Amaggio il giudice lo avevo definito un moderno “Barbablù”. Era la prima ordinanza di arresto per l’imprenditore milanese Antonio Di Fazio, accusato di violenza sessuale nei confronti di una 21enne, studentessa all’università Bocconi, attirata nel suo appartamento dopo la promessa di uno stage nella propria azienda Global Farma, qui narcotizzata e, secondo la Procura di Milano, abusata e poi fotografata. Per questo primo caso, Di Fazio è oggi a processo con rito abbreviato. Ma già negli atti della prima ordinanza si era compreso, anche dall’analisi dei cellulari, di altre presunte vittime. Ieri in tarda serata la conferma. Con una seconda ordinanza di arresto consegnata in carcere a Di Fazio. Per lui le accuse, scrive l’agenzia Ansa, riguardano altri quattro casi di violenza e un tentato omicidio a carico della ex moglie. Fatto, quest’ultimo, che risale al maggio 2014. Dopo l’arresto del manager, la Procura aveva riaperto le indagini sulle denunce della ex moglie, 13 in tutto, presentate tra il 2009 e il 2016. I due si erano separati dopo appena un anno dal matrimonio, con un figlio di pochi mesi, e la donna aveva lasciato il tetto coniugale. Sentita in Procura a maggio, la donna aveva confermato, a verbale, di essere stata sottoposta a maltrattamenti e a narcotizzazioni. Parallele proseguono, sempre a carico di Di Fazio, le indagini finanziarie che riguardano le sue società, alcune fallite. Sullo sfondo della vicenda i rapporti, passati e recenti, dello stesso manager con ambienti vicini al crimine organizzato milanese.
Indagine su Pivetti, Gip non convalida sequestro di 4 mln
Sono stati restituiti a Irene Pivetti e al suo consulente i 4 milioni di euro che erano stati sequestrati in via preventiva e d’urgenza dalla Procura di Milano il 18 novembre. È l’effetto dell’ordinanza con cui il gip Giusy Barbara non ha convalidato il provvedimento firmato dal pm Giovanni Tarzia, titolare dell’indagine per dichiarazione fraudolenta attraverso l’interposizione di società estere “fantasma”, riciclaggio e autoriciclaggio con al centro una presunta compravendita fittizia di tre Ferrari con lo scopo, è l’ipotesi della Procura, di riciclare profitti frutto di evasione fiscale.
Fatti dei quali il gip ha dato, però, una lettura diversa ipotizzando, oltre ad una serie di reati invece che un’unica presunta frode fiscale, la “esterovestizione” delle società sparse in tutto il mondo mediante le quali sarebbe stato raggirato il Fisco. Una decisione contro la quale il pm ricorrerà al Tribunale del Riesame, per non veder minato l’impianto dell’inchiesta nella quale è stato già notificato l’avviso di chiusura delle indagini all’ex presidente della Camera e ad altre 6 persone.
Cronista molestata. Individuato tifoso: ‘Violenza sessuale’
È accusato di molestie e violenza sessuale l’uomo che sabato sera ha messo le mani addosso alla giornalista di Toscana Tv Greta Beccaglia, 27 anni, al termine del derby di campionato Empoli-Fiorentina, mentre la giovane era impegnata in un collegamento dallo stadio Castellani. La procura di Firenze ha aperto un fascicolo: l’ipotesi di reato è molestie e violenza sessuale. L’uomo è un 45enne della provincia di Ancona, tifoso della Fiorentina. Identificato dagli agenti del commissariato di Empoli, è ritenuto l’uomo che, nel video, dà uno schiaffo sul sedere alla giornalista. Gli investigatori, Digos di Firenze e Commissariato di Empoli, stanno cercando anche di individuare almeno altri due tifosi che avrebbero molestato la giornalista rivolgendole frasi sessiste. Ieri mattina la cronista è stata in questura, a Firenze, per denunciare formalmente l’episodio. Il ministero dell’Interno, ha fatto sapere il sottosegretario all’Interno Carlo Sibilia, non starà a guardare: “Il questore di Firenze – ha affermato – mi ha preannunciato ch sarà emesso un provvedimento di Daspo”.
Il re dei market si è fatto un “vaccino” da solo
Oltre 50 persone si sono fatte iniettare un “vaccino” anti-Covid sviluppato in privato dal milionario tedesco Winfried Stöcker. Sabato pomeriggio la polizia è intervenuta per bloccare le inoculazioni illegali all’aeroporto di Lubecca, nel nord del Paese.
In coda per ricevere una dose c’erano oltre duecento persone. Stöcker è un medico, ricercatore, inventore, ma soprattutto imprenditore. Ha un patrimonio stimato in diverse centinaia di milioni euro. Possiede l’aeroporto dove sono state fatte le iniezioni, una compagnia aerea, la catena di centri commerciali Art Nouveau, dove Wes Anderson ha girato Gran Budapest Hotel, e la Euroimmun: azienda che produce reagenti per laboratori di diagnostica e vanta diversi brevetti medici. In Germania Stöcker è conosciuto soprattutto per le sue dichiarazioni xenofobe, razziste e sessiste. Negli ultimi anni si è esposto più volte contro i profughi accusati di “abusare del nostro diritto d’asilo”. Dell’eccentrico milionario sono note anche le generose donazioni fatte al partito dell’ultradestra Afd.
A marzo il medico imprenditore ha annunciato di essere pronto a inoculare un vaccino anti-Covid prodotto in proprio, senza l’aiuto di nessuna casa farmaceutica. Dopo il primo vaccino inventato da Biontech sembrava una possibilità concreta. Ma ben presto la comunità scientifica ha lanciato l’allarme: Stöcker avrebbe saltato passaggi fondamentali necessari per la validazione del vaccino. La risposta del milionario è stata degna della sua fama. Si è autoiniettato una dose, annunciando che presto avrebbe iniziato una campagna di vaccinazione con dei volontari. È stata aperta contro di lui un’indagine per violazione della normativa sui medicinali.
Tra le particolarità del “vaccino” di Stöcker c’è che viene preparato sul momento: i sanitari prima di fare l’iniezione devono mischiare i reagenti per conto proprio. Secondo quanto si legge sul sito di Euroimmun, si tratta di un vaccino che avrebbe un’efficacia del 97%. Sarebbe inoltre molto economico perché basato sulla tecnologia dell’antigene ricombinante, comparabile ai vaccini contro l’epatite A e B. Nessuna di queste informazioni è stata comprovata da un organo esterno al laboratorio dell’imprenditore. Dei tre passaggi necessari per la commercializzazione di un vaccino quello di Stöcker non ha concluso neppure il primo. In diverse pubblicazioni scientifiche è stato sottolineato che il rischio principale a cui si sono esposti i volontari è la possibile contaminazione. I vaccini ad antigene sono prodotti partendo da altri virus, sovente utilizzando materiale di origine animale. Se la linea cellulare contiene retrovirus, c’è il rischio di sviluppo di un cancro. Tutto questo non ha spaventato sabato 250 persone. Presumibilmente buona parte, forse tutti, non immunizzati. In Germania solo il 68% della popolazione adulta è vaccinata, uno dei tassi più bassi d’Europa.
In coda per i vaccini Colpa di hub chiusi, anticipi e Open day
Hub vaccinali smobilitati e mai più riattivati. Personale sanitario riassorbito nelle corsie degli ospedali per abbattere le liste d’attesa per interventi chirurgici, esami diagnostici, visite specialistiche per altre patologie non Covid. E poi open day che si sovrappongono alle prenotazioni. Ma soprattutto a provocare le lunghe code che in questi ultimi giorni si sono formate davanti ai punti di somministrazione dei vaccini è stata la decisione del ministero della Salute di ridurre da sei a cinque mesi il tempo che deve intercorrere tra la seconda inoculazione (o la monodose nel caso del siero Johnson&Johnson) e il cosiddetto booster, la terza dose. Tutti coloro che erano programmati per gennaio hanno dovuto anticipare. E si sono sommati a quelli per i quali la scadenza dei 150 giorni cadeva o cade tra novembre e dicembre.
Il risultato? Un imbuto, con lunghi tempi d’attesa e disagi. A questo si deve il recente caos in tante regioni dalla Lombardia alla Campania, dal Piemonte alle Marche. Non certamente a un boom delle vaccinazioni. Perché è vero che le somministrazioni sono in ripresa quasi costante da almeno la metà di ottobre. Ma è altrettanto vero che i numeri sono ben lontani da quelli dell’estate scorsa, quando – si era ai primi di giugno – superarono il tetto delle 680 mila. Dal 25 al 28 novembre, domenica, sono state oltre 1,1 milioni. Una media di poco più di 282 mila al giorno. Non così tante da poter mandare in tilt gli hub vaccinali. Semplicemente diversi fattori si sono accumulati.
In Lombardia, per esempio, alcuni centri sono stati chiusi. Proprio come quello che era stato installato alla Fiera di Brescia e che era diventato uno dei più grandi hub della regione. La struttura è stata ridestinata alla sua funzione originaria. Sorte toccata ad altri punti di somministrazione, in settembre, quando ancora non era scattata la fase del booster e le prenotazioni programmate per le seconde dosi si riducevano sempre di più. Mentre, contemporaneamente, medici e infermieri venivano richiamati per essere destinati a un altro fronte, quello delle liste d’attesa per le prestazioni non Covid che durante l’emergenza sanitaria sono esplose.
“Solo nella nostra regione sono 3,5 milioni le persone che avrebbero dovuto fare il richiamo in gennaio e che adesso invece si devono presentare con un mese di anticipo”, spiegano i collaboratori dell’assessore al Welfare della Lombardia, Letizia Moratti. Poi ci sono le regioni che, recependo le indicazioni del governo, hanno dato il via libera alla terza dose senza prenotazione e senza distinzione per fasce d’età. Lo ha fatto, per esempio, la Campania. E anche a Napoli sono tornate le file e le attese. In Liguria, a Finalborgo (Savona), l’open day si è sovrapposto alle vaccinazioni prenotate. Lunghe code, l’altroieri, anche davanti all’hub dell’ospedale San Giovanni Addolorata di Roma. Anche in questo caso per un open day. Mentre nelle Marche, nel Maceratese, a creare disagi è stato prima di tutto il numero insufficiente di medici, uno staff inadeguato a far fronte a un fenomeno, quello dell’autopresentazione, che è sempre più diffuso. Nel frattempo le dosi booster hanno raggiunto il 48,86% della platea vaccinabile. Con grandi difformità tra i territori e tra le fasce di età. Sono solo otto le Regioni – in testa il Molise, seguito dal Piemonte – che superano la media nazionale. Tutte le altre in coda. Le ultime sono il Friuli-Venezia Giulia, da ieri in zona gialla (fermo al 36,17%), e ancora una volta la Sicilia e la Calabria, entrambe con una quota del 33,64%. Quanto alle fasce di età, quasi il 50% degli over 80 ha già ricevuto la terza dose. Molto più indietro tutti gli altri, con i 70enni inchiodati a nemmeno il 18%, i sessantenni al 13,82. Tra le persone di età compresa tra 50 e i 59 anni e i 40 e i 49 siamo invece, rispettivamente, ad appena il 7,9 e il 5%. Le prime dosi? Dopo essere aumentate leggermente nei giorni scorsi (oltre 83 mila in 72 ore) domenica sono ripiombate a nemmeno 15 mila.
G7: Omicron molto trasmissibile e Londra parte con le quarte dosi
La Gran Bretagna accelera sulle terze dosi e ieri ha annunciato che le farà a tutti gli over 18 e non solo agli over 40, anche a tre mesi (e non più sei) dalla seconda somministrazione. L’ha detto il professor Wei Shen Lim, a capo del Comitato congiunto britannico per la vaccinazione (Jcvi), sottolineando il pericolo della variante Omicron scoperta in Sudafrica. E per i fragili in Uk si parte con la quarta dose. L’Italia invece comincia, dal 23 dicembre, l’immunizzazione dei bambini tra i 5 e gli 11 anni, come conferma il professor Franco Locatelli del Comitato tecnico scientifico.
Nelle scorse settimane l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), impegnata per favorire le immunizzazioni nei Paesi a basso e medio reddito, frenava proprio sulle dosi di richiamo avviate in quelli ricchi. La partita è quella della sospensione dei brevetti, chiesta in seno all’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) da India e Sudafrica, cioè il Paese in cui è stata individuata la variante Delta oggi prevalente e quello che ha scoperto la Omicron su cui da giorni suona l’allarme.
Ieri i ministri della Sanità del G7 non ne hanno parlato, per ora il Sud del mondo deve accontentarsi delle donazioni del programma Covax. La dichiarazione finale elogia “il lavoro esemplare del Sudafrica sia nell’individuare la variante sia nell’avvertire gli altri” e alle donazioni affianca l’impegno, sia pure generico, a garantire “assistenza operativa” ai Paesi poveri: logistica, personale, risorse. È una proposta avanzata da Roberto Speranza. Ma il nodo resta quello dei brevetti. Un appello per la sospensione è stato diffuso ieri da 29 sindacati degli infermieri e delle professioni sanitarie che rappresentano 2,5 milioni di lavoratori del settore, compresi gli italiani di Nursind. Come sappiamo la sostenuta circolazione del virus in vaste regioni del pianeta favorisce l’emergere di varianti che non conoscono frontiere. In Sudafrica come in Brasile e altrove.
Il presidente Usa, Joe Biden, venerdì aveva ribadito: “Invito tutti i Paesi che si incontrano la prossima settimana per la riunione ministeriale dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) ad accettare la sfida degli Usa di una sospensione dei brevetti sui vaccini per il Covid-19”. La riunione Wto però è stata rinviata, troppe delegazioni non riuscivano a essere presenti a Ginevra anche per i voli bloccati a causa di Omicron. Il problema è politico. Alla moratoria sui brevetti si oppongono la Commissione europea – soprattutto nell’interesse della Germania che protegge Biontech, partner di Pfizer e della Francia, che spera nel vaccino Sanofi in corso di sperimentazione – ma anche Gran Bretagna, Canada e Svizzera. L’Italia sta nel mezzo. Più vicina a Francia e Germania rispetto a Belgio e Spagna per quanto Mario Draghi al G20 Salute di maggio si sia pronunciato per la linea Biden. Dalla Farnesina e dalla Salute confermano l’impegno per convincere i partner Ue. Al momento però la riunione alla Wto è saltata e non si sa quando sarà riconvocata. Intanto la Cina annuncia un miliardo di dosi in partenza per l’Africa.
I ministri del G7 hanno anche confermato “l’alta trasmissibilità” della variante Omicron ma non si conosce ancora la misura del pericolo, se cioè sia più trasmissibile della Delta e destinata a prevalere, mentre sembra escluso che conduca a quadri clinici più severi e non è accertato che crei problemi ai vaccini. L’Oms l’ha classificata Voc, Variant of concern, cioè preoccupante, per l’elevato numero di mutazioni e l’aumento di contagi e ricoveri in Sudafrica.
“Agiamo in nome di un sano egoismo L’elemosina e la carità non sostituiscono i diritti. Più donazioni e più logistica lasciano il tempo che trovano, lasciare i vaccini alle aziende produttrici è una follia, un’azione suicida”, osserva Vittorio Agnoletto, medico e attivista milanese, già fondatore della Lila per combattere l’Aids e oggi tra gli animatori della piattaforma internazionale che sostiene la moratoria. Chiede di “convocare quanto prima la riunione interministeriale della Wto” e ricorda che “Corea del Sud, Bangladesh, India, Sudafrica e Brasile sono pronti a produrre i vaccini” se i brevetti saranno sospesi.
Crescete e moltiplicatevi
Gli iscritti 5Stelle votano sul 2 per mille: la mini- quota di imposte che i contribuenti scelgono di destinare a un partito. Finora il M5S si era autoescluso perché anche quello è un finanziamento pubblico, sia pur indiretto. Ma l’anno scorso, agli Stati generali (Conte era premier, non leader), decise di rompere il tabù, insieme a quello più importante dei due mandati (almeno per gli amministratori locali, vedi Raggi). È giusto che cada anche quello del 2 per mille? Secondo noi, sì. 1) Quando Grillo e Casaleggio sr. dettarono la regola, i partiti arraffavano 200 milioni l’anno (1 miliardo a legislatura), aggirando il referendum sul finanziamento pubblico col trucco dei “rimborsi elettorali” (per campagne che costavano un quarto). Poi, grazie alla spinta del M5S, nel 2013 il governo Letta rimpiazzò quello sconcio con i più sobri fondi indiretti, fra cui il 2 x 1000 (lo Stato stanzia 25 milioni l’anno, ma ne spende solo 15 perché pochi contribuenti barrano la casella). 2) Il 2 x 1000 incoraggia i partiti a mantenere un legame con gli elettori, unici arbitri del loro finanziamento: premiano chi fa buona politica, puniscono chi fa cattiva politica. 3) In questo clima di restaurazione (vitalizi, immunità e bavagli vari), si vuole tornare ai finanziamenti diretti, con la scusa che sennò i partiti rubano (ma nell’èra Tangentopoli il finanziamento pubblico c’era, eppure si rubava più di oggi): meglio quello indiretto, modico, volontario e meritocratico, che un nuovo assalto alla diligenza.
4) Le regole interne sono al servizio del partito, non viceversa. Alcune di quelle pentastellate, all’inizio, hanno portato al successo un movimento che non solo non rubava, ma predicava e praticava una politica sobria. Ora sono diventate un handicap, anzi un boomerang, nella politica “sangue e merda” che trasforma i virtuosi in fessi. Se un eletto 5S non può aspirare al terzo mandato, deve restituire parte dello stipendio e non può accedere a fondi pubblici, è più facile per gli altri partiti comprarselo promettendogli terzo mandato, stipendio pieno e fondi pubblici. Così il partito più virtuoso non solo ha tutti contro, ma li combatte con le mani legate dietro la schiena. 5) La soluzione non è buttare le pratiche virtuose, ma aggiornarle all’esperienza attuale. Il 5Stelle perdono quasi tutte le elezioni intermedie perché non sono organizzati sui territori: per esserlo necessitano di risorse e, non avendo (per loro fortuna) grandi gruppi alle spalle, il modo più decente per reperirle è il 2 x 1000: mantenendo l’obbligo di donare ai bisognosi parte degli stipendi e derogando al limite dei due mandati per i parlamentari che lo meritano (purchè lo decidano gl’iscritti). Ciò che nel 2009 appariva un tradimento oggi si chiama crescita.
“India ’68: così mi ritrovai in camera con i Beatles”
“La cultura e la musica indiana hanno influenzato i Beatles e loro hanno influenzato la nostra”. A sorpresa l’indomito Sandokan, il cattivone di 007 Octopussy nonché l’attore di Beautiful rivela ciò che gli ha davvero cambiato la vita: “Sono riuscito a intervistarli tutti e quattro, un incontro cruciale per la mia carriera e il mio futuro”. Per capire meglio la genesi di questo incontro si può ascoltare Songs Inspired By The Film The Beatles And India, appena pubblicato, con una serie di canzoni (Mother Nature’s Son, Revolution, Dear Prudence, Child ofNature) reinterpretate dai maggiori cantautori contemporanei del Paese. Successivamente arriverà sugli schermi anche un film documentario diretto da Ajoj Bose. “I Beatles sono venuti in India nel 1968 per una visita molto importante a un ashram dello Yogi Maharishi, colui che ha introdotto in Occidente la meditazione trascendentale. Era un periodo molto difficile per la loro vita: si sentivano persi, c’era una tremenda pressione su di loro. Io riuscii a intervistarli due anni prima nella loro primissima visita, fui l’unico a poterla realizzare”.
Ci racconta quell’incontro?
Sono stato in grado di parlare con ognuno di loro individualmente. Ho apprezzato molto la grandiosità di Paul, la serietà di George, la giocosità di Ringo e John, per me era un dio. I Beatles rappresentavano un’epoca in cui tutto stava cambiando: c’era Woodstock e Hair, la rivoluzione sessuale, le proteste per la guerra del Vietnam. Ero il loro più grande fan e lavoravo in radio: chiesi di poter fare l’intervista, e mi dissero che non ci sarei mai riuscito. Ho aspettato vicino all’ascensore dell’albergo, in attesa che scendesse il manager. Conoscevo il loro tallone d’Achille: erano appena arrivati da Manila dove avevano avuto dei problemi con il governatore delle Filippine, rifiutando un invito a suonare per i figli. Quindi li hanno spediti in aeroporto e non era prevista una tappa in India, stavano tornando a Londra. Allora io ho detto al manager che il governo dell’India aveva richiesto questa intervista, il che era tecnicamente corretto poiché tutte le radio erano governative e lui, non volendo avere problemi con un altro governo, accettò dicendomi “i ragazzi non parleranno con nessuno, io farò la maledetta intervista”. Quando l’ho incontrato in hotel era seminudo e così chiese a Paul di fare questa intervista al posto suo e mi ritrovai magicamente nella loro stanza. La ragione per cui il produttore del documentario e del disco mi ha voluto incontrare è perché ha saputo di questa intervista e mi è venuto a cercare: mi diceva che il manager non era con i Beatles durante la visita ma io gli ho risposto che lo avevo incontrato. C’era qualcuno a Londra che ha tenuto traccia di ogni spostamento dei Beatles per ogni giorno della loro vita e ha controllato che quel giorno avessero fatto uno stop a Dehli e lui è stato indicato come presente.
Perché sostiene che questa intervista le ha cambiato la vita?
Per me sono stati la cosa migliore che potesse capitare a un giovane reporter che lavorava per una radio indiana. E quell’intervista mi ha portato a lasciare Nuova Delhi con pochissimi soldi nelle tasche per cercare e trovare una carriera talmente nuova per me a Bollywood, in Europa a fare Sandokan, in America in un film di James Bond e tutte le serie televisive che ho fatto.
Sandokan in Italia è un vero e proprio cult.
C’erano le strade piene di fan, la stampa mi chiamava il nuovo Valentino. L’Italia è stato il Paese che mi ha dato più fama e successo di qualsiasi altro. Nel mio libro Storie che vi devo raccontare, oltre all’incontro con i Beatles spiego cosa significhi affrontare le gioie del successo ma anche il suo lato oscuro: non significa che vivrai sempre felice e contento, io sono finito in bancarotta.
Nel libro narra anche del suo dramma familiare…
Volevo parlare del suicidio di mio figlio, avevo la necessità di raccontarlo e l’insegnamento che ho tratto in termini spirituali. Ho dovuto salvare la mia vita dalla rovina.
Mafia cinese: crimine di serie A, da Milano al cuore dell’Europa
La piovra orientale in Italia traffica, lucra, si arricchisce. La mafia cinese, riconosciuta tale anche da una sentenza di Cassazione del 30 maggio 2001, ha allungato i suoi tentacoli nel nostro Paese, guadagnando un posto di rilievo nello spaccio di droga, il giro di prostituzione e il gioco di azzardo, con metodi criminali come estorsioni, intimidazioni e usura. Prato, Milano e Palermo sono i tre punti base di questa organizzazione. Tre perni su cui si muove una ramificazione capillare, proprio come le storiche organizzazioni criminali italiane, che si espande in tutta Europa. “È una mafia di serie A”, spiega Salvatore Calleri, presidente Fondazione Antonino Caponnetto. “Non si rapporta con le altre organizzazione criminali, e se lo fa segue sempre le sue regole. Per molto tempo nel Sud Italia hanno pagato il pizzo alla mafia per svolgere i propri affari, ma secondo la cultura criminale cinese stavano solo corrompendo il potere, di fatto assumendone il controllo”, continua Calleri.
Di pizzo, intimidazioni e usura hanno invece il pieno controllo a Milano. Secondo le ultime statistiche circa il 9% degli stranieri residenti nella provincia di Milano sono cinesi. La parte più ampia della comunità è originaria dello Zhejiang, la regione più povera, quella dei contadini. Nel capoluogo lombardo questa fascia di popolazione è il serbatoio delle “api operaie” agli ordini dei boss. Nel 2014, per esempio, è stata scovata una banda di strozzini che minacciava di morte e picchiava i debitori, per poi reinvestire le centinaia di migliaia di euro, strappate ai giocatori d’azzardo, in attività di import-export nello Zhejiang e neibar di Lambrate. Spesso, però, gli strozzini sono l’unica opzione per aprire un’attività. “Non li vediamo e non sappiamo il loro nome. Ogni fine del mese diamo loro una gran parte dell’incasso” confessa Zhou, un commerciante cinese in zona Isola. “Sappiamo ovviamente chi sono, ma grazie a loro tanti di noi hanno la possibilità di aprire un negozio e portare a casa cibo per le famiglie. Inoltre ci sentiamo protetti, è per questo nessuno denuncia”.
Il centro nevralgico della malavita cinese è Paolo Sarpi, e la cintura di strade vicine: in via Aleardi, via Rosmini e via Lomazzo, si sviluppa oggi la criminalità cinese, muovendosi soprattutto all’interno della stessa comunità. Per essere chiari: oltre la sentenza di Cassazione nessuna procura italiana è mai riuscita a provare l’esistenza di una vera mafia cinese con caratteristiche simili alle organizzazioni italiane. Detto questo, le caratteristiche di questa organizzazione criminale sono ben delineate: “Le triadi cinesi, così come le mafie di nuova generazione sono incentrate su vincoli di consanguineità e su strette relazioni familiari. Sono organizzati con una struttura piramidale chiusa e inaccessibile e non esistono collaboratori di giustizia”, chiosa Vincenzo Musacchio, criminologo e associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies. Con all’interno comportamenti triviali e moderni allo stesso tempo. Come le Triadi, le società segrete come la 14K, l’Unione dei Bambù o la Wo-Shing-Wo, con i loro rituali a base di bastoncini d’incenso, le trentasei regole di condotta e le rigide gerarchie di ruoli, che hanno lasciato spazio a “Zhang Naizhong (definito dai giudici il ‘capo dei capi’) e ai fratelli Cai, Cheng Chun e Cheng Qui, ritenuti i capi assoluti della Chinatown di Milano” aggiunge Musacchio.
E i segnali di un cambiamento si moltiplicano, come note a margine della cronaca cittadina. Il primo settore criminale che ha permesso loro di arrivare in Occidente è certamente l’organizzazione dell’immigrazione clandestina: nell’ottobre 2019 a Milano, ad esempio, la coppia Wang Lei e Sun Yongping aveva con sé una grande quantità di passaporti giapponesi, singaporiani, malesi, di Hong Kong e di Macao, tutti documenti falsi, rivenduti a cittadini cinesi ricercati dalle autorità italiane. Poi a seguire “il traffico di esseri umani finalizzato allo sfruttamento lavorativo (in alcuni casi vera schiavitù)” e la “prostituzione di adulti e minori”, ribadisce Musacchio. In più, la contraffazione di merci è un altro ambito dove le mafie cinesi guadagnano molto, non solo in Italia ma anche in ambito internazionale. Infatti, il “triangolo Prato, Firenze e Osmannoro (località nel fiorentino) – fucina di capi contraffatti – è gestito dal gruppo criminale cinese dominante in Italia e in Europa” continua Calleri. Un contesto quello fiorentino, dove, secondo le indiscrezioni di un ex agente Dia, capannoni suddivisi a nido d’ape ospitano manovalanza clandestina che è passata da essere cinese a essere formata da migranti africani.
Perché hanno scelto di fare base a Milano? A partire dal 2014, la criminalità cinese ha cominciato a muoversi verso altre direzioni. E il capoluogo lombardo è stata la piazza prescelta: “La nostra comunità è davvero molto vasta, e i giovani vengono spesso arruolati nelle gang criminali dai boss. Da lì si perdono di vista, e spesso finisco in carcere o uccisi”, racconta Zhou. Nel 2015 infatti inizia l’era dello shaboo, o metamfetamina, acquistata in Polonia per 20 euro al grammo e rivenduta a 100 euro ai cinesi in Italia e per tre volte tanto ai filippini, unici acquirenti al di fuori dei connazionali. Un fenomeno che ha fatto crescere spaventosamente il tasso di giovani detenuti cinesi nel carcere di San Vittore per spaccio, ma anche prostituzione e omicidio. “Le nuove mafie cinesi sono ormai organizzazioni criminali in continua mutazione, spesso capaci di mimetizzarsi e pronte a cambiare adeguandosi ai territori e alle loro economie. Le mafie cinesi stanno contaminando l’economia legale ripulendo i loro immensi guadagni illeciti” conclude Musacchio.
Occupare le scuole è giusto (forse doveroso): ecco perché
“Scusatemi, non ho capito quali siano le rivendicazioni degli studenti: per me vogliono occupare solo per non fare lezione. E poi è illegale”. In questi giorni le (maledette) chat dei genitori dei liceali ribollono di simili prese di posizione. E i presidi, abbandonati a se stessi e schiantati da due anni di trincea pandemica, chiamano senza tanti complimenti la polizia ancor prima che i ragazzi osino occupare, in certi paradossali casi chiudendoli fuori dalla scuola per evitare che lo facciano! Un disastro democratico ed educativo, che è solo uno dei tanti volti della stretta securitaria che serra il Paese: sempre naturalmente con la scusa del Covid, perché: “Occupare con i contagi che si impennano, che irresponsabili!”. Peccato che sia stato il superiore ministero ad abolire il distanziamento nelle scuole che non potevano consentirlo (la maggior parte, viste le famose “classi-pollaio” riproposte anche dal governo dei taumaturghi), peccato che gli studenti arrivino a scuola su autobus che dovrebbero scrivere “linea Covid” al posto del numero. Ma niente: la pandemia si usa solo quando fa comodo. Cioè sempre contro i ragazzi. Ma quali mai saranno le ragioni per occupare, si chiedono genitori immemori di aver vissuto un’epoca in cui, chissà, anche loro avranno sperato di cambiare qualcosa del mondo: prima di esserne irrimediabilmente cambiati.
Già, che ragioni di protesta può avere un ragazzo che studia in una scuola fatiscente, e senza palestra? Che cambia i professori ogni anno, a causa di un organico colabrodo? Che legge negli occhi dei suoi insegnanti precari, ormai anziani, tutta la delusione di una vita rubata? Che si vede censurare gli articoli del giornalino di scuola perché certe famiglie molto cattoliche non vogliono che si faccia educazione sessuale, o che si parli dell’identità di genere? Che per l’alternanza scuola-lavoro si vede offrire la strepitosa opportunità di incartare i libri dalla Feltrinelli, sotto Natale?
E poi, magari, i più consapevoli potrebbero anche voler occupare per contestare alla radice l’idea di scuola che il governo della Repubblica ormai propugna in ogni sede: la scuola come fabbrica di pezzi di ricambio da cedere, al minor costo possibile, a un mercato del lavoro in cui la merce sono loro. Se lo sentono dire in ogni occasione, dal presidente del Consiglio in giù: “Siete capitale umano!”. Perché mai non dovrebbero essere raggianti?
È poi il paternalismo intollerabile di questa “classe dirigente” a suscitare nelle ragazze e nei ragazzi un residuale moto di ribellione. Si pensi alle tirate del ministro Cingolani, che non perde occasione per accusare Greta Thunberg di radicalismo e inconcludenza: dimostrando una sconcertante incapacità di leggere il movimento della storia. Del resto, è lo stesso ministro che ha testé chiesto di ridurre l’insegnamento della storia nella scuola italiana, per fare spazio alla tecnica: un ottimo piano per estirpare ogni traccia di pensiero critico capace, in prospettiva, di cambiare lo stato delle cose, favorendo invece una precoce professionalizzazione. Pezzi di ricambio, appunto: non persone, non cittadini.
E all’università è lo stesso. Pochi giorni fa, all’inaugurazione di un anno accademico, una coraggiosa e lucida studentessa ha detto che “l’università italiana è una palestra di sfruttamento”. Parole da incidere nel marmo, da quanto sono precise e vere: ma il presidente della Repubblica, che pure l’ha ascoltata con grande attenzione, non ha ritenuto di ribattere nulla, ma le ha invece ricordato che il Pnrr investe in ricerca. Il che è vero: ma è solo il 3%, contro il 6 della Francia e il 13 della Germania. Troppo poco: e per di più indirizzato solo alla ricerca applicata, a grandi consorzi che rischiano di essere egemonizzati dai necessari partners privati, e con l’obiettivo di creare solo ricercatori precari. Sarà per questo che da noi non si chiama Next Generation, ma Pnrr: almeno è chiaro che della prossima generazione non ce ne frega nulla.
Se poi lo sguardo si allarga ancora, come è vitale che accada, davvero pensiamo che gli adolescenti non abbiano motivi profondi e drammatici per contestare il potere dei vecchi che guida l’Occidente? Un solo esempio: legando il vaccino al brevetto delle multinazionali private (sostenute da fiumi di denaro pubblico) abbiamo condannato il terzo mondo (dove la vaccinazione è al 3%). E anche il nostro, visto che la massiccia circolazione del virus ha là ovviamente prodotto mutazioni letali, capaci di abbattere la barriera vaccinale: mutazioni che già rischiano di arrivare da noi, e non potrebbe essere altrimenti.
Potremmo continuare a lungo, enumerando infinite altre ragioni per cui una o un sedicenne possono (forse devono) ribellarsi. Ma bastano anche solo queste a far sperare che i nostri ragazzi imparino presto a capire la differenza tra illegale e ingiusto: anche, perché no, occupando scuole e università dove ormai in troppi non sanno più distinguerli.