Son stanco di essere artista

Si alza il sipario; l’attore lascia passare due o tre minuti in silenzio guardando il pubblico poi armeggia intorno al magnetofono. Dal magnetofono, tra i soliti sibili e rumori, appare e scompare una voce, quella dell’autore cioè la mia.

LA MIA VOCE – Mi chiamo Cesare Zavat… (tipici rumori del magnetofono).

L’ATTORE (chiude per un attimo il magnetofono) – Funziona. (Rimette in moto l’apparecchio).

LA MIA VOCE – Mi chiamo Cesare Zavattini, sono quasi vecchio, e faccio lo scrittore da tanto tempo. Il protagonista sono io. Ho bisogno di sapere se si ha il diritto di scrivere una poesia alla vigilia della guerra. Sarei venuto volentieri in persona a discorrerne con voi, qui sul palcoscenico, ma me ne manca il coraggio e il fiato. E devo servirmi del solito attore, pur essendo certo che il tempo degli intermediari e delle metafore è finito. Se qui si dirà cazzo, scusino le signore, sarò io, proprio io, e non questo o quel personaggio, ad assumerne la responsabilità…

Ho il diritto dunque di scrivere una poesia alla vigilia della guerra? Una volta pareva nell’aria questo diritto, nelle stesse cose. Oggi no, come un tam-tam, la domanda batte nelle nostre povere teste, anche nella mia, quante notti mi avvoltolo dentro il letto senza saper rispondere. Non so rispondere. Gli altri forse sanno. O fingono di sapere? Ma suppongo che siate già stanchi del mio accento un po’ dialettale, quindi per le note esigenze dello spettacolo mi sostituirà qualcuno che pronuncia correttamente “dópo”, e non “dòpo” come dico io (una breve risata). Non amo gli attori, nemmeno i grandi, quando dicono “dópo”, pur dovendo riconoscere che si esprimono secondo le regole, e io no. Passo la parola.

L’ATTORE (riprende ad armeggiare intorno al magnetofono) – Dal titolo dunque si deduce che, a mio avviso, la guerra è vicina. La guerra grande, s’intende. Credo che scoppi tra un paio di ore. Chi ama la precisione consulti un orologio. Anzi facciamone portare uno in scena (ad alta voce, verso le quinte): L’orologio! (Un inserviente porta un alto orologio stradale). Fra un paio d’ore, più o meno (ride). State facendo gli scongiuri. Riconoscete almeno che è possibile, e il possibile per la coscienza è come se fosse accaduto. A mio modesto avviso, dentro di noi è già matura. Dico noi, poiché nel mare delle differenze, c’è, malgrado tutto, una costante che ci accomuna e che chiameremo “la uomità”. Che brutto vocabolo. La costante della “uomità”! Non mi pare difficile dimostrarlo (dando un ordine verso le quinte). Passi un culo! (Subito una splendida ragazza attraversa la scena col culo scoperto, bello, bellissimo anzi, vi luccica sopra qualche favilla di strass). I nostri occhi si sono mossi tutti insieme, lo ammetterete, come fossero di un corpo unico. Proviamo le orecchie (fa un gesto e si ode immediatamente l’urlo di una sirena di guerra): sono effetti piuttosto vecchi, lo riconosco, tuttavia servono a rintracciare questa “uomità”. Da un punto di vista artistico, ci sono senza dubbio dei precedenti in proposito. D’altra parte, perché dovrei cercare un linguaggio nuovo quando da quello vecchio né io né voi non abbiamo ancora saputo trarre le giuste conseguenze?… La guerra è più vicina di quando hanno tirato su il sipario… Che cosa faccio io intanto che la guerra si avvicina? Voglio scrivere una poesia… Ho bisogno di entrare nelle cose, di fotterle, non di dirle. Sì, d’accordo, ci sono delle parole che scavano, come una vanga. D’accordo. Ma non ci basta più, evidentemente. Qualcuno sostiene che dobbiamo accontentarci degli strumenti che abbiamo; come per un gobbo la gobba, l’arte bisogna tenersela, anzi perfezionarl… Merda! Insomma che cosa voglio? Cambiare il mondo? Come si fa? Non lo so. Se c’è da sparare, sparo. Ma datemi un indirizzo preciso. C’è da sparare? Sono stanco di essere un artista, una rogna. Serve a qualche cosa l’arte? Non lo so. Forse è necessario che qualcuno si assuma intrepidamente il ruolo di chi non sa, di chi non capisce, e me l’assumo io. Sulla mia lapide scriveranno: non sapeva, non capiva. Non è una confessione questa… Ho il diritto di fare o no questa poesia? (il toc toc dell’orologio risalta) Mentre arriva? Arriva, sentite? Che cosa faccio? Mi chiudo in casa, non voglio vedere, e prego che mi si diano i mezzi non per vedere ma per raccontare che non ho voluto vedere! (Con disprezzo) Puah! (Riprende il gesso in mano). È mostruoso che si chieda che una cosa mostruosa come la guerra dobbiamo esecrarla con delle parole nuove. Non basta dire: la guerra è mostruosa. La guerra è mostruosa non significa niente, anzi… Bisogna essere nuovi (Riflette, poi scrive sulla lavagna: “la gu”… legge ad alta voce). La gu! Interrotto, il vocabolo è più impressionante che intero? Forse mi trovo sulla buona strada. Sono quasi soddisfatto. Da un punto di vista estetico o morale? O le due soddisfazioni si integrano e fanno una soddisfazione perfetta, la soddisfazione? Quella del cittadino e del letterato? (Si ode un improvviso colpo di rivoltella dietro le quinte. L’attore ha un leggero soprassalto, ma dopo tre o quattro secondi ride). È un accorgimento qualsiasi.

Legge per i figli di papà. Voilà restaurazione

Edizione straordinaria! Mogli, figli e figlie, nipoti, zii e nonni possono essere assunti direttamente dai mariti, dai papà e dalle mamme nella loro funzioni di rappresentanti del popolo della famiglia, onesta e bisognosa.

La Campania, confermandosi apripista, ha appena licenziato una norma che riammette la parentela negli uffici della Regione. Comandi e distacchi da altri uffici pubblici tornano ad essere permessi da parte dei consiglieri regionali in carica (e non solo per le incombenze di “staff”, portaborse et similia), anche nei confronti di “parenti e affini fino al terzo grado”. Si restaura così, a furor di voti unanimi, l’ordine familiare e il nepotismo combattuti da una norma del 2013 che, col claim “Campania zero”, aveva chiuso le porte a una pratica da terzo mondo.

Il terzo mondo, cioè le regole capovolte, e le facce, tornate ad essere di bronzo, hanno avuto la meglio otto anni dopo. L’ufficio di presidenza presieduto da Gennaro Oliviero (Pd) e partecipato da tutti i gruppi politici, compresi i cinquestelle, ha abolito il divieto in ragione, udite udite, del bisogno di corrispondere ai desiderata dell’Anac, l’autorità anticorruzione, che in verità, nella delibera indicata (la 190 del 2012) aveva fissato i limiti minimi di decoro ma non vietato i massimi.

E i massimi, cioè una legislazione più severa, la Campania se l’era data in ragione del dilagante nepotismo che trovò anche soluzioni fantastiche. Si assunsero, per incrocio, i figli di. Il consigliere del centrodestra favoriva il figlio di papà del centrosinistra e questo ricambiava la cortesia. Un modo spettacolare per dimostrare che al peggio non poteva esserci fine e alla dignità, al minimo rigore, nessun limite. Così, e siamo nel 2013 la delibera numero 279 dell’ufficio di presidenza chiude – almeno ufficialmente – la stagione familistica. Nessun figlio o moglie o marito può essere assunto, e nessuno dei familiari, fino al terzo grado di parentela, oggetto di un ordine di trasferimento da un ufficio pubblico a quello regionale.

Norma di igiene politica salutate con piacere dai Cinquestelle, che fecero ardere la polemica fino a consigliare ai consiglieri la retromarcia.

Quando nel 2015 cambio il governo regionale, dal centrodestra si passò al centrosinistra, si tentò la restaurazione. Anche questa volta fuoco di sbarramento dei cinquestelle, un po’ di vergogna da parte del centrosinistra e la norma fu accantonata.

Ma – passata la festa – gabbato il santo. È infatti tornata prepotente, e questa volta nel silenzio distratto dei cinquestelle, la voglia di restaurare, riconsiderare, e avere la facoltà di attingere nel proprio nucleo familiare i collaboratori. Un nuovo modello di Reddito di cittadinanza allargato alla famiglia, con un cumulo imprevisto di benefit. All’indennità del papà consigliere lo stipendio della mamma segretaria. O viceversa. Il meglio del meglio possibile. La mamma può andare quando crede, il papà chiude un occhio. E se la consorte è impossibilitata il figlio o la figlia, di primo o di secondo letto, o anche – se il nonnetto è vispo – il babbo di lui o di lei. A piacere.

Dicevamo della restaurazione e di questa particolare condizione della Campania che fa da apripista alla volata collettiva verso forme singolari di pratiche politiche. Il governatore De Luca, pater familias (suo figlio Piero è deputato), pensa che la norma che limita la presidenza a due mandati sia enormemente ingiuriosa nei confronti del proprio talento e offensiva rispetto alla disponibilità che egli offrirebbe per gestire anche oltre il secondo mandato il bene comune. E infatti, come ha annunciato, si valuta la possibilità di eliminare il limite e dare quindi alla forza propulsiva deluchiana la possibilità di espandersi anche oltre e affermare così il regime differenziato campano. Del resto il Veneto ha già provveduto a confermare alla presidenza Luca Zaia nei secoli dei secoli, oltre il terzo e il quarto mandato, e quindi perchè a Napoli non si può tentare ciò che a Venezia è stato già attuato?

I limiti hanno sempre bisogno di deroghe. E quando, per le condizioni politiche, la deroga ancora non c’è e il limite ancora è in vigore, si preferisce praticare la strada dell’autonomia personale dalla legge. E’ il caso, per esempio, del governatore ligure Giovanni Toti ora oggetto di una particolare attenzione da parte della magistratura per via di finanziamenti alla sua campagna elettorale a cui sarebbero, secondo le prime valutazioni, poi corrisposti vantaggi per i donatori. Conflitto di interessi e finanziamento illecito sono i reati possibili, ancora non definiti e per nulla giudicati. Per adesso registriamo solo percorsi personali innovativi rispetto alla legislazione.

Ciascuno fa come gli pare. E se Matteo Renzi diviene businessman, i consiglieri regionali della Campania ritengono legittimo almeno riprendere questa attività terzista casalinga, molto meno remunerata, lontana dai riflettori e comunque, immaginiamo, sempre nell’interesse pubblico. Anche se il centrodestra campano – con un comunicato diramato ieri – rinnega il voto appena espresso e chiede di rimuovere la norma che rimuoveva il divieto.

Parentopoli si diceva un tempo. Una prassi così rispettata che anche la scienza e l’accademia hanno mostrato di saperla assicurare. Fece scalpore il corridoio di una facoltà dell’Università di Bari dove, in fila indiana, mariti, mogli e figli occupavano cattedre attigue e relativi uffici, producendo la teoria dell’insegnamento come intasamento familiare. Un modo per avanzare nel mondo della ricerca e ricondurre a un solo cognome le istanze scientifiche. Scandali, anche scandaloni, che hanno vissuto una sola stagione.

Arriva sempre l’autunno, come adesso. E non è ancora niente. Immaginate se Silvio Berlusconi divenisse presidente della Repubblica. La sua effigie, in forza di una norma dello Stato, sarebbe esposta in tutti i tribunali. Ridere o piangere?

 

Duemila migranti si oppongono ancora ai rimpatri e restano bloccati in Bielorussia

Circa 2mila migranti bloccati in Bielorussia s’oppongono al rimpatrio e sperano ancora di poter entrare nell’Unione europea per raggiungere la Germania. Minsk aveva fatto sapere d’aver concordato con Berlino un corridoio umanitario, proprio per 2mila migranti, ma i tedeschi avevano smentito, parlando di proposta inaccettabile.

ancoraEMERGENZA

Strage di turisti: pullman a fuoco 46 vittime tra cui 12 bambini

Nei pressi del villaggio Bosnek, a circa 40 chilometri da Sofia, in Bulgaria, ieri un pullman su cui viaggiavano turisti che rientravano in Macedonia del Nord dopo aver visitato Istanbul ha sfondato un guardrail e ha preso fuoco. Nell’incendio sono morte 46 persone, tra cui almeno 12 bambini che frequentavano la stessa scuola elementare a Skopje. Solo quattro uomini e tre donne sono sopravvissuti al rogo, scappando dai finestrini del veicolo. Sulla vicenda è stata aperta un’inchiesta, ma il premier ad interim bulgaro Stefan Yanev ha già smentito che la tragedia sia stata provocata dalle cattive condizioni della strada. Oggi è stato proclamato il lutto nazionale in Bulgaria, lo stesso ha fatto la Macedonia del Nord che per tre giorni terrà le bandiere a mezz’asta in tutto il Paese per il più grave incidente mai avvenuto sulle strade europee negli ultimi dieci anni.

Spese sanitarie, BoJo delude: lui si consola con Peppa Pig

Prosegue l’autunno nero di Boris Johnson: prima il tentativo di insabbiare la corruzione del parlamentare conservatore Owen Paterson, che ha provocato una rivolta sia nell’opinione pubblica che nelle stesse file del partito di governo. Poi la clamorosa marcia indietro sulle due promesse elettorali che gli hanno permesso di conquistare le ex roccaforti laburiste delle Midlands e del nord del Paese: la prima, l’estensione della rete ferroviaria fino alle regioni svantaggiate del nord, che era l’architrave del piano di recupero di quelle aree, e invece ora è ridotta al “potenziamento delle linee”. La seconda, il voltafaccia sul tetto di denaro pubblico destinato all’assistenza sociale. È stato ridotto con un emendamento infilato all’ultimo momento nella legge di riforma del Sistema sanitario e di cura, e ora i più poveri, concentrati proprio al nord, in proporzione al reddito finiranno per pagare più dei ricchi del prospero sud. “Nessuno dovrà vendere casa per sostenere una lunga degenza”, aveva giurato Boris, e invece ora i suoi sottosegretari più coscienziosi si rifiutano di escluderlo. Risultato: la rivolta dei suoi parlamentari, che ai Comuni hanno sfidato in massa le indicazioni di voto del capogruppo. L’emendamento è passato di stretta misura, ma promettono di rimandarlo al mittente persino alcuni notabili conservatori della Camera dei Lords, che di solito si limita a ratificare le scelte della Camera bassa. A questo si è sommata, lunedì, la figuraccia di Johnson che, durante il suo discorso alla CBI, equivalente dell’italiana Confindustria, ha perso il filo per 20 lunghissimi secondi, ha imitato il suono di un motore, paragonato il suo piano per la transizione ecologica ai 10 comandamenti, celebrato Peppa Pig World come esempio di creatività privata britannica. Imbarazzante, tanto che Downing street ieri ha dovuto mettere a tacere illazioni sullo stato di salute del premier. Uno show in realtà non dissimile da quelli con cui in passato trionfava: ma Johnson sembra aver perso il suo tocco magico, il suo consenso vacilla e la retorica da istrione appare clownesca.

Venezuela, sono i poveri l’arma segreta del chavismo

La vittoria chavista alle elezioni regionali del Venezuela, 20 governatori su 23, uno in più rispetto a prima, non ha sorpreso nessuno. Era evidente che la coalizione di maggioranza, presentando un solo candidato in ciascuno Stato, sarebbe prevalsa su un’opposizione che ne presentava da due a sei. Ma erano anche evidenti i termini diseguali del confronto. Da una parte un blocco chavista più forte che mai, indurito da una serie di battaglie vittoriose contro lo Zio Sam. Battaglie iniziate nel 2017 e terminate quest’anno con la sconfessione del presidente-fantoccio Guaidó da parte dell’Unione europea e dei maggiori partiti venezuelani di opposizione.

Dall’altra un’opposizione frammentata e demoralizzata, sconfitta su tutti i fronti e dopo averle provate tutte: dalla sedizione di piazza all’invasione del Paese con truppe mercenarie, dall’invito golpista alle forze armate fino all’assassinio di Maduro e al sabotaggio delle linee elettriche e dei rifornimenti alimentari. Sconfitta la strategia della violenza, all’opposizione non restava altra strada che quella del rientro nella legalità, accettando la proposta di dialogo da parte del governo e tornando, con le ossa rotte, alla seccatura delle elezioni. Rassegnandosi così al più triste dei destini. La forza del chavismo sono i poveri che votano in elezioni pienamente democratiche. Negli ultimi 22 anni, dall’avvento di Hugo Chávez al potere, si sono svolte in Venezuela 26 elezioni, 23 delle quali vinte dal Partito socialista venezuelano e dai suoi alleati. L’opposizione venezuelana rappresenta i ricchi più sfortunati del mondo attuale. Perché vittime della pessima idea di dare il diritto di voto ai poveri. I quali va a finire che votano per davvero, e finiscono col diventare, nel funesto esempio del Venezuela, più coesi e organizzati dei ricchi. Poveri vincenti? E come? Colpa delle abominevoli politiche distributive di cibo, istruzione, sanità e assistenza ai più deboli attuate dalla “dittatura” chavista e che assorbono l’80% delle entrate statali. Entrate crollate con le sanzioni Usa e la diminuzione del prezzo del petrolio dopo il 2017, ma rimbalzate quest’anno con il petrolio e la risalita del Pil.

Questa tragica altalena non ha distrutto il chavismo, ma lo ha rafforzato perché anche i poveri vanno in Internet e si formano delle idee sulla provenienza dei loro mali. E poi votano attraverso un altro diabolico manufatto chavista: un sistema di voto a doppia traccia, cartacea e digitale, considerato dal Centro Carter e dagli esperti come uno dei migliori per trasparenza e correttezza. L’oligarchia venezuelana ha preso atto della malasorte e ha messo da parte le follie degli anni di piombo. È piena, certo, di risentimento contro gli Stati Uniti che non hanno invaso il loro Paese. D’altra parte, però, si domandano i più realisti dei suoi membri, cosa ci si poteva aspettare da una superpotenza che scappa dall’Afghanistan, sconfitta da una armata di centomila straccioni? Cosa avrebbero potuto fare le sue truppe contro oltre sette milioni di chavisti pronti a difendere il loro Paese e a rivalersi contro chi ha invitato gli invasori? È risaputo che Trump non ha invaso il Venezuela perché i suoi strateghi gli hanno spiegato che l’attacco sarebbe iniziato come in Iraq, sotto forma di una facile vittoria, e sarebbe finito come il Vietnam e l’Afghanistan. Sono questi i sentimenti e le idee che si agitano, oggi, nel profondo di ciò che rimane dell’oligarchia spavalda dei tempi andati. Costretta al dialogo, alla pace e alla tolleranza reciproca con i maledetti chavisti.

Sui raid egiziani contro i civili l’Eliseo balbetta: “Indagheremo”

Sull’“operazione Sirli” la ministra francese della Difesa, Florence Parly (nella foto), ha chiesto di aprire un’inchiesta. Ma non ha fatto alcuna dichiarazione, come nessun altro membro del governo. Parigi è sotto pressione dopo le rivelazioni di Disclose che ha portato alla luce centinaia di documenti top secret imbarazzanti per la Francia: il giornale online ha scoperto che la missione condotta dal 2016 dal Parigi e dal Cairo per neutralizzare i jihadisti nel deserto dell’ovest dell’Egitto, alla frontiera con la Libia, era servita al regime di Al Sisi anche per colpire i trafficanti e contrabbandieri attivi nella zona, quindi dei civili, forse centinaia. Secondo Disclose, le forze francesi sarebbero “implicate in almeno 19 bombardamenti contro dei civili, tra il 2016 e il 2018”. L’operazione avviata sotto la presidenza di Hollande, era stata poi confermata da Macron. Il punto è che il governo sapeva: una nota riservata del 22 gennaio 2019, era stata fatta pervenire infatti alla stessa ministra Parly poco prima di una visita ufficiale di Macron al Cairo. Segnalava “casi accertati di distruzione di obiettivi individuati” dai mezzi di sorveglianza francesi e consigliava al governo di ammonire il “partner” egiziano, ricordando che l’Alsr, l’aereo leggero da sorveglianza e ricognizione dell’aviazione francese usato sul posto, “non è uno strumento per azioni mirate”. Ma la missione non fu rimessa in discussione. Il clima si fa più teso in Francia, legata all’Egitto nella lotta al terrorismo, ma anche da importanti contratti per la vendita di armi e attrezzature militari. Al-Sisi, che ha ricevuto la Legione d’Onore da Macron nel 2020, ha acquistato tra il 2014 e il 2016, 30 caccia Rafale per 4 miliardi di euro, oltre che una fregata e quattro portaelicotteri Mistral. I deputati di France Insoumise, sinistra radicale, hanno chiesto la creazione di una commissione d’inchiesta in Assemblea nazionale per far luce sulla situazione. Chiedono che vengano convocati anche il ministro degli Esteri, Jean-Yves Le Drian, e gli ex ministri Jean-Marc Ayrault e Silvie Goulard. “Lo stato francese si è reso complice di esecuzioni sommarie”, ha scritto Disclose. Se i fatti fossero confermati, per Amnesty International, “sarebbero estremamente gravi”.

Cattivi tenenti all’interpol. La guida a Emirati o Cina

Il candidato favorito per guidare l’Interpol, che vota il suo presidente proprio in questi giorni durante l’assemblea che si sta svolgendo in Turchia e che si concluderà domani a Istanbul, è un uomo su cui pesano in Francia diverse denunce per tortura. L’ultima depositata a settembre contro Ahmed Nasser al- Raisi, attuale ispettore generale del ministero degli Interni degli Emirati arabi uniti, davanti al Tribunale di Parigi specializzato nella lotta ai crimini contro l’umanità riguarda il britannico Matthew Hedges. Il ricercatore era arrivato nel maggio 2018 a Dubai nell’ambito dei suoi studi ed è stato arrestato a novembre con l’accusa di spionaggio. Hedges sostiene di essere stato messo in isolamento e torturato pur di farlo confessare. Condannato alla prigione a vita, è stato liberato al termine di una battaglia diplomatica scatenata da Londra.

A giugno era emerso il caso di Ahmed Mansour, militante dei diritti umani arrestato nel 2017 per alcune pubblicazioni sui social e condannato a dieci anni di prigione per “aver insultato lo Stato e leso il prestigio degli Emirati arabi uniti”. Alcune settimane fa, 19 Ong, tra cui Human Rights Watch, hanno firmato una petizione per denunciare la “scarsa considerazione dei diritti umani negli Emirati arabi uniti, l’uso sistematico della tortura e dei maltrattamenti nelle strutture di sicurezza dello Stato”. Strutture che, sotto la direzione di al-Raisi, “si sono rese responsabili di atti di detenzione arbitraria e di tortura ripetuti e sistematici inflitti ai prigionieri di opinione e ai difensori dei diritti umani, in tutta impunità”.

Secondo loro è la “reputazione” stessa dell’istituzione a essere in gioco. La missione dell’Interpol, l’organizzazione internazionale della polizia criminale creata nel 1923, con sede a Lione, è di garantire la sicurezza dei cittadini dei 194 Paesi membri. È l’Interpol che emette i red notice, gli avvisi delle allerte internazionali che permettono di rintracciare criminali in tutto il mondo.

Solo che, scriveva ieri il quotidiano Libération in un editoriale, la “venerabile istituzione è diventata negli ultimi vent’anni una delle armi favorite dei regimi autoritari per scovare i loro oppositori in tutto il mondo”. E denuncia “l’apatia irresponsabile” del governo francese. A preoccupare le Ong è l’abuso che certi regimi potrebbero fare delle red notice. E gli Emirati arabi, insieme a Cina e Russia, sono i Paesi che utilizzano di più questo tipo di segnalazioni.

A settembre gli Emirati hanno segnalato quattro dissidenti in esilio come “terroristi”: se, al termine dell’Assemblea generale che si è aperta ieri, al-Raisi fosse eletto, teme Human Rights Watch, “delle notizie rosse potrebbero essere emesse contro di loro”. “Da presidente mi impegnerò alla modernizzazione d’Interpoli”, scriveva il candidato in un recente tweet, senza dubitare della sua elezione. Il giornale svizzero Le Temps ha messo l’accento su un versamento “volontario” degli Emirati di 50 milioni di euro all’organizzazione via una fondazione a Ginevra.

Una somma che “per coincidenza” corrisponde al budget necessario per realizzare i lavori di ampliamento della sede di Interpol a Lione. La candidatura di al- Raisi non è la sola a scatenare proteste. Per le stesse ragioni, attivisti per i diritti umani e politici di tutto il mondo si stanno opponendo anche a quella del cinese Hu Binchen, attuale vicedirettore del dipartimento per la cooperazione internazionale presso il ministero della Pubblica sicurezza cinese, al Comitato esecutivo d’Interpol, con il compito di supervisionare i lavori della segreteria generale del- l’organismo. “Eleggendolo, l’Assemblea generale darebbe il via libera al governo della Repubblica popolare di Cina per continuare a fare un uso abusivo dell’Interpol, mettendo ancora più a rischio decine di migliaia di dissidenti di Hong Kong, uiguri, tibetani, taiwanesi e cinesi che vivono all’estero”, hanno scritto una cinquantina di esponenti politici di 20 paesi membri dell’Ipac, l’Alleanza interparlamentare sulla Cina, in una lettera ai loro governi, che è stata poi divulgata dal quotidiano di Hong Kong, South China Morning Post.

Figuracce. Quelle bugie in tv sui conti del “Fatto” e il disprezzo per i cronisti

 

Gentile redazione, nella puntata di Otto e mezzo del 12 novembre, quella del famoso scontro tra il direttore Marco Travaglio e il senatore d’Arabia, mister zero virgola ha dichiarato: “Il Fatto Quotidiano è un’azienda quotata in Borsa. Gli azionisti del Fatto, investendo nella società, hanno un valore della società. Questa società ha richieste di danni che sono superiori al valore dell’azienda”. Ora, essendo il senatore d’Arabia uso a sbrodolare scemenze e puttanate, non sarebbe opportuno dissipare qualsiasi dubbio, precisando la vicenda e sbugiardandolo per sempre?

Antonello Garofano

 

Gentile Antonello, la sua lettera mi dà l’occasione di commentare a distanza di una decina di giorni quanto accaduto nella puntata di “Otto e mezzo” del 12 novembre. Avremmo voluto come Società fare un comunicato immediatamente il giorno dopo per replicare alle dichiarazioni di Matteo Renzi. Abbiamo però preferito consultare il nostro avvocato e valutare un’azione legale per danno di immagine. L’incipit del senatore era visibilmente un aggancio studiato a tavolino per poter sviare dalle risposte che avrebbe dovuto dare con serietà agli italiani. Anziché rispondere nel merito, ha preferito ripetere a Travaglio l’epiteto “pregiudicato” e sostenere che il valore del Fatto quotidiano è a rischio per le cause al nostro direttore, che starebbe addirittura “distruggendo il Fatto quotidiano”. Un modo per dire agli investitori che rischiano grosso fintantoché che al Fatto c’è Travaglio. Un’affermazione talmente assurda e ridicola che rispondere all’istante con un comunicato avrebbe significato darle importanza. Mi sono riguardata due volte la puntata, anche per godermi l’espressione di Travaglio e la maestria di Lilli Gruber. Credo che qualsiasi spettatore e/o investitore di media intelligenza si sia accorto della fragilità di quell’”argomentazione”. Da quando siamo nati, abbiamo subìto ben 854 azioni legali. Ogni anno, come tutti i giornali, stanziamo un fondo rischi opportunamente definito con i nostri legali, e negli ultimi esercizi lo abbiamo anche abbassato perché i rischi di perdite erano da noi persino sovrastimati. Certo, non è bene prendere alla leggera le questioni legali e i valori ipotetici dei possibili risarcimenti. Dunque consiglierei al senatore Renzi di non fare troppo lo sportivo nel denunciare a tutto spiano e nello sbandierare le proprie vittorie (finora nessuna), ma soprattutto di non andare fuori tema come i bambini di prima elementare. Rispetti il lavoro dei giornalisti, in primis dei conduttori dei programmi che lo ospitano, specie se sono professioniste serie come la Gruber. Anche perché noi il nostro valore lo conosciamo bene e sappiamo che, se anche abbiamo perso qualche causa (come capita a tutti), il nostro valore è nettamente superiore. E così quello di Travaglio, che per quanto mi riguarda andrebbe clonato. Invece gli italiani hanno ancora da capire quale sarà il vantaggio economico di aver pagato a Renzi sontuosi assegni mensili, prima da premier e poi da senatore. Temo che il suo mastrino sia in forte perdita.

Cinzia Monteverdi, Presidente e amm. delegato Società Editoriale Il Fatto

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Questo virus circola anche fra i vaccinati

Oggi molti Stati occidentali hanno una buona percentuale di persone immunizzate. In più arrivano quasi ogni giorno nuove ordinanze restrittive. Ma il Coronavirus continua a correre! Forse proprio i vaccinati, sentendosi al riparo, hanno abbassato la guardia e facilitano la diffusione del virus. Non sarebbe allora il caso di chiedersi se e quanto funzionano questi antivirus?

Livio Artusi

 

Caro Livio, l’errore è considerare “immunizzati” noi vaccinati. Rischiamo di meno, ma purtroppo siamo tutt’altro che “immuni”.

M. Trav.

 

Qualche idea su come far funzionare l’obbligo

Rieccomi ancora a non condividere la risposta di Travaglio sulla fattibilità dell’obbligo vaccinale. Il problema di come gestire chi non si vaccina nel caso la vaccinazione sia obbligatoria è un falso problema: non ci sarebbero ne arresti di massa né multe a tappeto, semplicemente la norma escluderebbe i non vaccinati dagli incentivi e sussidi statali, e qualsiasi accesso al Ssn obbligherebbe i sanitari a vaccinare i pazienti non vaccinati o a denunciare chi si oppone, a scuola e in tutti gli uffici pubblici si potrà accedere solo se vaccinati o guariti da Covid.

Mauro Cestaro

 

Caro Mauro, le norme che lei propone sono quasi tutte incostituzionali. Per questo non vengono neppure prese in considerazione in alcun Paese democratico.

M. Trav.

 

Alla Leopolda parlano a caso di “riformismo”

Renzi chiude la Leopolda e annuncia urbi et orbi: “I riformisti siamo noi”. Per abbindolare meglio la gente, e nascondere la miseria di certi provvedimenti, si utilizzano parole che hanno una connotazione positiva stravolgendone poi subdolamente il significato, oppure vengono coniati nuovi termini, quasi sempre in lingua inglese. Il termine “riformismo”, che un tempo era sinonimo di evoluzione in senso progressista della società, oggi ha acquisito il significato di consolidamento dei privilegi di pochi, di riduzione degli spazi di democrazia e di minori tutele per i lavoratori. Il Jobs act copre l’indecente disegno di riduzione del lavoratore a merce “usa e getta”. Anche la giustizia nasconde dietro il termine “riforma” l’impunità per i reati dei colletti bianchi che delinquono.

Maurizio Burattini

 

DIRITTO DI REPLICA

Faccio riferimento al commento di Eric Gobetti e Tomaso Montanari al mio articolo sulle foibe pubblicato su Panorama. L’articolo, come chiunque può agevolmente verificare, prima di comparire su una rivista italiana, era già stato pubblicato il 15 maggio 2021 su Panorama dell’Unione degli Italiani di Fiume, il 29 luglio in sloveno su Novi Glas, il 6 agosto in croato su Autograf, raccogliendo di là dal confine unanimi consensi. È vero che per un refuso tipografico la famigerata circolare Roatta 3C del 1942 in Croazia è stata datata su Panorama 26 luglio 1943, data di emissione invece della seconda feroce circolare Roatta, questa volta indirizzata agli italiani, per la prima volta fotografata nel testo originale conservato nell’Ufficio storico dell’Esercito, ambedue grondanti disprezzo per il valore della vita umana.

In tutti gli articoli c’è una irrevocabile denuncia del tradimento da parte del fascismo degli ideali risorgimentali e la condanna delle brutali e criminali repressioni delle nostre occupazioni in Croazia e Slovenia, assieme alla condanna delle non meno feroci repressioni del comunismo titino verso tutti quei croati , sloveni e italiani che non volevano piegarsi al suo regime. Ribadisco ancora la considerazione della necessità che croati, sloveni e italiani, abitanti la comune casa europea, riescano a guardare assieme avanti senza nostalgie e nella comune condanna dei disastri causati nel secolo scorso da comunismo e nazifascismo.

On. Avv. Carlo Giovanardi

 

Ringraziamo Carlo Giovanardi per la saggia decisione di abbandonare la storia in favore della propaganda. Meglio così.

Er. Gob. e Tom. Mont.