Nel nostro Paese si sta aprendo una nuova stagione di privatizzazioni nonostante il chiaro insegnamento della pandemia: il mercato non protegge, separa persone e comunità, non riesce a garantire diritti fondamentali, a partire da quello alla salute.
Evidentemente il governo Draghi preferisce trascurare questa lezione adoperandosi per aprire il settore dei servizi pubblici locali al mercato. La strategia adottata è ben più articolata e subdola rispetto al passato. Oggi si utilizzano strumentalmente il Pnrr e le “riforme abilitanti” per aggirare l’esito referendario del 2011. Il Pnrr punta a realizzare una vera e propria “riforma” nel settore idrico fondata sull’allargamento verso Sud del territorio di competenza di alcune grandi aziende multiservizio quotate in Borsa che vengono identificate come gestori “efficienti”, ma che in realtà risultano tali solo nella massimizzazione dei profitti mediante processi finanziari. Il ddl Concorrenza, licenziato il 4 novembre dal Cdm, rientra tra le condizionalità imposte dalla Commissione europea per l’erogazione dei fondi del Pnrr e ha finalità esplicite: rimuovere gli ostacoli regolatori, di carattere normativo e amministrativo, all’apertura dei mercati. Si tratta di una serie di norme ispirate da un’evidente ideologia neoliberista in cui la supremazia del mercato diviene dogma inconfutabile nonostante la realtà dei fatti dimostri il contrario, soprattutto nel servizio idrico: aumento delle tariffe, delle perdite delle reti, dei consumi e dei prelievi, a fronte di investimenti insufficienti, carenza di depurazione, diminuzione dell’occupazione, diminuzione della qualità del servizio, mancanza di democrazia.
Gli enti locali che opteranno per l’autoproduzione del servizio saranno costretti a “giustificare” (letteralmente) il mancato ricorso al mercato e dovranno dimostrare le ragioni di tale scelta, sottoponendola al giudizio dell’Antitrust. Mentre per i privati la strada è in discesa, avendo solo l’onere di produrre una relazione sulla qualità del servizio e sugli investimenti effettuati. Inoltre, si prevedono incentivi per favorire le aggregazioni indicando così chiaramente che il modello prescelto è quello delle grandi società multiservizi quotate in Borsa che diventeranno i soggetti monopolisti (alla faccia della concorrenza!) praticamente a tempo indefinito. In ultimo, questa norma rischia di restringere fortemente il ruolo degli enti locali, espropriandoli di una loro funzione fondamentale come la garanzia di servizi essenziali e dei diritti a essi collegati, per cui da presidi di democrazia saranno ridotti a meri esecutori della spoliazione della ricchezza sociale.
D’altronde, Draghi non ha mai dissimulato la volontà di voler contraddire l’esito referendario. Il 5 agosto 2011, solo un mese e mezzo dopo lo svolgimento della consultazione, in qualità di governatore della Banca d’Italia firmò, insieme al presidente della Bce Jean Claude Trichet, la lettera all’allora presidente del Consiglio Berlusconi che indicava come necessarie e ineludibili “privatizzazioni su larga scala”. Oggi Draghi, da premier, cerca di realizzare questo obiettivo, incurante che il combinato disposto del ddl Concorrenza e Pnrr si configuri come un attacco alla volontà popolare che nel 2011 hanno indicato una strada diametralmente opposta: lo stop alle privatizzazioni e alla mercificazione dell’acqua. È necessario che su questi temi si sviluppi un onesto dibattito pubblico, anche a livello parlamentare. In questi ultimi dieci anni si è sviluppata un’interessante riflessione sui servizi pubblici e sui beni comuni che ha individuato in essi un valore fondante della società, senza i quali ogni legame diviene contratto privatistico e la solitudine competitiva l’unico orizzonte.