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Tra gli italiani, ci sono più confusione e sfiducia

Non bisogna essere virologi o scienziati per prendere atto di alcuni fatti: 1) il paziente zero di omicron, vaccinato con due dosi e munito di Green pass, rischiava di infettare tutta Caserta rimanendo sconosciuto; 2) è evidente che il Green pass sia uno strumento inutile se non associato ad altre misure; 3) il dottor Galli ha chiarito che i vaccini a mRNA si possono creare in breve tempo se si conosce la sequenza delle mutazioni. Domanda: perché non si è creato un vaccino per la variante Delta visto che, come dicono in tv, la perdita di immunità è riferibile proprio alla mutazione Delta? A parte le perplessità, non abbastanza chiarite sulle vaccinazioni ai bambini, e il mancato uso di altri vaccini utilizzati con successo in altre parti del mondo (Cuba, Giappone ecc.), non vi sembra che stanno facendo di tutto per alimentare i dubbi e la sfiducia della gente?

Carlo Szokoll

Sì, purtroppo i migliori amici dei no-vax sono molti di quelli che dicono di combatterli e, con questo caos comunicativo, portano acqua al loro mulino.

M. Trav.

 

Come mai siete contro l’obbligo vaccinale?

Perdonatemi, vi prego di confutare in modo comprensibile questa mia logica: se è difficilissimo controllare tutti i passeggeri nei mezzi di trasporto, come vi sento spesso dire, perché siete contro l’obbligo vaccinale?

Dante

Caro Dante, perché non basta decidere che il vaccino è obbligatorio per assicurarsi che tutti i non vaccinati se lo facciano inoculare. Si potrà al massimo multarli. Ma, anche se pagassero eventualmente le multe (oggi lo Stato riesce a incassare solo il 4% delle ammende), continuerebbero a non vaccinarsi. A meno che non si introduca il Tso, cioè la vaccinazione forzata con l’intervento delle forze dell’ordine. Lei se le immagina le conseguenze, con 7 milioni di non vaccinati?

M. Trav.

 

Le vostre solite volgarità ai danni di Berlusconi

Quando Travaglio attacca gli avversari con la stessa volgare (ahimè, sì) veemenza che usa nei confronti di Berlusconi, mi viene in mente la celeberrima sentenza d’Orazio che, nell’occasione, vi cito, a guisa di monito, per esteso: “Est modus in rebus sunt certi denique fines, quos ultra citraque nequit consistere rectum”. Io la considero una regola aurea da non violare per nessun motivo. Capisco l’intento di correre dietro alla parte più becera dei lettori, ma così facendo si finisce per fomentarli e, nel contempo, disgustando i lettori più temperati, che mi auguro costituiscano la maggioranza. In ogni caso non vorrei vedere Travaglio nel ruolo di arruffapopoli. Per la simpatia che nutro nei suoi confronti, mi duole rivolgere questa aspra reprimenda, ma proprio non riesco a farne a meno.

Giampiero Bonazzi

Quella che lei (in buona compagnia di Violante) chiama volgarità è la sentenza della Cassazione che lo assolve sul caso Ruby, confermando il “collaudato sistema prostitutivo” nelle sue ville. La volgarità è di chi paga le prostitute, non di chi lo racconta chiamando le cose con il loro nome.

M. Trav.

 

Il “peccato” di Conte e i telefonisti delle lobby

“Se non ci fosse stato il virus, Conte starebbe ancora là”. Questa frase l’ho sentita a Controcorrente, da parte del conduttore di Porta a Porta. Sono rimasto sconvolto per il messaggio, anche se non mi è mai importato nulla di quanto ha sempre detto lo scrittore di libelli annuali e di quei politici uguali a lui, quanto piuttosto la risposta che non mi so dare circa il male che il prof. Conte faceva. Se non rispondeva a chi lo chiamava al telefono per perorare i propri interessi, faceva benissimo e spero tanto che possa tornare per far di nuovo tremare quei telefonisti.

Fabio De Bartoli

 

Montezemolo sta ancora leggendo i suoi “paper”?

La lettura dell’inchiesta sui neo-spalloni mi ha fatto tornare in mente che anche il nome di Luca Montezemolo comparve tra i Panama Papers dello studio Fonseca, e che lo stesso rispose che, prima commentare l’accaduto, avrebbe dovuto leggere alcune carte. Ricordo male, o la lettura è ancora in corso?

Francesco Busalacchi

 

Il netto peggioramento della crisi energetica

Nel mondo si accentua la preoccupazione per la crisi energetica, che sta peggiorando, ma in Italia l’argomento è poco trattato, mentre invece ci riguarda tutti i maniera cruciale. Dal costo dell’energia dipende l’intera economia, e se non fronteggiamo questo pericolo, non solo sarà vanificata ogni possibile ripresa, ma rischiamo la stagnazione, o perfino la recessione. Sono consapevole di avere una particolare attenzione per questo problema, ma non ritengo di esagerare. Anzi, non sto drammatizzando eccessivamente la gravità della situazione, piuttosto è il governo che dovrebbe spiegarmi il suo imbarazzante silenzio sulla questione. Non c’è alcun riferimento a questa emergenza, che non viene nemmeno percepita come tale. Tutto ciò mi sembra davvero surreale.

Cristiano Martorella

Dignità: “Io, bidella per disperazione, vittima delle ingiustizie del mercato”

Gentile redazione, lavoro come bidella in una scuola per l’infanzia. Ho accettato questo incarico per disperazione. Non è il lavoro al quale aspiro; non lo è mai stato.

Per esperienza e competenza, aspiro a un lavoro nel quale io possa riconoscermi, e per il quale dare tutta me stessa.

Oltretutto, lavorare come bidella in una scuola per l’infanzia non ti fa neppure vivere i bambini nei loro straordinari aspetti creativi, emotivi e affettivi, e questo rende tutto ancora più triste e demoralizzante. Gli aspetti che ho menzionato li vivono le maestre, mentre le bidelle hanno il solo compito di accompagnare i bambini al bagno, per espletare le loro necessità biologiche. Punto. E poi c’è tutto il lavoro di pulizia di fine giornata, dopo che i bambini hanno lasciato la scuola.

Per una persona come me, che ricerca la poesia e la bellezza in tutto il creato, che crede nella dimensione spirituale delle relazioni umane, che ha una predisposizione naturale verso le parole, che indaga sul senso della vita in tutto ciò che accade, il lavoro che svolgo non ha senso. Non vi è nulla che mi gratifichi in ciò che faccio.

Svolgo il mio dovere, con metodo, con attenzione. Ma sono terribilmente infelice.

Certo che penso a chi non ha un lavoro. Ci penso eccome. Allo stesso tempo penso anche a coloro i quali occupano posizioni professionali che non meriterebbero affatto, eppure stanno seduti davanti a una scrivania e non sanno fare manco la “O” col bicchiere.

Vivo sulla mia pelle tutta l’ingiustizia, l’insipienza, la stoltezza dei meccanismi sociali, che generano queste iniquità.

È tutto profondamente e dolorosamente ingiusto.

Giovanna Galasso

Carlos Tavares o Chico Mendes?

Non sappiamose avesse ragione Chico Mendes, sindacalista/ecologista ucciso nel 1988, a dire che “l’ambientalismo senza lotta di classe è solo giardinaggio”. Certo la frase è bella, rotonda, quindi forse – come tutti gli aforismi secondo Karl Kraus – è una mezza verità e una verità e mezza. Un’incertezza che ci è tornata in mente ieri leggendo su Repubblica dell’intervento di Carlos Tavares al “Reuters Next Conferences”: Tavares, a differenza di Mendes, non è un sindacalista, ma il capo di Stellantis, gruppo automobilistico “partecipato dalla holding Exor che controlla anche Repubblica”, ci ricorda il quotidiano. E che dice Tavares? Dice, in sostanza, che l’industria dell’automobile non può diventare tutta elettrica entro il 2035, pena effetti “oltre misura sui costi delle imprese, producendo tagli”: 500mila posti di lavoro in meno di qui al 2035 in Europa (60mila in Italia) per il passaggio al full electric, non compensati – dice Repubblica – dai 226mila necessari per batterie e motori elettrici. La Ue, sostiene Tavares, impone “un’elettrificazione che comporta costi aggiuntivi del 50% rispetto a un veicolo convenzionale e non c’è modo di trasferire quei costi al consumatore perché la maggior parte della classe media non sarà in grado di pagare”. Quindi, dice, licenzieremo. Ovviamente ai numeri citati da Tavares e dalle imprese del settore se ne potrebbero opporre altri, ma non è questo il punto: l’automotive – che forse avrà più problemi per le nuove abitudini di consumo che per l’elettrificazione – reclama tempi meno rigidi e/o una parte ancora maggiore dei corposi investimenti pubblici dei prossimi anni. Non sia mai che la transizione debbano pagarla un po’ pure gli azionisti o i manager, non sarebbe giusto. Ora, qualunque sia la vostra legittima opinione su questo difficile passaggio storico, resta la domanda su come – nei meglio media del progressismo – si riesca a mettere insieme gli allarmi vagamente apocalittici di Greta Thunberg e dei giovani di mezzo mondo, lodati e benedetti appena sfilano, con le minacce di Tavares di far pagare la crisi che verrà a chi sta già pagando quella che c’è. Continuiamo a non sapere se avesse ragione, ma capito perché ci è venuto in mente Chico Mendes?

Vaccini ai bimbi: ora è meglio di no

Quando è troppo, è troppo! 1 dicembre, via libera dalla Commissione tecnico-scientifica (Cts) all’estensione dell’indicazione di utilizzo di Comirnaty. Con dose ridotta e formulazione specifica. Nella storia dell’Aifa non si ricordano tempi così brevi per un’autorizzazione di vaccini o farmaci. Solo qualche ora per una decisione di cosi importante responsabilità! Da sgomento il documento che viene pubblicato. Dopo aver elencato una serie di fatti assolutamente attaccabili e imprecisi, viene aggiunto che la vaccinazione comporta altri benefici: ad esempio “la possibilità di frequentare la scuola e condurre una vita sociale connotata da elementi ricreativi ed educativi che sono particolarmente importanti per lo sviluppo psichico e della personalità in questa fascia di età” . L’Aifa è un’agenzia sanitaria, non ha alcun diritto di esprimere giudizi sociali. Frequentare la scuola non è una “possibilità” ma un diritto. Veniamo ai risultati sperimentali che avrebbero fatto prendere la quikly decision di una vaccinazione che, pur avendo osservato solo 2000 bambini autorizzano l’affermazione che “i dati disponibili dimostrano un elevato livello di efficacia e non si evidenzino al momento segnali di allerta in termini di sicurezza”. Non sembra essere così. Lo dice persino Pfizer: “Pochi dati sul rischio miocardite nei bimbi”. Perché non attendere? Perché saltare gli studi sulla tollerabilità ed efficacia, per esempio, di dosi diverse? Cosa vuol dire efficacia in una popolazione che, di fatto, non si ammala? Siamo in molti i ricercatori “attendisti”. Che nessuno si permetta di tradurre questa dovuta prudenza e aderenza ai protocolli scientifici in un’avversità al vaccino. Il numero dei casi trattati è statisticamente non significativo e il rischio, seppur basso, di effetti collaterali, lievi o gravi, è maggiore del rischio di ammalarsi. In Italia, nella fascia 5-12 anni si sono avuti, in quasi due anni, 15 decessi (dati Iss). Di questi bambini non si conosce lo stato di salute iniziale che, se fragili, apparterebbero al gruppo che richiederebbe la vaccinazione. È infatti importante fare un distinguo. Fragili di qualsiasi età da vaccinare, gli altri, valutando il rapporto rischio/beneficio.

 

Cinquestelle e Dem, fronte comune nella lotta alla droga

“Sì, le sostanze stupefacenti possono uccidere. Non solo con l’overdose ma con leggi repressive, che nel consumatore vedono il criminale e non la persona fragile e bisognosa di aiuto”

(da Droga – Storie che ci riguardano di don Luigi Ciotti – Edizioni Gruppo Abele, 2020).

Ha un duplice valore, sociale e politico, l’apertura della pentastellata Fabiana Dadone a favore della liberalizzazione della cannabis, sul modello del nuovo governo tedesco formato da socialdemocratici, verdi e liberali. Un valore sociale perché si tratta di una questione che riguarda il disagio esistenziale di tanti ragazzi e ragazze ingiustamente criminalizzati per l’uso delle droghe leggere. Un valore politico perché la sortita della ministra per le Politiche giovanili, da una parte, rafforza l’asse con i “dem” su cui s’impernia il centrosinistra, come conferma la reazione positiva del ministro del Lavoro, Andrea Orlando (Pd); e dall’altra, segna una demarcazione rispetto al centrodestra, come dimostra la reazione contraria della ministra per le Autonomie, Mariastella Gelmini (Forza Italia). E ancor più quella, rozza e grossolana, del leader leghista Matteo Salvini che impugna opportunisticamente la bandiera della vita, quand’è proprio il tabù del proibizionismo a innescare una spirale di dipendenza e di rischio.

La droga, al pari del fumo e dell’alcol, è un malessere della società contemporanea; il segnale di una debolezza psicologica individuale che non dev’essere colpevolizzata, quanto piuttosto assistita e possibilmente risolta. Non a caso gli anti-proibizionisti sostengono da sempre che “la droga non è vietata perché fa male, ma fa male perché è vietata”. Cioè, perché viene consumata generalmente in condizioni di clandestinità, alimentando così il narcotraffico e favorendo gli affari della criminalità organizzata. Lo riconoscono ormai diversi magistrati, a cominciare dal procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero De Raho; poliziotti, medici e operatori sociali, come don Ciotti, presidente di Libera, da cinquant’anni a contatto quotidiano e diretto con questo fenomeno.

Ne è una riprova incontestabile il fatto che le sostanze stupefacenti circolano più o meno liberamente anche all’interno delle carceri, dove lo Stato è in condizione di controllare il cittadino detenuto dalla mattina alla sera, ventiquattr’ore su ventiquattro, 365 giorni all’anno. Se non si riesce a impedire lo spaccio e il consumo di droga dietro le sbarre, a causa dell’alto potere di corruzione che esercita proprio per effetto della proibizione, come si può pensare di riuscirci nelle strade, nelle strade o nei parchi pubblici? Accadrebbe altrettanto se fossero vietate le caramelle o la liquirizia.

Piuttosto che inseguire ipocrite illusioni, meglio affrontare realisticamente la questione nella logica della “riduzione del danno”. Il che vuol dire meno rischi per il singolo consumatore e meno pericoli per la società. Nell’America degli anni Trenta, all’epoca di Al Capone, fu proprio il proibizionismo ad alimentare l’attrattiva dell’alcol accrescendo gli effetti negativi di un uso clandestino e nocivo. E nella campagna contro il fumo, ha funzionato molto meglio la strategia dell’informazione e della dissuasione rispetto a quella della repressione.

Per contenere e contrastare la tossicodipendenza, occorre fare leva sulla consapevolezza e sulla responsabilità individuale; sull’autocoscienza piuttosto che sul divieto e sull’azione di polizia. Questa è una “guerra” che va combattuta con le armi della psicologia, della comunicazione e della persuasione più che con quelle in dotazione alle forze dell’ordine. Non si vince la battaglia contro la droga senza un’operazione ad ampio raggio di recupero, solidarietà e sicurezza sociale.

 

“Gli amigos” del Parmigiano ora smaniano per lo stage (gratis)

Gli addii sono strazianti ma bisogna partire. “Mi stai facendo felice, sai?”, dice la madre a una giovane dagli occhi umidi. I cinque ragazzi salgono su un pulmino. A svelare loro la destinazione è il loro guru, l’attore Stefano Fresi: dovranno fare una gara di cucina, sì, come a Masterchef, ma specialissimo: i piatti avranno un ingrediente comune, il Parmigiano Reggiano, e a decidere i vincitori sarà lo chef Massimo Bottura. In palio, ben sei mesi di stage.

È l’inizio dello spot del Consorzio Parmigiano Reggiano, un cortometraggio dal titolo Gli Amigos firmato da Paolo Genovese, distribuito dalla Rai e mandato in onda in vari frammenti. I giovani sprizzano felicità, in ballo c’è il loro sogno: chi riaprirà la trattoria della nonna, chi si immagina già nei panni di un cinico food influencer. Prima, però, c’è la lezione sui batteri del formaggio, poi la visita agli animali che mangiano fieno “non insilato” (e pazienza se vengono bacchettati perché non sanno cos’è, questo viaggio vuol dire “villetta con giardino e tre figli”), infine l’incontro con il sacro “latte della mattina”, con altra lezioncina sulle proteine liberate dal caglio. Le ragazze sanno tutto, hanno letto Wikipedia, inscenano un balletto per Tik Tok, Fresi li incita citando Luke Skywalker (“La forma sia con te”). E poi c’è l’incontro che ha scatenato mezza rete, quello con Renatino, il casaro, che non parla, ma risponde sì alla domanda se lavora “365” giorni all’anno”. I ragazzi sono ammirati, non ha mai visto Parigi né il mare né sciato. Ma non importa. “Sei felice?”. Annuisce. Passano poche ore e Renatino, ovviamente, è già star della rete, si aprono petizioni per la sua liberazione, mentre sullo spot fioccano, inevitabili, le accuse di schiavismo, esaltazione dello stakanovismo e del lavoratore-oggetto. L’azienda fa sparire i commenti e banna lo scrittore Christian Raimo che ha sollevato la polemica, poi si difende, e lo stesso fa l’attore Fresi, dicendo che si tratta di “finzione”, una licenza poetica insomma. Anche Michele Serra dice che Renatino “è un’iperbole” e che il lavoro “salva la vita, la affina, la valorizza”. Invece la toppa è peggio del buco, e non solo perché il problema resta il messaggio, come forse un pubblicitario dovrebbe sapere, ma perché falsa: il registro di tutto il corto, ammorbante e noioso, è iperrealistico. Sono realistici i genitori che pregano per lo stage, i ragazzi che vogliono essere food influencer, è realistico il posto di lavoro in palio, l’esistere solo in quanto famosi, Wikipedia, Tik Tok: è tutto vero e infatti desolante. E allora perché Renatino no? E infatti questo spot va visto tutto, perché il finale prende una piega quasi surreale: diventa coerentemente un inno alle materie prime, da “ascoltare e rispettare”, tanto che i soggetti, i ragazzi, finiscono per piegarsi agli oggetti, anzi all’oggetto parmigiano. Che infatti li salva, ispirando, come un soffio divino, il ragazzo ansioso bloccato ai fornelli, che crea il piatto vincente: un pezzo di parmigiano.

Costato milioni, Gli Amigos lascia numerose domande. Ma davvero tra chi lo ha pensato, scritto, girato, presentato – centinaia di persone – nessuno si è reso conto che a guardarlo sarebbe stata un’Italia senza salario minimo e con i giovani che lavorano per un pezzo di pane? Bisognava pagare un regista per uno spot infarcito di luoghi comuni, come la ragazza di colore col kebab? E perché uno chef come Bottura si presta a un prodotto così mediocre? Ma soprattutto, davvero il consumatore di fronte al “latte di stamattina”, al foraggio “non insilato” e al casaro che non dorme viene invogliato a mangiare parmigiano? O forse passerà al grana, al quale sarebbe passato comunque, perché impoverito dal lavoro malpagato, ma almeno ora lo può fare con soddisfazione? Che lui, almeno, mezz’ora per magnà ce l’ha.

 

Contro la Dad, Figliuolo manda i militari in classe

Ma allora lassù qualcuno ci ascolta! Ci eravamo quasi rassegnati a non sentirne più parlare, temevano lo avessero mandato ad addestrare matricole in qualche colonia pontina, invece rieccolo, il generale Figliuolo! Dopo aver quasi debellato il virus a sciabolate di vaccino (vaccino che, nel caso di AstraZeneca, ha a sua volta debellato qualche paziente), dopo la vittoria celebrata a ottobre da Fazio (abbiamo praticamente raggiunto l’immunità di gregge, siamo al “79 punto 1 per cento di vaccinati”, calcolato però sulla popolazione sopra i 12 anni e non su quella totale come promesso a marzo), oggi il Commissario all’emergenza Covid, appena venuto a sapere che i bambini ancora si contagiano a scuola e che non basta aprire le finestre per sconfiggere il morbo, ha subito mobilitato tutti i suoi mezzi e i suoi uomini per risolvere la situazione. E cosa ti dispiega, stando ai giornali? Ben “11 laboratori di biologia molecolare dell’esercito dislocati in 8 Regioni (e le altre?, ndr)”, (La Stampa), e se non dovesse bastare altri “due laboratori mobili” (Repubblica) da mandare a domicilio, laboratori che si suppone faranno la spola tutti i giorni dalle Alpi a Enna per stanare l’immondo virus che si annida nelle narici dei bambini. A proposito, se suona un po’ così, un po’ esagerato, che si usino i militari per fare tamponi rapidi, è perché non si è abituati all’eloquio di Figliuolo e a tutta la narrazione contundente che gli si è costruita attorno, che noi modestamente studiamo da marzo in tutte le sue sfumature. Da La Stampa: “Il generale Figliuolo assicura: ‘Il sistema di tracciamento verrà potenziato grazie ad assetti militari resi prontamente disponibili dal ministro della Difesa e coordinati dal Comando operativo di vertice interforze (Covi)’”. “Assetti militari”, “prontamente”: già si vola, e da domani dove non arrivano le Asl arriveranno i militari con mimetica e anfibi, in ben 11 laboratori in quasi tutta Italia, laboratori che – detto tra noi – forse nemmeno serviranno perché ai bambini verranno fatti tamponi rapidi, che sono inseriti in un kit completo di reagente e dunque non hanno bisogno di essere processati. È l’ipotesi del “Team di soldati a domicilio” per il “piano anti-Dad di Figliuolo” (Repubblica) a farci tornare agli antichi fasti semiotici del “cambio di passo” e del “fuoco alle polveri”, se non addirittura della “spallata” delle 500 mila somministrazioni al giorno, poi effettivamente raggiunte, per un giorno solo appunto, ma i record per questo esistono, per essere toccati e confermati dagli insuccessi futuri.

Non divaghiamo: se capiamo bene, un team di soldati aspetterà all’alba la chiamata dalla Asl di zona, se non proprio della singola scuola, che avverte che c’è un positivo in una classe. Allora in men che non si dica i militi si metteranno al volante di uno dei due laboratori mobili e andranno a casa dei compagni di classe del contagiato. Moltiplicato per migliaia di case. Se non lo ammazziamo così il virus, non lo ammazzeremo mai. A proposito: sarà un caso, ma tutta questa mobilitazione da Sturmtruppen, coi due laboratori mobili nazionali fatti girare come gli arrotini (o come gli aerei di Mussolini), avviene proprio mentre ci si è ormai universalmente accorti che la protezione data dai vaccini dura molto meno di quanto previsto o detto dalle case farmaceutiche e dall’Ema (ma certamente salvano vite ed evitano la malattia grave), e allora bisogna trovare un’altra attesa messianica, un altro salvatore, oltre alle terze dosi. Non pare anche a voi che sia frutto di uno spostamento, letteralmente di una “distrazione” di attenzione mediatica? Prima la Bibbia anti-Covid erano le tre T (testare, tracciare, trattare), poi si è smesso di tracciare, mentre i test venivano equiparati tra loro e al vaccino, quando si sa che gli antigenici rapidi hanno una percentuale altissima di falsi negativi. Allora rientra in campo Figliuolo, con la penna sul cappello e il petto maiolicato di mostrine, a salvare bambini e ragazzi dalla Didattica a distanza (fosse quello!). Figliuolo è stato messo lì dai Migliori per risolvere problemi, sì o no? Chissà quando si accorgeranno che se dal 6 dicembre non saranno più validi per il Super green pass i test antigenici (che invece saranno validissimi per le scuole), i non vaccinati dovranno farsi tutti i molecolari: siamo attrezzati? Abbiamo abbastanza laboratori? E inoltre: se prima il referto di un molecolare arrivava entro 24 ore, ora i tempi si allungheranno, dunque il Super green pass sarà valido per meno ore rispetto alle 72 di prima, e nel frattempo uno potrebbe positivizzarsi. Ma non svegliateci da questo nuovo sogno dei militari a domicilio come a Singapore.

(Comunque, ci piace anche molto “Comando operativo di vertice interforze (Covid)”, che a occhio pare la tipica smargiassata da Figliuolo destinata a fare il suo ingresso tra i classici).

 

I migliori programmi in tv, dalla “Vita di carlo” al doc dedicato ai Beatles

E per la serie “Chiudi gli occhi e apri la bocca”, eccovi i migliori programmi tv della settimana:

Prime video, streaming: Vita da Carlo, serie di e con Carlo Verdone. I giapponesi hanno un’espressione molto bella per l’artista che ha raggiunto il livello dell’eccellenza insuperabile: lo definiscono “maestro non più giudicabile”. Nell’arte della comicità, Carlo Verdone è un maestro non più giudicabile. Non puoi giudicare la comicità di Carlo Verdone: è la sua comicità che giudica te. Non puoi dire “A me Verdone non piace”, “A me Verdone non fa ridere”, “Mah, questo Carlo Verdone, insomma”, come se fossero espressioni legittime. Perché è vero che la comicità è questione di gusti, ma se Carlo Verdone non ti fa ridere, il tuo senso della comicità non batte pari: è come se uno dicesse “Mah, a me questo Gesù non sembra poi tanto cristiano”. E siccome non esiste la comicità in senso astratto, esistono solo i comici in senso concreto, Carlo Verdone è la comicità. Così come Totò era la comicità, Sordi era la comicità, Tognazzi era la comicità, Troisi era la comicità, così come è la comicità ogni comico che almeno una volta abbia fatto ridere il suo pubblico. Perché ogni comico è una scintilla della grande risata universale. Solo pochi diventano maestri non più giudicabili, ma non importa. Anche di papi ce ne sono al massimo due alla volta.

Cine34, 2.00: La polizia incrimina, la legge assolve, film-drammatico. Un luogo comune dei fotoromanzi e dei poliziotteschi, che divoro avidamente come l’orso Baloo il miele e le formiche, è quello del superiore che apostrofa un subordinato con la disgiuntiva minacciosa “Deve acciuffarmi il colpevole, o la spedisco a dirigere il traffico”. Per questo, ogni volta che vedo un vigile all’incrocio di piazza Venezia, la prima cosa che penso è “chissà cos’ha combinato quello”. Mi piacerebbe proprio saperlo. Di certo qualcosa di grave, perché doversene stare anche solo un’oretta in mezzo allo smog e al casino dell’incrocio di piazza Venezia è un contrappasso la cui crudeltà avrebbe inorridito perfino Dante, se all’epoca fossero esistiti i pizzardoni. Disney +, streaming: The Beatles: Get Back, mini-docu-serie. Le tre puntate di questo documentario (56 ore ridotte a 8 da Peter Jackson) ci mostrano i Beatles mentre creano dal nulla capolavori come Get Back e Don’t Let Me Down, e il loro ultimo concerto sui tetti della Apple Records. Uno dei punti di forza di ogni narrazione è l’ironia drammatica, la posizione di vantaggio del pubblico rispetto ai personaggi che ignorano certi aspetti della vicenda in corso. Noi sappiamo come diventerà Get Back, i Beatles del filmato no: e Paul McCartney che ne improvvisa una strofa ancora sfuocata, e continua a strimpellarla e canticchiarla sotto gli occhi di George e Ringo finché dài e dài non la mette a fuoco, ritornello compreso, è una delle cose più avvincenti mai viste in tv, un miracolo. Altre epifanie: Paul che accenna al piano una nuova canzone, e John e George si fermano ammutoliti ad ascoltare il brano clamoroso (The Long and Winding Road); John Lennon che propone un abbozzo di Jealous Guy; Billy Preston che al Fender Rhodes fa quagliare i pezzi in modo superlativo; i camei di Peter Sellers e di Linda; il live sui tetti. Insomma, un gran bel regalo di Natale. Quasi quanto il sottomarino giocattolo made in Japan che a sette anni trovai sotto l’albero, con un’elica a molla che lo sospingeva in modo realistico lungo il fondo della vasca da bagno. Al rientro dalle vacanze lo portai a scuola. Grave errore.

 

Se salta B. per il Colle ecco Pera (con Verdini)

L’altra sera, a Piazzapulita, Alessandro Di Battista ha detto che al momento opportuno il centrodestra giocherà la carta Marcello Pera sul Colle. Un’ipotesi niente affatto peregrina quella su cui starebbe lavorando il factotum Denis Verdini (al momento ai domiciliari). Sì, proprio lui, l’immarcescibile Denis, da sempre uomo di collegamento tra Arcore, Matteo Salvini (compagno di sua figlia Francesca) e Matteo Renzi, che dicono disposto a “investire” sull’operazione Pera i voti, determinanti, di Italia Viva. Si dirà: e l’impresentabile Silvio Berlusconi? In quel caso resterà comunque della partita e se e quando dovesse verificare l’impraticabilità della sua candidatura potrebbe giocare, comunque, un ruolo da kingmaker nella successione di Sergio Mattarella. Sia come sia, le manovre in corso a destra – mentre a sinistra, come al solito, si sfoglia la margherita – non fanno che rafforzare la valenza politica, oltre che morale (e di buon costume) della raccolta di firme promossa sul sito del Fatto e che in quattro giorni ha superato le centomila firme.

Un’adesione davvero straordinaria così come, ci auguriamo, sia davvero straordinario l’impatto che la voce di tanti cittadini potrà avere su quelle forze politiche che considerano una vera vergogna soltanto l’ipotesi che al Quirinale possa sedere il “garante della prostituzione”. Infatti, le domande sono due. Primo: se e in che modo, Pd, 5Stelle, Sinistra italiana, LeU (e tutti i parlamentari non disposti a mettere in vendita il proprio voto) intendono rispondere all’obbrobrio B. che prende forma giorno dopo giorno? Secondo: se e in che modo queste forze intendono presentare agli italiani una candidatura forte, autorevole, condivisa prima che gli intrighi orchestrati dai Rebibbia boys si consolidino intorno a un Pera, o ad altra controfigura del pregiudicato? Insomma, quella montagna di firme esige già delle risposte. Per non trasformarsi in una slavina (ancora nel 1994, Pera dichiarava: “Berlusconi è a metà strada tra un cabarettista azzimato e un venditore televisivo di stoviglie, una roba che avrebbe ispirato e angosciato il povero Fellini”. Poi, nel 2001, divenuto un convinto forzista, lo studioso di Popper accettò la presidenza del Senato gentilmente offertagli dal venditore di stoviglie). Tutto si tiene.

Nuovi eroi in tv: il “pentito” no vax che però ancora mica si vaccina

Super scoop! PiazzaPulita intervista il “primo no vax pentito”, il leggendario “professor” Pasquale Maria Bacco, già idolo di quelli che ritengono le mascherine poco più di veli di carta igienica, i vaccini (“acqua di fogna!”) strumenti di dominazione delle masse e le campagne vaccinali un eccidio di Stato. Questo signore, che per un briciolo di notorietà si è prestato alla circolazione delle teorie più bislacche, sembra aver capito di poter ricevere ancora più attenzioni rimangiandosi tutto. È pentito. L’intervista di giovedì sera, su La7, è già di culto: “Io mi sono addormentato per un anno e mezzo, ero completamente uscito di testa”, confessa il nostro nuovo eroe. Bacco è contrito: “L’errore che ho fatto è di non essermi fermato e di non aver capito quanto le mie parole potessero pesare sugli altri”. È un uomo nuovo: “C’era molto di provocatorio nelle mie teorie. Ci ho un po’ giocato, ammetto di aver esagerato nelle mie esternazioni. Sono stato un po’ vigliacco”.

Ci si avvicina al momento clou, il pentito sembra dare i primi segnali di cedimento quando si toglie la mascherina dalla bocca, poi arriva la domanda cruciale: “Il dottor Bacco s’è vaccinato?”. Risposta: “Non escludo di poterlo fare”. Ma come?! Il no vax pentito è ancora senza vax? “Non ritengo sia importante”. Capolavoro. Prima del sipario, un altro scoopetto, un “risvoltino” torbido: “Tanti leader nazionali certe cose le sapevano. Il giorno della manifestazione di Roma sono stato avvertito dalla procura di Napoli: mi hanno detto di non andare assolutamente perché ci sarebbero state violenze. Probabilmente si pensava di arrivare ben oltre la Cgil”. Il no vax è pentito ma è rimasto un po’ complottista.