Nella Lega in queste ore parlano solo di lui. “Hai visto Max?”, “Hai sentito Fedriga?”, “Ti sei complimentato?”. Sul Super Green pass ha vinto lui e ha perso il capo. Massimiliano Fedriga ha fatto bere litri di camomilla a Matteo Salvini. È stato il primo a chiedere le restrizioni per i non vaccinati e mentre il segretario minacciava di non votare il decreto in Consiglio dei ministri, lui tesseva la tela con Palazzo Chigi. Mario Draghi in conferenza stampa lo ha ringraziato due volte “per il suo lavoro” e per “la sua linea convincente”. Chi vuole male a Salvini dice che è nato “un nuovo leader”. Chi a Salvini vuole bene, invece, vede nel governatore un pericolo. Perché Fedriga, di Salvini, ha la verve ma non le sparate, le idee ma non gli slogan, il doppiopetto anziché la felpa. Per questo i fedelissimi del segretario lo chiamano “faccia d’angelo” o anche “il doroteo”. Pensano di insultarlo. Per lui è un complimento.
Quarantun anni, famiglia democristiana, a 12 anni si innamora della Lega sentendo parlare Umberto Bossi in un comizio aTrieste. A 15 anni si iscrive alla Lega ma con “l’autorizzazione scritta” dei genitori. La sua carriera è fulminante: consigliere comunale, segretario della Lega a Trieste, deputato per tre legislature, Presidente del Friuli. I suoi fedelissimi dicono che, politicamente, Fedriga ha vissuto due vite. Prima c’è stata quella del salvinismo arrembante: Renzi era un “bulletto”, la Fornero “indecente”, la legittima difesa “giusta”. Fu addirittura espulso dall’aula per 15 giorni per una rissa sullo ius soli. Eletto governatore è cambiato: pro-vaccini (a costo di ricevere minacce di morte), pro pass, pro Europa, antifascista (se lo ricorda Claudio Durigon). Ogni giorno fa il controcanto a Salvini: “Stare al governo fa male alla Lega” ha detto ieri il leader. “Sono amici ma hanno visioni diverse” ammette il braccio destro di Fedriga in Parlamento, Massimiliano Panizzut.
Nel 2014 Fedriga diventa capogruppo della Lega alla Camera. Gli fa posto Giancarlo Giorgetti, che di lui dice: “Massimiliano è bravissimo”. Fedriga lo manda Giorgetti. Gli ha insegnato come si lavora in Parlamento, lo presenta a chi conta, lo supporta. Insieme a Fulvio Follegot, Giorgetti è stato il maestro di Fedriga. Tant’è che negli ultimi mesi il ministro si è fatto vedere spesso in Friuli anche per fare campagna elettorale nei paesini da 300 abitanti. Una cosa mai vista.
Fedriga sa coltivare rapporti. Negli altri partiti parlano tutti bene di lui, se lo ricordano come capogruppo. Un collega del Pd lo ricorda come “attento, preciso, determinato”. È il capo dei governatori e con loro si sente tutti i giorni: i due più stretti sono Luca Zaia e Stefano Bonaccini. A Roma ha una truppa parlamentare che oggi conta una decina di fedelissimi: c’è la sottosegretaria Gava, poi Bubisutti, Moschioni, Marin, Pittoni e Panizzut. Si coordinano in chat con il commissario friulano Marco Dreosto. “È paziente, ascolta tutti e decide” lo elogia Panizzut. Anche con Giorgia Meloni, dai tempi di Montecitorio, ha ottimi rapporti. Ma il canale con FdI è quello del conterraneo Luca Ciriani, capogruppo meloniano in Senato. “Fedriga è da tempo uno dei migliori del vivaio della Lega” lo elogia Guido Crosetto, uomo ombra di Meloni.
E dunque? Che vuole fare Fedriga? Di certo, assicura lui, non prendere il posto di Salvini: “Follie”. Ufficialmente cerca il secondo mandato, con una lista personale sul modello Zaia. Dietro le quinte, però, Trieste gli sta stretta. Vuole tornare a Roma: magari da ministro del Lavoro (capito Durigon?). Oppure da premier. Il candidato sarà Salvini ma, vinte le elezioni, per l’Ue sarà unfit per Palazzo Chigi. A quel punto spunterà Fedriga. Il suo ruolo a Trieste, d’altronde, finisce nel 2023.