Renzi, nuovo viaggio d’affari in Russia

Un nuovo viaggio all’estero per Matteo Renzi. Questa volta a Mosca. La notizia, riportata ieri dal sito Dagospia, è stata confermata al Fatto da due fonti che hanno spiegato il motivo del viaggio del senatore. “Matteo Renzi ha avuto un incontro di routine con il dottor Vincenzo Trani, presidente e azionista di Delimobil, nell’ambito della sua partecipazione come membro del consiglio d’amministrazione dell’impresa”, ci ha fatto sapere un portavoce di Delimobil, società di car sharing che nell’ottobre scorso ha annunciato la quotazione a Wall Street, salvo poi decidere di posticiparla per non meglio specificate “condizioni del mercato”.

Fonti vicine all’ex premier confermano che il viaggio di Renzi è stato fatto per “motivi professionali, non politici: nessun incontro con Vladimir Putin o con il sindaco di Mosca, nessuna conferenza, solo una trasferta di mezza giornata per incontrare il titolare della Delimobil”.

Le due parti in causa non hanno voluto far sapere con precisione quando è avvenuto l’incontro, che secondo le informazioni raccolte ha avuto luogo la scorsa settimana, né chi si è fatto carico delle spese di viaggio e pernottamento di Renzi. Di sicuro il leader di Italia Viva è stato ospite del Park Hyatt, hotel a 5 stelle situato nel primo anello della città, vicino al teatro Bolshoy e al Cremlino. Uno degli alberghi più lussuosi della capitale russa, dove il costo delle stanze va dai 500 ai 5mila euro a notte. Non a caso è qui che fanno spesso sosta vip internazionali come Madonna e Rihanna. Probabile che i costi di viaggio di Renzi siano sostenuti dalla Delimobil, visto che la società ha scritto nel prospetto per la quotazione a Wall Street: “Rimborsiamo le spese sostenute dai nostri amministratori”.

La Delimobil è una società di car sharing controllata da Trani e partecipata dalla Vtb, banca russa il cui principale azionista è il governo guidato da Putin. La sua attività principale si svolge in Russia, dove Trani vive da anni, ma la holding posta al vertice della catena societaria è registrata in Lussemburgo, dove le tasse sulle plusvalenze finanziarie sono bassissime. Oltre a essere il numero uno di Delimobil, Trani è anche presidente della camera di commercio italo-russa. Il mandato di Renzi come consigliere d’amministrazione scade nel 2024. Non è noto il compenso previsto per il suo ruolo, ma di certo l’incontro tra lui e Trani è avvenuto pochi giorni dopo un evento che ha sconquassato i programmi della Delimobil: il rinvio della quotazione negli Usa.

Trani aveva detto di voler raccogliere almeno 240 milioni di dollari attraverso l’Ipo. “Nonostante abbia ricevuto un interesse di alta qualità da parte degli investitori, la società ha deciso di non procedere con l’offerta a causa delle condizioni di mercato”, è stata la stringata spiegazione offerta dalla società, che ha fatto sapere di voler rimandare l’operazione all’inizio del prossimo anno.

Lobbisti subito: niente anno di pausa per gli ex ministri

Al centrodestra e a Italia Viva pare non stia bene neanche la pausa di raffreddamento di un anno dalla cessazione degli incarichi di governo prima di andare a fare i lobbisti: il messaggio è stato chiaro, ieri, dopo una riunione di maggioranza in cui è stato chiesto di ridiscutere non solo una parte importante dell’impianto della norma ma anche la sua essenza. Lobbisti subito: vuoi mettere dover tornare ai lavori precedenti? Così, la norma in discussione in commissione Affari costituzionali potrebbe non arrivare mai in aula o, se pure dovesse arrivarci, tra discussione generale ed elezioni del presidente della Repubblica, potrebbe finire nel dimenticatoio e arenarsi nel nuovo clima, tra nuove alleanze o fine delle vecchie.

Ma facciamo un breve riassunto: entro il 22 novembre la commissione della Camera avrebbe dovuto votare il mandato al relatore (la deputata Vittoria Gambino) per una legge che regola le attività dei lobbisti ovvero di tutti i portatori di interesse, nei confronti del decisore pubblico, quindi parlamentari, membri del governo, vertici degli enti pubblici), sia che lavorino per le non profit che per le grandi multinazionali.

L’Italia infatti è tra i pochi Paesi a non essere dotata di regolamenti sul tema: non esiste per legge l’obbligo di un registro in cui i lobbisti possano iscriversi e dichiarare in trasparenza obiettivi e budget e incontri così come non esistono regole sull’esercizio di queste attività per i parlamentari o per chi ha ricoperto incarichi di governo. L’intento della norma è introdurre questi elementi: maggiore trasparenza e limiti all’esercizio di questa attività sia durante il mandato parlamentare che dopo la cessazione dell’incarico.

Sembrava oltretutto che la maggioranza avesse trovato la quadra, con la benedizione del governo: erano stati unificati i testi di Pd, M5S e Italia Viva, si era discusso sugli emendamenti e trovati i compromessi: nessuna iscrizione nel registro per le associazioni datoriali come Confindustria, il divieto per i Parlamentari di fare attività di lobbying solo durante il mandato (per poter comunque iniziare subito dopo) e infine un solo anno – invece di tre – di “raffreddamento” dalla cessazione dell’incarico per i membri del governo e i vertici degli enti pubblici. E invece, a un passo dal mandato, martedì da Forza Italia è arrivato lo stop su alcuni emendamenti, appoggiato da Lega, Fdi e dai renziani. Sembrava che il problema fosse l’anno di sospensione per i vertici degli enti privati che ricevono finanziamenti pubblici e invece, ieri, da un incontro di maggioranza è emerso che il problema è proprio lo stop di un anno. Non vogliono neanche quello o meglio, dicono di volerlo rimodulato.

Il problema è che quella formulazione era stato il frutto di un compromesso che aveva portato il M5S e il Pd a cedere, ad esempio, sull’inclusione di Confindustria&C. nell’obbligo di registro. Il patto è praticamente venuto meno all’ultimo minuto e se la legge non dovesse arrivare in discussione in Aula presto (sarebbe la prima volta dopo centinaia di proposte migrate in commissione) è quasi certo che il voto scalerebbe a gennaio, nel pieno della fase per l’elezione al Quirinale.

Oggi si discuterà ancora mentre M5s e Pd cercano di capire fino a che punto possano cedere. Il punto di partenza è che se si rimette in discussione l’anno di pausa, debba essere fatto lo stesso con l’intero impianto degli accordi. Salvo sorprese, è comunque molto difficile che si vada in aula questa settimana anche perché Italia Viva – proprio mentre il suo leader Matteo Renzi è al centro delle polemiche per il suo ruolo di conferenziere – in parte si è astenuta dal voto come twittato da Maria Elena Boschi e su alcuni importanti emendamenti ha votato contro il parere del relatore e del governo. Con il centrodestra, non sembrano intenzionati a spostarsi dalla loro (rendita di) posizione.

Gli affari con Carboni, le 3 tv e la prima volta da indagato

1980. Il 19 aprile, tre mesi dopo la telefonata con Vittorio Mangano sui presunti “cavalli”, Marcello Dell’Utri partecipa a Londra alle nozze di Jimmy Fauci, pluripregiudicato amico dei boss, che gestisce il traffico di droga del clan Caruana fra Italia, Gran Bretagna e Canada: presenti alla cerimonia anche altri mafiosi come Teresi, Di Carlo e Cinà. Mangano invece non c’è: il 5 maggio viene arrestato per traffico di droga su mandato di Giovanni Falcone, che lo farà condannare al processo Spatola per associazione per delinquere con la mafia e poi al maxiprocesso per traffico di droga (resterà in carcere 11 anni).

Secondo il pentito Angelo Siino, “ministro dei lavori pubblici” di Totò Riina, da quando Dell’Utri ha lasciato il Biscione, il clan mafioso Pullarà tartassa il Cavaliere con richieste di denaro sempre più stringenti (“volevano tirargli il radicone”, sradicarlo, spennarlo). Anche per questo Silvio richiama Marcello di gran carriera per promuoverlo, di fatto, a numero tre del gruppo Fininvest, dietro a sé e a Confalonieri.

Frattanto una soffiata lo avverte di una nuova, imminente visita della Guardia di Finanza in casa Fininvest. Berlusconi, terrorizzato, scrive una lettera al segretario del Psi Bettino Craxi (appena rientrato nella maggioranza del governo Cossiga), perché intervenga a “sventare” la minaccia: “Caro Bettino, come ti ho accennato verbalmente, Radio Fante ha annunciato che dopo la visita a Torno, Guffanti e Cabassi, la Polizia tributaria si interesserà a me… Ti ringrazio per quello che crederai sia giusto fare”.

Nello stesso anno conosce l’attrice ventiquattrenne Miriam Bartolini, in arte Veronica Lario, vedendola recitare seminuda al suo teatro Manzoni, nella commedia Il magnifico cornuto, messa in scena dalla compagnia di Enrico Maria Salerno. Se ne innamora e ne fa la sua amante, alloggiandola clandestinamente per tre anni in un’ala segreta del palazzo di via Rovani.

1981. Il nome di Silvio Berlusconi viene scoperto nelle liste della loggia P2, sequestrate a Licio Gelli a Castiglion Fibocchi dalla Guardia di Finanza per ordine dei pm Gherardo Colombo e Giuliano Turone, che indagano sul falso sequestro mafioso del bancarottiere Michele Sindona.

Intanto, in Sicilia, i vecchi amici boss Bontate, Teresi&C. vengono sterminati dai corleonesi, scesi a Palermo al seguito di Salvatore Riina, Bernardo Provenzano e Leoluca Bagarella per prendere il potere dentro Cosa Nostra. D’ora in poi i rapporti con Arcore li gestiscono i nuovi “reggenti” che hanno rimpiazzato Bontate al vertice della famiglia di Santa Maria del Gesù: i fratelli Ignazio e Giovanbattista Pullarà.

1982. Il Cavaliere acquista Italia 1 dall’editore Edilio Rusconi.

1983. Silvio Berlusconi subisce la sua prima inchiesta giudiziaria. Nell’ambito di un’indagine su droga e riciclaggio di denaro sporco, la Guardia di Finanza gli mette sotto controllo i telefoni e il 30 maggio redige un rapporto investigativo per il giudice istruttore di Milano, Giorgio Della Lucia: “È stato segnalato che il noto Berlusconi Silvio, interessato all’emittente televisiva privata Canale 5, finanzierebbe un intenso traffico di sostanze stupefacenti dalla Sicilia con diramazioni sia in Francia che nelle altre regioni italiane (in particolare Lombardia e Lazio). Il predetto sarebbe al centro di grosse speculazioni edilizie e opererebbe nella Costa Smeralda avvalendosi di società di comodo, aventi sede a Vaduz e comunque all’estero. Operativamente le società in questione avrebbero conferito ampio mandato a professionisti della zona. Roma, 30 maggio 1983”. L’inchiesta sarà archiviata nel 1991.

Di certo c’è che negli anni 80 Berlusconi fa affari con il faccendiere sardo Flavio Carboni, legato alla Banda della Magliana e a uomini di Cosa Nostra. È lui nel 1982 l’ultima persona a vedere vivo il banchiere del- l’Ambrosiano Roberto Calvi a Londra, prima che finisca impiccato sotto il ponte dei Frati Neri. Ed è lui a cedere al Cavaliere i terreni e il rustico su cui sorgerà Villa Certosa.

In Costa Smeralda Berlusconi si lancia nella mega-speculazione “Olbia 2”, diventando socio di fatto di Carboni (finanziato dal boss Pippo Calò). E acquista a Porto Rotondo quattro delle dodici società create dal faccendiere: le altre otto per metà finiscono alla mafia di Calò & C., e per metà rimangono a Carboni.

1984. “Sua Emittenza” acquista anche Rete 4 dal gruppo Mondadori e inizia a rastrellare azioni del gruppo editoriale controllato da Carlo De Benedetti e dalla famiglia Mondadori-Formenton. Così diventa titolare di tre network televisivi nazionali: Canale 5, Italia 1 e, appunto, Rete 4 alle quali sono affiliate una miriade di emittenti regionali (appena liberalizzate da una sentenza della Consulta), così può entrare in concorrenza diretta con le tre reti della Rai. Ma la legge gli vieta di trasmettere i programmi in diretta o comunque in simultanea su tutto il territorio nazionale, prerogativa riservata al servizio pubblico. Lui però si organizza per aggirare le norme. Fa incetta di antenne su tutta l’Italia, grazie alla Elettronica Industriale del suo nuovo amico Adriano Galliani, e così ottiene una copertura quasi totale da nord a sud. E inizia a trasmettere programmi preregistrati in simultanea su tutte le emittenti regionali con il marchio dei suoi tre network e con un “effetto diretta” palesemente fuorilegge.

Il 24 maggio, proprio per questioni di antenne, il Cavaliere è ufficialmente indagato (anzi, imputato) per la prima volta. Il vicecapo dell’Ufficio Istruzione di Roma, Renato Squillante, lo interroga in quanto indiziato per interruzione di pubblico servizio. L’indagine riguarda le presunte antenne abusive sul Monte Cavo che interferiscono nelle frequenze radio della Protezione civile e dell’aeroporto di Fiumicino. Gli imputati sono un centinaio. Berlusconi è accompagnato dall’amico avvocato Cesare Previti ed è fortunato: la sua posizione verrà subito archiviata il 20 luglio 1985, mentre altri 45 imputati (rappresentanti di altre emittenti locali) rimarranno sulla graticola fino al 1992 e se la caveranno solo grazie all’amnistia. Non possono sapere che Squillante è sul libro paga della Fininvest e nasconde un conto corrente in Svizzera, comunicante con quello di Previti.

(2 – continua)

Tornano le Papi-girls (però non parlano più)

Udienza lampo, ieri, al processo Ruby 3 con imputati Silvio Berlusconi e 29 testimoni dei processi Ruby 1 e 2, accusati di falsa testimonianza e corruzione in atti giudiziari. I giudici della settima sezione, presidente Marco Tremolada, hanno letto l’ordinanza con cui hanno respinto la richiesta delle difese che volevano l’assoluzione delle ragazze, immediata, dal reato di falsa testimonianza. Dunque il processo, che ieri poteva entrare in un buco nero, invece prosegue. Tutto era nato con un’altra ordinanza, quella del 3 novembre: i giudici avevano accolto un’eccezione proposta dalla difesa Berlusconi all’inizio del processo, due anni e mezzo fa, e avevano dichiarato inutilizzabili le testimonianze di 18 ragazze accusate di aver mentito nelle aule dei processi Ruby 1 e 2: perché non avrebbero dovuto rivestire il ruolo di testimoni, ma – dalla primavera 2012 – di imputate in reato connesso (dunque non obbligate a dire la verità), dato che la Procura già allora “aveva elementi indizianti le elargizioni di Berlusconi in favore delle ragazze”, pagate per farle mentire ai giudici, raccontando che le feste del bunga-bunga ad Arcore nel 2010 erano solo “cene eleganti”.

Svaporata a questo punto l’accusa di falsa testimonianza, le difese delle ragazze hanno chiesto, codice alla mano, che il Tribunale facesse la “declaratoria immediata” di innocenza per quel reato, senza aspettare la fine del processo. No, ha risposto il Tribunale. Secondo i giudici, tenuto “conto dello stato avanzato, ma non completato dell’istruttoria” del dibattimento, “non sussistono i requisiti di evidenza” per applicare oggi l’articolo 129 del codice di procedura penale che prevede appunto l’obbligo di dichiarare l’immediato proscioglimento.

Così continua il processo che altrimenti si sarebbe avvitato su una questione cruciale: con il proscioglimento immediato delle imputate, i giudici sarebbero diventati “incompatibili” e non avrebbero potuto poi pronunciarsi sull’altro reato contestato, la corruzione in atti giudiziari. Perché un giudice non può giudicare due volte gli stessi imputati per gli stessi fatti. Sembra dunque essere prevalsa la tesi dell’accusa: i due reati – falsa testimonianza e corruzione – sono così strettamente intrecciati da essere inscindibili. Stralciarne uno – aveva detto il pm – sarebbe “folle”. Entrambi i reati saranno giudicati dunque solo alla fine del processo. E per l’accusa, se anche la falsa testimonianza dovesse davvero scomparire, resterebbe la corruzione, perché le ragazze sono diventate “pubblici ufficiali” nel momento in cui sono state ammesse dal Tribunale come testimoni nel processo Ruby 1: e cioè il 23 novembre 2011 (prima della primavera 2012 in cui secondo il Tribunale dovevano assumere il ruolo di imputate). I pm, il procuratore aggiunto Tiziana Siciliano e il sostituto Luca Gaglio, aggiungono che anche l’eventuale “cessazione della qualità pubblico ufficiale”, secondo la giurisprudenza e il codice penale (articolo 360), non fa cadere il reato, contestato dall’accusa fino al 2015.

Intanto però un effetto è stato raggiunto: le ragazze saranno d’ora in avanti mute. Ora stanno zitte anche quelle che – come Barbara Guerra, Alessandra Sorcinelli e Marysthell Polanco – avevano attaccato Berlusconi e annunciato di voler parlare in tribunale, spiegando perché avevano mentito sulle feste di Arcore. Non renderanno in aula le dichiarazioni spontanee che avevano promesso. Hanno già rinunciato ad essere sentiti anche l’avvocato Luca Giuliante, ex legale di Karima El Mahroug, in arte Ruby, e l’ex fidanzato di Ruby, Luca Risso.

A gennaio il videomessaggio di B. per candidarsi al Colle

Al posto del “miracolo” sarà il “sogno italiano”. Il “nuovo sogno italiano”. Al posto dello sgabuzzino della villa di Macherio, dove abitava la moglie Veronica, con ogni probabilità ci sarà la villa di Arcore o la scrivania di villa Zeffirelli, nuovo quartier generale romano sull’Appia Antica. L’obiettivo però non è cambiato: dopo 27 anni, Silvio Berlusconi vuole scendere di nuovo in campo. Allora, nel 1994, il videomessaggio trasmesso a reti Fininvest unificate (“l’Italia è il Paese che amo…”) serviva per lanciare Forza Italia e correre da leader politico alle elezioni mentre crollava il sistema dei partiti. Oggi il videomessaggio servirà per rincorrere il sogno di una vita, quello che aveva promesso anche a mamma Rosa: la Presidenza della Repubblica. Ufficializzando, così, la sua candidatura. L’idea di Berlusconi e dei suoi consiglieri è quella di non registrarlo adesso – “è troppo presto” dicono ad Arcore – ma dopo Capodanno, alla vigilia del grande ballo del Quirinale. Se il leader di Forza Italia capirà che le condizioni per essere eletto saranno concrete, deciderà di giocare la carta del videomessaggio agli italiani.

D’altronde, mentre prosegue la caccia ai voti per essere eletto, Berlusconi sa benissimo che prima o poi una mossa per ufficializzare la sua candidatura dovrà farla. E, come suo solito, lo farà in grande stile. L’ipotesi del videomessaggio quindi sta prendendo sempre più piede tra i suoi consiglieri. L’idea è semplice: parlare a tutti gli italiani per convincere i parlamentari a scrivere il suo nome nel segreto dell’urna. Lo slogan su cui si sta riflettendo è: “Un nuovo sogno italiano”. Un modo per rievocare il 1994, ma allo stesso tempo presentarsi come il garante delle speranze dei cittadini. Un’idea non nuova visto che il remake del discorso del 1994 Berlusconi lo aveva già fatto nel 2019, in occasione del 25 esimo anniversario, alla vigilia delle elezioni europee. Questa volta però il nemico da battere non saranno più i “comunisti” o il M5S ma il coronavirus, la crisi economica e le “fratture sociali” del Paese”. Per questo Berlusconi sta pensando a un discorso che si baserà su tre principi: la lotta al Covid e i vaccini “per tutti”, la rinascita italiana come ai tempi del Dopoguerra e soprattutto la pacificazione nazionale dopo “trent’anni di guerra sulla giustizia”. Un modo, pensano ad Arcore, anche per tendere una mano ai suoi avversari storici. A questo aggiungerà anche una rappresentazione di sé che è già stata in parte anticipata con l’opuscolo che Berlusconi nelle ultime settimane ha fatto recapitare a tutti i parlamentari. Una brochure in cui si presenta come l’erede del liberalismo di Giolitti e del cattolicesimo di don Sturzo e De Gasperi e ricorda i suoi valori cardine: l’europeismo, la cristianità e il garantismo. Prima di gennaio, però, Berlusconi non starà fermo. Mentre continua la caccia ai peones, per tutto dicembre tornerà al centro della scena. Voci di corridoio parlano anche di un suo ritiro a Merano per una beauty farm in vista della sfida del Quirinale, ma ieri lo staff del leader di Forza Italia smentiva seccamente. A ogni modo Berlusconi vedrà spesso gli alleati Matteo Salvini e Giorgia Meloni e continuerà a dare interviste per corteggiare i parlamentari: solo nelle ultime due ha elogiato il Reddito di cittadinanza e le tematiche ambientaliste per lisciare il pelo agli ex M5S. Avance confermate ieri anche da Luigi Di Maio che, pur auspicando un accordo col centrodestra e spiegando che l’ex premier “sarà fregato dai suoi”, ha detto: “Non sottovalutiamo la presa di Berlusconi sul Parlamento, lui ci crede”. Ed è proprio così. Non è un caso che a sostenere l’ex premier ci siano gli stessi che lo aiutarono, alcuni malvolentieri, a scrivere il discorso del 1994.

Tra questi Fedele Confalonieri, Gianni Letta e Marcello Dell’Utri. Manca quel Paolo Del Debbio che scrisse la prima bozza del discorso per la discesa in campo. Ironia della sorte, 27 anni dopo, proprio Berlusconi ha deciso di rinnegare il suo ghostwriter chiudendo il suo programma tv Diritto e Rovescio per tutte le feste natalizie fino all’ultima settimana di gennaio. Obiettivo: frenare il “telepopulismo” proprio quando avrà bisogno di presentarsi come uno “statista” moderato.

 

I PARERI

 

Grottesco

Silvio ghigna come Joker: adesso il parlamento è il suo harem

Una fiera della vanità, un trono riservato a re taumaturghi osannati dal popolo e da tutta la classe politica e da tutta la stampa anche quando hanno un passato molto insudiciato: la corsa al Quirinale è questa, e i candidati al grottesco avanspettacolo non mancano. Primeggia fra loro Berlusconi, che forse scherza forse fa sul serio ma comunque ghigna come un Joker e ci guadagnerà.
È stato membro della P2, frodatore del fisco, corruttore, premier inaffidabile, ma da ora in poi si bisbiglierà: nonostante tutto è stato candidato alla massima carica dello Stato, corteggiato da non pochi parlamentari non meno vanitosi di lui, affamati di posti, di ribalta, di soldi o di impunità. Il Parlamento come suo nuovo harem: c’è chi lo ritiene inverosimile ma tante cose inverosimili s’inverano, non solo da noi. È così allettante essere Capo dello Stato in Italia, più che altrove: nessuno oserà più avvicinarsi al Sublime Scranno senza inchinarsi, e ogni critica sarà bandita e sarà sempre Natale.

Barbara Spinelli

 

Perché no

Processi e pessima eredità culturale: l’Italia merita più dignità

Di tutte le cose assurde che ti possono capitare nella vita – parecchie direi – questa è la più assurda: trovarsi a firmare una petizione per non vedere Silvio Berlusconi presidente della Repubblica. Lo dico per me, cittadino che intende conservare un po’ di dignità, e anche per la Repubblica Italiana, che un recupero di dignità se lo meriterebbe. È l’assurdo dell’impensabile che qualcuno però pensa, e lui più di tutti. Ma insomma tocca dire, fermi e gentili: no. Per una lista infinita di motivi conficcati da trent’anni nel corpo del Paese.
Le inchieste, le condanne, le millemila prescrizioni, e lo sappiamo. Ma anche la curvatura cultural-ideologica che l’uomo ha dato al Paese. Ma anche l’indefesso attacco alla magistratura. Ma anche – nella folle eventualità i dettagli raccapricciano – il suo ritratto presidenziale in ogni aula di tribunale: una cornice dorata, una maschera sorridente, la vittoria dei potenti impuniti, la volpe eletta guardia del pollaio. Ecco. No.

Alessandro Robecchi

 

Inadatto

Non ci si può improvvisare uomini delle istituzioni, e lui non lo è

Con un Paese che sta così faticosamente riprendendo a camminare, e devo dire con un ruolo riconosciuto anche all’estero, mi sembra davvero inopportuno ritrovarci davanti la proposta di Silvio Berlusconi presidente della Repubblica. Dobbiamo ricordarci che Berlusconi non è un uomo delle istituzioni, ha fatto una scelta diversa. Anche quando ricopriva importanti ruoli politici, è rimasto un imprenditore, ha sempre visto il mondo e la società con gli occhi di un imprenditore. D’altra parte era entrato in politica dopo Tangentopoli proprio perché era mancata la rappresentanza partitica di quel settore.
Non ci si può improvvisare uomini delle istituzioni né tanto meno presidenti della Repubblica. Mi sembra che per un capriccio personale l’Italia rischierebbe di aprire una voragine nel suo percorso di sviluppo. Dovrebbe essere lo stesso Berlusconi a capirlo e a fare un passo indietro.

Monica Guerritore

“Emilio, era legittima difesa: c’è chi vuole cancellare un pezzo di mondo”

Michele Rech, per tutti Zerocalcare, è stato tra le ultime persone a vedere Emilio Scalzo prima che lo portassero via. L’attivista No Tav è stato condotto in carcere in attesa dell’estradizione in Francia, dove sarà processato con l’accusa di aver aggredito un agente della gendarmerie, lo scorso maggio, durante una manifestazione di solidarietà per i migranti che attraversano il confine in Alta Val di Susa. “Ero a Torino per lavoro e avevo la mattinata libera, sono passato a salutarlo – spiega il disegnatore (che ha vissuto in Francia da bambino) –. Volevo portare il mio contributo al presidio che c’era sotto casa sua. Sono andato via mezz’ora prima che venissero a prenderlo, non pensavamo sarebbe successo oggi”.

Come sta Scalzo?

Sereno, con la determinazione di chi sta dalla parte del giusto, lucido e consapevole. Non era demoralizzato, né impaurito. Sapeva cosa sarebbe successo, aspettava quel momento a testa alta.

L’accusa è seria, Scalzo avrebbe colpito un poliziotto con un bastone.

Chi legge solo i capi di imputazione può avere dubbi sull’opportunità di stare dalla sua parte, lo capisco. Io dubbi non ne ho. È stato arrestato in una manifestazione per aiutare il passaggio del confine di chi scappa dalla guerra. Sono le stesse persone di cui parliamo tutti, per le quali si ostenta tanta compassione. Emilio l’ha messa in pratica. La gendarmeria ha cercato di impedire quel corteo con lacrimogeni e manganelli. Emilio ha più di 60 anni, non è un inveterato delinquente e nemmeno un ragazzino. Non ho nessun imbarazzo nel dire che sto dalla sua parte.

Da militante, quale pensi sia il limite tra lotta politica e azioni violente?

Quando è per difendersi, penso ogni atto sia legittimo a prescindere. Ma è un dibattito che non mi appassiona. Penso ogni azione si misuri in base al contesto. In dittatura è legittima una cosa, in un altro sistema ne è legittima un’altra. È inutile farne una questione dogmatica.

Scalzo è stato portato via da un corteo di auto della polizia, come un grande criminale.

Tutto quello che succede intorno a Torino e alla sua Procura è completamente sproporzionato. C’è una quantità incredibile di denunce, non solo nel mondo No Tav, ma anche in quello dell’autogestione studentesca. Persone sepolte in galera e e centinaia di procedimenti penali. Dana Lauriola (attivista No Tav, ndr) è ai domiciliari dopo mesi di carcere, Maria Edgarda Marcucci è sotto sorveglianza speciale per aver partecipato alla guerra delle donne curde contro l’Isis. C’è il tentativo di cancellare tutto un pezzo di mondo con un accanimento che non ha niente di democratico.

Il successo non ha cambiato il tuo sguardo sulla realtà, né la voglia di esporre la tua militanza.

È proprio il contrario. Capisco chi è sotto ricatto economico e ha paura di esporsi, ma quando hai una posizione di privilegio non puoi stare zitto per per questioni di consenso. Mi sentirei una persona orrenda e non potrei guardarmi allo specchio.

Il salvatore di migranti e l’“eccesso di giustizia”

Operazione di polizia in grande stile, ieri a mezzogiorno, a Bussoleno, in Val di Susa. Intanto che due blindati sbarravano le vie d’accesso, uomini della Digos scavalcavano il recinto dell’abitazione di Emilio Scalzo, che dal settembre scorso vi scontava gli arresti domiciliari, per tradurlo nel carcere di Torino da dove verrà estradato a Gap, in Francia, entro dieci giorni, in applicazione di un mandato di arresto europeo. La Corte d’Appello torinese è stata lesta ad accogliere la richiesta della Procura generale, secondo cui il pacifico presidio di solidarietà dei militanti No Tav avrebbe potuto ostacolare l’esecuzione della consegna “generando allarme per la pubblica incolumità”.

Proprio così, a volte la giustizia sa mostrarsi zelante nel- l’accanirsi su di un uomo giusto, come tale riconosciuto da tutti suoi compaesani. Emilio Scalzo, 66 anni, viene da una famiglia siciliana difficile, ha otto fratelli, fra cui alcuni in carcere, ma non li ha mai seguiti sulla cattiva strada. Il suo banco di pescivendolo è stato una presenza fissa nei mercati di lassù. Dal 2015 è impegnato nel movimento No Tav e nel soccorso ai migranti che cercano di passare il confine rischiando l’assideramento lungo i sentieri alpini. La Gendarmerie francese li respinge, spesso facendo ricorso alla violenza. Durante una manifestazione di protesta a Clavière, Emilio si è visto arrivare addosso un agente che, scontratosi con lui, è finito a terra. La corporatura atletica e i trascorsi giovanili da pugile stavolta gli si sono ritorti contro: la Francia vuole processarlo e l’Italia ha deciso di consegnarglielo.

 

Sproporzionata e inutile operazione di polizia

Proprio ieri mattina, a Bussoleno, era giunto anche Zerocalcare per abbracciare Emilio, unendosi ai manifestanti che circondavano da giorni la casa, riscaldandosi con caldarroste e polenta. Ha appena fatto in tempo a portargli la sua solidarietà. Subito dopo è scattata la sproporzionata, inutile operazione di polizia. Che ancora una volta, come a Riace, come a Trieste, si accanisce contro chi pratica il soccorso e l’accoglienza dei migranti.

Intanto che Emilio Scalzo è rinchiuso in una cella delle Vallette, la temperatura notturna sui sentieri valsusini innevati scende a dieci gradi sottozero. Con pochi mezzi a disposizione, il comitato della Croce Rossa di Susa coordina i volontari impegnati a nutrire, rivestire e quando possibile alloggiare migliaia di migranti disposti a tutto pur di attraversare la frontiera. Il dormitorio di Oulx non è certo in grado di ospitarli tutti. Tra gennaio e ottobre sono state circa diecimila le persone assistite, tra cui più di mille minorenni. Ma da allora il loro flusso non si è certo interrotto. Sono uomini, donne e bambini privi di tutto, ignari dei pericoli che quelle montagne impervie riservano loro nell’oscurità.

Un vero e proprio dramma umano si consuma sotto gli occhi di una popolazione generosa, temprata dall’opposizione decennale ai cantieri dell’Alta velocità. Fin che ha potuto, Emilio Scalzo ha partecipato ai soccorsi, pur sapendosi osservato speciale perché già era stato individuato con le cesoie mentre tagliava delle recinzioni.

 

Consegnare un cittadino per garantire buon vicinato

“Per tutta la vita mi è passato a fianco il male del mondo, la via dell’aceto posso dire di conoscerla. Se ora avete trovato il vostro nemico in me perché sono un No Tav e taglio le reti, va bene così, ma credetemi, fa un po’ ridere”, si legge nel libro che Chiara Sasso ha dedicato alla sua avventurosa vicenda di riscatto sociale: A testa alta (Intra Moenia editore). Ora lo attende anche la prova di un carcere e di un tribunale francese, dove ben difficilmente verrà tenuta in conto la sua generosità d’animo. Conta di più la politica dei respingimenti che già in passato ha messo il governo francese in rotta di collisione con le autorità italiane. Fino a ripetuti episodi di sconfinamento per catturare i migranti che si trovavano ancora nel nostro territorio, o per ricacciarveli oltrepassando illegalmente la frontiera.

Ora siamo noi a consegnargli un nostro concittadino, che in ogni caso avrebbe meritato ben altro trattamento. “Sembravano i Ros per l’arresto di Toto Riina”, racconta chi ieri ha assistito al blitz di Bussoleno.

Il trattato di “cooperazione bilaterale rafforzata” fra Italia e Francia, meglio noto come Trattato del Quirinale, esordisce in Val di Susa nel segno brutale della Fortezza Europa. Guai a chi aiuta i migranti. Ora la Croce Rossa di Susa lancia un appello per fronteggiare l’emergenza invernale. In molti vi aderiranno anche per solidarietà con Emilio Scalzo.

Scelto l’inviato per il clima (anzi quasi)

Oggi Luigi Di Maio e Roberto Cingolani dovrebbero officiare insieme la presentazione del World Energy Outlook 2021 dell’Eni (e d’altra parte se il grillino oggi s’è convertito a Macron, perché non al già nemico Descalzi?). Un’altra cosa che i due ministri di Mario Draghi hanno fatto insieme nei giorni scorsi è trovare un accordo sull’annosa questione dell’inviato italiano per il clima: una faccenda che si trascinava da fine giugno, da quando cioè è stata istituita questa figura, un ritardo che ha impedito all’Italia di avere il suo inviato alla recente Cop26.

La scelta, com’era nell’aria, è caduta su un diplomatico, ma con un di più di complessità nella procedura, non ancora conclusa, che è un omaggio in generale a un certo bizantinismo delle burocrazie e in particolare all’ego di Cingolani. Il nome su cui si è finalmente raggiunto l’accordo, secondo quanto risulta da più fonti al Fatto Quotidiano, è quello di Alessandro Modiano, una trentennale carriera di funzionario del ministero degli Esteri in Italia e non solo, dal 2018 vicedirettore alla Mondializzazione e Questioni globali (si tratta della direzione generale a cui, per capirci, fanno capo il G7, il G20 come pure le questioni ambientali e dell’energia).

Qual è il problema? Sul nome nessuno, ma la procedura è quantomeno bizzarra. Per capire serve un piccolo riassunto. La norma, datata 24 giugno, recita così: “Al fine di consentire una più efficace partecipazione italiana agli eventi e ai negoziati internazionali sui temi ambientali, ivi inclusi quelli sul cambiamento climatico, il ministro degli Esteri e il ministro della Transizione ecologica nominano l’inviato speciale per il cambiamento climatico”. È il ruolo, ad esempio, che John Kerry svolge per conto di Joe Biden e dell’amministrazione Usa. Nonostante gli annunci, per mesi Di Maio e Cingolani non sono riusciti a mettersi d’accordo: ora, finalmente, paiono avercela fatta.

Modiano ha ovviamente il curriculum e i titoli per essere nominato fin d’ora, ma lo sarà solo dopo aver cambiato poltrona. Dopo mesi di stallo, infatti, Cingolani ha detto sì al nome proposto dal suo collega Di Maio, ma solo a una condizione: che il prescelto diventasse funzionario del suo ministero e abbandonasse quello del “rivale”. La posizione prescelta all’interno del recentemente riorganizzato Mite (ministero per la Transizione ecologica) è quella di direttore generale degli Affari europei e internazionali. Il cosiddetto “interpello” interno alla P.a. per quella e altre posizioni è stato aperto un paio di settimane fa e, a quanto risulta, Modiano ha presentato la sua domanda e – dovesse vincere, per così dire – sarebbe poi nominato anche inviato per il clima.

Mania del controllo a parte, la scelta è una soluzione un po’ strana. Questo genere di trattative avvengono già, di solito, tra dirigenti generali dei vari governi come lo stesso Modiano, i Paesi che hanno scelto di avere un inviato speciale per il clima (che non è obbligatorio) creano una figura politica con una sua autonomia (come Kerry, ex ministro e candidato alla presidenza). Noi per quella figura politica indichiamo un funzionario che poteva essere già il capo dei nostri negoziatori. L’importante è che lavori sotto il ministro giusto.

De Luca: dopo Piero è prof anche Roberto (a Salerno)

Il sequel del film “Mio figlio professore” a casa del governatore della Campania, Vincenzo De Luca, potrebbe essere intitolato “I miei figli professori”. Dopo Piero, lo è diventato anche Roberto. L’ex assessore al Bilancio della prima giunta salernitana di Vincenzo Napoli, ha vinto un concorso da ricercatore dell’Università di Salerno (che ha sede a Fisciano), dipartimento di Scienze aziendali. L’incarico è di tre anni, rinnovabile fino a cinque. I concorrenti erano due. Uno si è ritirato. Trafila non molto diversa da quella di Piero. L’anno scorso, il deputato e vicepresidente del gruppo dem ha vinto un concorso interno per una cattedra di professore associato di Diritto dell’Unione europea all’Università di Cassino. Era l’unico in lizza.

Roberto era già docente a contratto da alcuni mesi in Unisa, nella stessa area didattica in cui presterà servizio da ricercatore. La “promozione” è stata sancita da un decreto del rettore di Unisa, Vincenzo Loia. Arrivato al termine di una selezione dai tempi rapidi. La commissione giudicatrice è nominata l’8 novembre: ne fanno parte i professori Vittorio Antonelli (che assumerà l’incarico di presidente), Paolo Tartaglia Polcini e Luca Del Bene. Si insedia il 12 novembre su una piattaforma online. Fissa la conclusione dei lavori entro il 24 novembre. E il 18 novembre, in via telematica, studia la documentazione del concorso presentata dai candidati sulla piattaforma.

Come si legge dal verbale dei lavori, “dopo aver verificato la corrispondenza delle pubblicazioni scientifiche all’elenco delle stesse allegato alle domande di partecipazione la Commissione ha preso in esame le pubblicazioni redatte in collaborazione con altri coautori, al fine di valutare l’apporto di ciascun candidato, ammettendo alla valutazione solo quelle pubblicazioni ove il contributo del candidato è enucleabile e distinguibile. La Commissione ha altresì preso atto dell’avvenuta pubblicizzazione dei criteri”. Del perché poi il 23 novembre, alla nuova riunione della commissione d’esame, dei due concorrenti se ne presenti soltanto uno, in relazione non c’è traccia. Se ne prende soltanto atto. E così Roberto De Luca vince. L’unico comparso. Dell’altro non viene nemmeno riportato il nome.

“Per l’unico candidato presente – si legge nel rapporto di quattro pagine – sono stati predisposti: un prospetto nel quale sono riportati i punteggi attribuiti collegialmente dalla commissione ai titoli presentati; un prospetto nel quale sono stati riportati i punteggi attribuiti collegialmente a ciascuna pubblicazione”. E dunque, “tenuto conto della somma dei punteggi attribuiti alle pubblicazioni presentate, ha proceduto collegialmente all’espressione di un giudizio in relazione alla quantità e alla qualità delle pubblicazioni, valutando inoltre la produttività complessiva del candidato anche in relazione al periodo di attività”.

Roberto De Luca ottiene 47,12 punti. Vittoria. La commissione ha così “proposto per la chiamata il dott. Roberto De Luca, in qualità di ricercatore a tempo determinato (…) per il settore concorsuale 13/B1 “Economia aziendale” – settore scientifico disciplinare SECS-P07 “Economia aziendale”, presso il Dipartimento di Scienze Aziendali – Management & Innovation Systems dell’Università degli Studi di Salerno”.

Tutto è bene quel che finisce bene per il giovane commercialista, che passò il suo brutto quarto d’ora quando finì nelle maglie di una inchiesta della Procura di Napoli su episodi di corruzione intorno agli appalti dei rifiuti e della depurazione. Le telecamere nascoste di Fanpage lo ripresero mentre apriva la porta del suo studio a un faccendiere ex pentito spacciatosi per un imprenditore capace di risolvere il problema dello smaltimento delle ecoballe in Campania. Costui poi provò a proporre una tangente alla persona che aveva organizzato l’incontro. Le indagini, iniziate nel gennaio 2018, hanno appurato che De Luca jr. era totalmente ignaro di ciò che accadde alle sue spalle. E sulla sua archiviazione, arrivata in tempi molto più lunghi del concorso universitario appena vinto, e sulla sua esperienza (si dimise da assessore per il clamore dell’inchiesta) ha scritto un libro, L’Uragano. Lo ha presentato al “Salerno Letteratura”.

Salerno. Già. Se Piero è arrivato a Roma e a Cassino, Roberto deve accontentarsi di Salerno: la sua carriera politica e professionale per ora non decolla fuori da qui.

L’Europa pensa all’obbligo (il Super pass è solo qui)

“Fino a due o tre anni fa non lo avrei mai pensato, ma è tempo di discutere sull’obbligo vaccinale”. Lo ha detto ieri la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, nella conferenza stampa sull’emergenza Covid, confermando quanto è ormai evidente da settimane: l’Europa è nel pieno di una nuova ondata, al punto che in tutti gli stati membri (più il Regno Unito) si torna a discutere di misure di contenimento del contagio, sia nei Paesi a basso tasso di vaccinazione (come Germania e Austria) che in quelli più protetti (Portogallo e Spagna). Il ventaglio è ampio, si va dall’annuncio dell’obbligo di Berlino e Vienna alle sola discussione sulle mascherine sui mezzi pubblici di Londra, ma nessuno sembra aver copiato il modello del super green pass che entrerà in vigore in Italia il 6 dicembre

In Germania record di morti da febbraio, ieri 446, ma il vuoto di governo ha bloccato tutte le restrizioni. Il governo dimissionario di Angela Merkel non ha prorogato lo stato di emergenza. A Berlino il senato cittadino ha tentato di introdurre il green pass sui mezzi pubblici, il 10% dei macchinisti della metro si è messo in malattia. Oggi il futuro cancelliere Scholz presenterà il piano per la vaccinazione obbligatoria da febbraio o marzo.

In Austria prorogato di 10 giorni il lockdown per tutti, dopo il blocco due settimane fa dei non vaccinati. Ma i contagi aumentano comunque. Le misure dovrebbero rimane in vigore fino al 12 dicembre, a febbraio, quando la vaccinazione diventerà obbligatoria.

Il virus corre anche in Francia: 47 mila nuovi casi in 24 ore. Ma Parigi per ora non prevede nuove restrizioni. Il pass sanitaire non cambia: è obbligatorio per accedere ai luoghi al chiuso, ristoranti, treni, musei, cinema ma non per lavorare, né è obbligatorio per scuola e mezzi pubblici. Una decisione anche politica, a meno di 5 mesi dal voto per l’Eliseo. La Francia continua a puntare sui vaccini (il 90% circa della popolazione over 12 è vaccinata) e accelera sulla terza dose, disponibile per tutti gli adulti a 5 mesi dalla seconda: senza richiamo entro due mesi, dal 15 gennaio, il pass verrà disattivato.

Nel Regno Unito di super green pass non si parla nemmeno, visto che non è mai stato imposto nemmeno quello normale. I dati dei contagi giornalieri restano molto alti: quasi 40 mila ieri e 159 morti. I contagiati da Omicron sono già almeno 30 e il timore di una nuova ondata ha spinto il governo a reimporre restrizioni: ma per ora parliamo solo dell’obbligo di mascherine sui trasporti pubblici e nei negozi, non in ristoranti o locali. Il governo punta ancora un volta sulla campagna vaccinale e si è posto l’obiettivo delle 500 mila dosi al giorno. L’obbligo di vaccinazione per lo staff sanitario e di cura sarà imposto solo dal prossimo aprile. In ogni caso, i no-vax sono meno del 4% della popolazione.

In Spagna il governo teme lo scontento delle amministrazioni regionali e ritarda le misure anti-Covid, limitandosi a raccomandare di evitare assembramenti e limitare il numero di persone a tavola per Natale. A Valencia, tuttavia, è stato introdotto l’obbligo di green pass per bar, ristoranti e ospedali. La Catalogna pensa di seguire l’esempio.

E anche il Paese più vaccinato d’Europa, il Portogallo, impone nuove restrizioni: il premier Antonio Costa ha dichiarato lo “stato di calamità” al primo dicembre a mezzanotte fino al 9 gennaio. Lo smart working sarà obbligatorio dal 2 al 9 gennaio. Tampone negativo richiesto in diversi casi anche per chi è vaccinato. Torna la mascherina obbligatoria nei luoghi pubblici.

Da segnalare infine la Grecia: multe per gli over 60 che rifiuteranno il vaccino.