluta.

Primi segnali d’artista.

Quando alcuni personaggi di spessore come Marco Travaglio o Enrico Mentana mi hanno fatto i loro complimenti; secondo Mentana i miei lavori sono degli editoriali giornalistici in forma ironica.

Insomma, era più semplice prima.

Bastava associare a Osho una frase istintiva, una frase comune, una di quelle che normalmente esprimiamo ma sulla quale nessuno pone il giusto accento, e il gioco era servito. E poi non toccavo l’attualità.

Tutto come è iniziato?

Ho letto che Carlo Verdone ha preso anche ispirazione dalle chiacchiere al bar; ecco, il mio bar per tanti anni è stato l’autobus.

Cioè?

A un certo punto del liceo i miei hanno cambiato casa e quartiere, così per mantenere la stessa scuola ogni giorno passavo due ore sul bus: lì in mezzo agli altri ho confezionato il mio bagaglio di frasi; (sorride) ogni dialogo era mio, orecchiavo tutto, tanto da essere uno dei pochi ragazzi a non utilizzare i vecchi walkman.

Si annotava le frasi?

Questo no; (ci pensa) in realtà da piccolo scrivevo i dialoghi tra i miei genitori, o tra i miei genitori e gli amici, anche quando stavano al telefono; pure oggi ascolto sempre gli altri, pure al ristorante sono pericolosissimo.

Origlia.

Cerco sempre le frasi stereotipate, per questo spesso pranzo da solo, così posso concentrarmi meglio, come un periscopio (Federico Palmaroli lavora non lontano dalla sede del “Fatto” e chi scrive lo ha incrociato al ristorante di frequente. Da solo).

Essere un personaggio pubblico è deleterio per poter ascoltare in tranquillità.

Non mi riconosce quasi nessuno: non vado di frequente in televisione, giusto in questo periodo per presentare il libro.

Si è definito un “buffone distinto”.

Primo, non amo la volgarità gratuita, alcune parolacce le utilizzo solo perché sono parte dello slang romanesco; secondo, nonostante il successo, ho mantenuto una sorta di distacco aristocratico con la realtà, anzi a volte guardo con occhi critico chi mi incensa.

Nello specifico cosa pensa?

La critica parte da me stesso e mi prendo pure per il culo quando vado in televisione: se mi sentissi una primadonna sarebbe un casino.

La prima vignetta come è nata?

Era un pomeriggio in cui non avevo nulla da fare e soprattutto stavo vivendo una delle mie tante sofferenze d’amore…

È un sofferente?

(Sorride) Lasciamo stare, sono un caso perso; (pausa) nei momenti di difficoltà affettiva la mia produzione migliora di netto: più sto male e più vado bene, un po’ come i cantanti che poi incidono dischi stracciapalle.

Insomma, quel pomeriggio.

Trovo su Facebook una pagina sulle più belle frasi di Osho, con immagini e concetti seri, e improvvisamente decido di creare la loro parodia: “Ti sei preso la mia anima ma il culo non te l’ho dato”; poi opero un salto di qualità, prendo una foto di Osho mentre guarda una piantina e aggiungo: “I pomodori non sanno più di niente”. Da lì è iniziato tutto.

Successo immediato.

In breve le immagini hanno scavallato la cerchie delle mie amicizie e ogni dieci minuti avevo 5.000 follower in più; non riuscivo a stargli dietro.

Da famoso che mondo ha scoperto?

Non sono ancora in quella dimensione.

Avrà cambiato giro di frequentazioni.

In parte, ma nel frattempo mi sono ancora più legato alle persone che nella mia vita ci sono sempre state: ho paura dell’effimero, temo il turbinio che è frutto del momento, perché magari tra due anni non mi filerà più nessuno.

Lo ha messo in conto.

Certo e mi sto preparando come se dovesse avvenire domani; se si materializza nella propria testa una tale eventualità ci si lega maggiormente alle certezze affettive; (pausa) penso ai vecchi concorrenti del Grande Fratello: due mesi di popolarità e poi l’oblio associato a percorsi personali molto difficili.

Ha l’ansia di deludere gli altri?

È un fatto umano accentuato dai riflettori; il successo porta con sé le responsabilità. Quando mi dicono: “Ogni mattina, pure se sono giù, cerco la tua vignetta e mi scappa una risata”; oppure: “Mi hai aiutato in un momento di difficoltà” non è poco. E ci penso.

Non ha risposto sul nuovo mondo che ha scoperto…

Non lo so, lo vivo come se fossi di passaggio, come uno scompartimento del treno da attraversare.

Lei mentalmente è sempre sull’autobus.

Ed è per questo che continuo con il mio vecchio lavoro: non voglio cedere ad aspettative che non verranno soddisfatte. E poi mi aiuta a restare con i piedi per terra in un mondo normale; (pausa) oh, per carità, è tutto bello! Non voglio sembrare uno che si lamenta.

Al contrario qualcuno si è lamentato quando lei ha rivelato il suo background di destra.

C’è gente che appena l’ha scoperto mi ha scritto: “Ora non mi fai più ridere”. (Ci pensa) Zerocalcare è di sinistra, ma la sua serie è un capolavoro, lo dico, quindi non capisco queste distinzioni.

Zerocalcare ha ricambiato il complimento?

Non so cosa pensi di me, però in assoluto, a sinistra, spesso non vedo il medesimo meccanismo; il massimo è stato quando ho dichiarato di aver votato la Raggi al ballottaggio: sono diventato un fascio-grillino.

Lei fuma Marlboro. Per Gaber le Marlboro sono di destra.

(Ride) Sono pure laziale.

Fa la doccia o usa la vasca?

La doccia.

Sempre destra.

Ma la vasca a casa me manca!

Minestrina o minestrone?

Minestrone.

Questo è di sinistra.

Ma io non sono da pellegrinaggio a Predappio.

I suoi poster in camera da ragazzo.

I Pink Floyd e Goldrake; anzi di Goldrake ho ancora l’astronave.

A 15 anni chi avrebbe voluto conoscere?

Allora ero fissato con la storia e lo stilnovismo tipo Cecco Angiolieri.

Tra i politici chi sono i suoi fan?

Tanti: Paolo Gentiloni, Filippo Sensi, Alessandro Di Battista, molti 5 Stelle fino a Giorgia Meloni e Matteo Salvini.

Questo successo è una forma di rivincita?

Non riesco a valutarlo, ho la tendenza a sminuire quello che realizzo e qui uno psicologo potrebbe ricavarne molte riflessioni su come mi hanno cresciuto i miei genitori; (sorride, con garbo) pochi anni fa sono stato invitato a Palazzo Chigi da Gentiloni premier e gli amici mi dicevano: “Ma ti rendi conto dove sei arrivato?”.

E lei?

È come quando vado in televisione e mi rivedo: ho la sensazione che sia un altro, vivo un distacco da me stesso.

All’inizio ha parlato di ego.

In realtà ho bisogno di riscontro. Di consenso.

Lei chi è?

Mi considero un giovane artigliere in baldoria (frase mutuata da Filippo Tommaso Marinetti); nel corso della vita ho dovuto affrontare momenti veramente difficili, ho combattuto, e forse li ho superati anche con un po’ di superficialità e di atteggiamento guascone. Grazie proprio alla baldoria.

Le affinità tra Rabelais e Joyce e i banchetti dei nativi Nootka

ELEMENTI DI STILISTICA COMICA

Da qualche settimana stiamo esplorando gli stilemi divertenti che accomunano Rabelais a Joyce, e abbiamo visto che, nella torre di Babele di Finnegans Wake, ogni enunciato trova continuamente nuove espressioni, nuove letture; il testo del sogno, come la Storia, è un incessante palinsesto: in tal modo, il modernista Joyce desacralizza, con le ideologie e i dogmi, anche il concetto romantico di opera “originale”, creata ex nihilo, compiuta e definitiva.

Il linguaggio di FW. In FW la sintassi è quella inglese, ma il lessico inglese è stravolto: Joyce realizza una mimesi del linguaggio onirico (che secondo la coeva interpretazione freudiana è fatto di condensazioni, spostamenti e traduzioni in immagini) poiché FW narra di un sogno, in un universo vichiano dove la Storia si ripete con variazioni, e le tragedie si ripresentano come farsa. Scrive Burgess (1973): “Quella di Joyce è una tecnica palinsestosa, o palincestosa, per accumulare extra-connotazioni. Il trionfo del FW è prosodico: ritmi, jingle e ripetizioni evocano una lingua primitiva, o il chiacchiericcio di sottofondo in un pub affollato… Prima di Joyce, o meglio, prima di Lewis Carroll, un pun era un gioco di parole infantile sugli omofoni e sugli omonimi. Gli autori di burlesque vittoriani ne creavano di sconci,” (come da noi facevano gli autori dell’avanspettacolo) “ma ci fu un tempo in cui il pun era usato a fini seri. L’oracolo di Delfi disse a un generale in partenza per la battaglia il pun ‘Domine, stes’ (‘Signore, stia’) che però suona come ‘Domi ne stes’ (‘Non stia a casa’). Il generale capì questo secondo significato, andò in battaglia e fu ucciso. Bahram il grande cacciatore, scrive Omar Khayyam, era sempre a caccia di gur (asini selvatici), ma un giorno la gur (tomba) ha cacciato lui. E Joyce amava ricordare agli amici che la Chiesa cattolica è fondata su un pun di Cristo.”. (“Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa”, peraltro apocrifo). Il Jabberwocky di Carroll è un’estensione fantastica del pun…Modificare una parola fondendola con un’altra, in modo che i loro significati abbiano la stessa importanza, ne espande le connotazioni. Slithy è al contempo slimy e lithe, gimble è sia gamble che gimlet. Humpty Dumpty le chiama parole-valigia e ne fa l’esegesi. Joyce usa questo tipo di parole.”

Enrico Terrinoni e Fabio Pedone, nella loro traduzione ri-creatrice del terzo e quarto libro di FW (“straduzione”, la chiamano con arguzia: bit.ly/3rkBe1M), hanno giocato il gioco di Joyce: allusioni storiche e letterarie; livelli di lettura molteplici; e metabolismi linguistici a gogò, come Miss Take (mistake, sbaglio + miss, signorina) = Miss Baglio; understrumped (understamped, affrancatura insufficiente + strumpet, prostituta) = postribollo; coglionial expancian (colonial expansion, espansione coloniale) = espancione coglionale; breather (brother, fratello + breath, alito) = fiatello; Ruemember, blither, thou must lie! (Remember, ricordati + rue, pentirsi; brother, fratello + blythe, allegro; lie, giacere, mentire, al posto di die, defungere) = Rimordati, frottolello, che devi defingere!; greets to ghastern (gestern, ieri + ghastly, spettrale) = ayer t’aspettravamo; Padma, brighter and sweetster (Padma, fior di loto, padre e madre; brother + bright, luce splendente; sister, sorella + sweet, dolcezza) = Padma, fratelluce e soaverella; Tickle, tickle (tick, ticchettio + tickle, solletico) = solletictac, solletictac). Joyce definisce “filtraggio e agglutinazione” il procedimento metamorfico con cui crea la sua neo-lingua (Ellmann, 1959). Nel mondo esistono lingue agglutinanti, per esempio quella dei nativi americani Nootka, sull’isola di Vancouver. Una loro frase è una parola unica, composta da varie unità. La frase “Lui invita gente al banchetto”, in Nootka è “tl’imsh-ya-‘is-ita-‘itl-ma”, ovvero “cibo cotto- mangiatori-qualcuno-invita”. Un sistema agglutinante organizza l’esperienza in modo diverso dal nostro: non esprime un evento tramite soggetto e predicato, né come agente-azione-agito, ma come risultato-azione-manifestazione (Whorf, 1956). Il nostro linguaggio, una convenzione cui aderiamo, esprime la nostra sociocultura. Le nozioni newtoniane di spazio, tempo e materia, per esempio, sono già presenti nel nostro linguaggio: Newton le ha trovate lì. Diamo la cosa per scontata, finché la meccanica quantistica ci pone di fronte a una realtà che ci sembra assurda, e ci accorgiamo che le nostre parole non riescono a dire con esattezza cosa accade a livello di particelle e quark. Poiché per gli amerindi un’azione occorre indipendentemente da soggetto e oggetto (come si vede nell’esempio del banchetto), hanno meno difficoltà di noi nel comprendere i paradossi della fisica quantistica (Yee, 2007). Culture e linguaggi meno tecnologici potrebbero aiutare il progresso tecnologico in modi imprevedibili (Whorf, 1956).

Linguaggio, struttura ciclica, satira. Dato che i codici di una sociocultura governano linguaggio e schemi percettivi (Foucault, 1966; cfr. Qc # 67), quello che un linguaggio fa non è universale. Per esempio, gli Hopi possono contare solo nomi concreti (“tre cani”), ma non quelli immaginari (“i prossimi tre giorni”). Per farlo, devono combinare il numero con il singolare: noi diciamo “staremo qua per tre giorni”, loro dicono “ce ne andremo il quarto giorno”. Nei sintagmi relativi a un certo numero immaginario di volte, come “tre giorni”, noi applichiamo il concetto di ciclicità a un giorno e lo moltiplichiamo, oggettivando la quantità ipotetica. Convertiamo il tempo in spazio e possiamo sommarlo o dividerlo in lunghezze diverse (lungo, corto, veloce &c.). Gli Hopi invece non hanno una lingua che gli permetta di oggettivare il tempo, per cui lo esprimono come un dopo rispetto a un evento. Per loro, le cose accadono dopo e dopo, non in cicli, e il tempo invecchia come una persona, quindi forse troverebbero assurdo l’eterno ritorno con variazioni che Vico applica alla Storia, e Joyce a FW.

Rabelais e Joyce sono accomunati, oltre che da alcuni stilemi divertenti e dagli effetti satirici, anche da una circostanza contestuale: entrambi furono accusati di volgarità, e di scrivere “letteratura della latrina”. In FW, Joyce replicò ai bacchettoni col personaggio di Shem lo scrittore, che come inchiostro usa la sua merda diluita col suo piscio. Nel medioevo, tutta la letteratura secolare, anche la poesia migliore, cioè scritta imitando Virgilio, non era considerata che escremento. Shem, “sacerdote dell’immaginazione eterna”, scrivendo l’opera col suo inchiostro indelebile esegue una transustanziazione eucaristica, trasforma la materia corporea in qualcosa di trascendente ed eterno (Boldrini, 2001).

(84. Continua)