Palpa 18enne in strada. Arrestato a Perugia

Un 28enne è stato arrestato dai carabinieri di Perugia in flagranza di reato mentre palpeggiava il sedere di una 18enne che camminava sulla sua stessa strada. Secondo la ricostruzione dei militari la ragazza, dopo essere stata molestata, si è pietrificata cercando con lo sguardo l’aiuto di qualche passante. In suo soccorso è intervenuto un uomo e una pattuglia dei carabinieri lì nei paraggi, che hanno subito fermato il 28enne, tranquillizzando la giovane. Trasportato in caserma, l’uomo è stato arrestato per l’ipotesi di reato di violenza sessuale. Il fatto è accaduto il 30 novembre, a pochi giorni di distanza dalle molestie subite da Greta Beccaglia, la giornalista palpeggiata da un tifoso della Fiorentina all’uscita dallo stadio.

Tagliato il film di Camilleri, in onda va Vespa. La Rai dà colpa al computer: errore tecnico

Un taglio di un quarto d’ora che ha privato i telespettatori del finale del film per la tv La stagione della caccia, tratto dal romanzo di Andrea Camilleri. Si era arrivati al punto cruciale quando, d’un tratto, è stato mandato un blocco pubblicitario e poi è iniziata la puntata di Porta a Porta. Qualcuno tra i telespettatori ha sperato che quello di Bruno Vespa fosse un promo, come spesso accade. E invece no: il talk show è iniziato e addio Camilleri. Ma si sarebbe trattato di un clamoroso errore tecnico. In pratica, il computer che gestisce i blocchi da mandare in onda ne ha saltato uno ed è passato al successivo, tagliando quindi la parte finale del film che in quel momento era seguito da 2 milioni e 800 mila spettatori, ovvero poco sopra il 13% di share. Numeri non stratosferici per una prima serata di Rai1, ma va ricordato che si trattava di una replica: il film era già stato trasmesso nel 2019. Fatto che sta il centralino della Rai è stato tempestato di proteste che si sono riverberate pure nei social. E ieri è stato proprio il regista del film, Roan Johnson, a puntare il dito contro Vespa. “Come si fa a commentare il fatto che un film in prima serata venga tagliato di 15 minuti perché sennò – immagino – Porta a Porta inizia troppo tardi?”, ha scritto Johnson su Facebook. “Solo persone profondamente incompetenti o in clamorosa malafede possono immaginare che io abbia l’autorità o la semplice intenzione di tagliare un programma che precede il mio per andare in onda in anticipo”, è stata la risposta di Vespa. Cui va in soccorso l’azienda, confermando l’errore. “Si è trattato di uno spiacevole errore materiale, nessuna responsabilità può essere attribuita a Porta a Porta”, fa sapere la Rai in una nota, scusandosi con i telespettatori, il regista, il produttore e il cast. Interviene poi il direttore di Rai1, Stefano Coletta. “Avevo un impegno e non ero davanti al teleschermo. Purtroppo quando tutto è informatizzato può capitare, ma allo stesso tempo non deve capitare. Ritrasmetteremo il film a dicembre”, ha spiegato il dirigente. L’errore, però, resta molto grave. “È il segno tangibile di uno sbando generale e dell’estremo caos che regna all’interno dell’azienda”, racconta una fonte. Mentre non si placa lo scontro tra Carlo Fuortes e i dipendenti. Ieri in Cda è stato annunciato il prepensionamento di circa 300 unità e confermato il taglio dell’edizione notturna dei tg regionali. “Denunceremo l’ad per comportamento anti sindacale”, annuncia l’Usigrai. A Viale Mazzini si prospettano giorni di battaglia.

Juve, 2 dirigenti non rispondono ai magistrati

Due dei sei tra dirigenti attuali ed ex della Juventus indagati a Torino per il caso delle presunte plusvalenze fittizie hanno deciso di non rispondere ai magistrati. Almeno per ora. Marco Giovanni Re e Stefano Bertola, che negli anni passati hanno ricoperto il ruolo di chief financial officer preposti alla redazione dei documenti contabili sociali, hanno annunciato di volersi avvalere della possibilità di non rispondere. “Le questioni in discussione – ha spiegato il loro legale, l’avvocato Luigi Chiappero – sono essenzialmente di carattere tecnico e necessitano di una riflessione”. Come noto, l’inchiesta per frode e false comunicazioni sociali si focalizza su alcuni scambi di calciatori avvenuti con altre società, italiane ed estere, a prezzo – secondo la Procura – decisamente superiori al loro valore di mercato. Tuttavia, sempre ieri è trapelato dalla Procura di Torino che la consulenza tecnica in corso di affidamento a un esperto di bilanci non riguarderà il valore dei calciatori scambiati nelle operazioni sospette, ma solo la “corretta collocazione delle poste e le eventuali rettifiche”.

Intanto, la Guardia di Finanza di Torino è ancora a caccia della “carta segreta” riportante – secondo gli inquirenti – accordi economici fuori sacco con Cristiano Ronaldo. Fonti legali del club bianconero fanno sapere che non sarà possibile per i pm ascoltare a sommarie informazioni Cesare Gabasio, general counsel della società, in quanto legale rappresentante della Juventus Fc, indagata a sua volta come persona giuridica.

Concorsopoli Pd, i dem censurano la relazione finale

“È stato un miracolo di Natale”. Si era espresso così, in maniera ironica, nei mesi scorsi, l’ormai ex consigliere del Pd, Eugenio Patanè, durante un’audizione della commissione regionale Trasparenza sulla vicenda della cosiddetta “Concorsopoli Pd”, il concorso del piccolo comune di Allumiere (in provincia di Roma) grazie al quale un anno fa una decina di militanti dem hanno trovato lavoro a tempo indeterminato in Regione Lazio. Il verbale di Patanè è sparito, insieme ad altre 50 pagine sulle 70 totali, dalla relazione stilata dalla presidente della commissione, Chiara Colosimo (in quota Fdi) e passata sotto le forche caudine degli emendamenti della maggioranza Pd e M5s. “Sono state rimosse tutte le parti fondamentali della relazione – ha detto Colosimo – Tutto questo mi mette in forte imbarazzo”. Critica anche l’ex pentastellata Francesca De Vito: “E pensare che tra i denuncianti c’era un consigliere del M5S di Allumiere, Roberto Taranta, abbandonato dai suoi consiglieri regionali”.

Bufera sullo spot del Parmigiano: “Contro chi lavora”

“Ma davvero lavori 365 giorni l’anno? E sei felice?”. Lo stile di vita a dir poco sacrificato del povero Renatino “che lavora qui da quando aveva 18 anni, tutti i giorni, 365 giorni l’anno”, ha commosso l’Italia, scalfendo perfino l’immagine di un’istituzione italiana, del tutto trasversale, come il Parmigiano Reggiano. “Renatino”, ovviamente, non è un personaggio reale, ma è l’omino immaginario addetto alla cagliatura del pregiato formaggio emiliano che compare nello spot girato, per l’occasione, dal regista Paolo Genovese, con un cast da David di Donatello, dove spicca l’attore Stefano Fresi. Una produzione d’eccezione per un carosello di 30 secondi che ha attirato aspre polemiche in Rete, dove gli utenti social hanno visto lo spot come una celebrazione dello sfruttamento dei lavoratori: “Una pubblicità che veicola un messaggio molto pericoloso”, scrivono diversi utenti su Twitter. “L’intento era quello di sottolineare la grande passione e impegno di chi, ogni giorno produce il Parmigiano Reggiano”, ha ribattuto l’azienda.

I sindacati denunciano il sindaco di Ferrara, parla solo con sigla ‘amica’ con pochi iscritti

Il sindaco leghista di Ferrara, Alan Fabbri, rifiuta di confrontarsi con i delegati più rappresentativi dei lavoratori e preferisce un sindacato “amico” che però ha solo una percentuale minima di iscritti fra i dipendenti del suo Comune. È cosi che a breve sulla sua scrivania arriverà una denuncia per comportamento antisindacale. Da mesi gli addetti ai servizi demografici lamentano perduranti criticità e, come prevede la legge, prima di proclamare uno sciopero hanno chiesto il 26 ottobre, tramite le associazioni di categoria di Cgil, Cisl e Uil, un tentativo di conciliazione in Prefettura con l’amministrazione comunale guidata da Fabbri. Quest’ultima non si presenta all’incontro fissato per il 3 novembre senza giustificare in alcun modo la propria assenza.

La stessa trova però il modo di partecipare qualche giorno dopo, l’8 novembre, a un altro tentativo di conciliazione in Prefettura chiesto questa volta da Diccap, un sindacato autonomo politicamente vicino al sindaco leghista che però non ha il numero minimo di iscritti (almeno il 5%) per essere considerato rappresentativo dalla legge e, perciò, titolato a indire assemblee sindacali con i lavoratori. Neanche con il Diccap si trova un accordo in Prefettura, ma incredibilmente il Comune consente al suo sindacato “amico” di indire una assemblea con i lavoratori del servizio per metterli direttamente a confronto con i dirigenti comunali scavalcando così per l’ennesima volta le altre sigle, che si sono viste così costrette a depositare una denuncia per comportamento antisindacale. Secondo l’assessore allo Stato Civile e Anagrafe del Comune di Ferrara Cristina Coletti l’assenza dall’incontro in Prefettura era dovuta solo alla mancata lettura della pec inviata dalla Prefettura e inoltre “non c’è stata alcuna assemblea autorizzata dal Comune, semplicemente il dirigente ha incontrato il personale per informarli di un nuovo servizio di centralino”. Le altre sigle ritengono invece che questo episodio dimostri una subdola marginalizzazione dei loro iscritti da parte del Comune, che dall’altra parte riserva un trattamento di favore a un sindacato in linea con la sua posizione politica. I lavoratori intendono perciò continuare la loro mobilitazione fino a quando l’amministrazione comunale non interverrà sulla mancanza di organico e sulle altre criticità garantendo ai dipendenti ritmi di lavoro sostenibili.

Mail Box

 

Non si integra vietando di dire “Maria o Gesù”

Credo che il politicamente corretto abbia ormai travalicato i confini del buonsenso. La Von der Leyen che consiglia il “buone feste” ne è un esempio. Io sono impegnato da una quindicina d’anni nell’integrazione degli extracomunitari e debbo dire che senza problemi costoro mi augurano il buon Natale e io li contraccambio nei giorni delle loro feste con le loro espressioni, che conosco ormai molto bene. E anche loro sorridono a queste imposizioni di cui non hanno alcuna necessità. Me lo hanno detto con chiarezza. Sarebbe meglio che l’Europa li aiutasse in altro modo, senza vessarli nei ricongiungimenti, senza far loro fare file inenarrabili davanti alle questure per un permesso, rendendo meno difficoltoso l’inserimento nella società e nel lavoro.

Giorgio Nonni

 

La faccia del Caimano è già nota alle procure

Riguardo al “terrore” che avrebbero i procuratori della Repubblica nel vedere la foto di Berlusconi nei loro uffici qualora venisse eletto al Quirinale, ritengo che tale terrore sia infondato perché, scorrendo la cronaca giudiziaria di questo Paese degli ultimi trent’anni, sono poche le procure italiane a non avere già la sua foto!

Enzo Ciciliani

 

Silvio al Quirinale: petizione necessaria

Trovo ottima e meritevole di successo la campagna iniziata ieri per dire NO al garante della prostituzione che possa essere il nuovo presidente della Repubblica. Mi indigna al contempo l’assordante silenzio di un giornale (Repubblica, che ormai non compro più da molto) che, in tempi passati, si oppose con fermezza al pregiudicato di Arcore. Spero e mi auguro che dia ottimi risultati questa vostra iniziativa e che ci liberi dall’incubo di vedere B. al Quirinale.

Filippo Garofalo

 

L’unico obbligo vaccinale è quello anti-Berlusconi

Finalmente gli anticorpi si attivano. Il Fatto Quotidiano è l’unico hub dove si vaccinano gli italiani contro la scandalosa ipotesi di B. al Quirinale. Con una modalità semplice quanto efficace: ricordare, con una ricostruzione a puntate delle sue azioni, chi è quest’uomo e com’è diventato ricco e potente. Fatto dopo fatto, per contrastare l’amnistia dell’amnesia. Quella che cancella tutto, perché “tanto sono tutti uguali”, “rubano tutti”, “almeno lui è simpatico”. Iniziativa meritoria di chiarezza e denuncia, che invece non si può riconoscere a Zingaretti. Che sulla candidatura di B. si è limitato a eccepire che “è un po’ troppo di parte”, sbianchettando così tutto il passato del signore di Arcore, che lo rende impresentabile. Ho simpatia per il presidente della Regione Lazio e gli riconosco qualità di amministratore pubblico, ma questa sua timidezza non fa bene al rilancio della sinistra.

Massimo Marnetto

 

Cosa stiamo lasciando alle nuove generazioni

Al sistema della crescita infinita serve forza lavoro. Da orientare alle imprese, da subito. Così dopo la coercizione del catechismo che ci inculca il Natale (quale differenza dalle scuole coraniche?), ci vuole quello del capitalismo. E scatta anche l’allarme per l’arresto della crescita che si vorrebbe infinita anche della popolazione. Più c’è gente che ha bisogno di lavoro, più diventa facile la retribuzione di qualche spicciolo l’ora. È il mercato, pezzente… Sono forse queste la basi su cui costruire e dare speranza alla Next Green Generation?

Melquiades

 

La sovranità appartiene solamente al popolo

“Bisogna trovare durante una pandemia modalità meno democratiche nella somministrazione dell’informazione”. Così delirava a In Onda, su La7, il senatore a vita Mario Monti. Ma già nel passato l’ex premier aveva espresso un’altra panzana: “I governi dovrebbero operare con maggiore indipendenza rispetto ai parlamenti e, anzi, educarli”, gli faceva eco, tempo fa, Eugenio Scalfari che dichiarava: “L’oligarchia è la sola forma di democrazia”. Al coro si era unito un commissario Ue che così pontificava: “I mercati insegneranno agli italiani a votare nel modo giusto”. Non potevano mancare anche le altre istituzioni internazionali che, addirittura, senza tanti scrupoli, entravano nel merito delle nostre leggi, raccomandando di non modificare alcune di esse (Jobs act e Fornero). Gli alunni della scuola materna, quando saranno liberi da impegni scolastici, potranno spiegare a tutta quella bella gente che l’Italia è una Repubblica parlamentare in cui la sovranità appartiene al popolo e non all’uomo della Provvidenza.

Maurizio Burattini

Da Cremona. “Noi donne infermiere trattate come prostitute in carcere”

“Prima di essere donna sono un’infermiera o prima di essere infermiera sono una donna?”. È questa, caro Fatto Quotidiano, la domanda che gran parte del personale sanitario femminile (e non solo femminile) dell’Ospedale Maggiore di Cremona si pone in questi giorni, in attesa che dal 2022, quindi fra poco, divenga obbligatorio – e non più come opera fornita su base volontaria – andare a prestare servizio nella Casa Circondariale, ossia il carcere maschile dove sono reclusi oltre 400 detenuti, il 70 per cento dei quali stranieri, in turni di due operatrici di neurologia e due di psichiatria in rotazioni della durata di tre mesi.

Che significa essere infermieri? Essere infermieri significa alleviare i dolori altrui senza operare distinzione di genere, razza, religione o altro, e senza mai permettersi di avere paura. Lo sappiamo, ed è tutto giusto. Ma è lecito essere obbligati a fare tutto ciò quando il rapporto di cura e fiducia, che per forza di cose dev’essere reciproco, viene totalmente a mancare perché il paziente non accetta di essere curato da una donna, una donna che lavora, libera, a capo scoperto, una donna che fin dal suo primo palesarsi viene rifiutata, come donna prima ancora che come professionista, e diventa vittima di insulti e intimidazioni tipo: “Sei una puttana”; “Appena esco ti trovo”; ”Una donna non può dirmi quando urinare” e via dicendo, per non dire l’essere fatta oggetto di vere e proprie minacce?

Noi vorremmo che l’Asst di Cremona non obbligasse le operatrici sanitarie a operare in simili condizioni anche se la legge del 12 giugno 1990 n. 146, modificata dalla legge 11 aprile 2000 n. 83, prevede un’ordinanza di precettazione in presenza di un “fondato pericolo di pregiudizio grave e imminente ai diritti della persona costituzionalmente garantiti”.

Dopo i massacranti ritmi di lavoro dei mesi della pandemia, non ancora debellata, con lo stress che ne è derivato e ne deriva, obbligarci a quanto descritto significa sottoporci a una vera e propria roulette russa. Siamo infermiere e siamo donne, sì. Ma, appunto, siamo persone.

Un’infermiera di Cremona

Tentazione complottista

Bisogna non essere complottisti. Bisogna esser consapevoli di essere stati coinvolti da una situazione di rilevanza storica. Bisogna comprendere che gli errori siano inevitabili in una pandemia così impegnativa, soprattutto per la gestione in un mondo globalizzato. Le decisioni politiche non sono mai facili e non riescono mai a soddisfare tutti. Questo è il mantra che mi ripeto, nonostante la tentazione di lasciar libero il pensiero di andare in tutt’altra direzione. Ci sono alcuni aspetti di questa pandemia che viene difficile capire. Interrogativi ai quali il mantra non è capace di rispondere. 28 novembre 2021, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, durante una visita in Lettonia dichiara: “Prendiamo la variante Omicron molto seriamente e sappiamo che è una corsa contro il tempo. Perché? Perché non sappiamo tutto di questa variante, ma è una variante molto preoccupante”. L’Oms ribadisce il concetto ma, grazie a sconosciute proprietà magiche, ancor prima che parlasse il massimo organismo Onu in materia sanitaria avevano ‘parlato’ i mercati: prima le Borse asiatiche, poi l’Europa, infine Wall Street sono andati a picco per il timore di un nuovo colpo all’economia mondiale: per i tre indici principali è stato il peggior Black Friday da oltre 70 anni. Bene solo i titoli farmaceutici. Intanto si ha una stretta sui viaggi, l’Ue bandisce gli arrivi da 7 Paesi dell’Africa del Sud, gli Usa da 8, il Brasile da 6. Offenderei il curriculum della presidente della Commissione Ue se solo ipotizzassi che, prima di pronunciarsi in pubblico, non pesi le conseguenze di ogni parola. Ha valutato anche questa volta? Mi fermo qui per evitare di uscire dal mio terreno di competenza. Restano in sospeso alcune domande. Perché non c’è stato un simile comportamento quando si è identificata la variante Delta e la Delta Plus? Perché non sono state chiuse le frontiere dalla Gran Bretagna? Perché, se la variante Omicron è conosciuta solo da qualche giorno, un’azienda ha dichiarato che entro fine anno potrebbe già essere pronto il vaccino, processo che, a quanto detto dalla stessa, necessità di circa 90 giorni? Anche qui si tratta di un caso di veggenza?

 

direttore microbiologia clinica e virologia del “Sacco” di Milano

La legge di Bilancio dei 1.500 lettori

Dal 1959, da quando cioè Enzo Forcella affidò a Tempo Presente le sue confessioni “onorevoli e un poco ridicole”, dell’incesto quotidiano tra giornalismo e politica – che è antropologico assai prima che d’interesse – si sa all’ingrosso tutto. L’incipit è un classico: “Un giornalista politico, nel nostro Paese, può contare su circa millecinquecento lettori: i ministri e i sottosegretari (tutti), i parlamentari (parte), i dirigenti di partito, sindacalisti, alti prelati e qualche industriale che vuole mostrarsi informato. Il resto non conta, anche se il giornale vende 300mila copie (…) Trascurando questo elemento, ci si esclude la comprensione dell’aspetto più caratteristico del nostro giornalismo politico, forse della intera politica italiana: è l’atmosfera delle recite in famiglia”. Ora possiamo ammettere che siano cambiati i numeri e magari i lettori/spettatori rilevanti sono cinque o seimila, ma quella “atmosfera delle recite in famiglia” è ancora il centro di tutto: è per questo che il nonno già potente e oggi un po’ fané può dire in tv che servono “modalità meno democratiche dell’informazione” sul Covid mentre i cronisti in studio non fanno una piega, anzi vogliono capire meglio l’ardito concetto. Ma qui siamo all’avanspettacolo, in famiglia si recita pure in modo meno grossier: i giornali in questi giorni ci raccontano “dell’assalto dei partiti alla manovra”, della “carica dei 6.300 emendamenti” presentati in Senato ben sapendo, o almeno si spera, che i parlamentari quegli emendamenti li presentano solo per dire di averlo fatto, non avendo alcuna speranza non che passino, ma che siano discussi. Alla fine i gruppi ne “segnaleranno” circa 500, assai meno saranno quelli approvati, molti dei quali per spartirsi i 600 milioni che il governo, come d’uso, lascia graziosamente agli eletti dal popolo per piazzare qualche marchetta (a quel punto i giornali scopriranno le marchette, tranne quelle che dovessero riguardare l’editoria). Questo circolo non virtuoso un tempo era almeno una finestra sul potere, oggi neanche quello: non più i soli giornalisti – come scrisse qualche anno fa Stenio Solinas parafrasando Evelyn Waugh – pure politici e ministri ormai stanno sotto la tavola a raccogliere briciole immaginando la torta.