“Così abbiamo fatto le scarpe al Papa: è il nostro riscatto”

“Dentro Reggina Celi c’è ’no scalino, chi nun salisce quello non è romano”. Quello scalino descritto negli “stornelli di malavita” della canzone popolare romana, Giammarco Marzi lo risalirà da vincitore. Lui, che nel carcere era entrato dal portone sbagliato, a breve ci tornerà passando per quello principale, in qualità di tutor del progetto “A Piede Libero”, messo in piedi dalla onlus “Semi di Libertà”. Un’iniziativa che gli darà la possibilità di trasmettere la sua trentennale esperienza di artigiano delle calzature a un gruppo di detenuti, per aiutarli a imparare un mestiere e a reinserirsi nella società.

Giammarco è colui che ha realizzato i sandali francescani che Roberto Gualtieri ha portato in dono a Papa Francesco, nel primo incontro con il Pontefice da sindaco di Roma. “Quando me l’hanno detto non ci credevo – racconta, emozionato – è stata una delle più grandi gioie della mia vita”. Un pezzo unico quello fatto arrivare a Bergoglio. “Per fare sandali così di solito ci metto poco più di un quarto d’ora – dice – Per lui ci abbiamo messo 5 ore, eravamo agitatissimi e abbiamo voluto fare tutto in maniera maniacale”.

Giammarco non parla volentieri del periodo né dei motivi che lo hanno portato in cella. “Il carcere ti cambia la vita – spiega –. È un’esperienza dura, e rischi di entrare in un vortice di criminalità. Io sono stato forte. Non tutti hanno la stessa caparbietà. Per me avrà un significato particolare tornare a Regina Coeli, rivedere quelle stanze, parlare con quelle persone. Lo farò da uomo libero e realizzato”. Ora guarda avanti: “La cosa più importante sarà dare la possibilità a persone che hanno incrociato, loro malgrado, le maglie della giustizia, di potersi riscattare totalmente”. Insieme ai sandali è stato consegnato a Papa Francesco un porta breviario, in pelle, realizzato dal laboratorio pelletteria ‘Fila Dritto’. Deborah Magnanti e Katia Romagnoli, due artigiane che hanno investito nel progetto, non hanno vissuto l’esperienza del carcere. “Ci confrontiamo alla pari, senza pregiudizi – racconta Deborah – Partiamo dal presupposto che un’esperienza del genere può succedere a tutti, nessuno è un santo. Il dono al Papa? Eravamo tese, l’abbiamo dovuto realizzare in un pomeriggio”.

L’esperienza di “Semi di Libertà” e dei laboratori di pelletteria e calzature ha visto molti detenuti tornare a una vita normale dopo la reclusione. Natasha, 39 anni, ha dovuto vivere una doppia discriminazione. Donna delle pulizie, di etnia rom, nel 2012 è stata licenziata da un asilo privato a causa delle proteste dei genitori: “Non volevano una zingara vicina ai loro figli – racconta – ma io non ho nemmeno mai vissuto nei campi”. Dopo aver perso il lavoro, non riuscendo a trovarne altri, è arrivato l’errore. “Ho commesso un reato, non mi nascondo – dice – e il giudice mi ha fatto scontare tutte le pene prese da minorenne. Mi hanno condannato a 8 anni e 10 mesi, ne ho trascorsi 5 in carcere. Ora ho pagato”. Grazie a “Semi di Libertà” ha trovato una nuova occupazione: “Faccio le pulizie in una pizzeria in centro. Spero che assumano anche mia figlia. Ho trovato un posto dove non vengo giudicata perché zingara ma per il lavoro che faccio”.

Uno dei progetti della onlus si chiama “Economia Carceraria”. In questo contesto è nato il pub “Vale la Pena”, birreria molto nota nel quartiere Appio. Qui c’è Rodrigo, 25 anni, brasiliano. Un’infanzia normale, un lavoro da massaggiatore, un matrimonio a 20 anni. A luglio 2018, in difficoltà economica, un amico lo convince a fare un viaggio da San Paolo a Roma come corriere della droga: 4 kg di coca, 3.500 dollari subito sul conto. Ma arrivato a Fiumicino viene arrestato: “Ho visto per la prima volta il Colosseo in manette mentre mi portavano a Regina Coeli”. Agli inquirenti non ha dato dettagli, avrebbe messo a rischio la famiglia. Così viene condannato come narcotrafficante: 9 anni e 9 mesi. “In carcere mi ha salvato il calcio – racconta – I camorristi mi volevano sempre in squadra con loro. Mi sono affidato alla religione e ho imparato l’italiano”. Per un periodo ha fatto credere ai suoi di essere morto, per la vergogna. “La mia ex moglie mi ha aiutato a pagare un avvocato – ricorda – che mi ha messo in contatto con la onlus”. Ora Rodrigo lavora al pub fino alle 21, studia da bartender e sogna di restare in Italia. “A marzo sarò libero, l’Italia mi ha accolto mettendomi in galera, vero. Ma mi ha anche salvato la vita”.

Il prossimo passo per “Semi di Libertà” sarà probabilmente la cura del verde pubblico a Roma. “Abbiamo proposto all’ufficio del sindaco di creare un servizio su base volontaria di manutenzione delle aree verdi – racconta Paolo Strano, presidente della onlus – vorremmo chiamarlo ‘Azioni di Pubblica Utilità’ ”. Un’iniziativa simile (“Mi riscatto per Roma”) fu messa a punto dall’ex sindaca Virginia Raggi con la garante comunale dei detenuti, Gabriella Stramaccioni. “Quell’esperienza fu molto positiva – spiega Strano – ora speriamo di ‘demilitarizzarla’ e di renderla partecipativa coinvolgendo cittadini e associazioni”.

Panchina arcobaleno, 120 firme alla Camera

Oltre120 deputati hanno sottoscritto l’iniziativa lanciata da Elio Vito, per installare una panchina Arcobaleno a Montecitorio, “in segno di solidarietà e rispetto nei confronti della comunità Lgbt+” e per testimoniare la “volontà di proseguire la lotta a ogni forma di odio, violenza e discriminazione fondata sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere”. Lo si legge in una nota del deputato di Forza Italia. Hanno aderito, tra gli altri, il ministro Luigi Di Maio, i capogruppo di Pd, Debora Serracchiani, di LeU, Federico Fornaro, del M5S, Davide Crippa, oltre ai vicepresidenti del gruppo FI, Catia Polidori, e del Misto, Riccardo Magi, per Azione-Più Europa-Radicali Italiani.

Juventus, sentito per tre ore l’ad Arrivabene “Sistema malato, ora atti a giustizia sportiva”

È arrivato alla Juventus il 30 giugno ed è già stato chiamato a rendere dichiarazioni ai magistrati della Procura di Torino come persone informata sui fatti nell’inchiesta che potrebbe stravolgere il club di Andrea Agnelli e una gran parte del calcio italiano. Ieri intorno alle 15, per quasi tre ore, l’amministratore delegato del club bianconero Maurizio Arrivabene, ex direttore della Scuderia Ferrari, è stato ascoltato come testimone dai sostituti procuratori Mario Bendoni e Ciro Santoriello, insieme all’aggiunto Marco Gianoglio, titolari dell’indagine sulle presunte plusvalenze realizzate dal club. Due i reati ipotizzati al momento dagli inquirenti: il falso in bilancio e le false fatturazioni.

Secondo i pm, nelle relazioni finanziarie chiuse nel giugno 2019, 2020 e 2021, a vario titolo venivano iscritti nel conto economico 282 milioni di euro in totale derivanti da “plusvalenze da cessione diritti calciatori” originate da “operazioni di scambio connotate da valori fraudolentemente maggiorati” e in questo modo veniva creato un ricavo “meramente contabile e fittizio”, utile per sistemare i conti del club. Gli indagati, al momento, sono sei: il presidente Agnelli, il vice Pavel Nedved, l’ex dirigente Fabio Paratici e altri manager: Marco Giovanni Re, Stefano Bertola e Stefano Cerrato. Arrivabene non è indagato. Il verbale è stato secretato. Sabato, per quasi nove ore, i magistrati hanno ascoltato sempre come persona informata sui fatti il direttore sportivo Federico Cherubini: ha difeso le operazioni della Juventus sostenendo che le plusvalenze fossero legali e regolari. Secondo chi indaga si tratta di un “sistema malato” quello che emerge dalle intercettazioni telefoniche. Nelle quali, secondo trapela da ambienti vicini al Palazzo di Giustizia, emergerebbero numerosi profili non di rilevanza non penale ma che potrebbero dover essere accertati anche dalla giustizia sportiva in quando non rivestirebbero solo la Juve, ma l’intero sistema calcio. La Procura della Federazione italiana giuoco calcio (Figc), che valuta il rispetto delle norme federali, ha avviato da tempo un’indagine a partire dalla relazione dell’organismo di monitoraggio dei conti delle squadre di Serie A, il Covisoc, sull’abuso del sistema delle plusvalenze tra i club. Nel frattempo ieri, all’apertura della settimana in Borsa, la Juventus ha perso quasi il 6,34 per cento del valore azionario.

Vittime dell’11 settembre a Biden: risarciteci con il tesoro afghano

Ci sono sette miliardi di dollari congelati alla Fed: si tratta dei fondi che l’ex governo di Kabul aveva accumulato nella sede newyorkese della banca statunitense. Per lo più si tratta di aiuti in arrivo da altri Stati, immediatamente congelati quando ad agosto scorso è iniziata l’avanzata talib nel Paese. Adesso un appello firmato da 150 famiglie Usa che hanno perso i loro cari negli attentati dell’11 settembre è stato recapitato al presidente Biden: chiedono che vengano risarciti con quei soldi, “il presidente deve garantire che quelle risorse vadano a noi, e non ai terroristi che hanno giocato un ruolo chiave nel togliere la vita ai nostri cari”. Gli stessi fondi infatti li reclamano i talebani stessi che, con una lettera al Congresso degli Stati Uniti, hanno chiesto lo sblocco delle risorse ”per prevenire una crisi umanitaria in vista”.

Disney+ censura i Simpson: vietato nominare Tienanmen

Nell’ex colonia britannica, Disney+ elimina dalla piattaforma un episodio dei Simpson: viola la legge sul cinema entrata in vigore in ottobre

“In questo posto, nel 1989, non è successo niente”. È la scritta che la famiglia Simpson legge in piazza Tiananmen nell’episodio che l’azienda Disney+ ha adesso deciso di censurare sulla sua piattaforma lanciata questo mese a Hong Kong. Quell’avventura dei leggendari gialli nella terra di Mao, (definito da Homer “piccolo angelo”), è andata in onda per la prima volta nel 2005: si tratta dell’episodio numero 12 della 16esima stagione della fortunatissima serie. La Disney l’ha fatto sparire perché viola l’emendamento sulla censura di Pechino che, a ottobre scorso, è entrato in vigore anche sull’isola: in nome della sicurezza nazionale, il Dragone può, per legge, silenziare tematiche sfavorevoli alla sua politica. Chi decide di violare la nuova norma, rischia una multa di 1 milione di dollari locali, ma soprattutto tre anni di carcere. Né la Disney, né le autorità di Hong Kong hanno fornito spiegazioni al Financial Times che le ha ripetutamente chieste: non è chiaro se si tratti di un evento di censura o autocensura, l’episodio 12 rimane comunque visibile sugli altri siti asiatici dell’azienda. La memoria del massacro del 1989, da sempre cancellata in Cina, è ora tabù anche nell’ex colonia britannica che per tanti anni ne ha mantenuto vivo il ricordo: le celebrazioni per l’anniversario della strage, a giugno scorso, sono state annullate per evitare la diffusione dei contagi, hanno riferito le autorità, che però due mesi dopo hanno messo in galera gli organizzatori. Ieri come oggi, vietato protestare. Kiwi Chow, che ha diretto Rivoluzione dei nostri tempi, un documentario sulla rivolta dei ragazzi che occuparono le piazze di Hong Kong nel 2019, una settimana fa ha vinto “l’Oscar asiatico” al festival di Taiwan, ma proprio sull’isola dove si svolsero gli eventi nessuno ha potuto vedere la sua opera al cinema. Quella rivoluzione, proprio come Tienanmen nel cartone animato, non è mai avvenuta.

Lady Epstein al processo ritroverà le “sue” ragazze

“Prese di mira come prede ragazze vulnerabili, le manipolò e le servì perché fossero abusate”: così la procuratrice Lara Pomerantz ieri ha dato il via al processo contro Ghislaine Maxwell, accusata di traffico sessuale di minori a favore del suo ex fidanzato, il finanziere Jeffrey Epstein. Maxwell, stella dell’alta società britannica, secondo l’accusa procacciava ragazzine minorenni da abusare e “prestare” ad amici del miliardario. La Maxwell, che la difesa e il fratello definiscono molto provata da 500 giorni di detenzione preventiva in un carcere federale di Brooklyn, in condizioni “degradanti”, ha sempre dichiarato di non aver commesso alcun crimine. In sei settimane di udienze dovrà confrontarsi con le accuse di quattro donne, che sostengono abbia avuto un ruolo centrale nel creare il “sistema Epstein”; di fatto, questo processo viene interpretato come il giudizio postumo per Epstein e per il suo giro, fra cui Bill Clinton, Donald Trump, il principe Andrew.
Le accusatrici sono identificate con il termine “minore” e i numeri da 1 a 4. La prima sostiene di aver conosciuto la Maxwell quando aveva solo 14 anni e di essere stata abusata da Epstein nelle sue proprietà a New York e in Florida. Secondo le imputazioni, la Maxwell l’avrebbe introdotta in un gruppo che si scambiava messaggi sessuali con Epstein, si sarebbe spogliata davanti a lei e sarebbe stata presente quando la ragazzina si spogliava davanti al finanziere. La seconda accusatrice sarebbe stata abusata nel 1996 nel ranch in New Mexico: Ghislaine l’avrebbe prima massaggiata, poi l’avrebbe incoraggiata a massaggiare Jeffrey. Testimonierà anche la terza, che dice di essere stata adescata dalla Maxwell e poi abusata da Epstein durante un viaggio a Londra. Il giudice Alison Nathan ha però accolto la richiesta della difesa di non sottoporre al vaglio della giuria le sue accuse: la giovane era 17enne ai tempi dei fatti contestati, maggiorenne per la legislazione dello Stato dove si sarebbero svolti.
La quarta vittima invece aveva 14 anni e afferma di essere stata reclutata dalla Maxwell per fornire massaggi sessuali a Epstein nella villa di Palm Beach, in Florida. Un rapporto continuativo, proseguito anche quando Epstein era a New York e durato almeno fra il 2001 e il 2004, anni durante i quali alla giovane sarebbe stato chiesto di trovare altre giovani: in cambio avrebbe ricevuto grosse somme di denaro e regali, fra cui biancheria intima. L’accusa sostiene proprio questo: che Ghislaine si guadagnasse la fiducia delle vittime sostenendole negli studi e facendo loro dei regali: le ragazze avevano l’impressione che Ghislaine ed Epstein le volessero aiutare.
In sostanza, la Maxwell è accusata di aver reso possibile lo sfruttamento sessuale di cui sarebbero state vittime le minori, in alcuni casi partecipandovi, fra il 1994 e il 2004. I reati che le sono contestati sono sei, e una condanna potrebbe andare dai 35 agli 80 anni. Lei ne compirà 60 in carcere a Natale. Molto ruota intorno alla capacità dell’accusa di dimostrare, grazie alla consulenza di psicologi, il grooming, l’adescamento e la pressione psicologica, e i suoi confini rispetto a un rapporto di frequentazione non finalizzato allo sfruttamento. Come dimostrare che regali, le spedizioni di shopping, gli inviti, la partecipazione alle feste mirassero a creare una situazione di familiarità che favoriva gli abusi? Una testimonianza chiave potrebbe essere quella di un ex impiegato di Epstein sul cosiddetto libricino nero, una agendina in cui la Maxwell teneva i contatti delle ragazze e di una serie di celebrità collegate a loro e di cui i giurati potrebbero vedere una copia. Di certo la difesa ha ottenuto una prima vittoria: il processo si terrà a porte chiuse.

Annunciare la Bomba o subire le sanzioni: l’Iran si gioca il futuro

Nella partita a scacchi che si è aperta ieri a Vienna, nessuno dei giocatori ha in mente una strategia chiara né offensiva né di arrocco mentre sul tavolo dell’Aeia (International Atomic Energy Agency) si discute il contenimento – o il quasi impossibile allontanamento – dell’Iran dalla bomba nucleare. Gli iraniani arrivano nella Capitale ostentando flemma e stanno solo cercando di prendere tempo per arrivare alla bomba – come dicono gli israeliani per esempio – o sono veramente interessati a rientrare nell’accordo per allentare le sanzioni introdotte da Trump? Raz Zimmt, studioso iraniano presso l’Istituto per gli studi sulla sicurezza nazionale, conferma i progressi in ambito nucleare e stima dalle tre alle quattro settimane per arricchire abbastanza uranio.

Certo il percorso della Bomba non finisce qui, perché poi c’è ancora da costruire un detonatore e un sistema di lancio, che porterebbe via almeno un paio di anni, ma gli ayatollah non sono mai stati così vicini al “club del terrore”. Tra aprile e giugno si sono svolte sei tornate di colloqui indiretti senza apparenti risultati e questo settimo inizia dopo una pausa innescata dall’elezione del presidente Ebrahim Raisi. La nuova squadra negoziale di Teheran ha presentato richieste che i diplomatici europei considerano irrealistiche come la cancellazione di tutte le sanzioni degli Stati Uniti e dell’Unione europea imposte dal 2017, comprese quelle non correlate al programma nucleare iraniano. È solo fuoco di sbarramento, la sostanza è altrove, nei miliardi di dollari bloccati nelle banche occidentali per le sanzioni. In questo senso si muovono Gran Bretagna, Cina, Francia, Germania e Russia. Alti diplomatici di questi Paesi hanno in programma di incontrare i funzionari iraniani a Vienna per discutere di riportare Teheran dentro i termini dell’accordo del 2015, noto come Piano d’azione congiunto globale, che ha allentato le sanzioni contro l’Iran in cambio di cordoli sul suo programma nucleare. I colloqui potrebbero aprire la strada a Washington per rientrare nell’intesa. Gli Stati Uniti si sono ritirati sotto l’ex presidente Donald Trump e hanno reintrodotto le sanzioni all’Iran, spingendo Teheran ad abbandonare tutti i limiti che l’accordo gli poneva. Ciò ha sollevato tensioni in tutto il Medio Oriente, poiché Israele ha avvertito che non consentirà all’Iran di ottenere un’arma nucleare con o senza l’aiuto degli alleati occidentali, primo fra tutti gli Stati Uniti. Mentre l’estate si trasformava in autunno, l’Iran ha spinto verso la capacità di armi nucleari.

L’Agenzia internazionale per l’energia atomica ha riferito all’inizio di questo mese che Teheran ha aumentato significativamente le sue scorte di uranio altamente arricchito nelle ultime settimane, raggiungendo i 113,8 kg arricchiti al 20 per cento, rispetto agli 84,3 di settembre e 17,7 kg arricchiti fino al 60%. “Ogni tre mesi ci svegliamo e scopriamo che sono avanzati – prosegue Raz Zimmt – cosa ci aspettavamo? Per quanto riguarda il materiale fissile, sono molto vicini”. L’esperto stima che ci vorrebbero 3-4 settimane per arricchire abbastanza uranio per un’arma nucleare. Ma Teheran dovrebbe poi concentrarsi a costruire un detonatore e un sistema di lancio, il che potrebbe richiedere fino a due anni di tempo. Inoltre, non è chiaro se l’Iran voglia un accordo o se stia prendendo tempo, come sostiene Israele, per continuare l’arricchimento. L’Iran vuole apparire “interessato alla negoziazione e all’accordo”, afferma Eytan Gilboa del Jerusalem Institute for Strategy and Security. “Ma non è affatto chiaro che siano disposti a fare le concessioni necessarie per raggiungerlo”. “La Repubblica islamica sta cercando di rimuovere completamente le sanzioni e ottenere l’immunità da un attacco militare”, ha affermato Gilboa, obiettivi che è improbabile che raggiunga. Probabilmente non c’è nessuno in Medio Oriente che pensi davvero che Joe Biden ordinerebbe mai una azione militare diretta al programma nucleare iraniano. Gli alti funzionari degli Stati Uniti non stanno nemmeno tentando di fare in modo che l’Iran abbia paura di un attacco. Parlano quasi sempre di “altre opzioni” – e non di “tutte le opzioni” – sul tavolo se la diplomazia dovesse fallire. Il primo ministro israeliano Naftali Bennett e i suoi ministri hanno cercato di convincere l’Iran e i Paesi occidentali che un attacco militare contro gli impianti nucleari iraniani è una possibilità, ma anche questo appare improbabile. Se un attacco militare non è il piano B, è improbabile che le altre opzioni cambino il comportamento iraniano. Gli Stati Uniti potrebbero provare ad aggiungere ulteriori sanzioni con il sostegno cinese e russo e possono provare ad aumentare la pressione attraverso le risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Potrebbero anche accettare un accordo limitato “meno per meno” con l’Iran, che si occupi solo di aspetti specifici del programma nucleare di Teheran. “In ogni caso, gli Stati Uniti pagheranno in contanti e riceveranno assegni in cambio”, predice Eytan Gilboa.

Ancora fuori in 330 al cnr è di nuovo guerra sui precari

Sarà la giornata decisiva per i 400 precari del Cnr che ancora aspettano di essere stabilizzati: oggi si riunirà il consiglio di amministrazione dell’ente di ricerca e stabilirà quanti di loro potranno ambire all’assunzione permanente. Nell’ultimo incontro era emersa la volontà di garantire non più di una cinquantina di posti, ma in queste ore c’è il pressing per aumentare la cifra. Ieri i sindacati Flc Cgil, Fir Cisl e Uil Scuola Rua hanno manifestato sotto il ministero dell’Università e della Ricerca, ottenendo un incontro con i tecnici dell’ufficio legislativo. Il governo, però, non ha assunto alcun impegno, anche perché il Cnr è un ente autonomo e quindi non gli si può dettare scelte organizzative. I vertici del Cnr, guidati da Maria Chiara Carrozza (in foto) intendono spendere solo 3,3 milioni di euro per le stabilizzazioni: sindacati e collettivi di precari ricordano invece che l’ente ha ottenuto anche un finanziamento da 22,8 milioni di euro da destinare a spese di personale. È su queste cifre che si sta concentrando lo scontro. Si tratta di una corsa contro il tempo: dei precari storici rimasti, 330 sono infatti idonei al concorso tenuto nel 2018 per la stabilizzazione. La legge Madia, approvata nel 2017, permetteva l’assunzione diretta solo di quelli che avevano – oltre ai tre anni di anzianità – un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato. Per i tanti che invece avevano rapporti atipici, come le collaborazioni coordinate e continuative, era necessario il superamento di una prova di selezione dedicata. La graduatoria di quel bando, però, scade il 14 dicembre, ecco perché è urgente deliberare l’ingresso in pianta stabile dei 330 ancora rimasti fuori entro pochi giorni. Ed ecco perché il finanziamento promesso dal ministero per il 2022 non è sufficiente a intervenire su questa emergenza. Il senatore Francesco Verducci, in genere attento alle rivendicazioni dei lavoratori della ricerca, ha presentato un pacchetto di emendamenti che comprendono anche un fondo per assumere 700 tra ricercatori e tecnologi, così da esaurire il precariato storico. Quasi cinque anni dopo la legge che ha promesso le stabilizzazioni, il personale della ricerca è ancora in piazza e la sede centrale del Cnr è occupata. Dal cda di oggi si scoprirà ancora per quanto dovrà durare questa mobilitazione.

Orientare al lavoro i bambini. Un tutor fin dalle elementari

Èil tempo della spensieratezza massima, del gioco, del sogno. Ma per qualcuno, i cinque anni delle cosiddette scuole elementari è anche il tempo in cui iniziare a piantare il seme dell’aspirazione al lavoro, meglio se nell’industria del territorio, in base a ciò che serve alle imprese e ai livelli di occupazione. Magari infilandoci anche della formazione professionale per i docenti. La prospettiva è emersa nei giorni scorsi: il ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, alla manifestazione Job&Orienta a Verona, ha parlato proprio di questo tema e ha sottolineato l’importanza della “Carta di Genova”, una sorta di atto programmatico, approvata dalle commissioni della Conferenza delle Regioni e delle province autonome Istruzione, Università e Ricerca (X commissione) e Formazione e Lavoro (XI commissione), dunque dagli assessori dei relativi ambiti, a metà novembre. Lo ha lodato e ha promesso che la valuterà, analizzerà e poi armonizzerà con i piani del governo. E sarebbe bene.

Il documento – come si legge sul sito della Conferenza delle Regioni – prevede infatti diversi obiettivi che vanno dalla “didattica orientativa” già “a partire dalla scuola primaria” (quindi le scuole elementari) con insieme l’inserimento del “profilo professionale dell’orientatore” nelle scuole “di ogni ordine e grado”. E ancora, la formazione dei docenti “per attrezzarli alle attività di orientamento trasversali e funzionali alla didattica orientativa” e l’evoluzione dei PTCO (le attività dell’ex Alternanza scuola lavoro) “verso una maggiore interazione con le realtà del territorio”, infine moduli di orientamento con attività laboratoriali “di almeno 30 ore in tutti i livelli di istruzione”; rafforzamento dei piani formativi individualizzati “in linea con quanto previsto per gli istituti di formazione professionale”. Il tutto, è il punto delle Regioni, grazie anche alle risorse del Pnrr. Eppure, la riforma dell’orientamento prevista nel Pnrr (e priva di stanziamenti, perché arriveranno probabilmente da altre voci di spesa) ne parla solo prevedendolo all’ultimo anno delle medie e nel corso delle scuole superiori, anche nell’ottica di un profondo rafforzamento degli Istituti tecnici a cui sarà destinato almeno un miliardo.

Intanto, mentre Bianchi valuta attentamente quanto presto indirizzare i bambini e i giovani ragazzi al lavoro (“Le imprese hanno bisogno oggi di persone che siano specializzate, ma anche molto flessibili e siano anche creative – aveva detto qualche settimana fa in Tv – Allora il modo migliore è accompagnare i ragazzi fin dalle scuole medie a vedere cosa sono le imprese, a vedere come si stanno trasformando e a prendere il gusto del cambiamento”) viene oggi presentato il primo programma pragmatico del Pnrr, con annessi bandi, in una conferenza stampa dal titolo Futura: la scuola per l’Italia di domani: il ministero dell’Istruzione è pronto a varare “il decreto che ripartisce fra le Regioni italiane i primi 5 miliardi del Pnrr – ha detto ieri il sottosegretario leghista Rossano Sasso – 3 miliardi per scuole dell’infanzia e asili nido; 800 milioni per la costruzione di scuole innovative, sostenibili e inclusive; 500 milioni per la messa in sicurezza e la riqualificazione degli edifici esistenti; 400 milioni per nuove mense che favoriscano il tempo pieno; 300 milioni per le palestre scolastiche”.

Pnrr, la Soprintendenza unica è una scatola vuota

Il ministero della Cultura con i suoi uffici territoriali è decisivo per una buona attuazione del Pnrr. Non tanto per la spesa dei circa 6,6 miliardi di euro dedicati al settore – peraltro solo il 3% del totale – ma soprattutto per quanto riguarda le autorizzazioni: valutazioni di impatto ambientale e paesaggistico, che coinvolgono ogni opera pubblica e infrastruttura del Piano, a cui sono destinati oltre 80 miliardi.

Il ministero manca, da decenni, di funzionari sia tecnici sia amministrativi (siamo ormai a meno della metà dell’organico previsto) e la situazione peggiora di anno in anno a causa dei pensionamenti. Ma nonostante i 6mila posti autorizzati da mettere a concorso, l’unico bando che ha visto il via dal 2019 – quello per 1.052 “assistenti alla fruizione, accoglienza e vigilanza – è iniziato nel gennaio 2020 e ancora non conosce una fine.

La neonata Soprintendenza Unica Nazionale per il Pnrr, che dovrebbe vagliare ogni provvedimento connesso col Piano in tutta fretta, è a oggi una scatola vuota: un ufficio dirigenziale privo di personale, i cui compiti vengono svolti da funzionari incardinati (con altri ruoli) all’interno di altri uffici della Dg Archeologia e Belle Arti. Per questo Cgil, Cisl e Uil hanno inviato una lettera a Dario Franceschini e ai giornali chiedendosi, “prima che sia troppo tardi, con quali risorse umane il ministero intende affrontare una sfida così complessa. La risposta che abbiamo avuto sinora è una attribuzione di questi carichi lavorativi ai pochi lavoratori rimasti nella struttura centrale ed in quelle periferiche”.

I sindacati aggiungono che si sta trattando la materia della tutela del paesaggio e del patrimonio “come se fosse un adempimento burocratico e non come una sfida che mette in discussione, nel caso gli obiettivi del Piano non fossero raggiunti, l’immagine internazionale del Paese”. La paura, in sostanza, è che la transizione energetica faccia premio su ogni altra materia con uffici oberati di lavoro e incapaci di valutare ogni istruttoria nella maniera corretta. Anche il direttore del Museo Archeologico Nazionale di Napoli da Paestum ha lanciato un simile “grido di allarme”: “Per spendere i fondi del Pnrr servono squadre di lavoro competenti”.

Peraltro, l’emergenza ha già portato a soluzioni eccezionali, come l’assunzione in deroga di 28 dirigenti senza concorso, la stabilizzazione a tempo indeterminato di 57 funzionari che hanno lavorato con contratti a tempo nella P.A., l’autorizzazione di procedure concorsuali semplificate, a non dire dei diversi bandi con cui, dal dicembre 2020 in poi, si sono assunti con partita Iva oltre 500 “esperti” esterni con compiti di funzionario. Una serie di deroghe e novità che non hanno speranza di risolvere il problema, tanto che ieri anche il capo di gabinetto di Franceschini, Lorenzo Casini, ha detto che “un tema enorme che va affrontato con urgenza in vista del Pnrr è quello del personale”.

I sindacati spiegano di aver cercato da tempo un incontro urgente al ministro, il quale da parte sua fa replica al suo staff che dopo la lettera del 24 novembre ha riconosciuto il carattere straordinario (aumenti stipendiali) delle attività svolte dai funzionari che si occuperanno del Pnrr: pare però più una toppa sul buco che una vera soluzione.