Renzi dice di avere in mano un poker di prove che ha squadernato al Senato dove era atteso dalla Giunta per le immunità. Che lo ha voluto sentire dopo che il leader di Italia Viva – indagato per concorso in finanziamento illecito nell’ambito dell’inchiesta su Fondazione Open – aveva trasmesso a più riprese il suo memoriale alla presidente Casellati. Perché si attivi con ogni mezzo per preservare le sue prerogative parlamentari, che sarebbero state violate dai pm di Firenze: sono loro, ancora una volta, i principali bersagli di Renzi, che li aveva messi sotto processo già durante la Leopolda nel weekend appena concluso. Ora, in Senato, ai suoi colleghi ha detto di aver portato “quattro prove schiaccianti” che li inchiodano alle loro responsabilità.
Quali? Gli sms inviati e ricevuti quando era già stato nominato senatore, poi le email scambiate con l’amico Marco Carrai che intende come corrispondenza violata e il solito estratto del conto corrente, anch’esso agli atti dell’indagine e che “copre fino al 2020, quindi quando ero già parlamentare”. Renzi ha parlato in tutto più di un’ora, ma hanno parlato anche alcuni membri della Giunta: alcuni per appoggiare le sue tesi, come Simone Pillon della Lega, altri per contestare la sua ricostruzione. Il più duro è stato Pietro Grasso di LeU, che gli ha detto più o meno così: “Mi risulta che sia laureato in Giurisprudenza: com’è che non capisce cosa prescrive l’articolo 68 della Costituzione sulle guarentigie per i parlamentari?”. Per l’ex magistrato, infatti, Renzi “fraintende” la norma. L’obbligo per i pm di rivolgersi alla Camera di appartenenza del parlamentare copre la fase che riguarda i giudici, non quella delle indagini. “Altrimenti torneremmo all’autorizzazione a procedere di antica memoria che non c’è più” ha detto Grasso. Ma Renzi ha insistito, elencando quelle che lui ritiene essere “prove schiaccianti” di una presunta violazione da parte dei pm. Ecco cosa ha detto e come stanno le cose.
1. Volo per gli usa Nel suo discorso Renzi ha fatto riferimento ai messaggi scambiati con l’imprenditore Vincenzo Manes (non indagato) a giugno 2018. In quei messaggi i due parlano di un volo che Renzi stava cercando per andare a Washington. A un certo punto Renzi scrive a Manes: “Stiamo prendendo un volo privato come fondazione, non abbiamo alternative, temo”. Volo che alla fine pagherà la Fondazione Open al costo di 134.900 euro. Sebbene per Renzi questi messaggi siano la prova di una violazione da parte dei magistrati, in realtà sono stati captati dal cellulare di Manes, non soggetto a guarentigie parlamentari. E i pm li hanno depositati per dimostrare come il volo per Washington sia stato pagato dalla Open e quindi per sostenere l’accusa, ossia che alcuni dei contributi volontari incassati dalla Fondazione siano stati utilizzati per “sostenere l’attività politica di Renzi, Lotti, Boschi e della corrente renziana”. Su questi messaggi la relatrice forzista della Giunta ha chiesto di portare il caso davanti alla Corte costituzionale.
2. Email con CarraiQuanto alle email scambiate con Carrai, Renzi già nel memoriale spedito al Senato aveva fatto riferimento a quelle riguardanti la sua società di consulenza (ora chiusa), Digistart e il contratto, poi non concluso con una società dell’armatore Onorato. Quest’ultimo, non indagato, è tra i finanziatori di Open per 300mila euro in due anni: nel 2015 vengono versati alla Fondazione 50mila euro da Onorato personalmente e 100mila da Moby. Stessa cosa nel 2016.
3. Conto corrente Renzi ieri è tornato sulla questione dell’estratto del suo conto corrente. In realtà di questa documentazione si fa riferimento in un’informativa della Gdf del 10 giugno 2020. Scrive la Finanza: “Tra gli allegati alla segnalazione per operazioni sospette risulta accluso l’estratto, dal 14 giugno 2018 al 13 marzo 2020, del conto corrente (…) Bnl – filiale Senato Roma, intestato a Matteo Renzi”. E aggiungono: “Dalla disamina dell’estratto conto si rilevano: in avere per complessivi 2.644.142,48 euro”.
4. Whatsapp privati L’ex premier lamenta l’acquisizione anche di una serie di messaggi privati, inviati e ricevuti quando era già stato nominato senatore, ossia dopo il marzo 2018. Su questo i pm hanno già risposto ai suoi legali: l’utilizzazione dei dati processuali in questione è stata operata non già nei confronti di Renzi, ma di un altro indagato, che non essendo parlamentare non poteva invocare le garanzie riconosciute agli eletti.