Salta il “congresso” del Carroccio: troppi leghisti senza il Green Pass

Dopo il danno, la beffa. L’approvazione del Super green pass non ha provocato solo uno sconquasso nella Lega, sempre più spaccata tra Matteo Salvini e i governatori del Nord. Ieri ha mietuto un’altra vittima nel Carroccio: l’assemblea programmatica convocata da Salvini per l’11 e 12 dicembre non si farà. Rinviata a data da destinarsi. Motivo? “Le decisioni del governo” recitava ieri pomeriggio la nota ufficiale del partito. Perché non si potrebbe “garantire a tutte le persone invitate la possibilità di partecipare”. E ancora: “È una scelta di rispetto, in particolare per militanti e amministratori locali”. La traduzione vien da sé: il decreto approvato mercoledì, anche con il voto del Carroccio, obbliga i partecipanti di grandi eventi e cerimonie pubbliche ad avere il Super Green Pass. Non basta il tampone, serve il vaccino. Per questo motivo molti parlamentari, sindaci e amministratori locali sarebbero rimasti fuori perché non immunizzati. Avrebbero potuto viaggiare fino a Roma – per i trasporti basta il test – ma non entrare al Palasport dell’Eur. Che sia così lo dimostra anche il fatto che l’organizzatore dell’assemblea era proprio quell’Armando Siri che ha dichiarato di non essersi vaccinato e da mesi sta portando avanti una battaglia contro il pass. Sarebbe stato il primo a non poter entrare. È stato Siri mercoledì a dare l’annuncio del rinvio nella chat dei parlamentari.

Nella Lega sono in molti i deputati e senatori no-pass: da Claudio Borghi a Simone Pillon, da Alberto Bagnai ai deputati Alex Bazzaro e Guido De Martini, scesi in piazza a luglio contro il certificato. Ma anche i sindaci e gli amministratori no-vax non avrebbero potuto partecipare. È il caso del capogruppo a Ravenna, Gianfilippo Nicola Rolando, che si è fatto notare per alcune trovate bizzarre: a settembre si è presentato in un asilo per chiedere, con cinque famiglie al seguito, che i genitori entrassero senza pass (sono dovuti intervenire i carabinieri) e poi è sceso in piazza con i portuali. Oggi segue i consigli comunali in streaming e non sarebbe potuto andare al congresso leghista. Questo però non gli avrebbe fatto cambiare idea sul Super green pass che, a suo dire, “segrega 8 milioni di italiani” e su un “regime” che “ridicolizza i non vaccinati”. Non sarebbe potuto andare nemmeno Fabio Meroni, consigliere ed ex sindaco di Lissone (Monza e Brianza), che su Facebook ha attaccato Liliana Segre, favorevole al vaccino, facendo riferimento al numero con cui fu marchiata dai nazisti ad Auschwitz: “Mancava lei 75190”. La spiegazione del rinvio è anche un’altra: come sarebbe stato possibile, tra due settimane, quando i dati peggioreranno, riunire un migliaio di delegati in un palazzetto al chiuso? Sui social e sui giornali, è il ragionamento che si fa da via Bellerio, sarebbero spopolate le immagini di assembramenti e il rischio di un focolaio sarebbe stato concreto. Così, meglio rinviare. Peccato che ufficialmente la Lega questo non lo dica. Vorrebbe dire ammettere che, mentre salgono i contagi, le restrizioni servono eccome. Si rischierebbe il cortocircuito. Negli stessi giorni, ironia della sorte, si terrà la festa di FdI Atreju che però, spiega Giorgia Meloni, sarà “all’aperto”. Altro smacco per Salvini. Sta di fatto che la kermesse non si farà. Doveva essere un congresso in cui Salvini avrebbe affrontato gli avversari interni – i governatori e l’ala nordista – e chiesto un plebiscito sulla sua leadership alle porte dell’elezione del Quirinale. Nel frattempo però un patto è già stato siglato coi governatori: Salvini resta segretario e loro, Fedriga e Zaia su tutti, saranno più coinvolti nella linea del partito. Fino a commissariare il leader.

E lo si è visto già sul Super Green Pass con Fedriga che ha trattato con Draghi per evitare lo strappo della Lega in Cdm. Cosa che non è piaciuta ai salviniani (“Vuole fare le scarpe a Matteo”) e ringalluzzito gli avversari interni del segretario: “Mercoledì è nato uno sfidante di Salvini” scandisce un big leghista. Per il momento si va avanti così. Il redde rationem è solo rinviato al 2022.

Guerra di perizie e chat: oggi il D-day del caso Grillo jr.

Due anni e mezzo dopo, di certo c’è solo che esistono due ricostruzioni alternative di quella notte. La versione di lei: “Mi hanno stuprata”. Quella di loro: “La ragazza era consenziente”. Oggi sarà il gup Caterina Interlandi a decidere se la verità sarà stabilita da un processo. Gli indagati sono Ciro, il figlio di Beppe Grillo, e i suoi tre amici Vittorio Lauria, Edoardo Capitta e Francesco Corsiglia. L’accusa è di violenza sessuale di gruppo, aggravata dall’aver ripreso tutto coi telefonini.

I fatti risalgono al 16 luglio 2019. Ciro sta festeggiando con gli amici la fine della maturità. Hanno affittato un appartamento nel residence del Pevero di Porto Cervo, di fronte alla casa di famiglia dove dorme la mamma Parvin Tadjik. Passano la serata al Billionaire con altri coetanei, tra cui Silvia e l’amica Roberta (S.J. e R.M., i nomi sono di fantasia). Le due ragazze alloggiano a Porto Pollo, a 30 chilometri. Gli amici con cui sono arrivate sono andati via prima. Loro restano fino alla chiusura e accettano l’ospitalità dei quattro genovesi. Su ciò che accade da qui in poi, il confronto è fra la parola di lei contro quella di loro. C’è inoltre la testimonianza di Roberta, che quella notte si addormenta sul divano del salotto. Secondo quanto raccontato da Silvia ai pm, la prima violenza sessuale avviene con Corsiglia: lui la attira in camera, la costringe a un rapporto violento, mentre gli altri “ridono e bisbigliano” in sottofondo. Silvia riesce infine a uscire da quella stanza. Piange e sveglia l’amica: “Mi hanno violentata”. Roberta, ricorda Silvia, “non sembrava capire”. E infatti si riaddormenta.

Questa la versione di Roberta: “Silvia era accovacciata accanto a me in accappatoio e piangeva. Le ho chiesto cosa stesse succedendo, ma lei singhiozzava. Nel frattempo è arrivato uno dei ragazzi, che le ha chiesto se andasse tutto bene. Lei gli ha dato le spalle, per non farsi vedere piangere. Io ho risposto di sì per farmi dire cosa era successo. Ma lei dopo aver pianto ancora si è calmata e mi ha detto di non preoccuparmi, che stava bene”. I tre ragazzi provano a calmarla. Vanno tutti insieme a prendere le sigarette. Fra le 8 e le 9 del mattino siedono nella veranda: Silvia, Ciro Grillo, Edoardo Capitta e Vittorio Lauria. Sul tavolo c’è una bottiglia di vodka dall’“odore strano”. Alle 9, secondo i pm, i tre ragazzi conducono Silvia in un’altra camera e ne abusano in tre. Roberta la trova al mattino, avvolta in un lenzuolo: “Era confusa e sconvolta. Aveva tutto il trucco colato, credo per il pianto, si guardava intorno come se non sapesse dove si trovasse. Mi era capitato di vederla ubriaca, ma mai in questo stato, non mi è sembrato che fosse per gli effetti dell’alcol”. Non c’è alcuna prova che abbia assunto sostanze. Anche se il consulente di parte della vittima scrive che “non si può escludere l’assunzione della cosiddetta droga dello stupro”.

Roberta racconta di essere stata svegliata tre volte quella notte. Ricorda avance da parte di Ciro ed Edoardo, respinte senza troppa difficoltà. E Ciro che nel mezzo della notte urlava: “Io me la sono portata a casa perché me la volevo scopare, e invece se la sta scopando lui”.

Gli investigatori scandagliano chat e social, degli indagati così come della vittima. In questo modo scoprono dell’esistenza dei video. Il 17 luglio Edoardo Capitta ne parla a un amico: “Non puoi capire, 3 vs 1 stanotte, lascia stare… poi ti farò vedere. Ero ubriaco marcio”. L’altro chiede spiegazioni: “Ma chi eravate? Te, Corsi e Ciro?”. Capitta: “3 vs 1, ovvio. Ma io veramente alle dieci del mattino ero ubriaco marcio… bevuto beverone alle nove. C’era il cameraman. Sai che non me le faccio scappare ’ste occasioni. 4 video facili… Poi vi farò vedere tutto”. Il 9 agosto se ne vanta ancora: “Non hai visto ancora i video, brò”. L’altro prova a convincerlo: “Dai mandali un po’ (bestemmia), sono l’unico che non li ha visti”. Capitta: “No, no, ma non è per quello, è che succede qualsiasi cosa… non li mando a nessuno. Anche se li fai vedere, non mi frega niente, tanto c’è questa qua… ’na troia”. Sono passate un paio di settimane dalla notte in Costa Smeralda e nessuno dei ragazzi sembra sospettare l’esistenza di un’indagine. Capitta spesso tira tardi insieme a Corsiglia o non torna proprio a casa. La madre gli scrive, spesso lo insegue invano, fino alle prime ore del mattino, come il 4 agosto: “Purtroppo hai deciso che questo è il tuo modo di vivere”. E ancora, la notte dopo: “Tanto tu finirai come al solito. Vedremo se nel frattempo vieni a casa perché domani alle 6, ovvero fra tre ore, mi alzo e vado a lavorare. Questa settimana sei stato scandaloso. Capisci cosa intendo quando dico che ci prendi per il culo e fai solo i cazzi tuoi?”. La possibile circolazione dei filmati porta all’ipotesi di reato di revenge porn.

Il 29 agosto Capitta chiama Lauria: “È venuta la polizia, anche da te? Ma che abbiamo fatto?”. Lauria: “Secondo me quella ci ha denunciato”. Una certa incoscienza sembra accompagnarli fino alla caserma di Tempio Pausania, quando vengono convocati per i primi interrogatori. Nella saletta, dove sono videoregistrati, Corsiglia fa il segno delle manette. Ridono e scherzano. Parvin Tadjik ammonisce più volte il figlio Ciro: “Sei veramente uno stupido. Stai zitto… Sei un deficiente, non ho parole… siete tre bambini e non capite…”.

Anche i comportamenti di Silvia vengono analizzati in ogni minimo dettaglio. I difensori dei quattro ragazzi producono una memoria in cui ne evidenziano le contraddizioni: non ha menzionato di aver dato un bacio a Ciro in discoteca; è uscita a prendere le sigarette insieme ai ragazzi fra le due presunte violenze; nei giorni successivi va a fare kitesurf, si scatta foto con Roberta sulla spiaggia, conduce insomma una vita all’apparenza normale e mette anche un like a una foto dei presunti stupratori; in altre chat farebbe riferimenti a una serata divertente. Inoltre, per le difese, i video sarebbero una prova a discarico. Mentre dall’interrogatorio di un’amica di Silvia emergerebbe un’altra presunta violenza subita mesi prima e mai denunciata. Per l’avvocato di Silvia, la parlamentare leghista Giulia Bongiorno, sono reazioni comuni nelle vittime di violenza. E tra le prove della sua credibilità annovera la testimonianza di A., amica che dice aver ricevuto foto di Silvia con ecchimosi in varie parti del corpo. Possibili prove cancellate in modo automatico dal social Snapchat.

Abusi sessuali su pazienti in clinica

La Procuradi Lecce ha aperto un’indagine che ha portato all’arresto di Sergio Cosi, ortopedico, accusato di violenza sessuale e lesioni personali nei confronti di alcune sue pazienti in una clinica di Casarano, in Salento. La tesi della Procura è che il medico, abusando della sua autorità, avrebbe costretto le donne a subire gli abusi nel corso delle visite. “Ricordo che mi nebulizzò una sostanza davanti al viso, da quel momento in poi mi sono sentita stordita” ha detto nella denuncia una delle vittime, che ha raccontato di essere stata costretta a subire violenze “senza avere la ragione di reagire”. Per gli investigatori, che si sono avvalsi di intercettazioni ambientali nello studio dell’ortopedico, le donne abusate sono cinque.

Orlandi, legali: “Ex pm Capaldo va ascoltato”

Il caso di Emanuela Orlandi, la ragazza cittadina del Vaticano scomparsa a Roma nel 1983 all’età di 15 anni, potrebbe essere riaperto. Giancarlo Capaldo, ex procuratore aggiunto che indagò sulla faccenda, ha da poco pubblicato La ragazza scomparsa, un libro che secondo quanto spiegato dallo stesso magistrato rappresenta in realtà un romanzo-verità ispirato alla vicenda di Orlandi, scritto grazie agli elementi che ha scoperto nel corso delle indagini. Capaldo ha detto, durante la presentazione del volume che “con il Vaticano ci fu incontro” in vista di una possibile soluzione del caso. Alla luce di queste dichiarazioni, la famiglia della ragazza ha chiesto di ascoltare Capaldo e di aprire delle nuove indagini.

Milano, i pannelli della Torre di Moro erano infiammabili

Il rivestimentodi Torre Moro, il palazzo della zona sud di Milano andato a fuoco lo scorso 29 agosto, era composto da pannelli fatti di materiale altamente infiammabile, che vennero consegnati quando non erano stati ancora omologati e installati con modalità non previste dalle certificazioni di sicurezza. Ne dà dettaglio la relazione dei Vigili del Fuoco, depositata all’interno dell’inchiesta per disastro colposo della Procura milanese, dove risultano indagati i responsabili della società. Secondo i pm, quei pannelli furono utilizzati per risparmiare sui costi.

Webuild&C.: “Nessun conflitto per Rettighieri”

Webuild Italia e Fincantieri potranno ambire all’appalto da 400 milioni del cosiddetto ribaltamento a mare del cantiere navale di Fincantieri (navalmeccanica) a Genova, malgrado, come rivelato ieri dal Fatto, la società creata a giugno dal gruppo Salini sia presieduta da Marco Rettighieri, fino a maggio responsabile del “Piano straordinario” dell’Autorità portuale, in cui rientra l’appalto, su nomina di Marco Bucci, Commissario per la ricostruzione del Morandi e titolare del suddetto Piano. Dopo la segnalazione della stessa Webuild, l’Autorità Portuale ha promosso la procedura anti-conflitto predisposta da Webuild, che così l’ha sintetizzata al Fatto in una nota: “Il rapporto del gruppo con Rettighieri è risalente e non riguarda la gara in questione. Inoltre Rettighieri da consulente di Autorità portuale mai ha partecipato o contribuito all’assunzione di decisioni inerenti alla procedura della gara e ha avuto sull’argomento solo conoscenze di pubblico dominio”. Anche Fincantieri, contattata, nega ogni conflitto: “Esser parte del gruppo Fincantieri non comporta per Fincantieri Infrastructure (Fi) alcuna conoscenza o vantaggio sulle altre imprese; Fi svolge attività diversa dalla capogruppo e la commessa è pubblica: Fi è in condizione di parità con i concorrenti”. A vedersela con l’accoppiata che ha ricostruito il Morandi e rinunciato al contenzioso col commissario Marco Bucci, saranno il consorzio Eteria (Caltagirone e Gavio) e uno guidato da Rcm.

Rai3, Di Mare cancella Mannoia e conduce lui

Per realizzare uno speciale contro la violenza sulle donne viene cancellata una trasmissione in programma e già registrata che riguardava proprio la violenza sulle donne. Via Fiorella Mannoia, dentro Franco Di Mare. Ieri sera su Rai3 è andato in onda uno Speciale Frontiere condotto dal direttore di rete Di Mare dal titolo evocativo: “Gli uomini non cambiano”, come la nota canzone di Mia Martini.

Peccato, però, che, per allungarsi sul palinsesto, Di Mare abbia commesso una piccola violenza televisiva nei confronti di Fiorella Mannoia, sfrattando la puntata già registrata de La versione di Fiorella, che ieri sera avrebbe trattato gli stessi argomenti. “Per motivi di palinsesto questa sera non andremo in onda”, ha twittato Mannoia ieri mattina a cose ormai fatte. Il cambio di palinsesto, a quanto si sa, è stato stabilito mercoledì. Sembrava che i due programmi potessero coesistere. Poi però Di Mare ha deciso che gli serviva più tempo, fino a mezzanotte. E quindi addio Fiorella, nemmeno invitata a partecipare al nuovo programma. La cantante tornerà in onda questa sera con la puntata già registrata sulle violenze contro le donne. Questione che sembra stare molto a cuore alla nuova dirigenza. “Il servizio pubblico può e deve contribuire a contrastare la violenza contro le donne”, hanno detto ieri l’ad Carlo Fuortes e la presidente Marinella Soldi.

Sistema Benevento un audio coinvolge Regione Campania

Parrebbe ancora gravitare nella galassia del Sistema Salerno, e al grumo di potere che ruota intorno al governatore Vincenzo De Luca, Mario Del Mese, l’imprenditore salernitano arrestato l’altroieri dalla Procura di Benevento con accuse di corruzione su alcuni appalti pubblici. L’ex deus ex machina della Ifil, la società che spillava consulenze al Comune di Salerno e poi finita in bancarotta (vicenda per la quale è tuttora sotto processo il deputato dem Piero De Luca) è al centro di una intercettazione tra due suoi coindagati, il sindaco di Buonalbergo, Michelantonio Panarese, e il professionista Nicola Laudato. È il 23 ottobre 2019. Panarese dice a Laudato: “È che Mario è rappresentato dalla Regione e ci ha portato il finanziamento… (…) lo paghiamo…. (…) perché loro a livello politico ci minacciano”. Secondo il Gip la telefonata dimostra che Del Mese andava premiato nell’ambito di un accordo corruttivo “per aver consentito alla Regione Campania di finanziare gli interventi stradali, con modalità rimaste finora ignote”.

Malagò all’assalto della manovra: vuole una società e far fuori l’uomo di Giorgetti

Sembra un film già visto. Ogni fine anno il Coni va in fibrillazione. Non sono le festività ad agitare Giovanni Malagò, ma la manovra: l’occasione per ottenere un regalino dal governo. I desideri sono sempre gli stessi: più risorse, più potere. Quell’autonomia violata dalla riforma Giorgetti, e poi restituita a parole ma non ancora nei fatti. Così il numero 1 dello sport è tornato alla carica. La scorsa settimana è stata un’escalation di dichiarazioni, insulti a funzionari, minacce di dimissioni. Per il problema del personale: i dipendenti in passato erano assunti dalla vecchia Coni Servizi, ma quando l’ex sottosegretario Giorgetti l’ha spostata al governo (ribattezzandola Sport e Salute), il Coni ha perso le sue risorse umane. E le rivuole, come sancito dal decreto varato a gennaio. La questione stucchevole si trascinava da mesi, un po’ per colpa della burocrazia, un po’ per i rapporti non idilliaci col Dipartimento della sottosegretaria Vezzali (e soprattutto col giorgettiano Michele Sciscioli, reo di non assecondare le richieste di Malagò e perciò bollato come nemico numero 1). Il polverone ha sbloccato la situazione: col via libera del ministro Brunetta e il parere incassato a tempo di record da Aran e Ragioneria, la questione è risolta (o quasi, resta solo il problema dei giornalisti). Il Coni può procedere ai bandi interni con cui riavrà i suoi 165 dipendenti. Il personale però era solo un pretesto, come gli immobili, appena trasferiti da Sport e Salute. Sempre più insofferente per i conflitti al vertice dello sport, forse stanco per il doppio impegno con Milano-Cortina, il vero obiettivo di Malagò è la manovra, citata non a caso dalla giunta Coni: sogna una società tutta sua, con cui restaurare l’impero del Comitato olimpico (da semplice ente pubblico ha le mani legate). Quella “Coni Spa” che come rivelato dal Fatto creata a settembre, è bloccata dal Dipartimento che ha impugnato la delibera con una serie di rilievi. Per superarli, il modo più semplice sarebbe un aiutino dal governo. Per questo Malagò alza i toni. A Palazzo Chigi, col premier Draghi troppo indaffarato per perder tempo con lo sport (da cui si aspetta più passerelle e meno problemi), e il sottosegretario Garofoli per nulla interessato a infilarsi in questo ginepraio, il suo referente è il potente capo di gabinetto Antonio Funiciello, con cui parla spesso e bene, se non altro per affinità renziana. Appena avvistato alla Leopolda, Malagò attende Natale. E un regalo sotto l’albero.

Accuse a Report: la Rai non ha mai avviato l’indagine

Nessun audit è fin qui stato aperto in Rai sulla vicenda della lettera anonima contro Report e il suo conduttore, Sigfrido Ranucci, che Italia Viva ha tirato fuori mercoledì durante un’audizione in commissione di Vigilanza che riguardava tutt’altro, ovvero il piano industriale di Carlo Fuortes e le nomine dei direttori dei tg. Quando prende la parola, Davide Faraone (Iv) invece ne approfitta per scagliare un duro attacco contro il programma di Rai3 che, a suo dire, “confeziona servizi giornalisti ad arte per attaccarci continuamente”, per poi, alla fine, buttare lì, a mo’ di polpetta avvelenata, la questione della lettera.

Si tratta di una missiva anonima giunta in Rai e ai commissari della Vigilanza nel luglio scorso. Il contenuto fa riferimento a presunte relazioni sessuali di Ranucci con due giornaliste della redazione, che avrebbero subìto mobbing e rappresaglie varie al termine delle relazioni stesse. Un terzo episodio denunciato nella lettera riguarda invece la censura di un servizio di una cronista sul Gruppo San Donato perché, secondo la missiva, “era troppo equilibrato” e “non corrispondeva alla linea stabilita dal conduttore”.

Fuortes, nominato amministratore delegato l’8 luglio, in audizione ha detto di non saperne nulla. “È la prima volta che sento una cosa del genere. Agli atti dell’audit non ho nessun tipo di denuncia, formale o informale”, ha spiegato. E infatti l’audit di Viale Mazzini, a quanto si sa, fino a ieri non ha aperto alcun procedimento sulla vicenda. Tanto che né Ranucci, né le giornaliste in questione in questi mesi sono stati chiamati a fornire spiegazioni. E nulla viene chiesto nemmeno al direttore di rete Franco Di Mare, informato della faccenda.

Il conduttore di Report, il 5 agosto, presenta una denuncia per calunnia ai carabinieri. Tesi ribadita ieri in un post su Facebook. “Ho denunciato subito, mentre esponenti politici hanno tenuto questa lettera nel cassetto per mesi aspettando la Giornata mondiale sulle donne per renderla nota”, scrive Ranucci. Che continua: “Così, allo scopo di colpire e infangare Report e il sottoscritto, hanno offeso quelle donne che questa ricorrenza vuole tutelare”. Anche la redazione del programma di Raitre è intervenuta ieri: “Non possiamo tacere su questo fango. Consideriamo ridicole e offensive le parole tratte da uno scritto anonimo che mette in discussione la professionalità di colleghe e ci spiace constatare che queste calunnie abbiano trovato eco all’interno della Vigilanza”, scrivono i cronisti di Report. “Quando il lavoro d’inchiesta è inattaccabile, si tenta di colpire sul personale. Evidentemente diamo fastidio a troppi”, aggiungono. Viste anche le ultime inchieste, Report non ha certo Matteo Renzi e i renziani tra i suoi fan: alla Rai, fare chiarezza, servirebbe anche a sottrarre “pizzini” dalle mani dei detrattori della trasmissione.