2 X mille, Conte mette le mani avanti

Sono già tempi complicati, per l’avvocato che prova a guidare i Cinque Stelle. E poi c’è sempre la variabile Beppe Grillo, pronto a scagliare anatemi o almeno battute al curaro. Quindi meglio premunirsi, deve aver pensato Giuseppe Conte, che ieri ha messo le mani avanti sulla votazione degli iscritti del Movimento sull’accesso al 2 per mille, iniziata ieri a mezzogiorno per concludersi oggi alla stessa ora. “La base scelga liberamente, se passa il no non cambia nulla” ha precisato ieri su Facebook l’ex premier, che non vuole intestarsi un’eventuale sconfitta.

Quindi, ecco un post in cui ricorda: “Questa votazione è l’approdo di un percorso iniziato dalla richiesta di molti attivisti che si adoperano sui territori per fare politica sana”. Come a dire che l’ha chiesto la base, il 2 per mille. E d’altronde, aggiunge Conte, “i gruppi parlamentari di Camera e Senato hanno concordato pressoché unanimemente di aprire a questa forma di finanziamento. Per parte mia, ho preso atto di questa richiesta”. Ma nessuna spinta per il sì. Piuttosto, una promessa: “Se prevarrà un voto favorevole, mi impegnerò per garantire che queste somme siano destinate a favorire l’azione politica sui territori e l’elaborazione di nuovi progetti a beneficio delle comunità locali e nazionali”. Insomma, i soldi andranno ai territori. E può essere la chiave della votazione, sostiene un big del Movimento, convinto che “vincerà il sì, perché gli attivisti volevano e si aspettano i fondi”. Ma se dovesse andare diversamente sarebbe un altro bel problema per Conte, anche perché le restituzioni degli eletti languono. Nell’attesa, un grillino della vecchia guardia come Danilo Toninelli ribadisce il suo no: “Il M5S deve evolversi, lo sappiamo tutti. Ma non è detto che lo debba fare diventando come gli altri partiti”. E pollice verso arriva anche da un altro senatore, Primo Di Nicola: “L’idea di attingere a soldi pubblici rischia di rappresentare un passo decisivo verso l’omologazione del M5S alla vituperata partitocrazia”. Non a caso ieri pomeriggio Conte ha provato a respingere l’accusa in un’intervista con il Corriere.it: “Il Movimento resterà un movimento, non sarà un partito in senso tradizionale, ma ci sarà una maggiore articolazione interna, con distinzioni di ruoli e apporti”.

L’ex premier si riferisce alla segreteria, che dovrebbe essere votata giovedì e venerdì dopo vari rinvii. E a far slittare le votazioni sui cinque vicepresidenti – da ratificare – e su comitati tematici e referenti territoriali ci sarebbe anche una lunga trattativa con il comitato di Garanzia, quello composto da Virginia Raggi, Luigi Di Maio e Roberto Fico. Perché soprattutto Raggi ha chiesto e ottenuto la nomina di un nuovo notaio come certificatore delle votazioni sul web. “Abbiamo perso settimane soprattutto per questo…” sussurra un big. Uno dei molti 5Stelle che guardano con sospetto alle mosse dell’ex sindaca di Roma, perché temono una sua scalata al vertice Movimento. Paure esagerate, forse. Ma che confermano un clima.

 

Manovra, Draghi vede i 5S. I partiti si litigano le briciole

Mario Draghi fa il bravo padrone di casa, anche perché per il Colle si voterà tra poco. Ma sa, e fa capire, che ai partiti più di tanto sulla manovra non potrà e non vorrà concedere. Mentre in Senato scade il termine per la presentazione degli emendamenti alla legge di Bilancio, un diluvio complessivo di 6.500 proposte, il premier inizia le sue consultazioni a Palazzo Chigi incontrando i 5Stelle. L’idea è quella di concedere qualcosa (poco) a tutti, partendo dal fatto che ci sono solo 600 milioni da spartire, visto che l’accordo sulle tasse è stato chiuso al Mef. Soprattutto l’obiettivo è mostrare un volto dialogante a quei partiti che negli ultimi giorni si sono coagulati nel dire che Draghi deve restare al suo posto. Un coro a cui si sono aggiunti anche i 5Stelle, accolti ieri dal premier assieme al ministro per i Rapporti con il Parlamento D’Incà e al titolare del Mef, Daniele Franco. A loro, i capigruppo di Camera e Senato, Davide Crippa e Mariolina Castellone e il capo delegazione al governo Stefano Patuanelli presentano una lista di richieste, partendo dal Reddito di cittadinanza. “Il punto di caduta raggiunto sul testo non deve essere toccato”, chiedono in sostanza i grillini.

Tradotto, l’assalto della Lega e di Fdi alla misura non deve passare. E sia Draghi che Franco assicurano che non ci saranno modifiche. Ma ciò significa che non ci saranno neppure quei miglioramenti chiesti dal Pd, che vorrebbe più soldi dal Reddito per le famiglie numerose e per gli stranieri. Ma il M5S insiste, molto, anche sul cashback fiscale (il rimborso immediato delle spese detraibili) e sull’abolizione del tetto Isee per il superbonus sulle villette unifamiliari, almeno fino a tutto il 2022. “Il limite Isee è particolarmente restrittivo e ci auguriamo che si possa superare nel percorso parlamentare” conferma Patuanelli uscendo. Nella versione dell’incontro data di Palazzo Chigi, l’obiettivo dei Cinque Stelle in realtà sarebbe soprattutto quello di rafforzare i bonus casa. Ma su quello si può pensare a qualche ritocco. Franco nella riunione lo dice: “Cambiare così la misura sarebbe molto oneroso”.

Ieri, intanto, i partiti hanno presentato le loro richieste di modifica a Palazzo Madama. Con la Lega che alza il tiro, chiedendo l’ abbattimento dell’Iva sui generi di prima necessità, la proroga del Superbonus per le onlus e anche per le unifamiliari, proroga ampia per la rottamazione delle cartelle ed estensione della flat tax fino a 100 mila euro di fatturato con aliquota del 20%. E poi c’è la richiesta di tagliare ulteriormente le bollette (formulata ieri anche dal M5S). Matteo Salvini ribadisce che il centrodestra deve essere coordinato. Forza Italia chiede 2 miliardi in più sul taglio delle tasse. E vuole anche un ulteriore rinvio selettivo delle delle cartelle esattoriali e degli altri adempimenti fiscali al 2022.

Il Pd, invece, che ripropone pure il tavolo tra i capigruppo di maggioranza, con i suoi 800 emendamenti presenta richieste che vanno dall’esenzione del canone unico per pubblici esercizi e ambulanti all’aumento delle risorse per la rete dei Centri antiviolenza, dalla semplificazione del superbonus per evitare contenziosi alla riduzione bollette e costi energetici. Inoltre, chiede il rafforzamento dell’Ape sociale, del Reddito di cittadinanza, della Naspi per giovani e le liste attesa nella sanità. Fra le proposte di Iv, assunzioni con sgravi contributivi per under 30 e potenziamento dell’apprendistato.

Intanto Maurizio Landini, segretario Cgil, ha espresso il suo giudizio negativo sulla manovra, uscendo da un incontro al Mef, nel quale il governo ha ribadito che il perimetro è quello dell’accordo di maggioranza. Domani Draghi chiude gli incontri. La sintesi non sarà facile.

“Trauma per i pm la mia foto al Colle in tutti i loro uffici”

Domenica ha riunito i giovani di Forza Italia e i suoi fedelissimi a villa Gernetto, la brianzola dimora settecentesca, ufficialmente per parlare della legge di Bilancio. Ma a pranzo il tema affrontato è stato un altro. Quel sogno che Silvio Berlusconi insegue da settimane, ormai diventato il suo pensiero fisso: il Quirinale. C’era da fare il punto, perché la caccia ai 50 voti mancanti per il Colle prosegue. I suoi migliori “cerca-voti” – da Marcello Dell’Utri a Denis Verdini – gli avrebbero garantito che, se la sua candidatura diventerà concreta, ne spunterebbero 30 da quella nebulosa chiamata gruppo Misto. Ma non bastano. Ne servono almeno altrettanti per arrivare alla magica quota di 505 (il quorum alla quarta votazione) e forse qualcuno di più visto che non è detto che tutto il centrodestra lo voterà compattamente (in teoria partirebbe da 450). Il piano a quanto risulta studiato domenica con i suoi sarebbe dunque molto semplice: andare alla caccia dei voti. Da adesso a metà gennaio. E per farlo avrebbe armato i suoi fedelissimi in Parlamento che dovranno portargliene il più possibile e tenere compatto il centrodestra. Tant’è che ieri Matteo Salvini, non si sa se bluffando o meno, ha condiviso le parole di Berlusconi che vorrebbe tenere Draghi a Palazzo Chigi fino al 2023: “Sta lavorando bene da presidente del Consiglio, mi auguro che ci resti a lungo”. Il leader della Lega è irritato per il metodo del premier e vuole avvisarlo: così al Colle non ci vai.
Il tema Quirinale domenica è stato affrontato dai giovani di FI che hanno riempito B. di elogi, sogni e speranze. Tutte di questo tenore: “Presidente, sarebbe bellissimo che lei venisse eletto”, “sarebbe un risarcimento per l’ingiustizia che ha subito” e così via. Berlusconi, lusingato, avrebbe risposto con una frase che è rimasta impressa ai presenti proprio mentre Nino Di Matteo, in tv, si opponeva alla candidatura dell’ex premier al Colle: “Ve lo immaginate se io presiedessi il Csm, sarebbe spettacolare – avrebbe detto, tra il serio e il faceto Berlusconi – e se i giudici di tutta Italia dovessero tenere la mia foto nel loro ufficio… per loro sarebbe traumatico”.
Obiettivo che Berlusconi accarezza da tempo e adesso vuole raggiungere. Oltre a Dell’Utri e Verdini, la ricerca dei voti in Parlamento spetterebbe ad alcuni fedelissimi tra Camera e Senato. A tenere il pallottoliere sarebbe Sestino Giacomoni, già consigliere particolare dell’ex premier, col compito di cercare voti tra i cattolici di “Centro Democratico” di Bruno Tabacci e gli ex forzisti di “Coraggio Italia”. Il capogruppo alla Camera Paolo Barelli invece cercherebbe qualche voto di ex M5S nel gruppo Misto, mentre al Senato Licia Ronzulli terrebbe “buoni” gli alleati di Lega e FdI assicurandosi che il voto compatto in favore di Berlusconi. Anche Antonio Tajani avrebbe lo stesso compito. Sullo sfondo, Gianni Letta che starebbe dialogando con i settori cattolici del Pd e con Matteo Renzi. I voti di Italia Viva, d’altronde, fanno molto gola: sono ben 43.
Resta però un’incognita dentro FI, perché a villa Gernetto sono emersi anche i sospetti di veti e tradimenti interni da parte dell’ala liberal guidata dai ministri Renato Brunetta, Mariastella Gelmini e Mara Carfagna. Com’è noto Brunetta vorrebbe Draghi al Quirinale per istituire un semipresidenzialismo di fatto (e andare magari a Palazzo Chigi come membro anziano del governo), mentre Gelmini e Carfagna stanno cercando di capire come si muoverà il premier, pur dichiarando pubblicamente fedeltà a Berlusconi. Il piano prevederebbe anche un aiuto da parte dei giornali di casa. Libero e Il Giornale, a ridosso del voto, faranno partire una campagna per candidare Berlusconi al Colle e da qui a gennaio attaccheranno a testa bassa tutti coloro che, pubblicamente, si esporranno contro la sua candidatura: nel fine settimana è successo già con Rosy Bindi e con Nino Di Matteo.

Ex 5S rivela: “Per votare B. mi offrono posti e soldi”

“Amico caro, scegliti il tuo futuro: l’obiettivo deve essere campare come campi ora. Cioè bene”. Non sarà l’Antonio Razzi di turno, ma poco ci manca. Dieci anni dopo l’ormai epico “amico mio, fatte li cazzi tua” in Parlamento tira ancora aria da suq a sentire il racconto di un deputato già 5 Stelle che al Fatto racconta l’inconfessabile: la pattuglia forzista sarebbe all’opera giacché il l’ex Cavaliere non molla l’idea di portare a casa “un risultato eclatante” per il Quirinale e riguadagnarsi fama da stupor mundi. Ma l’appetito vien mangiando: conquistare il Colle, proprio come aveva promesso un tempo a mamma Rosa, sembra un obiettivo alla portata. Costi quel che costi – va senza dire – pure al rischio di spingere i suoi a farsi avanti per avvicinare le truppe che servono a regalargli ad eterna gloria, la più alta carica, quella di presidente della Repubblica.
Come sarebbe successo all’ex grillino che ci ha fatto un bel resoconto: è stato avvicinato con passo felpato perché manca ancora più di un mese, ma il messaggio è arrivato forte è chiaro: “Chiedi quello che vuoi, sono a disposizione. Basta una tua parola” si è sentito dire da un collega di Forza Italia che, par di capire, ha recapitato lo stesso messaggio anche ad altri. “Pescano tra i peones, i transfughi, i possibili convertiti”. Approfittando subito ché sotto le feste saranno riuniti con le famiglie per ammazzare il capitone e riflettere di futuro incerto sicchè questo potrebbe essere l’ultimo panettone mangiato a Palazzo. Per carità i modi sono stati garbati, nessun prendere o lasciare e toni sapientemente conditi dall’arte di fare ammuina: “Ha promesso senza promettere per conto di Berlusconi lasciando però intendere che la generosità sarebbe degna dei re Magi” racconta il deputato che passa ai dettagli: “Tanto per non girarci attorno, mi ha parlato di soldi, di una mia candidatura più o meno blindata. O di un posticino in una società anche all’estero”.
Ma tali profferte non sarebbero arrivate solo a lui: c’è chi nega di essere stato avvicinato, ma anche chi lo confessa a mezza bocca, per tacere di chi ci spera. Chi sono quelli che nel segreto del catafalco potrebbero rispondere a tali profferte, sventurati come la monaca di Monza? “Ci sono 290 deputati e senatori usciti dai gruppi parlamentari originari. In tanti mi sono amici” ha detto lo stesso Berlusconi tratteggiando l’identikit di chi non gli sarebbe ostile, del resto ha già fatto partire l’operazione simpatia sostenendo per esempio che il reddito di cittadinanza, bandiera del M5S, in fondo non è stata una misura malaccio, checché ne abbia detto fino all’altro ieri.
Poi ha fatto recapitare un opuscolo autopromozionale, con alcuni suoi interventi sui valori del liberalismo, del cattolicesimo e del garantismo ai parlamentari del Pd. Ma questa è poesia, poi c’è pure la prosa: ai suoi riuniti nel solito gabinetto di guerra avrebbe chiesto di tentare tutto il possibile affinché in un modo o in un altro si compia il miracolo che gli interessa. E quelli, per tornare al cospetto del Capo con il carniere pieno, avrebbero subito fatto partire una caccia all’uomo. Un senatore ritenuto tra i peones racconta di un emissario forzista che è andato al sodo: “Ora quanto guadagni? Quanto guadagnavi prima di essere eletto?” E ancora. “Devi pensare al tuo futuro. Davvero uscito da qui pensi di tornare alla vita di prima?”. Altri giurano di non aver ricevuto alcuna offerta, meno che mai sconcia: “Dopo anni qui dentro le distanze si sono ridotte e con qualcuno di Forza Italia siamo pure diventati amici. Sicuramente si tratta di battute: ci sta, mica è la prima volta” spiega un senatore ex pentastellato che nega che si tratti di abboccamenti veri e propri. Ma tanto basta perché qualcun altro ci abbia fatto un pensiero: “Vai a sapere se è uno scherzo oppure no. Io Berlusconi non lo voto manco morto ma su altri non metto la mano sul fuoco”.
Licia Ronzulli, vicepresidente del gruppo Forza Italia al Senato, contattata dal Fatto, replica: “A me il Presidente Berlusconi non ha mai dato indicazioni di questo genere. E mi sento di escludere che lo abbia fatto anche col resto dei vertici del partito, a partire da Antonio Tajani e dai due capigruppo. Anche perché si tratterebbe di corruzione… Se poi, qualche nostro parlamentare abbia deciso di sua sponte di fare una cosa del genere, se ne dovrà assumere la responsabilità”.

Fatto sta che qualche giorno fa a un capannello da cortile alla Camera era tutto un tirarsi di gomito dopo l’annuncio dell’ex pentastellato Gianluca Rospi che ha deciso di lasciare Coraggio Italia per abbracciare la famiglia politica di Forza Italia. Dopo un incontro a Villa Grande, la nuova residenza-ufficio di B. che pare lo abbia stregato in un colloquio a quattr’occhi. Quando è tornato a Montecitorio dalla dimora zeffirelliana sull’Appia Antica ha spiegato la scelta così: “Non sono mai stato del Movimento 5 Stelle, sono stato candidato su loro richiesta come indipendente”. E ha detto di aver accettato la candidatura sì, ma in fondo in fondo di essere rimasto un diccì al massimo un liberale. E così quando il M5S si è spostato a sinistra, ha deciso di lasciare per collocarsi su posizioni più prossime a quelle del Partito popolare europeo. Poi si è avvicinato a Coraggio Italia “ma le mie aspettative, senza alcuna polemica, non sono state soddisfatte”. Naturale dunque l’approdo a Forza Italia.
“Sì, vabbè. Pare che a Villa Grande quel giorno davano lo spettacolo A me gli occhi, please. E il Gastone col ciuffo di capelli tirabaci non era di Gigi Proietti ma Berlusconi” dicono gli ex colleghi di Rospi che hanno liquidato la faccenda in maniera più prosaica: “A Berlusconi il taxi di Rospi è costato 100 mila euro”. Da allora non si parla che di tariffe, anche se l’ex azzurro oggi al Misto Alessandro Sorte mette le mani avanti: “Io Berlusconi lo voterei senza dubbi e penso di poter convincere nel Misto sette o otto deputati a fare altrettanto. Senza chiedere nulla in cambio”. Già, il gruppo Misto dove ci sono diverse componenti e decine di deputati accreditati dei più bassi istinti dai loro colleghi.
A Palazzo si racconta dopo l’addio di Rospi che il gruppo dei totiani sia addirittura in via di disfacimento e che alcuni deputati ora pentiti sarebbero lì lì per lasciare: una tra i sospettati è Fabiola Bologna, altra ex grillina. Altri pentastellati sono invece confluiti in Alternativa C’è, ma negano di aver ricevuto offerte di sorta dai berluscones: “Siamo folli, ma da questo punto di vista, inavvicinabili. Quanto agli altri fuoriusciti grillini o meno, boh”. Insomma l’invito sarebbe quello di cercare altrove ma non troppo lontano: il sospetto ricade sui deputati che si ostinano a non iscriversi ad alcuna componente e che avevano lasciato intendere di esser pronti a ingrossare le file di Alternativa, ma che finora se ne sono ben guardati. Difficile capire perché restino alla finestra: chi parla lo fa per dire non vuole essere associato nemmeno per scherzo a Sergio De Gregorio, un bel dì di qualche anno fa passato armi e bagagli dai dipietristi dell’Italia dei Valori “all’Italia dei disvalori a forza di milioni”. Tre milioni – secondo l’accusa dei pm -, ormai consegnati alla storia e alla cronaca giudiziaria: fu scandalo (e Berlusconi prescritto).
Ma nemmeno tanto, a sentire un deputato campano doc che, a rimembrare l’episodio, rivolge una prece alle anime del Purgatorio: “Ll’anime d’o Priatorio, tre milioni”. “Anime del Purgatorio, tre milioni”. Oggi, pare di capire che le tariffe siano assai più modeste: “Centomila euro sono sei mesi di stipendio per un parlamentare. E io dovrei prostituirmi per così poco sapendo cosa vale il Quirinale per lui? Sette anni da capo dello Stato e pure del Consiglio superiore della magistratura. Amico bello: manco una Olgettina ti è costata così poco. Berlusconi, se vuoi caccia la grana”.

Digos in Aula per cacciare i 5S

Al centrodestra serve anche l’aiuto della Digos per approvare la contestata riforma della sanità lombarda, quella che dovrebbe correggere le storture create da Formigoni e Maroni. Ieri, durante la discussione al Pirellone, gli agenti sono dovuti intervenire per espellere dall’aula 9 consiglieri regionali del M5S, infuriati perché il presidente dell’Assemblea, Alessandro Fermi (Lega), aveva appena dichiarato inammissibili migliaia di emendamenti e ordini del giorno da loro presentati. La riforma voluta da Letizia Moratti e Attilio Fontana è condizione necessaria per ottenere gli oltre 2 miliardi del Pnrr, il quale prescrive l’apertura di nuove “Case di comunità” e richiede investimenti precisi per le diverse aree. Quel che però la giunta ha deciso di non scalfire è il peccato originale della sanità lombarda: uno squilibrio a favore dei privati rispetto al sistema pubblico. Ed è questo uno dei punti che i 5S contestano con forza, perché la riforma consentirà ancora “che siano i grandi gruppi privati a decidere quali prestazioni dare, cioè le più remunerative, quando e dove darle”. Nessuna vera contrattazione, quindi, e nessuna razionalizzazione delle risorse, perché il controllo dell’offerta sanitaria resterà in capo a otto diverse Ast (Agenas, l’agenzia del ministero della Salute, proponeva di centralizzare).

Per questi e altri motivi, i 5 Stelle (che ieri hanno ricevuto il sostegno di Giuseppe Conte) e il centrosinistra da settimane hanno scelto l’ostruzionismo in aula, arrivando a far convocare il Consiglio di domenica. Ieri mattina però ecco l’annuncio di Fermi, che ha deciso lo stop di un migliaio di emendamenti e di più di 4 mila ordini del giorno ritenuti “seriali” (cioè che ripropongono il medesimo impegno). “Sono seriali nel modello, ma non certo nel contenuto – si sfoga il 5S Marco Fumagalli – visto che ci sono proposte per ciascuno degli oltre 1.500 Comuni lombardi”. I 5 Stelle hanno così esposto striscioni di protesta, occupando poi i banchi della giunta anche mentre Fermi ordinava l’espulsione. Vista la resistenza dei 5S, il leghista ha chiesto aiuto alla Digos e solo allora gli eletti del Movimento hanno lasciato il Pirellone. “Se domani (oggi, ndr) l’atteggiamento nei nostri confronti sarà questo – dice il capogruppo Massimo De Rosa – non parteciperemo al voto e organizzeremo un presidio in città per spiegare la nostra protesta. Poi, mercoledì, saremo in aula per annunciare il nostro voto contrario”.

“In Italia c’è troppa democrazia”. E il generalissimo Draghi gode

Sì, carina la democrazia, va bene la libertà d’espressione, ma non è il caso di sopravvalutarle tanto. Da quando si è manifestato il Governo dei Migliori si respira questo sentimento (neanche tanto) strisciante in certi araldi dell’opinione pubblica – professori emeriti, firme dei grandi giornali, dirigenti d’azienda – secondo cui la libertà è un lusso che non ci possiamo più permettere.

Sabato sera qualche ingenuo idealista è sobbalzato per le parole di Mario Monti, ospite di In Onda su La7. L’ex premier e senatore a vita, serissimo, ha spiegato che “bisogna trovare delle modalità meno democratiche nella somministrazione dell’informazione”. Nessuno in studio ha pensato di chiamare un’ambulanza, anzi i conduttori l’hanno invitato a sviluppare il ragionamento: “È molto interessante, senatore. Si spieghi meglio”. Chi dovrebbe “dosare” l’informazione? “Il governo, ispirato, nutrito, istruito dalle autorità sanitarie”. Con i postumi del giorno dopo, è arrivata anche una blanda rettifica, Monti ha riconosciuto di aver usato “un’espressione infelice e impropria”, ma ne ha confermato il merito: “Il tema esiste”.

Insomma, questa democrazia ha stancato un po’. Così è diventato normale che si neghi il diritto a manifestare “nelle aree sensibili” delle città, oppure si sventoli il Daspo di un anno da Roma in faccia a Stefano Puzzer, il portuale triestino leader delle proteste contro il Green pass (trasformando un tipo così in un martire della libertà di pensiero), mentre si moltiplicano i titoli di giornale sul caro premier “stufo dei partiti”.

D’altra parte avete visto a cosa serve il Parlamento in tempi di Covid, e ancora più in tempi di Draghi? Praticamente a nulla. Tanto varrebbe affidarsi alle divise. Quest’estate Marcello Sorgi ha deliziato i lettori della Stampa con una suggestione marziale: “Metti anche che, in un intento suicida” i partiti “insistessero per mandare a casa il banchiere, giocandosi la fiducia dell’Europa e i miliardi di aiuti di cui sopra, al presidente della Repubblica non resterebbe che mettere su un governo elettorale, forse perfino militare, come accaduto con il generale Figliuolo per le vaccinazioni”. Anche Sorgi si è poi sentito in dovere di specificare che era solo “una provocazione”.

Ma perché imbarazzarsi? È un sentimento condiviso. Il giurista Sabino Cassese, per esempio, non si è per nulla pentito dei dotti ragionamenti consegnati in un’intervista a Repubblica il 17 settembre, in vista delle elezioni di Roma: “Nello stato in cui versa la città servirebbero tre generali di corpo d’armata, delle tre forze, a cui affidare la città per i prossimi dieci anni”. Domanda del cronista: tipo Figliuolo? “Tre Figliuolo”. Vuole una giunta militare? “È il minimo. Serve una cura radicale. Siamo circondati da cacciatori di farfalle”.

Evviva Figliuolo, evviva i migliori. In Draghi premier si compie un destino. Un destino che piega gli assetti istituzionali, come sostiene Giancarlo Giorgetti. Per il leghista, Super Mario andrebbe bene anche al Quirinale, tanto “sarebbe un semipresidenzialismo de facto, in cui il presidente della Repubblica allarga le sue funzioni approfittando di una politica debole”. Chissenefrega della Costituzione: viva la politica debole e l’uomo forte. Un destino anche celeste: la provvidenza. Lo dice la Chiesa. Con queste parole il presidente della Cei, il cardinale Gualtiero Bassetti, ha accolto il dono del “grande statista”: “Sappiamo quanto il premier sia stimato in Europa. Certamente, se la Provvidenza lo ha collocato nel posto in cui si trova, la sua esperienza, umanità e intelligenza, potranno essere veramente utili”. L’ultimo vescovo ad associare la provvidenza divina a un capo di governo era stato Pio XI con Benito Mussolini dopo la firma dei Patti Lateranensi, anno del Signore 1929.

Prosaicamente, Draghi è definito provvidenziale anche dagli industriali e dal loro leader Carlo Bonomi, che ha conferito allo stesso principio una sfumatura appena più laica: il premier “è l’uomo della necessità”. E allora, detto tutto ciò, cosa ce ne dovremmo fare dei vecchi, insulsi orpelli democratici?

Ruby Ter, Guerra e Sorcinelli rinunciano agli interrogatori

Altre due ragazzedicono no. Anche Barbara Guerra e Alessandra Sorcinelli, due ex ospiti delle serate di Arcore, che nelle ultime settimane avevano attaccato Silvio Berlusconi dicendo di essere pronte a dire la verità, hanno deciso di rinunciare agli interrogatori in aula, che erano previsti per domani al Tribunale di Milano, nel processo Ruby Ter. Le istanze di rinuncia seguono quella di Marysthell Polanco e vengono dopo l’ordinanza con cui il Tribunale aveva dichiarato “inutilizzabili” le deposizioni rese da 18 ragazze, comprese loro tre, nel Ruby e nel Ruby bis.

Cigno morto di aviaria: chiusa Villa Pamphili

Il sindaco di Roma Roberto Gualtieri ha disposto la chiusura al pubblico del Parco di Villa Pamphili nella parte dove si trova il laghetto del Giglio. Il provvedimento ha fatto seguito ad una richiesta del dipartimento di prevenzione della Asl Rm3, dopo che l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Roma il 26 novembre aveva comunicato una positività per influenza aviaria nelle specie avicole presenti nel laghetto. “È davvero per me un grandissimo dispiacere firmare l’ordinanza”, ha scritto il primo cittadino sui social, ma “si tratta di un provvedimento precauzionale seguito della morte per influenza aviaria di un cigno del laghetto. Per i prossimi 10 giorni, quindi, non potremo accedere a quell’area del parco”.

Scieri, due ex caporali a giudizio: “Omicidio”

Ventidue anni dopo, ci sarà un processo per accertare la verità sulla morte del siracusano Emanuele Scieri, il paracadutista della Folgore trovato senza vita nella caserma Gamerra di Pisa il 13 agosto 1999, e che sarebbe stato vittima di nonnismo. Saranno processati due ex caporali: Alessandro Panella e Luigi Zabara. Assolto per non avere commesso il fatto, il sottufficiale dell’esercito Andrea Antico (accusato di omicidio volontario aggravato); e gli ex ufficiali della Folgore, Enrico Celentano e Salvatore Romondia, perché il fatto non sussiste. La Procura di Pisa ha riaperto l’indagine dopo il lavoro della commissione parlamentare d’inchiesta.

“Depuratori inefficienti e scarichi nei fiumi” Sequestrati 78 mln alla partecipata di Acea

Rimbomba anche a Roma il suono del maxi-sequestro di 78 milioni di euro chiesto e ottenuto dalla Procura di Benevento contro GeSeSa spa, la società mista incaricata del servizio idrico integrato di 22 comuni nel Beneventano e accusata di ‘mala gestio’ in anni fino al 2019 per il cattivo funzionamento dei depuratori, causa del grave inquinamento dei fiumi Calore e Sabato. Gesesa infatti è partecipata al 58% da Acea – il 38% è in mano al Comune del Benevento, il resto ad altri comuni – il colosso multiutility romano che ne esprime i vertici e contribuisce in maniera determinante alle politiche gestionali. E così tra i 24 indagati dell’inchiesta ‘madre’ – di cui il sequestro disposto ieri dal giudice per le indagini preliminari è una conseguenza – ci sono i due ex Ad degli anni oggetto delle indagini, entrambi indicati da Acea, Piero Ferrari e Vittorio Cuciniello. Il sequestro, va precisato, non riguarda le loro persone, ma solo la società che hanno guidato. E riguarda episodi della gestione Ferrari.

Durissime le ragioni del provvedimento, descritte in una nota firmata dal procuratore capo Aldo Policastro: “Venivano tutelati soltanto gli interessi privatistici di carattere economico dell’azienda a discapito del bene comune rappresentato dalla necessità di evitare che reflui inquinati o comunque non conformi a legge finissero nei corsi idrici, risorse vitali per il nostro paese e oggetto dell’affidamento alla GeSeSA da parte dei Comuni della depurazione delle acque”. In sintesi: GeSeSa è chiamata a restituire i soldi che avrebbe risparmiato trascurando i suoi doveri. Un “ingiusto profitto”, secondo gli inquirenti, quantificato in circa 78 milioni.

Le indagini sono state condotte dai carabinieri del Noe di Napoli e dai finanzieri della polizia economica di Benevento. Hanno rivelato il pessimo funzionamento di 12 depuratori, sequestrati un anno e mezzo fa, e una vicenda di analisi di laboratorio privato ritenute truccate per far finta che tutto andava bene, mentre le fogne scaricavano direttamente nei fiumi.

Secondo la procura c’erano gli estremi per arrestare sei persone. Il Gip rigettò, il Riesame di Napoli ribaltò parzialmente concedendo due interdizioni ai pubblici uffici per un paio di funzionari GeSeSa. A luglio ci sono stati gli avvisi di conclusa indagine. Tutto lascia ritenere che il pm chiederà i rinvii a giudizio.