Covid-19. Accusare i non vaccinati è troppo semplice e non funziona

 

In questi giorni appare chiaro il peggioramento della situazione relativa al Covid. A me appare chiara anche un’altra cosa: non credo che i vaccini, sicuramente efficaci nel ridurre i ricoveri e i danni derivanti dalla infezione, siano altrettanto efficaci nel ridurre i contagi. Mi sembra che, obiettivamente, pur con quasi il 90% di vaccinati, si voglia scaricare la responsabilità esclusivamente su coloro che hanno rifiutato la dose. Infatti si insiste solo sulla necessità di vaccinarsi. A me, invece, pare ragionevole ritenere che, in realtà, vi abbiano contribuito in maniera rilevante anche i vaccinati che vanno in giro senza precauzioni. Non è forse il caso di insistere anche sulle misure di distanziamento ormai abbandonate?

Alfonso Di Domenico

 

Gentile signor Di Domenico, è giusto insistere sulle misure di distanziamento come dice, nell’intervista pubblicata domenica 28, il professor Silvio Garattini. La mia opinione è che il governo abbia esagerato in alcune riaperture, per esempio nel consentire capienze fino all’80 o al 100%, oltre che nelle dichiarazioni che sopravvalutavano l’efficacia dei vaccini e promettevano la mitica immunità di gregge. L’ha fatto per incentivare le immunizzazioni, che non sono al 90% ma al 77% della popolazione totale. Oggi senza vaccini la situazione sarebbe drammatica, peggio della seconda ondata perché che la variante Delta è più contagiosa, eppure i vaccini non sono sufficienti. L’ultimo report dell’Istituto superiore di sanità (26 novembre) attribuisce loro un’efficacia superiore al 90% nel prevenire i casi gravi, che però scende al 71% per le semplici infezioni. Vuol dire che quasi un vaccinato su tre può contrarre il virus e trasmetterlo, sia pure in misura minore. E naturalmente Sars-Cov2 circola molto di più tra i non vaccinati (oggi quasi un italiano su quattro) che ci saranno sempre, perfino nell’ipotesi improbabile dell’imposizione dell’obbligo, tanto più che alcuni non possono vaccinarsi per motivi medici. Insomma, limitarsi a dire “vaccinatevi e non disturbate” non va bene. Servono anche le mascherine e il distanziamento, sorveglianza sanitaria e cure precoci più efficaci e interventi strutturali su scuole, trasporti e molto altro. Prendersela con i non vaccinati è troppo semplice e soprattutto non funziona.

Alessandro Mantovani

Scrigni segreti. Il mistero di Maria Obernik e dell’ammiratore nascosto (fino alla tomba)

Rovistando nel cassetto segreto di un’antica scrivania di famiglia, ho trovato un pacchetto di vecchie lettere, chiuse da un bel nastrino rosa, tutte indirizzate alla mia adorata nonna Maria Obernik, danzatrice ungherese e solista di tip tap, che girava l’Europa con grandi spettacoli di rivista negli anni ’30.

Una volta era in uso conservare le lettere, specie di contenuto amoroso, scritte su pregiata carta velina, che spesso mantenevano nel tempo il ricordo di un lontano profumo. Assalita da morbosa curiosità le ho lette tutte. Molte erano del futuro mio nonno, altre invece di un certo conte Friederich von Holstein, un aristocratico tedesco: “Gentile fraülein Maria, tre giorni fa ho avuto piacere immenso di averla ammirata nel teatro Olympia di Parigi, lei è stata veramente wunderbar, sicuramente la più brava della sua compagnia. Non ho avuto ardire di venire a salutare nel suo camerino, ma ho inviato eine kleine omaggio floreale. Il suo ammiratore Friederich”. Ne ho aperta un’altra: “Gentile fraülein, l’altra sera l’ho aspettata per due ore e venti all’uscita del teatro La Fenice di Venezia, con acqua alta e vento forte, sua interpretazione straordinaria, avrei voluto offrirle un cappuccino al caffè Florian, ma lei sparita. Suo devotissimo Friederich”. E un’altra ancora: “Maria carissima, giorni fa dopo lungo viaggio sono arrivato al teatro San Carlo di Napoli, speravo vederla, ma lei già partita per Tangeri. Io non perdere speranze, mein kompliment. Friederich”.

Ho pensato, che delicatezza e che eleganza c’era una volta! Poi ho trovato una cartolina raffigurante un paesaggio montano, credo austriaco, c’era scritto così: “Sehr geehrte frau, ho capito che non potrò mai lei conoscere, avrei avuto immenso piacere di stringere sua mano e di passare con lei mio 92esimo compleanno. Sarà prossima volta, suo Friederich”.

 

Walter Pedullà. Gigante gentile tra i lillipuziani. Il viaggio meraviglioso di un critico letterario

Nel parlare di un libro dedicato a Walter Pedullà in occasione del suo novantesimo compleanno, ammetto di essere fortemente influenzato da un lavoro fatto con, e per conto di, Walter Pedullà. Molti anni fa l’autore mi chiese, anzi amichevolmente mi impose, di lavorare a un testo di più di mille pagine sui grandi viaggiatori italiani nei secoli e nel mondo. Era un lavoro che non finiva mai, ma al quale Pedullà non ha rinunciato, fino alla consegna.

Nel lavoro, come nella vita, tutto ciò che gli interessava era di grandi dimensioni. Di Pedullà sanno tutto i lettori di una rubrica letteraria. Forse è il critico e saggista più noto e più letto in Italia, mai stroncatore o nemico, ma misuratore attentissimo, quasi farmaceutico della produzione letteraria del nostro Paese (e anche della sua ambientazione nel mondo). Ciò che cogli subito nel lavoro esplorativo di Pedulla è il viaggio: un continuo andare dovunque si legga e si scriva per capire come si legge, come si scrive, e narrarlo, per scoprire personaggi e interpreti della letteratura come se fossimo con loro al primo incontro.

In questo Novantesimo anno di Walter Pedullà (La Sapienza University Press , Editor Tommaso Pomilio ) il protagonista ha da offrire una straordinaria quantità e qualità di lavoro, dall’insegnamento universitario alle innumerevoli pagine letterarie di innumerevoli giornali. La sua dimensione fisica, un uomo molto forte e grande, e la sua dimensione letteraria, non fanno né ingombro né ombra ai personaggi, anche se accade che siano più piccoli e meno rilevanti. A tutti gli autori le cui opere sono arrivate nella sua grande sala d’aspetto, Pedullà si dedica con leggerezza gentile. Chiama in campo i grandi (Calvino, EcoMalerba, Sanguineti) perché gli preme dislocare con chiarezza zone di riferimento, lavorare sempre su una mappa con i punti cardinali in ordine.

Ma il tratto curioso del lavoro letterario di Pedullà, a cui Il novantesimo anno dedica una accurata e precisa attenzione, mantenendo il conversare molto ricco di materiale critico – con cui Pedullà scrive e racconta dei suoi autori, dei suoi colleghi, del suo tempo, in una serie di narrazione che qui diventano una importante antologia: il libro, a questo punto si trasforma in una originale riscrittura dei Viaggi di Gulliver.

Pedullà è catturato e trattenuto da una folla di autori non dominanti, che tuttavia chiedono di essere inclusi e citati (abbiamo già detto che una dei tratti di Pedullà è una gentilezza quasi affettuosa e comunque molto rispettosa del lavoro degli altri) e dai grandi della letteratura di quasi un secolo, che si siedono con lui alla pari e si lasciano intervistare. Il libro diventa dunque un manuale per circolare, orientati e guidati, in un importante periodo della storia contemporanea.

 

Il Novantesimo anno di Walter Pedullà

A cura di Tommaso Pomilio

Pagine: 430

Prezzo: 30

Editore: La Sapienza University Press

J. K. Rowling minacciata, l’inclusione secondo gli attivisti transgender

 

Non classificati

Italians do it better. Cardi B agli American Music Awards ha presentato i Maneskin seduta a un tavolo con davanti una tovaglia a quadri e un piatto di pasta. Dietro di lei un suonatore di mandolino. La solita scenetta degli italiani “spaghetti e mandolino“. Lapo Elkann non ha gradito e ha scritto su Twitter: “Sveglia Cardi B. L’Italia non è solo vino e spaghetti ma molto molto di più. L’Italia è bellezza, cultura, Leonardo, l’opera, la Ferrari. Per questo prima di presentare artisti italiani per favore preparati, studia. È triste usare stereotipi per parlare dei Maneskin”. Senza citare la Ferrari sarebbe stato più elegante, ma ha ragione lui. Detto ciò, quelli so’ americani. Che cosa vi aspettate?

 

No vax, no soap. L’attore Steve Burton in un video pubblicato sulla sua pagina Instagram dice di essere stato cacciato dalla soap opera “General Hospital” (il suo personaggio è morto a seguito del crollo di un tunnel) perché si è rifiutato di vaccinarsi contro il Covid. La notizia stupefacente è che “General Hospital” esiste ancora (è in onda dal 1963). Comunque lui ha detto: “So che ci sono state molte voci e speculazioni sul sottoscritto e su ‘General Hospital’ e volevo che voi lo sapeste da me. Sfortunatamente, ‘General Hospital’ mi ha fatto andare via a causa dell’obbligo vaccinale”. Ma benedetto ragazzo, non è Beautiful è proprio General Hospital!

 

Bocciati

Babbani. Tre attivisti per i diritti delle persone transgender hanno avuto l’ideona di pubblicare sui social la fotografia della villa dove J. K. Rowling abita con il marito e i figli. Tipo: volete andarla a prendere? Prego. La scrittrice, mamma di Harry Potter (se mamma si può ancora dire), ha ringraziato la polizia della Scozia, dove risiede, per averla assistita. I manifestanti si erano fatti fotografare davanti all’abitazione della scrittrice con alcuni cartelli, di cui uno riportava la scritta “Trans Liberation Now”. Lei ha risposto ribadendo la sua volontà di manifestare il proprio pensiero: “Dovrebbero riflettere sul fatto che ho ricevuto così tante minacce di morte che potrei tappezzare la casa ma non ho smesso di parlare”. Per chi se lo fosse perso, J. K. Rowling – una signora che ha donato una parte cospicua del suo patrimonio per iniziative a difesa di donne e bambini in difficoltà e ha donato milioni per la ricerca scientifica – è tacciata di essere transfobica. Vediamo perché. A giugno 2020 aveva twittato, commentando il titolo di un articolo che recitava “Creare un mondo post-Covid-19 più equo per le persone che hanno le mestruazioni”, il seguente post: “Sono sicura che ci fosse una parola per definire quelle persone. Qualcuno mi aiuti. Wumben? Wimpund? Woomud?”. Il post ironicamente faceva riferimento alla parola “women”. Travolta da un mare di critiche, ha provato a spiegare: “Conosco e amo le persone trans, ma cancellare il concetto di sesso significa rimuovere la capacità di molti di discutere in modo significativo delle loro vite. Dire la verità non vuol dire odiare”. E ancora: “Difendo il diritto di ogni persona transgender di vivere nel modo che ritenga più autentico e adeguato. Marcerei con voi se foste discriminati per il fatto di essere trans. Allo stesso tempo, la mia vita è stata modellata sull’essere donna. Non credo sia deprecabile dirlo”. E ancora: “Quando apri le porte di bagni e spogliatoi a ogni uomo che si crede donna, allora apri la porta a tutti gli uomini che vogliono entrare. È una semplice verità”, ha scritto rivelando di essere stata vittima di violenza sessuale in giovane età. Tra gli attivisti che espongono una donna e dei bambini alla violenza gratuita e una persona che dice le cose qui sopra citate, in questo modo, chi è il violento?

 

Il Rapporto. Il Parlamento europeo tumula la Superlega: contraria a merito e solidarietà

Non passerà forse alla storia come il famoso “Rapporto Jones” sui metodi di prigionia utilizzati dalla Cia negli anni del post attentati dell’11 Settembre 2001 (da cui il famoso film The Report di Scott Z. Burns), ma è certo che il “Rapporto Frankowski” (dal nome dell’eurodeputato polacco scelto come relatore) nonostante sia stato silenziato dai media servi del Palazzo un profondo segno sul futuro del calcio in Europa è destinato a lasciarlo.

Per chi non fosse stato informato: il Parlamento europeo, riunitosi in seduta plenaria a Strasburgo il 23 novembre, ha celebrato le esequie dell’orrida creatura venuta al mondo la notte del 18 aprile 2021, battezzata col nome di Super League (Superlega per il Belpaese) e subito defunta a dispetto dei macabri tentativi di tenerla in vita operati dai tre irriducibili dr. Frankenstein, Real Madrid, Barcellona e Juventus, che ancora oggi ne sventolano al mondo la carcassa. Tomasz Frankowski, firmatario del Rapporto, ha spiegato che la Ue, che propugna un modello di sport “che riconosca la necessità di un solido impegno per l’integrazione dei princìpi di solidarietà, sostenibilità, inclusione, competizione aperta, merito sportivo ed equità (…) si oppone fermamente alle competizioni scissionistiche che minano questi princìpi e mettono in pericolo la stabilità dell’ecosistema sportivo”. “La Super League Europea – ha detto Frankowski – è stata un chiaro esempio di questo tipo di azione che per il momento, e fortunatamente, è fallita a causa della forte opposizione europea alla sua realizzazione”. Ancora: Tutti “devono essere disposti a riconoscere e proteggere ciò che rende lo sport europeo così divertente, popolare e di successo, pur mantenendo le sue funzioni sociali. Queste caratteristiche includono il merito sportivo, la competizione aperta, l’equilibrio agonistico e la solidarietà”.

E già. Ad esempio: se la Super League fosse in vigore come nei piani delle eminenze grigie radunate alla corte di Florentino Perez, Joan Laporta e Andrea Agnelli, e il Napoli vincesse lo scudetto in Italia e l’Atalanta arrivasse 2ª, 3ª o 4ª (o viceversa), come del tutto possibile, la porta del Nuovo Torneo rimarrebbe loro chiusa in faccia, perché 15 dei 20 posti spetterebbero sempre e solo ai 15 riccastri che di anno in anno inviterebbero al banchetto, a elemosinare qualche briciola (Fantozzi direbbe: com’è umano lei!), 5 diseredati scelti a caso tra i barboni d’Europa. In Inghilterra, dove non più tardi di 5 anni fa il Leicester vinse a sorpresa il campionato, c’è l’outsider West Ham che vola lasciandosi alle spalle colossi come Manchester United, Arsenal e Tottenham? Chissenefrega. In Spagna c’è la Real Sociedad che contende il primato al Real Madrid mentre Barcellona e Atletico fanno pena? Chissenefrega. In Italia c’è la Juventus che col suo monte ingaggi lunare (236 milioni al netto di Ronaldo spedito Oltremanica) perde con l’Empoli, col Sassuolo e col Verona e rimedia figure barbine ovunque? Chissenefrega. Io sono ricco, il pallone è mio e gioco con chi voglio io.

Da lestofanti consumati le avevano pensate tutte: come creare migliaia di finti account Twitter per lanciare hashtag contro l’Uefa, Ceferin, Tebas e chiunque si fosse opposto alla loro baracconata (2 milioni di tweet diffusi da un bot arabo e uno madridista nelle 72 ore successive all’annuncio del lieto evento). Ma come i pifferi di montagna, andarono per suonare e furono suonati.

Ite Superlega est. Amen.

 

Virus. L’evento del millennio? L’invenzione del vaccino. Sì, ma per battere la malaria

La coda in aeroporto è lunga e fitta, alla faccia del divieto di assembramenti. Claudio (che non è un nome di fantasia) mi punta d’improvviso uno sguardo interrogativo in faccia e mi chiede: ma tu lo sai qual è il più grande evento degli anni Duemila? Penso alle Torri gemelle, all’Afghanistan, ma lui non mi dà il tempo di completare la rassegna mentale. “Te lo dico io, è la scoperta del vaccino…”, e qui immagino “anticovid”. Sbagliato. “Del vaccino contro la malaria”.

Non so se sia una boutade. Se intenda beffarsi del dibattito che imperversa da quasi due anni sulle prime pagine dei giornali. Certamente sembra pensarlo il passeggero in fila accanto a noi. Ma perché, gli chiedo, prima non c’era il vaccino? No, risponde. È una scoperta recentissima. Prima ci si difendeva con una profilassi detta “primaria”, con i suoi semplici imperativi. Coprirsi negli orari critici delle zanzare, usare zanzariere imbevute di insetticidi. Solo che dove infuria la malattia le zanzariere non si trovano. Hai presenti i posti? L’Africa sub-sahariana, alcuni paesi dell’America latina, alcuni paesi dell’Asia. Il 40 per cento della popolazione mondiale vive in zone dove la malaria è endemica. E devi anche sapere che la malaria o ammazza o ammala per sempre, non si guarisce.

Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità muoiono 260mila bambini africani all’anno, gli infettati sono 228 milioni. I morti annui 430mila, in gran parte bimbi sotto i 5 anni. Non parliamo delle cure con i farmaci. Il chinino rende sordi, l’Amarone attacca il fegato, ti rovina.

Claudio maneggia a memoria le cifre perché questa storia è anche sua. L’ha vista in faccia le tante volte che è volato da volontario in Costa d’Avorio, tra fine Novecento e inizi del nuovo millennio. Andava in una missione del don Orione, dove gli effetti della malattia erano visibili e continui. Ora li ricorda con raccapriccio. Missionari diventati ciechi, e la consapevolezza che o muori o fai una vita di m…, la febbre che ti torna ogni due mesi, la difficoltà a deambulare e i problemi alla vista. Era in un villaggio, si chiamava Khorogho, incerto e smarrito, ogni sei mesi un colpo di Stato e un carosello di bande armate. Molte suore siciliane, altre calabresi. E sai, aggiunge, che succede a chi rimane vivo? Che hai bisogno di cure continue, costose, che quei Paesi non si possono permettere; oppure cadi in depressione, e quei Paesi perdono parte della loro forza lavoro. Insomma, è una malattia che nasce dalla povertà e produce ulteriore povertà.

È così endemica la malaria in quei Paesi, racconta, che quando ti ammali ti fanno una grande festa, come fosse un rito di passaggio. Non per niente Moravia, quando narrò i suoi viaggi in Africa, polemizzò con l’espressione “mal d’Africa”, intesa come nostalgia del continente. Il mal d’Africa, spiegò duro, è la malaria. Eppure tutto questo, chiosa Claudio, non è stato sufficiente per cercare un vaccino. L’Oms ha fatto 30 anni di ricerca infruttuosa. Finché si è formata una rete di grandi finanziatori, con dentro l’Unicef e anche la fondazione Bill Gates, che ci ha messo 20 milioni di dollari. E allora finalmente è venuto fuori il vaccino, sperimentato nel 2019. Hanno già vaccinato 800mila persone e la mortalità si è ridotta del 30 per cento.

“Sono arrivati tardi”, commenta il vicino di coda che ha sentito tutto. Certo, replica Claudio, perché morivano in Africa e non erano un mercato ricco. Non erano ricchi né gli esseri umani né gli Stati. Tanto che questo vaccino non è stato pensato per far profitti. Che strano. Bastano le memorie personali di un amico per scuoterti, per riportarti con i piedi per terra. Per ribadirti che le diseguaglianze (che sono le vere “distanze sociali”) esistono. Chissà, penso ancora, che fine farebbero i no vax in Africa. Detto senza alterigia, ma giusto per curiosità.

 

Proteste diverse: la piazza di Greta non è la rabbia No Vax

 

BENALTRISMO DI PIAZZA

“E allora le manifestazioni per il ddl Zan? E quelli che scendono in piazza con Greta?”: queste sono alcune delle argomentazioni con cui, secondo il tradizionale costume “benaltrista”, vengono giustificate le manifestazioni “No vax” e “No green pass” che da ormai 18 settimane caratterizzano i nostri sabato pomeriggio. Che si tratti per la maggior parte di cortei connotati dallo sprezzo delle regole, in cui mascherine e distanziamento sono vessazioni inutili (da fuggire quanto più possibile), sembra un elemento di scarsa rilevanza, nella narrazione del “benaltrista” da salotto. A rimettere i puntini sulle “i” è il prefetto di Milano Renato Saccone, che si è occupato di questi cortei, spesso non autorizzati, in una delle città che ha visto più scontri e arresti: “Guardiamo la differenza, ad esempio rispetto alla settimana molto intensa della pre Cop, la settimana preparatoria alla conferenza sul clima di Glasgow. Accanto ai proficui lavori di giovani delegati di tutto il mondo, la città ha assistito a manifestazioni di giovani e giovanissimi con le loro leader mondiali, che hanno mostrato la capacità di mobilitarsi rispettando le regole. Istanze radicali, che al di là dei giudizi di merito incidono sull’agenda dei governi, e metodi profondamente democratici. Con quel movimento c’è stata una crescente facilità di interlocuzione, costruita sul rispetto reciproco. Fino ad oggi questo non è stato possibile con il coacervo ‘no vax’ e ‘no green pass’”. Ecco, non tutte le manifestazioni sono uguali. Non nei modi almeno.

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VARIAZIONI SULLA VARIANTE

La tocca piano Pierfrancesco Majorino: “Ora ci spaventano le notizie dall’Africa. Peccato che dei vaccini al Sud del mondo ve ne siete fottuti in tanti. Era roba da terzomondisti. Speriamo perlomeno che ’ste brutte novità servano a capire che il problema sono i vaccini. Ma quando mancano. Non quando ci sono”. Serve ribadire il concetto con veemenza. Perché la variante sudafricana, di cui sappiamo poco o nulla, rischia di ottenere un effetto paradossale: riaccendere un’onda xenofoba che sembrava sopita. E certi discorsi politici vanno già in questa direzione, attribuendo agli sbarchi clandestini il veicolo del contagio. Invece si dovrebbe riflettere sulle parole dell’europarlamentare democratico: pensare alla distribuzione dei vaccini nei Paesi più poveri non è un vezzo da radical chic; i vaccini sono il principale antidoto al virus. Purtroppo però, troppo spesso il dibattito prescinde dai dati. Dunque, ogni tentativo di riportarlo in carreggiata è benedetto.

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SCHIATTARE DALLE RISATE

Se Enrico Montesano che invita alla disobbedienza civile fosse un film le risate sarebbero assicurate. Purtoppo invece il comico non scherza: “Devono schiattare: governo, giornali e tv, senza risorse e senza ascolti! Da oggi si comincia. Vediamo se noi segregati, maltrattati, siamo cosí inutili, insignificanti e ininfluenti! Questo super greeeen cazzz è un’offess alla dignità. Non siamo affatto pochi! Gli possiamo fare molto male. Possiamo ficcarglielo in quel posto!”. E dire che noi credevamo che a poterci far schiattare fosse il virus, invece erano Montesano and friends…

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Conclave. Martini “regista” di BXVI e Francesco: ritorna il complottismo della mafia di San Gallo

Ci risiamo con il complottismo paramassonico della mafia di San Gallo che avrebbe fatto eleggere papa Francesco. Per i clericali di destra, la mafia di San Gallo è la cupola progressista che detta legge in Vaticano.

Breve sunto: tutto iniziò nel 1996 a San Gallo, appunto, in Svizzera, quando l’allora vescovo locale Ivo Fürer promosse, con la benedizione del cardinale Carlo Maria Martini, un consesso di prelati per discutere del futuro della Chiesa. Per un decennio intero, fino al 2006, il gruppo si riunì regolarmente e, oltre a Martini, c’erano cardinali influenti come i tedeschi Walter Kasper e Karl Lehmann (1936-2018), il belga Godfried Danneels (1933-2019), l’inglese Cormac Murphy- O’Connor (1932-2017), l’italiano Achille Silvestrini (1923-2019). Pochi anni fa fu Danneels a rivelare che quel gruppo che discuteva liberamente si era auto-definito “mafia”.

Spiegate le origini, è da poco uscito un libro che sta spopolando nel variegato network dei farisei anti-bergogliani. Lo ha scritto una studiosa di nome Julia Meloni (che coincidenza eh?) e lo ha pubblicato una casa editrice americana tradizionalista della Carolina del Nord, la Tan Books. S’intitola The St. Gallen Mafia: exposing the secret reformist group within the Church, La mafia di San Gallo: smascherare il gruppo riformista segreto all’interno della Chiesa. La tesi complottista è questa: sin dal Conclave del 2005, la mafia di San Gallo aveva individuato in Bergoglio il candidato ideale per portare avanti il progetto riformista nella Chiesa. Solo che la stessa Meloni non manca di notare, in un’intervista rilanciata da vari siti clericali, che il cardinale Martini nutriva forti dubbi sul “collega” argentino. Entrambi gesuiti, certo, ma Bergoglio nella Compagnia era noto per le sue posizioni troppo moderate.

In ogni caso nel Conclave che doveva eleggere il successore di Giovanni Paolo II, l’arcivescovo di Buenos Aires fu a sorpresa l’avversario di Ratzinger. La candidatura però non sfondò e a quel punto sarebbe stato proprio Martini a far convergere i voti progressisti sul cardinale tedesco. Per Meloni, lo fece per stoppare un’eventuale elezione di Camillo Ruini. In base però al famoso scoop del vaticanista Lucio Brunelli su Limes, il capo interventista della Chiesa italiana non fu mai realmente in gioco. Alla prima votazione del 18 aprile, Ratzinger prese 47 voti, Bergoglio 10, Martini 9 e Ruini 6. Alla seconda del giorno dopo, il voto si era già polarizzato: Ratzinger 65, Bergoglio 35. La quarta fu quella decisiva: Ratzinger 84 e Bergoglio 26.

Non solo. Meloni sostiene che Martini – oltre a spingere Ratzinger alle dimissioni nel giugno del 2012 (l’arcivescovo emerito di Milano morì nel successivo agosto) – , sarebbe stato favorevole all’elezione di Angelo Scola dopo la rinuncia di Benedetto XVI nel 2013. Ossia del cardinale ciellino alfiere del “ruinismo” di destra che poi fu davvero l’avversario di Bergoglio nel Conclave del 2013 (al primo scrutinio Scola prese 35 voti contro i 20 dell’argentino). Possibile mai? In sintesi: al leader della mafia di San Gallo, Martini, non piaceva il confratello gesuita Bergoglio, epperò questi è diventato il papa che porta avanti il programma progressista del gruppo. Che complotto era?

 

“Da assessora a ologramma nella galassia maschilista”

In piazza, tra amici: “L’assessore Folletto, ragazzina carina e con la borsetta”. Oppure, gli operai canticchiando sul cantiere: “Ciao bellezza, cuore, amoreeee…”. O anche, scrivendo sui social: “Ma lei a che serve lì?”.

La breve storia di Rossella Lauro, assessora ai Lavori pubblici di Procida, il comune che dal 1º gennaio sarà capitale italiana della cultura, è un denso trattato antropologico del maschio italiano e della sua proiezione in politica.

“La delega ai lavori pubblici è una sorta di introspezione quotidiana nel genere maschile. Il direttore dei lavori, il capo cantiere, l’operaio, il funzionario della Regione. Io vedo solo maschi, sempre maschi, tutti maschi. E spesso non si capacitano che io esista, e che anzi sia l’assessore delegato”.

L’aneddotica non manca a ricordarle che è donna, dunque estranea a questo mondo.

A volte è divertente, a volte cafona, a volte irridente. Un manuale delle cattive maniere.

È donna e anche rompiscatole.

Perchè faccio rispettare i tempi, osservo, organizzo, non mi distraggo. Noi donne sappiamo organizzare di più il lavoro e per questo siamo rompiscatole. Rompere le scatole come condizione essenziale della buona pratica politica. Procida ha una sola strada che la attraversa, e siamo stati chiamati a metanizzare l’isola dovendo far passare il metano sotto quell’unica via. Dunque l’abbiamo dovuta bucare. Interrompere il transito è un grande problema. E infatti nei quindici anni precedenti il collega assessore maschio ha realizzato tre chilometri. Negli scorsi cinque anni io sono riuscita a farne ventisei di chilometri. Tutto il lavoro è stato completato.

Lei è tignosa?

L’anno prossimo Procida ospiterà 150 eventi che si svilupperanno in 330 giorni, possiamo non essere tignosi con le imprese affidatarie? Dobbiamo prepararci bene, perciò io dico a tutti i capi cantiere: decidiamo insieme quando si inizia l’opera e decidiamo quando si termina. Decidere significa decidere. Abbiamo recuperato negli anni ventidue milioni di euro di fondi europei, e altri quattro da Regione e Governo per via della nomina a capitale della cultura. Attraversare l’universo maschile che detiene i cordoni della borsa è stata un’altra utile esperienza.

Cioè?

Vado in regione con il direttore dei lavori e il funzionario che ci riceve, convinto che fossi la segretaria (una donna può fare altro che la segretaria?), inizia a dibattere col mio funzionario. Interrompo l’amabile conversazione e gli chiedo di rivolgersi a me.

L’assessora.

Gli appaltatori si dirigono verso il maschio senza nemmeno l’ombra del dubbio. Spesso mi sono sentita un’astrazione, un ologramma. Non esistevo.

Lei non le faceva passare però queste scortesie.

Un giorno, andando al porto, attraversai un cantiere. E gli operai a fischiettare scemenze: cuoreeee, amoreee. Il giorno dopo mi fermai: sono l’assessora ai lavori pubblici, piacere.

I maschietti imbarazzati.

Sono disabituati, è del tutto estraneo al loro mondo che una donna possa organizzare lavori prevalentemente maschili. Rifiutano l’idea. Ma l’assessore deve avere sotto controllo la situazione. Non distrarsi mai. Procida è un lembo di terra, isola bellissima ma faticosa. Ogni lavoro costringe a sacrifici che altrove non si fanno.

Acqua da tutte le parti.

Abbiamo concluso il water front lavorando d’estate. Sa cosa significa per un’isola avere cantieri al porto in luglio? Sarebbe potuta scoppiare la guerra civile dei negozianti. E invece organizzando, spiegando, costringendo anche, ce l’abbiamo fatta.

L’hanno chiamata “l’assessore Folletto, carina e con la borsetta”.

La signorina manda avanti gli appalti, non si distrae come succedeva a Procida con tanti signori maschi.

È una bella lezione.

L’abitudine al municipio di salutarsi prima tra di loro e poi accorgersi, toh, che c’è anche una donna. Vogliamo parlarne?

2 x mille. Oggi e domani il voto sul web degli iscritti ai 5Stelle

Tutti al voto, per decidere se cancellare l’ennesimo pilastro, o superare un altro tabù. Da oggi a mezzogiorno fino alle 12 di domani gli iscritti al M5S voteranno tramite la piattaforma SkyVote per decidere se il Movimento debba o meno chiedere l’accesso al finanziamento pubblico tramite il 2 per mille, ma anche – come spiega il sito del M5S – “al finanziamento privato in regime fiscale agevolato”. Non solo: gli iscritti al Movimento dovranno stabilire anche a chi destinare i 4 milioni di euro di restituzioni giacenti degli eletti del M5S. I votanti potranno esprimere fino a due preferenze in una lista di associazioni e enti pubblicata sul sito dei Cinque Stelle, in cui compaiono l’Anpas, (associazione nazionale pubbliche assistenze), il Cnr (per progetti di ricerca), Emergency, il Gruppo Abele, la Lega del Filo d’Oro, Medici senza frontiere e la Nove Onlus. Le proposte verranno approvate a maggioranza semplice, ossia senza un quorum. Sempre in settimana, dopo diversi rinvii, è attesa invece l’altra votazione per la nuova segreteria del Movimento, con la ratifica dei 5 vicepresidenti.