Londra: “Il soccorso sia reato”

Ha un volto e un nome la prima vittima identificata del naufragio nel Canale della Manica in cui mercoledì sono annegati in 27, compresi una donna incinta e tre bambini. Maryam Nuri Mohamed Amin, 24 anni, riconosciuta da alcuni familiari, veniva da Ranya, un villaggio curdo nel nord dell’Iraq, e si era imbarcata sul gommone naufragato per fare una sorpresa al fidanzato già residente in Gran Bretagna. Si sono mandati messaggi fino all’ultimo. Una cugina, affranta, ha detto a Sky News: “Chi lascia la propria casa per l’Europa ha le proprie ragioni e le proprie speranze. Chiedo ai governi di Francia e Gran Bretagna di aiutarli in un modo diverso, invece di obbligarli a scegliere di imbarcarsi, che è una scelta di morte”.

Ma Francia e Gran Bretagna sono lontanissime sulla questione immigrati: i rapporti diplomatici, già molto tesi per le molte ricadute di Brexit e per il dossier Aukus, sono ai minimi per la profonda irritazione con cui Parigi ha reagito alla lettera che Boris Johnson nei giorni scorsi ha inviato a Macron, via Twitter, in cui rendeva note le proposte di Londra per risolvere la situazione. Modalità di lavoro considerata poco seria dall’esecutivo francese, che ha per questo sospeso l’invito della ministra britannica dell’Interno Priti Patel al vertice che si terrà oggi a Calais con Olanda Germania, Belgio e Unione europea proprio per esaminare vie alternative alla crisi. Il veto è un duro messaggio politico, ma funzionari britannici saranno presenti al tavolo dei negoziati, che continuano. C’è un’intesa di massima sulla condivisione di risorse di intelligence sui trafficanti, come sull’incremento di sistemi di sorveglianza tecnologica (droni o binocoli a infrarossi per la visione notturna) ma l’Eliseo, per ragioni di sovranità, si oppone all’idea del pattugliamento congiunto in territorio francese. L’obiezione di fondo è di approccio: Londra vuole puntare sull’aumento della vigilanza, Parigi, che già impiega 600 gendarmi 24 ore al giorno e ha chiara la difficoltà di presidiare metro a metro 65 chilometri di costa, propone invece una soluzione molto diversa: la creazione, in territorio francese, di centri di valutazione e smistamento delle richieste di asilo, gestiti in collaborazione con i funzionari britannici. Rigetta invece radicalmente la principale richiesta di Londra, che vuole rimandare indietro i migranti senza nemmeno valutarne le circostanze: alcuni hanno parenti in Gran Bretagna e sarebbero quindi candidabili al ricongiungimento familiare, altri sono vittime collaterali di interventi militari occidentali. Alcuni, infine, sono ex collaboratori delle istituzioni britanniche in Afghanistan, magari con i documenti in regola ma bloccati dalla difficoltà di partire sotto il regime talebano, dove quella collaborazione significa morte certa.

Ma a Westminster è in dirittura d’arrivo un disegno di legge, firmato Patel, che restringe i diritti dei rifugiati e classifica il soccorso come reato penale.

Giustizia, razzismo, armi: Sleepy Joe delude i dem

Il basso profilo sulla giustizia razziale non paga; come non pagano la ricerca del compromesso e la moderazione, in un Paese polarizzato come gli Stati Uniti.

Joe Biden se ne sta accorgendo: il presidente non fa polemiche, dopo l’assoluzione del suprematista bianco Kyle Rittenhouse, che nell’agosto 2020 a Kenosha in Wisconsin uccise con un fucile d’assalto due manifestanti bianchi anti-razzisti “per legittima difesa”, ha sentenziato il tribunale.

Ma così facendo Biden “lascia insoddisfatti entrambi i campi in cui l’America è divisa”, scrive Politico. Black Lives Matter e i suoi elettori lo vorrebbero più efficace. E, mentre lui fa l’‘anti-Trump’, i ‘trumpiani’ trasformano Rittenhouse in un eroe della destra: il magnate ex presidente lo riceve nella sua tenuta di Mar-a-lago, in Florida; e la deputata Marjorie Taylor Greene, cospirazionista e adepta di QAnon, propone di dargli la Medaglia d’oro del Congresso. Non accadrà, perché ci vogliono i due terzi dei voti, ma se ne dovrà parlare. E mentre la pandemia da Covid non accenna a dare tregua e rallenta la ripresa dell’economia, l’Unione violenta fronteggia un’epidemia da armi, con numeri di omicidi, suicidi e sparatorie di massa senza precedenti.

Negli Usa, ci sono 120 armi da fuoco ogni 100 persone: 393 milioni tra pistole e fucili, il 46% delle armi da fuoco detenute dai civili sull’intero pianeta. Le richieste di background check, i controlli fatti su chi acquista armi per verificare se ha precedenti penali o soffre di disturbi mentali, sono in aumento del 20% rispetto al 2020 (non erano tanto alte da una decina d’anni).

Nel 2019, nell’Unione ci sono stati quattro omicidi con armi da fuoco ogni 100 mila persone, 18 volte di più della media nei Paesi sviluppati. Le città più violente sono Chicago, New York, Atlanta, Louisville, anche Philadelphia, di nuovo Washington. Le sparatorie di massa, che coinvolgono più di quattro persone, erano state 417 nel 2019, sono già quasi 650 nel 2021. Cifre che fanno temere sussulti di violenza, in un Paese teso e polarizzato. La stretta sulle norme per la detenzione delle armi da fuoco, voluta dalla Casa Bianca e da gran parte dei democratici, è ferma al Senato e sembra destinata a restare arenata, come già avvenne durante l’Amministrazione Obama.

Eccesso di misura sulla giustizia razziale; inazione sulla stretta alle armi; mancanza di risultati sui fronti del flusso dei migranti, del rilancio dell’economia e del contenimento dell’inflazione – mai così alta da trent’anni –. Inoltre c’è anche incertezza sull’esito dei ricorsi alla Corte Suprema contro le leggi che restringono l’accesso al voto delle minoranze e sull’aborto: tutto danneggia la popolarità del presidente, al 42%, sui suoi minimi, secondo un sondaggio per la National Public Radio – il 52% lo disapprova –; addirittura al 36% secondo un sondaggio della Quinnipiac University. Non migliora il quadro la decisione dei Biden di passare il week-end di Thanksgiving, come loro abitudine, sull’isola di Nantucket, da dove salpò il Pequod del capitano Achab alla caccia di Moby Dick, oggi esclusivo buen retiro di ricchi e famosi al largo di Cape Cod, Massachusetts. L’avere accettato l’ospitalità dell’investitore miliardario David Rubenstein, amico di lunga data, è parso uno schiaffo alle famiglie alle prese con la crisi derivata dal Covid e in difficoltà per il caro prezzi.

 

Iran, ora la guerra è per l’acqua

Era già accaduto durante l’ondata di siccità del luglio scorso nel sud ovest del Paese, ma non con la stessa brutalità. Nelle scorse ore i pasdaranhanno attaccato in modo violento il sit-in che da giorni migliaia di contadini hanno inscenato nel centro dell’Iran per protestare contro le conseguenze della scarsità d’acqua che ha reso i loro terreni aridi.

Le guardie della rivoluzione aiutate dalla polizia hanno picchiato e arrestato centinaia di manifestanti dopo aver appiccato il fuoco alla marea di tende piantate come riparo dal freddo notturno nel letto disidratato di quello che era l’enorme fiume Zayandeh Rud. I coltivatori hanno tentato di rispondere, inutilmente, con le uniche armi ormai abbondanti in quella regione: pezzi di terreno duri come pietre. Le acque placide dello Zayandeh Rud e le sue rive frondose e verdeggianti stanno diventando un ricordo del passato. Di quello che fino a qualche anno fa era il fiume più grande della regione agricola iraniana del Khuzestan non resta ormai che un misero rivolo del tutto insufficiente a irrigare i campi e dare sostentamento anche al resto del paese, nonostante la grave crisi economica in cui versa, acuitasi in seguito alle sanzioni internazionali. Il 2021 entrerà nella storia dell’ex Persia come l’anno della più devastante crisi idrica dell’ultimo decennio. Un’emergenza umanitaria – resa ancora più drammatica dagli effetti della pandemia – generata dal cambiamento climatico combinato con l’incapacità del corrotto regime degli ayatollah sciiti di creare infrastrutture ecosostenibili e di mettervi a gestirle veri esperti, anziché i pasdaran o i loro familiari parte dell’entourage della guida suprema Ali Khamenei, colui che tutto decide. E se cinque mesi fa il Grande Ayatollah per sedare la rivolta aveva usato il bastone ma anche la carota affermando pubblicamente che “i contadini non avevano tutti i torti a esprimere la propria frustrazione”, ora il suo atteggiamento è cambiato perché ammettere che l’Iran ha un grave problema idrico e una crisi agricola significa rivelare la propria inadeguatezza come leader. Del terribile bisogno di acqua e infrastrutture, di cibo e lavoro dell’Iran, Khamenei teme, potrebbero avvantaggiarsi i nemici di sempre, in primis gli Stati Uniti che stanno attendendo che il neo presidente Raisi decida se rientrare nell’accordo sul nucleare senza precondizioni. La crisi economica iraniana potrebbe essere alleviata se le sanzioni venissero sollevate in seguito a una sua decisione a favore. Nel pomeriggio di ieri intanto centinaia di abitanti della storica città di Isfahan, capoluogo della regione dove serpeggia il Rud, si sono uniti alle proteste degli agricoltori, secondo quanto riferito dalle agenzie di stampa iraniane e dai post sui social media.

Isfahan è la terza città per grandezza dell’Iran. La Tv di Stato ha mostrato la polizia che sparava gas lacrimogeni contro i manifestanti che urlavano agli agenti : “Vergognatevi!”. Il conduttore del tg di stato ha commentato le immagini accusando i manifestanti di essere dei teppisti, ma tutti gli iraniani sanno che non è così e per questo gli ayatollah temono che la protesta si espanda . I contadini della provincia di Isfahan protestano da anni inascoltati contro la deviazione del corso dello Zayandeh Rud realizzata per rifornire altre aree e costruire dighe con il risultato che gli esperti meteorologici denunciano che il 97 percento del paese ha a che fare con problemi di scarsità d’acqua.

“Non mi sarei mai aspettato che ci facessero questo, ci picchiassero, ci sparassero e ferissero anche i nostri bambini, persino i neonati” hanno detto ai pochi giornalisti locali presenti alcuni agricoltori attaccati mentre bevevano tè sotto una tenda.

“Non abbiamo più nulla delle nostre terre e mezzi di sussistenza, stiamo solo chiedendo i nostri diritti sull’acqua”, ha detto un altro manifestante che possiede tre ettari di terreno agricolo un tempo rigoglioso di grano, orzo e ortaggi. L’uomo è stato costretto a vendere il suo bestiame per far sopravvivere la famiglia. A Isfahan, l’acqua è stata deviata attraverso tubi sotterranei lontano dai terreni agricoli e verso i complessi industriali nella provincia desertica di Yazd e per fornire acqua potabile alla città di Qom, ovvero la città “santa”, la Gerusalemme dell’Iran dove viene formato il clero. L’ex ministro dell’Energia del paese ha avvertito a maggio che l’Iran stava affrontando l’estate più secca e calda degli ultimi 50 anni e che le temperature fisse sui 50 gradi per giorni avrebbero causato tagli nell’energia elettrica e carenza di acqua.

Dulcis in fundo, la protesta ha visto la partecipazione tra gli organizzatori degli agricoltori di etnia araba particolarmente invisi al regime persiano. Come soluzione temporanea per far terminare le proteste di cinque mesi fa, i funzionari governativi avevano aperto una diga e l’acqua era tornata a scorrere nella regione sud occidentale. Ora però non sembra vogliano adottare lo stesso escamotage.

 

Mail box

 

Quelli che si indignano per una vignetta

La vignetta di Mannelli sulla Leopolda ha indignato e scandalizzato alcuni lettori del Fatto. Piuttosto dovrebbe suscitare sconcerto e preoccupazione un parlamento che delibera su “Ruby, nipote di Mubarak”, oppure la candidatura alla suprema carica dello Stato di un “incensurato” come Silvio, che ha evaso il fisco con una “gigantesca frode fiscale” e “versato cospicue somme a Cosa nostra contribuendo al consolidamento del sodalizio mafioso” (parole della Cassazione). Così come mi ha scandalizzato lo scempio dello Statuto dei lavoratori realizzato dal Bomba, con il Jobs act che ha anche ridotto gli stessi a merce usa e getta.

Maurizio Burattini

 

Chi dovrei denunciare, il Saudita o Mannelli?

Mia moglie si chiama Leopolda: chi dovrei denunciare, Mannelli o Renzi?

Giorgio Murru

 

Se rimane la contagiosità perché vaccinarsi?

Sappiamo che ormai la maggioranza degli italiani è vaccinata, e comunque si punta al raggiungimento del 100% per scongiurare il rischio di diffusione del virus e l’affollamento ospedaliero perché, come sostenuto da molti, la colpa del continuo circolare del virus è legata a chi non si vuole vaccinare. Da qui nasce la mia domanda: perché un vaccinato ha meno possibilità di diffondere il virus? Non si capisce perché, in paesi come Israele, si continua a intervenire con misure restrittive continuando a spacciare il vaccino come unica panacea alla pandemia. Mi chiedo se tutto ciò non abbia come scopo di far protrarre l’emergenza. Quindi, per quale motivo la gente dovrebbe continuare a ricorrere a un vaccino che non ha effetti su questa situazione emergenziale?

Stefano

Bisogna vaccinarsi per ridurre il rischio di morire o di finire intubati. Ma ben sapendo che si rimane contagiosi e contagiabili. Altro che “Natale normale”. La nostra scelta di vaccinarci è sanamente egoista.

M. Trav.

 

Ci diano la possibilità di scegliere chi eleggere

Da quando ho raggiunto la maggiore età, cioè 45 anni fa, sono sempre andato a votare a ogni elezione europea, nazionale, comunale, regionale, provinciale o referendum: sempre. Perché convinto che libertà è partecipazione. Ma dopo aver sentito Letta e la Meloni dichiarare che questa legge elettorale va bene, capisco quelli che non vanno più a votare, ai quali forse mi aggregherò. Da venti anni (dal Porcellum in poi) noi cittadini non possiamo più dare una sola preferenza fra i candidati che ormai vengono eletti dai quattro o cinque segretari di partiti, e non dagli elettori. Con l’attuale legge (il Rosatellum) abbiamo avuto dopo le elezioni il più vergognoso e massiccio cambio di casacca dei parlamentari in pieno sfregio degli elettori. Sì, la Costituzione prevede i cambi di casacca, ma se nelle prossime elezioni i voltagabbana potessero, con la preferenza, essere scelti da noi elettori, ci penserebbero molto prima di cambiare casacca. Una classe politica che si autoriproduce, senza passare al vaglio degli elettori, che garanzia di rappresentatività può dare? È facile quindi per i cittadini già poco attratti dalla politica a ritrovarsi nell’astensionismo, con la convinzione che tutti sono uguali, tutti rubano alla stessa maniera. Quindi, cari Letta, Meloni, Salvini, Renzi e Conte, che vi riempite la bocca della parola “popolo” o “cittadini”, abbiate la decenza di ridare ai cittadini uno dei pochi diritti della democrazia: il voto. Sarebbe un modo per far assumere ai cittadini le proprie responsabilità su chi scelgono, per poi non lamentarsi sugli eletti.

Vito Burgio

Viva i piedi e la testa di Massimo Fini

“Massimo Fini? Un anarcoide, un russo mezzo pazzo”.

Giorgio Bocca

Massimo Fini è a tal punto affascinato da se stesso che non si può non essere affascinati da Massimo Fini. Perché se un grande giornalista non è un narcisista felice di esserlo, o è un impostore o non è un grande giornalista (così come in genere la falsa modestia è quasi sempre l’estremo rifugio delle mezze calzette). Lui, per dimostrare in quale misura arriva ad amarsi, ha prodotto un volume di 807 pagine, tanto che qualche collega (narciso ma molto meno bravo di Fini) ha trovato da ridire sulla eccessiva voluminosità (forse perché non contemplato nell’indice dei nomi lungo altre 19 pagine). Poi c’è una copertina con uno stupendo ritratto in bianco e nero dell’autore, di quelli che nei salotti della buona borghesia meritano una mensola in vista e una cornice d’argento. C’è un giovane uomo, colto nella stagione più luminosa della vita, che ci osserva e ci scruta mentre le dita della mano destra quasi accarezzano una copertina con il titolo “Bosch” (immaginiamo Hieronymus). E noi lo osserviamo prima che si alzi da quell’elegante divano per intraprendere uno dei suoi viaggi da cui ritornerà con una scintillante intervista o con un sulfureo ritratto. Il titolo del libro è “Il giornalismo fatto in pezzi” (Marsilio) ed è costruito come un’ardita torre di carta i cui “pezzi” (come nel gergo giornalistico chiamiamo gli articoli) sono le pietre lavorate. Ciascuna diversa dall’altra, tutte tenute insieme dalla forza del talento e ricoperte da un velo di nostalgia. Perché gran parte di questa raccolta comprende le cronache, le inchieste, le conversazioni, gli incontri e gli scontri pubblicati dai primi anni Settanta ai Duemila quando ancora, come diceva un grande direttore, Nino Nutrizio, il giornalismo si faceva “prima con i piedi e poi con la testa”. Volendo dire, scrive l’autore, “che bisogna uscire dalle redazioni, guardare, osservare, annusare e soprattutto ascoltare”. Dalla prima all’ultima pagina non c’è mai nulla di noioso, di scontato proprio perché Fini compone e scompone – dal vivo e dal vero – il profilo dell’Italia com’era. E di un mestiere artigianale, complesso, faticoso, autentico che non c’è più, soppiantato dalla informazione digitale, quella dell’immediato fuggevole, dell’attimo che non lascia traccia, dell’effimero. Questa storia italiana scritta da un italiano libero, anarchico, controcorrente, non omologabile (quel “mezzo pazzo” che per Bocca rappresenta una medaglia a chi non si piega tra tanti pecoroni sani) è intrisa di amore per il giornalismo e per chi sa interpretarlo al meglio. Come gli disse Oriana Fallaci, per questo “personaggio straordinario che va in Paesi di cui non conosce la lingua, non conosce la geografia, non conosce la storia, non conosce nulla, e torna indietro con un grande racconto col quale, a intuito, ha penetrato lingua, storia e umanità del posto in cui è stato”. A Massimo mi unisce anche la passione per il calcio, purtroppo non corrisposta dalle squadre che amiamo (lui il Toro io la Roma). Infatti mi sono divertito molto a scrivere l’introduzione alla “Storia reazionaria del calcio” sua e di Giancarlo Padovan. Come vedete, narciso tra i narcisi, alla fine sono riuscito scrivendo di lui a parlare di me.

Antonio Padellaro

Più che un accordo, sguardi dolcissimi

 

• Per un attimo il premier Mario Draghi va incontro al presidente francese EmmanuelMacron, sembra volerlo abbracciare, ma è solo un accenno di movimento, si ritrae subito, c’è il Covid e non si può. “Da oggi siamo ancora più vicini”, conclude il premier, con una stretta di mano che dura quasi un minuto, oltre ogni protocollo. Del resto sii tratta di un accordo, per entrambi, storico.
Corriere della Sera

• La prima volta Mario Draghi lo dice in modo sfumato e, mentre è lì a scambiarsi sguardi dolcissimi con Emmanuel Macron, la mette giù così: “Il senso più profondo di questo Trattato è che la nostra sovranità, intesa come la nostra capacità di indirizzare il futuro, può rafforzarsi solo attraverso una gestione condivisa delle sfide comuni”.
Il Foglio

• Il Trattato è arrivato alla firma soltanto in virtù del rapporto tra il presidente francese Emmanuel Macron e il nostro premier (…). Anche perché prima dell’arrivo di SuperMario non vi era partito o leader politico che non si fosse accapigliato con i cugini d’oltralpe.
Il Giornale

Gesù e il caos. Imparare a stare a testa alta fidandosi della luce della fede

Gesù parla ai suoi discepoli. È a Gerusalemme, poco prima del suo arresto. L’evangelista Luca (21,25-36) ci riferisce le sue parole che dispiegano scenari di caos estremo. “Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle” e “le potenze dei cieli saranno sconvolte”, dice Gesù. Regneranno, dunque, la destabilizzazione e lo sconvolgimento. I punti di riferimento del giorno e della notte saranno intaccati. L’orologio cosmico non funzionerà più. Il ritmo del mondo si incanterà. Le lancette perderanno il loro ritmo.

E sulla terra? Si imprime come in uno specchio l’immagine del caos che agita gli animi: “Angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti”, dice il Maestro. La terra diventa liquida di mare in tempesta. Il cielo crolla e l’abisso inghiotte. Resta l’ansia per le ondate che sommergono di tenebre il mondo. È un naufragio.

E gli uomini? Come gli esseri sballottati sulla tolda di una nave, essi “Moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra”. Spesso sono i sentimenti che ci rendono vivi o morti, che ci vivificano e ci tramortiscono. È la condizione umana di ansia e attesa, di paura, che introduce un senso di morte. Non ci sono sfumature di grigio nella visione di Gesù che si immerge nelle ombre dell’uomo spaesato, il quale vede crollare le sue certezze e la sua stabilità. In questo caos possiamo vedere ogni sofferenza umana, ogni sopraffazione, ogni persecuzione.

Ma ecco che proprio quando le acque scure del naufragio cosmico sembrano inghiottire il visibile, ecco che la visione si fa nitida: “Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria”. Proprio le tenebre esaltano la potenza e la gloria del Figlio dell’uomo che viene. Non c’è nulla di tremendo nella sua manifestazione. C’è, invece, la luce che spacca le tenebre in un contrasto ottico dirompente. Quando ci sono le tenebre, proprio allora scoppia la luce. Non ci sono prima le tenebre e poi la luce, no: quando le tenebre invadono il campo visivo, allora, proprio allora, la gloria si squaderna. È questo il paradosso della grazia, l’ossimoro della speranza, l’annuncio del Vangelo della resurrezione, il senso della fede: non c’è abisso che sia destinato a rimanere ombra perché al suo interno vuole scoppiare la luce. Dio non è fuori dalla tragedia e dall’angoscia: la abita e la fa brillare dall’interno. La sua manifestazione non è separata dal buio, non è esterna al mio intimo tormento. Dio mi scoppia dentro. Dio invade lo spazio oscuro, il buco nero dell’anima del mondo. Gesù chiaramente illustra questa luce potente come una liberazione. È questa rivoluzione che spinge ad alzare il capo: “risollevatevi e alzate il capo”, esorta il Maestro. L’uomo tramortito dalla paura tende a curvarsi per proteggersi, per ripararsi, per nascondersi. O tende ad appannarsi per non essere preso dalle ubriachezze. Bisogna restare sobri: “che i vostri cuori non si appesantiscano”, chiede Gesù: “State attenti a voi stessi!”. Questo è l’appello a un esercizio dello spirito che permetta di non rimanere vittime delle onde della vita. Bisogna imparare a stare a testa alta fidandosi della luce della fede che spacca il buio. Lo sguardo, dunque, deve essere alto e vedere oltre: deve drizzarsi. Il movimento del capo che si drizza richiede elasticità, prontezza, l’agilità di non lasciarsi sopraffare del terrore che incombe. Occorre vegliare e pregare per “comparire davanti” al “Figlio dell’uomo”, cioè stare in piedi davanti a lui. Se la vita si ripiega su sé stessa non vede la luce, si lascia trascinare dalle onde, naufraga.

 

 

Solo valanghe di rabbia per migranti e vaccinati

Due valanghe di rabbia si scatenano ormai da tempo nel nostro Paese, mobilitando folle esaltate. Sono identiche in tutto, salvo il nemico. Uno dei cortei vuole eliminare i migranti. L’altro disprezza e punta a eliminare i vaccinati. Poiché queste due onde di rabbia sono simili in tutto, fino ai dettagli rituali, ma sono provocate da ragioni totalmente sconnesse, come spiegare questa uguaglianza senza legami?

Ci è utile la celebre affermazione di una leader politica italiana, Giorgia Meloni, che ha detto (davvero, pubblicamente, in un programma tv in prima serata): “Perché dovrei vaccinare mia figlia se poi fanno sbarcare i clandestini che le riportano il virus?” La frase in sé non è sensata, perché, come dicono gli americani, mischia le mele con gli aranci. Però rivela un rapporto stretto, che molti avevano sospettato fra no-vaccino e no-migrante: stesso disprezzo, stesso cattivo umore, stesse minacce, stessa spinta verso soluzioni estreme tipo “affondare le barche con cui sono arrivati i clandestini” (altra celebre frase della Meloni).

E tutti gridano una violenta denuncia contro le sole cure conosciute e possibili per il virus, e dichiarano quelle cure veleni deliberatamente predisposti a uccidere coloro a cui le cure vengono imposte, mentre, come sappiamo, i migranti (quelli che non annegano a centinaia ogni notte), sono mandati a rubare lavoro e religione agli italiani.

Allo strano grumo di pericolo si è aggiunto adesso il gioco delle frontiere, quello giocato da Lukashenko di Bielorussia, d’accordo e in finto scontro con i leader polacchi. Tutti chiudono le frontiere con robusto filo spinato, dando la colpa all’altro, dopo avere riempito di migranti un esiguo spazio intermedio privo di tutto. Un posto dove, come in tutti i progetti dei no-vax contro i medici, e per tutta la gente in fuga (specialmente se con bambini), si può solo morire.

La strana ditta Bielorussia-Polonia ignora tutto quello che la propria parte ha detto fino a quel momento sul destino dei profughi. I migranti li vanno a prendere dove si ammassano per fuggire e li trasportano al mattatoio.

Adesso sono gli stessi capi di Stato e di governo a dirci di essere gli operatori di carne umana. Tanto più che ci hanno fatto vedere con fotografie non discutibili, il ruolo che anche l’Egitto di Al Sisi si è assunto nel controllare l’andare e venire dei profughi dal deserto, sparando da aerei a chi non deve arrivare vivo dopo viaggi spaventosi.

Era esattamente il compito che il trattato Berlusconi-Gheddafi aveva assegnato all’Italia come modo per scremare la folla di migranti che avrebbe voluto raggiungere il mare e l’Italia. Ma a quei tempi il grande sistema di “fake news” ci raccomandava di credere nell’attivismo commerciale di un certo Soros, miliardario ebreo che guadagnava moltissimo (lui e tutti i volontari del salvataggio) col pretesto di aiutare uomini e donne in fuga. Del resto la grande smentita a tutto quello che ci hanno raccontato sulle convenienti traversate del Mediterraneo, rese possibili da abili mercanti come Carola Rackete (che infatti Salvini non amava), viene dalle traversate della Manica tre giorni fa, e dal grande disastro che ne è seguito (forse centinaia di morti, “La strage peggiore di sempre”, intitola il Corriere della Sera, 25/11), che le ragioni e la messa in scena organizzativa non erano e non potevano essere come quelle che ci hanno raccontato ai tempi della Libia. Qualcuno ha stabilito che nessuno doveva arrivare in Inghilterra.

Le due grandi storie del momento, la pandemia come complotto e l’invasione degli “stranieri” come progetto, hanno messo in marcia e spinto alla rissa quasi insurrezionale la parte degli italiani che sono cascati in trappola. Avrete notato che c’è un che di religioso in entrambe le storie, che poi sono una sola: presiede ai giochi dei gruppi di persone buttati in mare o nel gelo, un Dio cattivo e oscuro che vuole solo vendetta.

È la vendetta di tutti coloro che continuano a non darsi pace di non aver vinto.

 

Il Polo Nord ha perso una superficie pari a tre volte l’Italia

In Italia – Tre perturbazioni nell’ultima settimana hanno avvicinato l’inverno. La prima tra lunedì 22 e martedì 23 novembre, moderata salvo fenomeni più appariscenti in Sicilia con grandine copiosa a Ribera. La seconda giovedì-venerdì, più vigorosa e annessa a una depressione sulle Baleari, ha prodotto venti di burrasca e forti temporali in Sardegna, Lazio e al Meridione, con inondazioni a Porto Empedocle (Agrigento) e a Cirò Marina (Crotone), dove sono piovuti 100 mm d’acqua. Prime spruzzate di neve giovedì a quota 400 metri al confine Piemonte-Liguria, e bella fioccata da 30 cm sulle Alpi Marittime. La terza, al passaggio in Europa centrale della tempesta battezzata “Arwen” dal MetOffice, in queste ore sta accentuando instabilità, vento e freddo anche da noi, con neve a fondovalle sulle Alpi orientali. Novembre termina dunque in aria invernale, dopo che il mese era stato in gran parte ancora mite, con temperature 1-2 °C sopra media al Centro-Sud a causa dello scirocco frequente. È allora il momento di leggere L’incredibile storia di un fiocco di neve (Sonda edizioni), libro illustrato e vivace in cui il matematico francese Étienne Ghys racconta come negli ultimi secoli gli scienziati da Keplero in poi abbiano studiato fisica e geometrie di una delle più sorprendenti meraviglie della natura.

Nel mondo – Un “fiume atmosferico” di aria umida tropicale continua a far piovere sulle zone già alluvionate tra British Columbia e stato di Washington, che si accingono a registrare il novembre più bagnato in oltre un secolo. Altre inondazioni sull’Est dell’Australia, ed entrambi gli eventi – su opposte sponde del Pacifico – sono collegati all’alterazione globale delle correnti atmosferiche dovute all’insorgere della “Niña” che raffredda l’oceano al largo del Perù. Alluvioni pure nell’Andra Pradesh, India (almeno 24 vittime), ad Alessandria d’Egitto, a Malta e in Spagna (Asturie, Cantabria, Catalogna), mentre il primo ministro della Somalia ha dichiarato lo stato di emergenza per la siccità. L’Europa è piombata in inverno sotto la tempesta Arwen, venti a 130 km/h in Gran Bretagna e neve sulle pianure nordalpine. Caldo straordinario invece in Sud America (record novembrino di 35,6 °C a Buenos Aires), in Africa meridionale e Medio Oriente (37 °C in Oman, primato nazionale per il mese). La precoce formazione di ghiaccio marino al largo della Siberia, lungo la “Rotta del mare del Nord” di recente sempre più libera dalla banchisa e dunque frequentata, ha intrappolato una ventina di navi commerciali, poi soccorse da rompighiaccio. Ma intorno al Polo Nord la copertura di ghiaccio resta nel complesso sotto media, mancandone una superficie pari a quasi il triplo dell’Italia, e d’altra parte lo studio “Rapid Atlantification along the Fram Strait”, pubblicato su Science Advances da ricercatori del nostro Cnr e dell’Università di Cambridge, tramite analisi paleoclimatiche conferma che l’Oceano Artico è quello che più si sta riscaldando al mondo, +2 °C nell’ultimo secolo. Per scongiurare cambiamenti climatici rovinosi e irreversibili dobbiamo abbandonare i combustibili fossili ma anche preservare quegli ambienti naturali – dalle torbiere siberiane alle grandi foreste tropicali – che fungono da insostituibili “pozzi di carbonio” e che, qualora degradati, innescherebbero colossali emissioni serra impossibili da riassorbire prima del disastro climatico temuto per questo secolo, vanificando peraltro l’efficacia di qualunque altra politica per il clima. Li hanno mappati, su Nature Sustainability, ecologi e climatologi tra cui il grande Johan Rockström (“Mapping the irrecoverable carbon in Earth’s ecosystem”), auspicando che le terre ospitanti queste assicurazioni naturali per il futuro siano considerate intoccabili e protette dagli attacchi di un’umanità vorace di risorse.

 

Il ricco commerciante di Hannover, la bella moglie e lo scrivano

Dai racconti apocrifi di Peter Altenberg. L’uomo più ricco di Hannover era un commerciante che faceva affari vendendo armamenti a entrambe le parti in conflitto: più nazioni entravano in guerra, più lui guadagnava. Il suo nome era noto in tutt’Europa, così come l’avvenenza di sua moglie. Questo commerciante aveva un giovane scrivano la cui unica ambizione era quella donna: se n’era innamorato. Dall’alba al tramonto non riusciva a pensare ad altro; e anche quando sognava, che so, il Congresso di Vienna, al risveglio si diceva certo di aver sognato, in realtà, di lei. Ma ogni volta che la avvicinava con parole galanti, lei replicava con freddezza. E un pomeriggio che lo scrivano aveva osato sussurrarle più del lecito, la donna aveva esclamato: “Ma dico, è matto? La smetta, o lo dirò a mio marito.” Questa situazione ebbe termine un pomeriggio, quando lo scrivano la vide assopita su un divano in salotto. Ben sapendo che, quando una moglie su un divano ha una posa teatrale di donna delusa, e alla sua mano abbandonata penzola un libro, la sua mente sta sognando le vie carovaniere; lo scrivano ebbe un’idea. Aprì il suo scrittoio portatile, intinse il dito nel calamaio, s’avvicinò alla bella addormentata, le alzò la gonna, disegnò un piccolo cerchio sotto il suo ombelico, e rimise tutto a posto. Un’ora dopo, quando la donna si svegliò, la salutò con una cordialità confidenziale. “Come si permette?” lo rimproverò lei. Il giovane si finse stupito: “Perché mi tratti così, Agata? Un’ora fa eri molto più affettuosa. Ti stringevo e ti baciavo dappertutto, ed era come se non aspettassi altro da una vita!” Gli occhi della moglie del commerciante d’armi si fecero larghi come due bocche di cannone. “Stai mentendo! Spudorato!” gli urlò. “Preferirei essere scorticata viva piuttosto che perdere la mia onestà!” “Mi dispiace che le mie parole ti offendano,” replicò lo scrivano, “ma posso dimostrarti che quanto dico è vero. Prima di lasciarti, dopo che ti sei assopita, ho dipinto un piccolo cerchio nero sotto il tuo ombelico.” La poveretta si precipitò in bagno, dove scoprì il segno. Avvampando di vergogna, e poi facendosi verde di rabbia, e poi bianca di paura, disse fra sé e sé: “Quale diavolo ha potuto farmi questo? Lo scrivano mi ha dunque rubato l’onore mentre dormivo? Come può esserci riuscito? È impossibile! Gli chiederò come ha fatto. Tatto, ci vuole tatto.” E così tornò di là, calandosi nella parte. “Dovrei essere molto arrabbiata con te” gli disse con un sorriso di circostanza. “Chi ti ha dato il permesso di abbracciarmi e di baciarmi dappertutto?” Il giovane abbassò lo sguardo: “Nessuno. E sono pronto a ogni punizione che giudicherai giusta.” “Non ti punirò affatto” disse lei. “Non ti prenderò neppure a schiaffi, come meriteresti. Quel che è fatto è fatto. Ma adesso voglio saperlo: come sei riuscito ad abbracciarmi senza che me ne accorgessi? Dimmelo, e non ti porterò più rancore.” Lo scrivano la guardò negli occhi: “Posso spiegartelo solo in un modo: abbracciandoti di nuovo. Ma non qui, dove tuo marito potrebbe vederci.” “E allora dove?” “Nella tua camera da letto. Stanotte, quando tutti staranno dormendo.”. La donna acconsentì, e da quella notte non portò più rancore al giovane scrivano, in cui fu lieta di scoprire un amante pieno di fantasia e di vigore. La miscela di cloralio, cloroformio e canfora in parti uguali è efficacissima contro il mal di denti. Un batuffoletto di cotone con un po’ di questo liquido compie il miracolo: la paziente guarita volge lo sguardo sorridente al dentista, illuminata di grata ammirazione. Lo scrivano era il batuffoletto perfetto. La donna dunque non gli portò più rancore; ma a suo marito sì, e tanto.