Una brusca frenata nella produzione per Leonardo: la partecipata statale del settore difesa ha infatti chiesto per il 2022 la cassa integrazione ordinaria a zero ore per ben 3.400 lavoratori negli stabilimenti di Pomigliano, Nola, Grottaglie e Foggia. “Decisione di inaudita gravità”, ha commentato Rocco Palombella, segretario Uilm. La crisi dell’aeronautico civile colpisce quindi anche l’ex Finmeccanica. Fiom e Uilm hanno organizzato per lunedì uno sciopero con manifestazione nazionale a Roma. La protesta è anche contro la riduzione per la decisione di cedere la Bu Automation Systems (con 400 dipendenti in Liguria) e la Bu Sistemi di Difesa (1.500 tra La Spezia, Brescia, Livorno e Pozzuoli).
Altro migliore al governo: ecco Napoletano
Il suo vecchio giornale gli chiede 7 milioni e mezzo di danni (in concorso con altre persone) e lui è tuttora imputato per false comunicazioni sociali e aggiotaggio informativo. Eppure per Roberto Napoletano, oggi direttore iper-draghiano del Quotidiano del Sud, si aprono le porte del Governo dei Migliori: a fine novembre il giornalista è stato nominato in una commissione di cinque esperti del ministero del Sud guidato dalla forzista Mara Carfagna.
Il compito di Napoletano e dei colleghi sarà quello di “esaminare, elaborare organicamente e integrare i contributi e le proposte pervenuti” e di sottoporli poi “al ministro per il Sud ai fini della individuazione degli obiettivi strategici del Fondo di sviluppo e coesione per il periodo di programmazione 2021-2027”. Non si tratta di un ruolo qualunque: il Fondo ha una dotazione di 73 miliardi, di cui 58 destinati al Sud. I progetti su come spendere parte di questi soldi passeranno dunque sotto gli occhi di Napoleano, nominato – come rivelato ieri dal Corriere del Mezzogiorno – insieme all’ingegnere Rodolfo De Dominicis, all’imprenditrice Beatrice Lucarella, alla ricercatrice Serena Sileoni (già consulente di Mario Draghi) e ad Amedeo Lepore, storico ed ex assessore di Vincenzo De Luca in Campania.
Tutti “senza rimborso, compenso o gettone di presenza”, come da decreto di nomina, ma con la non trascurabile possibilità di accedere a dossier delicati e di accreditarsi alla corte del governo. Un momento a cui Napoletano arriva senza aver risolto i suoi guai con la giustizia: dal 2019 è imputato a Milano con l’accusa di aver gonfiato per anni i dati delle vendite (soprattutto digitali) del Sole 24 Ore da lui diretto, con ovvie conseguenze per l’attendibilità del bilancio del giornale.
Cacciato dalla direzione (ma con una buonuscita da 700 mila euro), Napoletano è da tempo in causa col Sole, che contro di lui ha avviato un’azione di responsabilità con richieste di risarcimento milionarie a danno suo e degli altri amministratori coinvolti nell’inchiesta.
Nel frattempo, Napoletano ha trovato un nuovo lavoro al Quotidiano del Sud, dove da mesi è ammirato cantore di Draghi e del suo governo. Una passione, quella per il premier, che Napoletano non nascondeva nemmeno ai tempi del Sole (guidato dal 2011 al 2016), quando già lo definiva “statista”, “il banchiere centrale più innovativo che l’Europa abbia mai avuto”, e ne elogiava “il pragmatismo e l’ostinazione”. Poi, col cambio di giornale e l’arrivo di Draghi a Palazzo Chigi, è iniziato un carnevale di elogi che ha avuto il suo compimento nel libro Mario Draghi. Il ritorno del Cavaliere bianco (La Nave di Teseo): “Se vuole è un ammaliatore, può troncare con garbo dopo pochi minuti perché non si sente in sintonia ma può anche farti sentire importantissimo. Di sicuro ascolta sempre, trattenendo la sostanza con velocità, e conosce come pochi le regole della comunicazione”.
Regole evidentemente ben note anche a Napoletano, che dopo tanti apprezzamenti darà una mano in prima persona al governo dei suoi sogni.
Bollette, il governo si spacca. Sgravi per placare Cgil & C.
Il Consiglio dei ministri di ieri dedicato al via libera al ddl contro la violenza sulle donne si è trasformato nell’ennesimo round tra governo e sindacati sulla riforma fiscale con un terzo incomodo: il caro bollette, che ha spaccato la maggioranza. Il Cdm, preceduto da una cabina di regia di governo, ha sì messo il sigillo all’intesa siglata con i partiti di maggioranza la scorsa settimana, con il taglio strutturale di 7 miliardi dell’Irpef e 1 miliardo dell’Irap, ma non ha trovato un accordo sul possibile contributo di solidarietà a carico dei redditi sopra i 75 mila euro per sterilizzare, almeno in parte, gli aumenti delle utenze energetiche, così come avanzato ieri mattina dal premier Mario Draghi.
Il governo si è spaccato sulla proposta per la contrarietà di Lega, Forza Italia e Iv che sono arrivati a paragonare il congelamento per uno o due anni del taglio dell’Irpef per i redditi alti a una patrimoniale. Le nuove risorse, 300 milioni di euro, sono poi arrivate, ma andranno cercate nelle pieghe del bilancio dello Stato, senza quindi coinvolgere i contribuenti più ricchi. E, comunque non basteranno al contenimento dei rincari di luce e gas che scatteranno il primo gennaio. Mentre per contenere l’ira dei sindacati che continuano a bocciare l’intervento deciso sulle aliquote Irpef, il premier Draghi e il ministro dellEconomia Daniele Franco hanno aperto a una modifica sul taglio del cuneo fiscale per i lavoratori sotto i 35 mila, cioè le tasse che si pagano in busta paga.
La lunga giornata inizia alle 9,30 quando Draghi propone ai partiti della sua maggioranza di rinviare lo sgravio del taglio dell’Irpef per i redditi sopra i 75 mila euro, che valgono tra i 250 e i 270 milioni, per abbattere i rincari di luce e gas, senza mettere in discussione l’impianto della riforma. Insomma, una sorta di contributo di solidarietà che ottiene il consenso di Pd, LeU e M5S, ma che viene bocciato in toto dal centrodestra che riesce a far sfumare l’accordo. Il partito di Matteo Renzi, ormai allineato a destra, spiega che “non è il momento di prendere i soldi ai cittadini, ma di darli” anche se il congelamento del taglio delle tasse ai ricchi servirebbe per evitare l’aumento delle bollette dei poveri. Uno stallo che non si risolve durante il Cdm, che viene anche sospeso. Riprenderà solo dopo che il ministro Franco prometterà di trovare altrove i soldi per il caro bollette. Quando ci si riuscirà, lo stanziamento totale previsto arriverà a 2,8 miliardi: a questi ultimi 300 milioni previsti ieri, vanno infatti aggiunti 500 milioni che dovrebbero arrivare dal minor costo, almeno nel 2022, del taglio dell’Irpef e altri 2 miliardi già stanziati in manovra. Un intervento che, tuttavia, non riuscirà a sterilizzare la maxi stangata del prossimo trimestre, quando le tariffe del gas potrebbe aumentare del 45% e quella della luce del 25%. Di fronte a questo scenario il governo ha stanziato meno dei 3,5 miliardi messi in extremis a fine settembre per contenere dei rincari più bassi di quelli già annunciati dall’Authority dell’energia (Arera) per gennaio. La strada che il governo sembra seguire è tracciata: aiutare solo le famiglie più bisognose, quelle per cui l’aumento di luce e gas si tradurrà in un salasso difficile da fronteggiare. Con aumenti superiori al 45% non avanzerà nulla per le altre famiglie. Agire per tutti sulla riduzione dell’Iva del gas o sul taglio degli oneri di sistema per l’elettricità costerebbe 7 miliardi: ora ce ne sono meno della metà.
Il contributo di solidarietà avanzato da Draghi voleva andare incontro alle richieste dei sindacati, critici con il nuovo impianto Irpef, considerato penalizzante per i redditi più bassi. La bocciatura ha quindi costretto Palazzo Chigi a mettere sul piatto un altro contentino: per il solo 2022 abbassare l’asticella del tetto dei redditi che potranno contare sugli sgravi fiscali grazie allo stanziamento di 1,5 miliardi. Fino all’altro ieri si parlava di 47 mila euro, ieri il premier è sceso a 35 mila, restringendo la platea alle fasce più deboli. Ma i segretari Uil e Cgil, Pierpaolo Bombardieri e Maurizio Landini, hanno ribadito la loro contrarietà alla proposta del governo sul fisco spiegando di valutare lo sciopero.
Tim, Cdp e Vivendi concordi sul no all’“offerta” di Kkr
È una specie di doppio binario: sulla battaglia per il futuro di Tim il governo si è mosso formalmente nel tentativo di non dare l’impressione di voler ostacolare il tentativo del fondo Kkr di prendersi l’ex monopolista. Sottotraccia, però, non sembra nemmeno lavorare in questa direzione. La pubblica Cassa depositi e prestiti – secondo azionista del gruppo – sembra pensarla come il primo azionista, la francese Vivendi, decisa a dire no alla proposta americana.
Nella vicenda c’è un piano formale, quello delle dichiarazioni politiche, e poi c’è il piano societario, l’unico dove le scelte assumono davvero una direzione concreta. Nei giorni scorsi a Milano l’amministratore delegato di Cdp, Dario Scannapieco, ha incontrato i vertici di Vivendi guidati da Arnaud de Puyfontaine per discutere di Tim. Il vertice, rivelato da Repubblica, a quanto risulta ha visto la convergenza di interessi dei due gruppi nel non ritenere soddisfacente la manifestazione di interesse di Kkr.
Nessuno vuole commentare, anche perché la partita è ancora in corso. Il 17 dicembre il Cda dovrà decidere sulla proposta del fondo americano. Ieri era attesa la nomina degli advisor, ma nessuna conferma è arrivata in tal senso.
Una linea comune tra i due soci di Tim (Vivendi controlla il 23,7%, Cdp il 9,8%) non sarebbe comunque un inedito visto che ha appena portato all’uscita di scena dell’ad Luigi Gubitosi, sfiduciato da Vivendi con una mossa che ha visto sostanzialmente d’accordo quasi l’intero cda, dove siede anche il presidente della Cassa Giovanni Gorno Tempini. Gubitosi, accusato di una gestione deludente dopo due profit warning (la revisione al ribasso delle stime dei profitti) e un terzo probabile, si è dimesso accusando il consiglio di schiacciarsi sulle posizioni di Vivendi nel non voler valutare l’offerta di Kkr. Il fondo americano, che Gubitosi ha fatto entrare nella rete di Tim ad agosto 2020, ha fatto la sua mossa alla vigilia del cda che avrebbe messo sotto accusa il manager. Dopo la sua uscita di scena, il compito di valutare le carte è stato affidato a un comitato interno.
Al momento quella di Kkr è solo una manifestazione di interesse non vincolante. Il fondo Usa la considera amichevole e valuta Tim 11 miliardi contro i 7 della valutazione precedente ed è subordinata al gradimento del management. L’offerta, pare, è propedeutica a uno smembramento di Tim che parta dalla separazione della rete, che verrebbe offerta a Cdp.
L’operazione coinvolge asset strategici su cui il governo può esercitare i poteri speciali. L’esecutivo ha messo in piedi un super comitato di ministri e tecnici per valutare le mosse, ma giovedì il titolare dello Sviluppo, Giancarlo Giorgetti, ha spiegato che al momento nulla può essere valutato perché di concreto non c’è appunto nulla. Se Kkr procede a un’Offerta pubblica di acquisto se ne riparlerà, ma se i due soci maggiori – che ai prezzi offerti per ora da Kkr registrerebbero un salasso a bilancio – si schierano contro difficilmente il colosso Usa muoverà allo scontro. Non a caso Giorgetti pare aver messo le mani avanti: comunque vada, servirà trovare “sinergie” tra Tim e il concorrente nella posa della fibra, la Open Fiber controllata proprio da Cdp. O i piani di cablaggio del Pnrr non avranno successo.
“Comanda Eni o il governo?” La guerra per la transizione
“È lecito chiedersi chi decida davvero della politica energetica italiana: Eni o il ministero della Transizione ecologica?”. La domanda che ieri si è fatta Rossella Muroni – già presidente di Legambiente, nel 2018 eletta in Parlamento con LeU e oggi nel gruppo Misto nella componente FacciamoEco – coinvolge non solo le ultime scelte del governo, ma più in generale la “transizione ecologica a misura di grande impresa” che è il credo di Roberto Cingolani e del premier Mario Draghi: così non fosse non sarebbe concepibile nominare – come s’appresta a fare il ministro e Il Fatto ha rivelato ieri – capo dipartimento per la gestione del Pnrr Paolo D’Aprile, il partner McKinsey che quel piano ha in gran parte scritto come consulente e che reca tracce consistenti degli interessi di Eni (il cui management, sia detto en passant, non è mai mancato di ex associati dell’azienda Usa, a partire dal fu numero 1 Paolo Scaroni).
Notato, senza sorpresa, il silenzio totale dei partiti sul cambio di casacca in corsa (e in possibile conflitto di interessi) dell’uomo del colosso Usa della consulenza strategica, va ripresa la domanda di Muroni, che in realtà sta all’incrocio di un puzzle più complicato. Giovedì, infatti, è stato il giorno in cui il governo italiano a Bruxelles ha dato il suo esplicito via libera all’inserimento del nucleare nella cosiddetta “tassonomia Ue” delle tecnologie utili a raggiungere la neutralità climatica: checché se ne pensi – e c’è più di un motivo per pensarne male sia a livello di merito che di metodo – l’Italia ha fatto così un enorme favore alla Francia, che produce metà dell’energia da nucleare in Europa, consentendole di sussidiare l’allungamento della vita dei suoi (vecchi) reattori, cosa a cui Berlino si opponeva con forza. La contrarietà, peraltro non drammatizzata, di grillini, sinistra ed ecologisti in questo scacchiere conta assai meno del fatto che l’altroieri Eni ha confermato ed esteso il suo investimento (360 milioni di dollari) nella società Cfs, che lavora sulla fusione nucleare e spera di produrre energia per questa via tra dieci anni (se va bene).
Il prossimo passaggio formale, già evidente dal Pnrr e ancor di più dalla nuova collocazione dell’Italia in Europa, è inserire anche il gas nella tassonomia dell’Ue. Emmanuel Macron, il nostro partner “del Quirinale”, lo ha detto chiaramente proprio giovedì: “La priorità dell’Europa è uscire dal carbone e per farlo e per mantenere allo stesso tempo la sostenibilità delle forniture di elettricità per i nostri cittadini, gli Stati andranno verso le rinnovabili, ma anche verso gas e nucleare”. Certo l’asse con Parigi tornerà utile all’Italia sulla Libia, si spera, e sulla riforma del Patto di Stabilità, ma la scelta controversa di considerare “climaticamente neutrale” un combustibile fossile ha anche le sue ragioni interne: è appena il caso di ricordare che il gas (anche come fonte di idrogeno) e i gasdotti (anche per trasportare idrogeno) innervano tutta la strategia energetica messa in campo da Cingolani e Draghi dentro e fuori il Pnrr, cosa che non può non far felici le partecipate Eni e Snam (gruppo Cdp). Il premier s’è spinto persino a un endorsement pubblico (più 150 milioni in manovra) alla cattura e stoccaggio della CO2 che il Cane a sei zampe vorrebbe realizzare nei giacimenti esausti al largo di Ravenna, tecnologia dai successi finora non proprio travolgenti.
Restando però alle partecipate, le mosse del governo su nucleare e gas stanno invece contrariando assai la più grande azienda italiana, Enel, che pare uscire (parzialmente) sconfitta nella guerra per la spartizione della torta detta “transizione energetica”. Il conflitto si gioca ormai a carte scoperte. L’ad Francesco Starace sempre giovedì ha rilasciato un’intervista inusualmente dura al Corriere della Sera per dire che il futuro non sono certo il nucleare o il gas (“è una follia dipendere dal gas”), ma le rinnovabili (ovviamente core business di Enel): “Tutti ormai hanno capito che sono competitive, convenienti e sono l’asse portante della generazione di energia elettrica dei prossimi anni”, fare batterie per ovviare alla loro discontinuità “non è un problema” già oggi e, se ne avessimo di più, “il prezzo medio dell’energia sarebbe molto più basso”.
Per capire il livello dello scontro basterà citare la risposta sulla cattura di CO2: “Quante volte dobbiamo riprovare una cosa che non ha funzionato?”. Alla fine, parola di Starace, “è solo questione di quanto uno vuole perdere nel non capire”. E allora forse non è chiaro chi decide tra Eni, Mite, Palazzo Chigi e l’Eliseo, ma di sicuro ad oggi non lo fa Enel.
New York, ammazzato un dottorando italiano
Uno studente italiano è stato ucciso giovedì sera a Manhattan, New York. Davide Ghiri, questo il suo nome, stava rientrando a casa dopo aver giocato a calcio, quando è stato accoltello. Trovato dalla polizia, è stato poi portato in ospedale, dove i medici ne hanno dichiarato il decesso. Arrestato e accusato per l’omicidio un ragazzo di 25 anni: le forze dell’ordine l’hanno trovato dentro Central Park, mentre stava minacciando una terza persona con una lama. Ghiri aveva trent’anni e stava per conseguire un dottorato in ingegneria alla Columbia University. Non lontano dal luogo dell’accaduto, anche un altro italiano è stato accoltellato. Si tratta di Roberto Malastia, un turista: le sue condizioni sono stabili.
Medici no-vax al lavoro. I Nas ne scovano 218
Continuavano a lavorare nonostante fossero no-vax. Altri, già sospesi, erano lo stesso in servizio presso Asl, ospedali, cliniche e studi professionali in tutta Italia. In totale sono 218, tutti denunciati a piedi libero, quelli scoperti dai carabinieri del Nas al termine di verifiche svolte in tutta Italia e che hanno riguardato 1.609 strutture pubbliche e private. Controllate 4.900 posizioni. Dei 218 individuati, 126 erano già stati sospesi. L’accusa è esercizio abusivo della professione sanitaria. Tra i denunciati anche otto medici di famiglia e pediatri. Il ministro della Salute, Roberto Speranza ha dichiarato che “tutti coloro che accedono alle strutture sanitarie pubbliche e private devono avere garanzia di trovarsi in ambienti sicuri”.
Paestum, pm chiede misure per 3 consiglieri di Mr. Fritture: “Rispondono a un arrestato”
Capaccio Paestum, provincia di Salerno, periferia del “Sistema Salerno” e il meccanismo appalti-voti. Politici che sarebbero disposti a farsi corrompere da imprenditori, incarichi pubblici da spartire violando il codice, un sindaco, “Mister Fritture” Franco Alfieri (consigliere del governatore Vincenzo De Luca) estraneo all’inchiesta, finito al centro di una storia oscura di ricatti dietro la sfiducia del suo predecessore, Francesco Palumbo, compiuta il 24 dicembre 2019 con le dimissioni di 9 consiglieri. Nei giorni scorsi l’amministratore di Idrostrade Roberto D’Angelo è stato messo ai domiciliari per istigazione alla corruzione di un consigliere che rifiutò una mazzetta da 50mila euro, Giovanni Cirone. Da un anno coordinatore cittadino di Italia Viva, D’Angelo faceva opposizione ad Alfieri. Ma un ricorso della procura di Salerno al Riesame, che ne chiede il carcere, lo definisce “il regista della campagna elettorale di Alfieri”. Lo dimostrerebbero alcune intercettazioni pubblicate dal Fatto. Si ascolta D’Angelo che parla con Alfieri, si affanna a cercare candidati per lui e auspica che mantenga le promesse. È lo stesso ricorso con cui il pm vuole far spiccare 4 misure cautelari per tre consiglieri comunali di Alfieri e una sua consigliera politica: Pasquale Accarino (chiesti i domiciliari), Angelo Merola, Fernando Mucciolo e Alfonsina Montechiaro (divieto di dimora). Facevano parte dei sei consiglieri che secondo l’accusa strinsero tra il 2017 e il 2018 un patto corruttivo con D’Angelo. In una cena l’amministratore di Idrostrade avrebbe promesso loro una percentuale sui futuri lavori se i consiglieri avessero fatto pressioni su Palumbo per costringerlo a nominare Rup dell’appalto da 6,5 milioni di via Magna Grecia un tecnico di sua fiducia, l’ingegnere Carmine Greco (coindagato). Palumbo invece nominò un altro. E per gli inquirenti questa fu la causa della sfiducia. In una drammatica conferenza stampa Palumbo lanciò accuse durissime: “Chi ha tradito non reca con se alcuna motivazione politica perché queste persone hanno fatto pressione prima su di me poi sui consiglieri comunale offrendogli soldi…”. Morì pochi mesi dopo, stroncato da un male già avanzato.
Lapalisse direbbe che se Palumbo non fosse caduto Alfieri non ne avrebbe preso il posto. E secondo la Procura proprio il fatto che “Mister Fritture” sia sindaco impone di eseguire le misure verso i politici che siedono ancora in aula. Perché potrebbero continuare a ‘rispondere’ a D’Angelo.
Minori in affido, 3 indagati a Torino: “È come Bibbiano”
Riaffiora lo spetto del caso Bibbiano, questa volta però a Torino. Sotto la lente della magistratura sono finite le modalità di affido, di custodia e i possibili maltrattamenti subiti dai minori nel capoluogo piemontese. Indagati per maltrattamenti una coppia di donne, accusate di aver usato violenza su due bimbi che erano stati a loro affidati dai servizi sociali. I due fratellini, figli di una donna nigeriana, erano stati con la coppia dal 2013 al 2021, e adesso sono stati trasferiti ad un’altra comunità dal tribunale per i minori. Indagata per falso ideologico anche la psicoterapeuta Nadia Bolognini, già coinvolta nel caso Bibbiano, alla quale sono stati sequestrati cellulare e computer dopo le perquisizioni in casa e studio. Di “preoccupanti analogie” con la vicenda di Reggio Emilia parlano i carabinieri che hanno svolto le indagini per conto della Procura. Analogie che andrebbero “evitate” perché “utili a costruire polveroni mediatici”, secondo l’assessore alle Politiche sociali della Città di Torino, Jacopo Rosatelli.
Roma, il n.1 della commissione Sport vuole salvare i morosi. Anche la “sua” Polisportiva
“Cercheremo di prendere le distanze dal codice degli appalti”. Il 27 novembre, Ferdinando Bonessio dava un saggio delle sue intenzioni in qualità di nuovo presidente della commissione Sport in Campidoglio. Ma la nomina del consigliere dei Verdi rischia di creare qualche imbarazzo a Roberto Gualtieri. Bonessio ha contribuito a fondare, nel 1981, una delle società sportive cittadine oggi in contenzioso con il Comune di Roma, la Polisportiva Città Futura, che gestisce un impianto comunale a Roma sud. Fra i soci, al 20%, compare ancora il nome di Loredana Valentini, moglie di Bonessio. Tuttavia, assicura lui al Fatto, “mia moglie ha ceduto le sue quote quando sono stato eletto”. Valentini e Daniele Bonessio (figlio di Ferdinando) lavorano tuttora con la società come istruttori. Nessuna violazione, sia chiaro. Il tema è di opportunità politica. Fra il 2008 e il 2013, la Città Futura ha sottoscritto con l’Istituto Credito Sportivo due mutui per ristrutturazione, per totali 3 milioni di euro. Si tratta di prestiti su cui Roma Capitale ha posto una garanzia del 90%. Il problema è che, secondo gli ultimi dati disponibili, Città Futura è ancora esposta per quasi 2 milioni di euro e – si legge nell’ultima relazione del Credito Sportivo – “il mutuatario non effettua pagamenti da lungo tempo”, dunque “persistendo l’inadempimento si procederà probabilmente con l’escussione”. La revoca formale non c’è mai stata, sebbene il nuovo regolamento approvato nel 2018 dalla Giunta Raggi la prevedesse per le società “morose”. Città Futura, infatti, continua a pagare i circa 400 euro al mese per la concessione sottoscritta nel 2008 con Roma Capitale e ha chiesto più volte il prolungamento della contratto per procedere alla ridiscussione del mutuo con il Credito Sportivo. “I mutui sono stati contratti per migliorare l’impianto, ma prima la crisi e ora la pandemia hanno reso quelle condizioni insostenibili”, spiega Bonessio. Eppure, da tempo sono apparsi a via dei Georgofili un campo da padel e un ristorante dato in gestione alla celebre catena Roadhouse. La situazione di Città Futura è simile a quella di decine di società e Roma Capitale è esposta con il Credito Sportivo per almeno 200 milioni di euro. Bonessio, il 27 novembre, ha anche dichiarato di voler “dare indicazioni all’avvocatura affinché si trovino gli strumenti per valorizzare la capacità (…) del soggetto (…) gestire quell’impianto in un determinato territorio”.