Ancora rivolte nell’arcipelago, l’Australia invia forze di pace

Scontri e saccheggi Nell’arcipelago sono scoppiate manifestazioni contro la politica estera filo-cinese del governo. L’Australia invia truppe.

Dopo giorni di violenze e devastazioni, coprifuoco a oltranza nella capitale delle Isole Salomone Honiari: i disordini mirano a rovesciare il premier Manasseh Sogavare, in un’ottica anti-cinese. L’arcipelago del Pacifico è nel caos: ieri mattina, la polizia ha sparato gas lacrimogeni e colpi d’avvertimento per disperdere i manifestanti che per il terzo giorno consecutivo si dirigevano verso la residenza privata del primo ministro. Prima di essere dispersa, la folla ha incendiato una stazione di polizia e altri edifici – banche e scuole –. Le isole Salomone sono uno Stato insulare dell’Oceano Pacifico, a Est di Papua Nuova Guinea: circa mille isole, con una superficie complessiva di 30 mila km quadrati – più della Sicilia – e mezzo milione di abitanti. L’isola principale, dove c’è Honiari, 80 mila abitanti, è Guadalcanal. Nelle cronache dell’arcipelago, le sommosse e i colpi di Stato s’intersecano a eruzioni e terremoti. Negli ultimi 25 anni, le isole sono state teatro di contrasti etnici – c’è un’attiva minoranza cinese. Nel 2006 l’elezione a premier di Snyder Rini suscitò una rivolta contro la comunità cinese accusata di avere truccato le elezioni: Rini, messo al sicuro da 220 soldati australiani, si dimise e il Parlamento designò premier Manasseh Sogavare, del Partito Popolare Progressista, tuttora al potere. Nel 2019, le Salomone hanno lasciato la tradizionale alleanza con Taiwan e hanno stretto relazioni con la Cina: sarebbe questo il motivo della sommossa in atto. Anche questa volta, sono stati gli australiani – un centinaio tra militari e poliziotti – a ristabilire l’ordine, in una situazione “molto instabile”, secondo il ministero dell’Interno australiano. La Cina ha espresso “grande preoccupazione” per i disordini che hanno di nuovo il loro epicentro nella Chinatown di Honiara. La protesta parte da Malaita, l’isola più popolosa, che mantiene contatti con Taiwan e riceve aiuti da Taipei e Washington. Il leader locale Daniel Suidani dice che Sogavare è al soldo di Pechino. Sogavare, dal canto suo, afferma che i responsabili “saranno assicurati alla giustizia”.

La Manica della discordia: Parigi ritira l’invito a Patel

Il Canale della Manica allontana sempre di più Londra e Parigi, che si tratti dei disaccordi post-Brexit o dell’emergenza immigrazione. La tragedia in mare di mercoledì, con 27 migranti affogati mentre tentavano di raggiungere il Regno Unito da Dunkerque, si sta trasformando in crisi diplomatica. In un primo tempo, Boris Johnson ed Emmanuel Macron avevano concordato che cooperare, unire gli sforzi, era la sola via per trovare una soluzione ai drammi umani e per sconfiggere le reti di trafficanti. Ma la prospettiva di un’intesa a tavolino è durata poco.

Ieri il premier britannico ha alzato i toni. In un tweet ha pubblicato una lettera inviata a Macron in cui intima a Parigi di riprendersi i migranti entrati illegalmente nel Regno Unito: “Propongo – scrive – di mettere in atto un accordo bilaterale di riammissione per consentire il rimpatrio di tutti i migranti illegali che attraversano la Manica”. “È poco serio, tra dirigenti non si comunica su twitter”, gli ha risposto Macron. Il suo ministro dell’Interno, Gérard Darmanin, ha replicato che Priti Patel, la responsabile britannica degli Interni, non è più la benvenuta alla riunione di domenica a Calais in presenza dei ministri di Germania, Belgio, Olanda e responsabili Ue, a cui la stessa Patel in un primo tempo era stata invitata. La riunione si farà, ma senza di lei. Johnson propone un “accordo di rilocalizzazione inammissibile e continua a esternalizzare il problema”, ha aggiunto il portavoce del governo Gabriel Attal. Londra rimprovera a Parigi di non fare abbastanza per impedire le partenze. Il numero di richieste d’asilo nel Regno Unito è esploso: 37.562 nel 2021 fino a settembre. Johnson ha fatto della lotta all’immigrazione uno dei suoi cavalli di battaglia. Il suo nuovo progetto di legge sull’immigrazione per scoraggiare le partenze sconvolge il diritto d’asilo, criminalizza i rifugiati e prevede condanne all’ergastolo per i trafficanti.

Alla tragedia dei migranti si somma poi la guerra che Parigi e Londra si stanno facendo sulle licenze per la pesca, scoppiata da quando è entrata in vigore la Brexit. Ieri decine di pescherecci francesi hanno bloccato prima i porti di Saint-Malo e Ouistreham accendendo fumogeni. Altre imbarcazioni da Boulogne-sur-Mer hanno raggiunto Calais, bloccando l’arrivo dei traghetti da Dover. Nel pomeriggio, a bordo di furgoni e auto hanno ostacolato l’accesso ai camion merci al terminal dell’Eurotunnel. “We want our licences back”, hanno scritto sugli striscioni. Parigi continua a reclamare più di 150 permessi, che Londra nega, ma necessari ai pescatori di Bretagna e Normandia per continuare a pescare nelle acque britanniche della Manica. Già a maggio avevano bloccato il porto dell’isola di Jersey. Parigi ha più volte avanzato minacce. A fine ottobre ha dato un ultimatum a Londra e promesso sanzioni, prima di riaprire una nuova fase di discussioni. Mercoledì la Commissione europea ha lanciato a sua volta un ultimatum dando a Londra fino al 10 dicembre per risolvere la questione delle licenze.

Zelensky accusa Mosca: “Prepara golpe a dicembre”

Il golpe russo, secondo il presidente Volodimir Zelensky, doveva avvenire proprio tra qualche giorno: era pianificato per il primo dicembre prossimo. Il leader ucraino, che lo ha riferito ieri durante una conferenza stampa, dice di essere stato informato da più fonti dell’intelligence, agenti segreti non solo patrii, ma anche di altre nazioni. Sardonica e tempestiva, la Federazione ha risposto. “La Russia non aveva intenzione di prenderne parte, la Russia non si occupa mai di queste cose”: Dmitry Peskov, portavoce di Putin, ha subito smentito ogni coinvolgimento del Cremlino nell’illegittimo cambio di potere, proprio come hanno fatto tutti i membri della squadra governativa russa nelle ultime settimane, da quando l’Ucraina ha cominciato ripetutamente a rivolgersi agli alleati europei, americani e vertici Nato, lanciando numerosi allarmi per il dispiegamento di battaglioni tattici e carri armati russi lungo il confine di guerra nell’est del Paese, in Donbas.

Divise e mezzi corazzati servirebbero ai russi per l’invasione del territorio pianificato per il prossimo gennaio, riferisce la Difesa bicolore, ma, ha rassicurato ieri Zelensky durante l’incontro, l’Ucraina “è pronta per un’escalation militare”. Oltreoceano, anche gli Usa sono pronti. Bob Mendez, a capo del dipartimento relazioni estere al Senato, ha proposto un emendamento contro alcuni ufficiali russi, – Putin compreso-, se l’escalation dovesse davvero cominciare. L’amministrazione Biden valuta da settimane di spedire all’esercito ucraino consiglieri strategici, analisti, missili anti-carro Javelin e mortai, mentre, contro Mosca, Washington avrebbe da inviare solo nuove sanzioni, hanno riferito tre giorni fa fonti anonime alla Cnn. Agli ufficiali Usa, nelle ultime settimane, Zelensky ha spedito anche dossier della sua Difesa che contengono le prove della destabilizzazione che mettono in atto gli agenti dell’Fsb, forze di sicurezza russe, “per fomentare dissenso contro la sua amministrazione”, del cui operato molti elettori cominciano a diventare critici. E’ stato lo stesso Zelensky ieri a smentire un presunto coinvolgimento del controverso oligarca Rinat Akhmetov nell’organizzazione del golpe, seppure il nome del magnate sarebbe spuntato fuori proprio dal materiale audio degli incontri dei congiurati raccolto dagli agenti segreti. La parcella di partecipazione al colpo di Stato per il tycoon sarebbe stata di un miliardo di dollari, “un’operazione volta ad attirarlo in una guerra contro lo stato ucraino”, ha concluso il presidente.

“Memorial agente straniero” Cremlino, Bavaglio totale

“Non potevo stare zitto all’epoca, non tacerò oggi”. Oleg Petrovich Orlov, prima dissidente sovietico e poi oppositore russo, nel 2008 è stato insignito del premio Sakharov insieme a Sergey Kovalev e Ljudmila Alekseeva: sono la coraggiosa troika che guida la celebre ong russa Memorial, nata al crollo dell’Urss per far rimanere vivo il ricordo delle vittime del terrore staliniano e difendere i diritti umani nella Federazione, da Mosca al Caucaso. Adesso la Corte Suprema di Mosca ha avviato il dibattimento per sciogliere e liquidare la leggendaria organizzazione non governativa per non aver fatto abbastanza ricorso all’etichetta di “agente straniero”: seppure oggi Memorial abbia sedi in tutto il mondo, nell’elenco dei movimenti non graditi al Cremlino è inserita dal 2014. “Preparano la nostra definitiva unichtozhenye, ‘distruzione’, ma questo processo non serve solo a spaventare noi, ma l’intera comunità civile”, dice Orlov: “tutti i difensori russi dei diritti umani, perfino gli avvocati, adesso sono terrorizzati. È una dimostrazione di forza delle autorità: vogliono spaventare tutti mostrando di poter toccare chiunque, in qualsiasi momento.

E ci sono riusciti?

Sì.

Eppure due premi Nobel, Michail Gorbaciov e Dmitry Muratov, direttore della Novaya Gazeta, il quotidiano di Anna Politkovskaya, si sono pubblicamente esposti per opporsi alla chiusura della vostra organizzazione. I russi, giovani e anziani, sono scesi in piazza per protestare contro questo processo.

Ricordiamo cosa è successo negli ultimi mesi. Senza entrare nel merito se sia condivisibile o meno la sua politica, analizziamo la vicenda del blogger Aleksey Navalny, che rimane il maggiore oppositore russo: hanno provato a eliminarlo prima fisicamente, poi attraverso le leggi, in tribunale. Dopo alla sbarra, e anche in galera, c’è finito chi ha protestato contro il suo arresto, gli organizzatori di quella manifestazioni sono tutti scappati.

La Corte Suprema procede per ordine del Procuratore generale, che vi ha accusato di violare sistematicamente la legge sugli “agenti stranieri”.

La scelta di procedere legalmente contro di noi è stata compiuta ai piani alti, dalla squadra amministrativa. In corso c’è una bor’ba, una lotta tra due correnti di cinovniki, burocrati al potere: ha prevalso la direzione di chi propone di proseguire verso la via più radicale, la linea più dura, e ne guadagna in legami e influenza col circolo Putin. Questa dimostrazione serve anche a garantire il potere, oggi o domani, con o senza di lui. Chi ha consigliato al Cremlino di procedere su questa strada, voleva una dimostrazione della correttezza del proprio corso, di poter plevat, ‘sputare’ su tutto, proteste interne o esterne, critiche che arrivano dal cuore del Paese o da oltreconfine.

Come Navalny, anche Yuri Dimitrev, membro di Memorial e storico che ha scoperto nelle foreste della Carelia le fosse comuni del terrore stalinista, è in galera. Non ha paura di finirci anche lei?

Abbiamo tutti paura: saremo accusati di terrorismo ed estremismo, reati penali gravissimi. E come su Navalny, anche sulla nostra ong la macchina della propaganda continua a mentire diffondendo notizie false, che poi la maggior parte della gente ascolta.

Come ai tempi dell’Urss.

La propaganda sovietica era totale, ma primitiva, e le persone si stancavano di ascoltarla. Quella di oggi è forse meno pervasiva, abbiamo fonti di notizie alternative in Internet, ci sono, per esempio, canali indipendenti come Dozh, ma è più aggressiva: basta guardare un talk show russo a caso per vedere quanta violenza viene fuori dagli schermi. Se allarghiamo lo sguardo, in corso c’è anche il peggioramento delle relazioni con l’Europa e gli Stati Uniti.

La Russia sta tornando indietro?

Assistiamo a una virata verso il totalitarismo, con elementi sovietici: il processo è in corso, ma non è completo.

La chiusura di Memorial sarà un punto di non ritorno nella storia dei russi. La loro stessa memoria cambia: la riscrittura del passato sovietico, soprattutto staliniano, è in corso ormai da anni.

La difesa dei diritti umani, il passato e la verità, la memoria: tutto è connesso alla politica, all’ideologia. È questo il potere.

Nel weekend i giudici non vedono un’email: ex torturatore torna libero e va in Germania

Un incredibile cortocircuito tra la Corte d’appello di Firenze e la Questura di Lucca ha consentito di tornare in Germania a Reinhard Doring Falkenberg, 75 anni, tedesco, accusato di efferate torture in Cile ai tempi del regime di Augusto Pinochet. Era stato arrestato il 22 settembre a Forte dei Marmi, dove era in vacanza con un gruppo di connazionali. Il 18 novembre scorso, la Corte d’appello di Firenze ne decide la scarcerazione per motivi di salute sulla base di un certificato dei medici del carcere in cui era detenuto da poco meno di due mesi, senza neppure una perizia, disponendo l’obbligo di firma in Questura a Lucca fino al 22, data entro la quale il governo cileno per via diplomatica doveva trasmettere la richiesta di estradizione a Roma. La comunicazione della richiesta cilena, 375 pagine, arriva il 19 novembre, cioè in tempo. La Farnesina la gira al ministero della Giustizia che la trasmette a Procura generale e Corte d’appello di Firenze. La posta elettronica certificata giunge alla Corte d’appello, risulta al Fatto, alle 15:12 del 19 novembre. Ma è venerdì, forse nessuno la legge fino alla mattina di lunedì 22, ore 8:08. Verso l’ora di pranzo, Doring Falkenberg, disciplinatamente, si presenta alla Questura di Lucca per firmare. Secondo le nostre fonti, gli dicono che è libero. Riparte per la Germania. Più tardi la Corte d’appello “dichiara l’attuale permanenza della misura cautelare dell’obbligo di presentazione giornaliera alla polizia giudiziaria” e “manda l’autorità di p.s., deputata al controllo del corretto adempimento dell’obbligo, di allertare la Polizia di Frontiera per il caso di un tentativo da parte dell’estradando di lasciare il territorio”. Il provvedimento è datato 22 novembre, ore 17:08.

Ieri il presidente della Corte d’appello di Firenze, Alessandro Nencini, ha diffuso un comunicato in cui afferma di aver ricevuto la richiesta di estradizione solo alle 15:19 del 22 e scarica sulla Questura di Lucca: la scarcerazione ordinata il 18, scrive, “non autorizzava alcuna declaratoria di perdita dell’efficacia della misura cautelare” prima della sua eventuale decadenza “e quindi prima delle ore 24 del 22 novembre 2021”. Insomma, i poliziotti avrebbero dovuto controllare il tedesco fino a mezzanotte. Il che è vero. Come è vero che la Corte d’appello poteva informare la polizia, almeno la mattina del 22, della richiesta di estradizione cilena. Il Cile chiede spiegazioni a Roma. E forse via Arenula e il Viminale cercheranno di chiarire chi ha sbagliato.

L’arma silenziata dei farmaci

A più di un anno e mezzo dall’inizio della pandemia, i ricercatori stanno iniziando a capire come il Coronavirus fa ammalare le persone e cosa fare al riguardo. All’inizio della pandemia tutte le energie sono state concentrate sulla ricerca di un vaccino e di farmaci salvavita. “Gran parte della comunità scientifica stava solo cercando di salvare vite umane”, afferma Esther Krofah, direttore esecutivo di FasterCures, parte del think tank del Milken Institute con sede a Washington DC. “Non c’era uno sforzo completo e concertato sui farmaci che potrebbero essere utili per i casi da lievi a moderati”. I vaccini sono stati un successo straordinario, ma sappiamo che non bastano. Oggi siamo consapevoli della persistenza del virus. Se si vuole arrivare a una convivenza sopportabile, è necessario usare farmaci che funzionino, soprattutto per le persone che non sono ancora abbastanza malate da andare in ospedale. Il trattamento precoce, infatti, può limitare la trasmissione del virus e impedire il sovraccarico degli ospedali. Trovare quei trattamenti è molto più complicato che trovare i vaccini, ma è una strada necessaria e ne cominciamo a vedere i risultati. Bisogna anche tener conto di coloro che non si vogliono vaccinare e dobbiamo offrire loro la possibilità di guarire e di non intasare gli ospedali. Alcuni successi terapeutici sono stati raggiunti con l’uso dell’antivirale Remdesivir, con gli anticorpi monoclonali. Tuttavia, quei farmaci non riescono a salvare tutti e sono riservati alle persone ricoverate in ospedale. Sono apparsi alcuni lavori scientifici entusiasmanti che riferivano l’attività antivirale di alcune molecole, ma questi risultati ottenuti in vitro non si erano mostrati riproducibili nell’animale e nell’uomo. Oggi due aziende, la Merk e la Pfizer stanno proponendo una cura orale che potrebbe essere la svolta, anche se la ricerca non si deve fermare e man mano, all’incrementare delle conoscenze, si velocizza. Non basta. Affinché questi successi scientifici si trasformino in successi terapeutici è necessario che gli enti regolatori lo permettano. Per l’autorizzazione degli anticorpi monoclonali sono stati necessari mesi, adesso speriamo che si faccia più in fretta.

*Direttore microbiologia clinica e virologia del “Sacco” di Milano

Le guerre puniche, il lavoro e Cingolani

Dopo quasi dieci mesi sulla breccia, per così dire, è probabilmente chiaro a tutti che – pur essendo un importante scienziato o almeno dirigente di enti scientifici – Roberto Cingolani non è un intellettuale. Di più, c’è il legittimo sospetto che il nostro nutra un altrettanto legittimo fastidio per il “culturame” di cui già Mario Scelba. La sua ultima uscita è una sorta di manifesto in questo senso: “Serve più cultura tecnica. Il problema è capire se continuiamo a fare tre, quattro volte le guerre puniche in 12 anni di scuola o se casomai le facciamo una volta sola, ma cominciamo a impartire un tipo di formazione un po’ più avanzata. Serve formare i giovani per le professioni del futuro: quelle di digital manager per la salute, per esempio”. Voi vedete che nell’idea che sia possibile una scuola per “digital manager per la salute” c’è tutto un mondo, magari non vasto, forse persino angusto, ma tutto un mondo: non chiede, il ministro, più cultura scientifica, ma tecnica, vale a dire non la formazione di persone – o, se si vuole, cittadini – attraverso saperi e competenze, ma capitale umano di medio-alto livello pronto per la produzione. Si tratta peraltro – a leggere un interessante articolo di Andrea Garnero e Massimo Taddei uscito ieri su lavoce.info – proprio del tipo di lavoratori che le imprese non riescono a trovare: difficile sia colpa dei 550 euro del Reddito di cittadinanza. Ora la domanda: è la scuola a dover rincorrere i mutevoli bisogni della struttura industriale del Paese o, per caso, non tocca alle imprese formare il personale alle sue specifiche esigenze e poi tenerselo stretto, magari pagandolo il giusto? Qui si propenderebbe per la seconda, mentre la prima pare presupporre un mondo in cui il lavoro è solo una merce e per di più di scarso pregio (avete presente i salari nel nostro Paese?). Adesso, però, se fossimo nel salotto Verdurin della Recherche, proprio accanto a Cingolani, che ne sarebbe certo un ospite fisso, vorremmo che ci spiegasse un’altra cosa: ma come fanno i 100mila e dispari italiani che ogni anno spostano all’estero la loro residenza – per la gran parte sotto i 50 anni e per oltre la metà laureati o diplomati – a cavarsela lontani dal Belpaese essendo esperti di guerre puniche e poco altro?

Sproporzioni “I media denuncino l’evasione, non chi percepisce il Rdc”

Gentile redazione, qualche sera fa, durante il Tg della prima rete, hanno fatto un servizio sul Reddito di cittadinanza. Hanno scovato parecchia gente che ha percepito il reddito pur essendo proprietaria di terreni o altro, quindi evasori, ma questo non lo sottolinea nessuno. Nessuno mai che conteggi il danno che chi non paga le tasse fa alla comunità, non solo perché evade l’Irpef ma perché riceve indebitamente tutti i bonus che lo Stato mette a disposizione a favore dei meno abbienti, vale a dire bonus per i figli, sgravi sui consumi, sugli asili nido e tutti gli altri che non ricordo, e inoltre usufruisce dell’esenzione dal ticket sui medicinali, sulle visite specialistiche ecc. ecc. Quindi come vedete, cari amici del Fatto, tutto parte dal problema che la gente evade le tasse: lo fanno sia i mafiosi e gli ’ndranghetisti, sia le persone cosiddette “perbene”, però, stranamente, si mette in risalto soltanto lo sperpero del Reddito di cittadinanza.

È sconfortante constatare che la battaglia contro il maggior male di questo Paese è stata definitivamente abbandonata.

Colgo l’occasione di questa lettera per esprimere tutta la rabbia verso tutti quei parlamentari – anche europei – che, forti del loro lauto stipendio mensile, pagato peraltro da noi cittadini, si permettono di girare il mondo in lungo e in largo senza ritegno per i propri interessi. Nel mondo reale, chi non lavora non viene retribuito. Ecco, proporrei una raccolta firme per conteggiare e retribuire soltanto le presenze in aula. Francamente ci siamo proprio rotti di essere derubati e presi in giro. Grazie.

Lettera firmata

Mail box

 

Il classico oscuramento del “Fatto Quotidiano”

Il nostro giornale viene sistematicamente, o almeno nel 90 per cento delle volte, oscurato dalla rassegna stampa di Rainews 24 e ora apprendo anche dalle interviste a Draghi: non vi sembra un po’ troppo per un quotidiano nazionale che viene letto ogni giorno da più di 50mila cittadini? Forse quando andate nei talk show dovreste farlo presente prima di iniziare a parlare, così gli italiani verrebbero a saperlo, o non potete farlo?

Raffaele Fabbrocino

 

Caro Raffaele, quando saremo citati e invitati da tutti comincerò a preoccuparmi.

M. Trav.

 

Ormai nessuno ricorda l’utilità delle mascherine

Travaglio ha ragione da vendere quando afferma che si sta facendo una cagnara incredibile sui no-vax. Sono un medico laureato con tesi sperimentale in anestesia e rianimazione, e credo che il problema con i no-vax è la gravità della malattia e conseguenti decessi e ingorghi delle terapie intensive e una maggiore velocità di mutazione e diffusione del Covid. Attualmente ho una attività professionale come chirurgo odontoiatra, e ovviamente la mia equipe chirurgica, tre operatori vaccinati, lavora a una distanza tra trenta e cinquanta centimetri dalla bocca del paziente e, grazie a Dio, finora nessuno di noi ha contratto il Covid! Perché? Distanziamento in sala d’attesa; mascherina sempre; operatori con Ffp2 e visiera. Proposta: ogni giornale e telegiornale dovrebbero mettere ogni giorno in prima pagina e in sovraimpressione la raccomandazione a indossare la mascherina, meglio se Ffp2. Ai tempi di Conte il vaccino non esisteva ancora, ma si riuscì, meglio di altri in Europa, a contenere la pandemia con i distanziamenti e le mascherine. Con la mascherina non ci si ammala! Perché il governo sottovaluta questa verità?

Roberto Giagnorio

 

Non c’è più un partito che tuteli i bisognosi

In tema di tasse, il Governo dei Migliori sta seguendo la strada dei governi peggiori che abbiamo avuto in Italia. È inutile ridurre (di molto poco) l’Irpef in un Paese dove quasi la metà dei redditi sono inferiori a 15mila euro l’anno. Senza una vera e seria lotta all’evasione fiscale, questa piccola riduzione Irpef risulta essere pari a un caffè al giorno, e un regalo agli evasori. A parer mio, queste poche risorse vanno concentrate su pochi bisognosi: le persone in difficoltà, incrementando il Reddito di cittadinanza e quello dei pensionati, fortemente penalizzati in questi ultimi anni. Ma il Governo dei Migliori ha altre priorità. L’aumento del salario minimo nemmeno per idea, la patrimoniale quando mai. E purtroppo nessun partito difende con vigore le esigenze dei veri bisognosi.

Stefano Tacchini

 

La solidarietà alle donne è solamente a parole

Leggo interventi ipocriti su tutta la stampa, indignazione e solidarietà per la violenza sulle donne da esponenti che invece sfacciatamente appoggiano e portano avanti politiche distruggi-giustizia, a favore di prescrizione per tutti, di abolizione di reati e annullamento dei processi in tutti i modi, senza considerare che si vantano di costringere gli italiani a votare nei prossimi referendum anti-giustizia. Insomma, oggi mostrano solidarietà alle donne e domani, con prescrizioni e referendum vari, tolgono la possibilità a donne violentate di ottenere giustizia. Tra l’altro, leggo di un pool di donne per elaborare leggi più severe (sic). Ebbene, sapete dire chi tra Elena Bonetti, Lamorgese, Cartabia, Carfagna e Gelmini appartiene a partiti che hanno avallato leggi e proposte a favore di prescrizioni, abolizioni, processi, insomma, provvedimenti a tutelare e proteggere i colpevoli e non le vittime?

Roberto Davide

 

I motivi delle accuse all’ex pm Davigo

Devo purtroppo e mio malgrado far notare a Travaglio che nel suo editoriale di giovedì ha dimenticato di ricordare un dettaglio fondamentale. La ragione, impronunciabile da parte di chi lo accusa, per cui Piercamillo Davigo è sotto processo, oltre all’essere un reduce di Mani Pulite, è l’essere stato il primo degli eletti durante l’ultimo turno elettorale per il Csm, cosa che ha messo a repentaglio le correnti dei magistrati più di qualunque vuota minaccia di riforma da parte della politica. Che vogliano fargli pagare anche questo è fuor di dubbio: quel che viene di conseguenza non è che il “trattamento anti-5stelle” applicato stavolta al Csm.

Giovanni Contreras

 

Collegno: un omicidio che poteva essere evitato

Ho letto di quel ragazzo di Collegno che è stato assolto per l’omicidio del padre, allo scopo di difendere la madre, se stesso e i fratelli dall’ennesimo atto di violenza del genitore. Credo, però, che tutto questo si sarebbe potuto evitare se, all’epoca dei fatti, lo Stato si fosse reso più presente e fosse intervenuto in maniera più efficace e incisiva per salvaguardare l’incolumità delle persone vittime della violenza di un padre padrone. Non è ammissibile, infatti, che in un Paese civile situazioni del genere debbano essere risolte dalle vittime stesse, ma occorrerebbe rivedere la normativa in materia, emanando leggi più efficaci e stringenti per rendere inoffensivi personaggi che tutti i giorni, nelle quattro mura di casa, continuano a sentirsi padroni della vita di tutti gli altri familiari.

Francesco Fiorino

Vaccino ed “esperti”: il Bar dello Sport ora è il Bar del Virus

“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”

(articolo 32 della Costituzione, primo comma)

 

È al contempo paradossale e inammissibile che un governo di (quasi) unità nazionale non riesca a presentare e far approvare in Parlamento una legge che la grande maggioranza degli italiani reclama: l’obbligo di vaccinazione anti-Covid, gratuita, per tutti i cittadini. Questo entrerà in vigore per decreto dal 15 dicembre solo per alcune categorie, come i medici, gli infermieri, gli insegnanti, i militari e le forze di polizia. Ma l’obbligatorietà esiste già, erga omnes, per altre dieci malattie: la poliomielite, la difterite, il tetano, l’epatite B, la pertosse, la meningite, il morbillo, la rosolia, la parotite e la varicella. Ciò dimostra, a ben vedere, l’intrinseca debolezza di questo maxi-esecutivo, la sua eterogeneità e la sua precarietà politica.

Eppure, in forza della Costituzione, basterebbe una norma per derogare al principio stabilito dal secondo comma dello stesso articolo 32 citato all’inizio, per cui “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario, se non per disposizione di legge”. E vorremmo vedere chi, fra i partiti che compongono l’attuale maggioranza extralarge, si assumerebbe la responsabilità morale di bocciarla. Quale altra situazione può corrispondere a questi due obiettivi, la tutela della salute individuale e l’interesse della collettività, se non un’epidemia come quella da coronavirus?

Vero è che finora l’obbligo vaccinale era stato disposto per i minori fino ai 16 anni. Ma è pur sempre ai genitori – e quindi agli adulti – che compete la responsabilità di rispettare e far rispettare la prescrizione, in forza della cosiddetta “patria potestà” che ormai è estesa opportunamente anche alla madre. E comunque, si tratta di un obbligo già in vigore per i viaggiatori al di sopra di un anno d’età diretti in Paesi a rischio, come quelli africani, per prevenire la febbre gialla.

Ora è giusto cercare di informare e persuadere i dubbiosi o i contrari, renitenti al vaccino anti-Covid, rispettando i loro timori e le loro paure piuttosto che criminalizzarli in blocco come no-vax. E bisogna riconoscere che la comunità scientifica, le autorità sanitarie, le forze politiche, il governo e lo stesso sistema mediatico hanno fornito spesso indicazioni incerte e contraddittorie che non hanno giovato alla comprensione del pericolo e alla consapevolezza della vaccinazione. In tutta questa confusione, alimentata e amplificata dai social network, il Bar dello Sport è diventato così il Bar del Virus.

Ma esiste un limite invalicabile al rifiuto e alla protesta: il ricorso alla violenza o alla sedizione. Ed è fondato sul principio di maggioranza che, nel nostro caso, è una larga o larghissima maggioranza: per cui non solo la libertà individuale finisce dove comincia quella altrui, ma la libertà di non fare la vaccinazione confligge con l’interesse collettivo alla tutela della salute e minaccia di comprometterla. Fatto sta che i rischi di vaccinarsi sono di gran lunga inferiori a quelli di non vaccinarsi: per sé stessi e per tutti gli altri.

Perché, allora, il “Governo dei Migliori” ha rinunciato a introdurre fin dall’inizio un obbligo che l’85 per cento della popolazione ha assunto volontariamente, per impostare invece una campagna vaccinale “a rate”? Il Green Pass e il Super Green Pass sono utili, ma non bastano. E pongono una serie di problemi pratici, a cominciare dai controlli e dalle eventuali sanzioni, che si porrebbero per il vaccino obbligatorio. È soltanto una vaccinazione di massa imposta per legge che può neutralizzare l’epidemia, anche quella propagata dalla disinformazione o dalla cattiva informazione.