L’inchiesta sulle plusvalenze fittizie, carneadi e ragazzini scambiati a peso d’oro per ritoccare i bilanci, non è un fulmine a ciel sereno. È uno scandalo che va avanti da anni, non solo in casa Juve. Perché le plusvalenze sono come l’amore, si fanno sempre in due, e quindi sono tante le squadre coinvolte, nell’intera Serie A. Basti dire che ammontano a circa 700 milioni l’anno, il 20% in media del fatturato dei club. Tutti sapevano tutto. E nessuno ha fatto nulla. Fino ad ora. Il calcio italiano fa finta di niente e ogni tanto si ricorda del problema. Era successo ad esempio nell’estate 2018, quando la Procura Figc allora diretta da Giuseppe Pecoraro aveva portato in tribunale Chievo Verona e Cesena: un’autentica montagna che aveva partorito un topolino, appena 3 punti di penalizzazione agli scaligeri (nulla ai romagnoli già falliti). Perché, sancirono i giudici, era di fatto impossibile quantificare il valore di un giocatore, legato al mercato, e quindi dimostrare l’illecito. Quella sembrava la pietra tombale sulla possibilità di punire le plusvalenze. E infatti dopo la sentenza da “liberi tutti” i dirigenti della Serie A si sono letteralmente scatenati, convinti della loro impunità. Qualcosa è cambiato lo scorso autunno. Per iniziativa della Covisoc, l’organo di controllo della Figc che però non è la Figc, anzi recentemente è stato piuttosto svilito dalla scelta della Federazione di sospendere le verifiche sui conti dei club per il Covid.
A fine 2020 la Covisoc riapre il faldone e lo porta sul tavolo del presidente Gravina, chiedendo di interessare la Procura federale. In parallelo nello stesso periodo iniziano i contatti con la Consob, che pure ha aperto un’inchiesta perché la Juve è quotata in Borsa. Il primo incontro sul tema con il procuratore federale Chinè è di febbraio 2021 ma l’impressione è che mentre la Covisoc voglia accelerare, la Procura sia più titubante su un argomento così delicato: la prima relazione Covisoc in primavera viene considerata incompleta. La seconda, a ottobre, è un elenco di 62 operazioni che coinvolge diversi club e giocatori, dalla Juve al Napoli al Genoa, da Pjanic a Osimhen a Rovella, e trapela sui giornali. La Procura Figc a quel punto apre un fascicolo, anche se il presidente Gravina definisce l’indagine “non persecutoria ma conoscitiva”. Ora che però si muovono anche la Procura di Torino e i finanzieri cambia tutto. E tutti si chiedono cosa rischia la Juve: se finirà come sempre a tarallucci e vino o sarà l’occasione per fare davvero pulizia, magari anche tra le altre squadre. Il punto resta trovare dei criteri oggettivi a cui ancorare la valutazione dei giocatori per dimostrare l’illecito: su questo la Figc si è già arenata una volta. Ma le prove potrebbero arrivare proprio dall’inchiesta della Procura di Torino, dai documenti sequestrati, dalle intercettazioni dove potrebbe emergere il dolo. Perché se la plusvalenza non è un reato, il suo utilizzo fraudolento (e di conseguenza la falsa fatturazione) sì. Basti pensare che per i pm l’ex direttore dell’area tecnica, Fabio Paratici (oggi al Tottenham) sarebbe stato “artefice della pianificazione preventiva delle plusvalenze”. La FederCalcio invece pensa di varare un provvedimento che esclude le plusvalenze senza flusso di cassa dai parametri per l’iscrizione al campionato: se ne parla da anni. E dopo lo spavento di oggi i dirigenti ci penseranno due volte prima di fare la prossima plusvalenza. Almeno per un po’.