L’altra Italia: vinta ma non vittima

In Un’altra Italia, Fano, Aras Edizioni, 2021, Pietro Polito – direttore del Centro Studi Piero Gobetti, collaboratore di Norberto Bobbio dal 1992 al 2003 – ha raccolto preziose riflessioni sull’eredità morale e politica degli intellettuali italiani del Novecento – Piero Gobetti, Ernesto Rossi, Alessandro Galante Garrone, Leone Ginzburg, Silvio Trentin, Guido Dorso, Pier Paolo Pasolini, Ada Gobetti, Aldo Capitini, Franco Antonicelli, Bianca Guidetti Serra, Norberto Bobbio e altri ancora – che con i loro scritti e il loro impegno civile hanno testimoniato che c’è stata un’“altra Italia”.

Altra e opposta all’Italia fascista e (a eccezione di Piero Gobetti e di Leone Ginzburg che morirono rispettivamente nel 1926 e nel 1944) all’Italia ingiusta, corrotta, conformista, intollerante del dopoguerra. “Altra”, ma reale, benché minoritaria rispetto alle forze politiche e ideologiche egemoni nell’Italia repubblicana, la Democrazia cristiana e il Partito comunista. Minoritaria e sconfitta, e, come sempre accade agli sconfitti, dimenticata.

Ha ragione Paolo Borgna, l’autore dello splendido libro Un paese migliore. Vita di Alessandro Galante Garrone, quando nella sua Prefazione annota che il dichiarato amore di Polito “per il mondo dei seminatori, sconfitti dallo spirito del loro tempo, non si traduce in risentimento verso il realismo di chi, occupandosi di politica, cerca di incidere sullo stato presente delle cose. Galante Garrone amava Mazzini ma ammirava Cavour. Anche se Polito non intravede sull’orizzonte della politica italiana un moderno Cavour, egli non ci spinge alla sorda rassegnazione e alla sterile invettiva borbottona. Piuttosto, il suo amore per i vinti va letto come attenzione per i precursori, per coloro che hanno gettato semi da cui nasceranno frutti che altre generazioni coltiveranno. Non leggiamo dunque le sue pagine con l’animo di chi piange sconsolato su un passato che poteva essere diverso. Al contrario, il suo libro è un appello alla mobilitazione delle coscienze, all’impegno culturale e politico, nonostante il razionale pessimismo sulle possibilità di successo”. (p. 6)

Esiste fra gli intellettuali che Polito discute un filo comune che permette di raccogliergli entro la casa comune dell’“altra Italia”? In tutti prevaleva una vena visibile di pessimismo. Ma, annota Polito, “nonostante l’inclinazione al pessimismo, i nostri maggiori ci hanno lasciato un invito a non cedere alla rassegnazione”. Il criterio con cui si giudicano le persone non è il successo che “niente prova nel mondo del pensiero”, come ammoniva Ernesto Rossi. E niente prova nel mondo della politica, aggiungo, dove troppo spesso il successo arride non a chi serve ideali nobili, ma ai maestri dell’inganno e della demagogia. Ci hanno anche insegnato, non va dimenticato, un antifascismo “istintivo” che discendeva da “ragioni soprattutto morali, ideali” (p. 17) .

Proprio perché erano antifascisti per ragioni morali, le vere ragioni per cui si deve essere antifascisti, nei loro scritti possiamo trovare le migliori possibili analisi del contrasto fra fascismo e antifascismo. Il regime fascista, scriveva ad esempio Silvio Trentin, “può essere concepito solo come regime ‘totalitario’, nel senso che implica sempre, per sua stessa definizione, l’assorbimento integrale della Nazione nello Stato, e l’assoggettamento istituzionale dello Stato nel Partito”. La dottrina politica del fascismo è dunque l’esatta antitesi della dottrina dei diritti dell’uomo e del cittadino. Sono giudizi storici e morali ineccepibili, rispetto ai quali frasi come “si può e si deve tranquillamente ammettere che, sì, il fascismo fece anche delle cose buone”, sono di una penosa povertà intellettuale.

Comune agli intellettuali dell’“altra Italia” era l’ideale europeo interpretato, memori dell’insegnamento di Croce, come arricchimento, mai negazione, del migliore patriottismo del Risorgimento. Fa bene Polito a citare la meravigliosa pagina della Storia d’Europa nel secolo XIX di Benedetto Croce “densa di significati anche per il momento storico attuale della nostra Italia nella nostra Europa”: “Già in ogni parte d’Europa si assiste al germinare di una nuova coscienza, di una nuova nazionalità (perché le nazioni non sono dati naturali, ma stati di coscienza e formazioni storiche); e a quel modo che, or sono settant’anni, un napoletano dell’antico regno o un piemontese del regno subalpino si fecero italiani, non rinnegando l’esser loro anteriore, ma innalzandolo e risolvendolo in quel nuovo essere, così e francesi e tedeschi e italiani e tutti gli altri s’innalzeranno a Europei e i loro pensieri indirizzeranno all’Europa e i loro cuori batteranno per lei come prima per le patrie più piccole, non dimenticate ma meglio amate”.

Parole da leggere insieme a quelle che Bobbio ha scritto nell’Elogio della mitezza e che Polito elogia “come monito perenne contro la cultura della diseguaglianza, dell’intolleranza e del razzismo”: “Quando vedi un bambino, che è l’essere umano più vicino alla natura, non ancora modellato e corrotto dai costumi del popolo in cui è destinato a vivere, non scorgi alcuna differenza, se non nei tratti somatici, fra un piccolo cinese o africano o indio o un piccolo italiano. Quando vedi una madre somala che piange un figlio morto o ridotto uno scheletro, ti par di vedere una madre diversa dalle altre? Non assomiglia quel pianto al pianto di tutte le madri del mondo?”.

 

Suv sulla parata, l’autista in fuga dalla scena di un accoltellamento

Stava fuggendodalla scena di un accoltellamento l’uomo che, alla guida di un Suv, ha falciato decine di persone domenica pomeriggio, piombando su una parata pre-natalizia a Waukesha, Wisconsin. Il sospetto autore della strage è Darrell Brooks Jr, 39 anni: un rapper che si fa chiamare MathBoi Fly. Sarebbe stato lui alla guida della Ford Escape rossa che ha travolto le barriere e investito la folla – famiglie con bambini – lungo Main Street, intorno alle 16.30 locali. I poliziotti hanno sparato, senza fermare il veicolo. Il bilancio è di cinque morti e 40 feriti, fra cui diversi minori. Dalle indagini non sono finora emersi legami col terrorismo domestico o internazionale e neppure con il verdetto di Kenosha, sempre in Wisconsin, dove un suprematista bianco di 18 anni è stato assolto dall’accusa di avere ucciso due manifestanti anti-razzisti. Il governatore del Wisconsin, Tony Evers, ha ordinato bandiere a mezz’asta nello Stato. È stato creato un fondo per le famiglie delle vittime. La Casa Bianca segue da vicino la vicenda. Joe Biden ha espresso le sue condoglianze alle famiglie delle vittime. Polizia e agenti federali stanno ancora cercando di capire le ragioni della folle corsa del Suv rosso, perché Brooks guidasse in modo così spericolato. Le scuole e alcune strade sono rimaste ieri chiuse, per consentire lo svolgimento dei rilievi e delle indagini.

 

“Operazione Sirli”: raid egiziani sui civili con l’aiuto francese

Il 13 febbraio 2016 un pullman entra nella base di Marsa Matruh, 600 chilometri ad ovest del Cairo. Dal veicolo scendono dieci francesi: in tasca hanno passaporto tricolore con visto turistico. Insieme ad alcuni militari egiziani raggiungono un edificio senza acqua corrente che diventerà da allora in poi il loro quartier generale. Quel commando clandestino, – composto da ufficiali del Nilo e spie francesi, ex agenti segreti della Difesa di Parigi divenuti mercenari, piloti ed analisti-, avvia quel giorno una missione top secret. Nome in codice: Sirli. Obiettivo dell’operazione segreta: eliminare i jihadisti e neutralizzare la minaccia terroristica lungo i 1200 chilometri di sabbia che uniscono Egitto e Libia.

Gli agenti francesi, – ingaggiati per sorvegliare dall’alto, con i loro aerei, quella polveriera che è divenuta in questi anni la frontiera libica -, ben presto si accorgono che sono lì per fare altro: nessun islamista viene eliminato, nessun terrorista identificato, a morire sono però migliaia di civili. Se i francesi in ricognizione tracciano movimenti di pick up che varcano il confine, i caccia egiziani li fanno subito finire nei loro mirini e li bersagliano di fuoco. A guidare quei veicoli non sono però miliziani di Allah, figli dello Stato islamico, ma contrabbandieri. Trafficanti: spesso non di uomini, armi o droghe. Il loro carico è la maggior parte delle volte è di tabacco e sigarette, in quella striscia di terra che uno degli ufficiali egiziani del comando chiama “banana”, dove più della metà della popolazione vive sotto la soglia di povertà e ricorre a mezzi illeciti per sopravvivere alla miseria. In centinaia di attacchi aerei, facilitati anche dalla sorveglianza della Difesa tricolore, in “7 anni saltano in aria 10mila pick up e muoiono 40mila persone”, secondo le affermazioni di militari egiziani.

Gli aerei spia Merlin 3 usati nell’operazione Parigi li noleggia in Lussemburgo da un’azienda che si chiama Cae: il suo amministratore è un ex capo della missione segreta in Egitto, che non ha mai messo fine alla sua collaborazione con l’intelligence francese.

Dall’inizio della missione gli agenti di Parigi inviano più e più report all’Eliseo: li legge la squadra presidenziale di Hollande, e dopo quella di Macron, membri di entrambi gli esecutivi vengono informati sull’identità delle vittime civili e sulla lunga serie di abusi che l’alleato egiziano sta compiendo, ma l’operazione segreta non viene mai chiusa e nessuno frena quella collaborazione militare che va avanti ancora oggi.

Lo ha svelato Disclose, squadra di giornalisti investigativi entrata in possesso di documenti ufficiali classificati e ha ricostruito nel dettaglio l’operazione tenuta segreta finora ad egiziani e francesi, una missione che si è allontanata subito dalle regole di ingaggio stabilite in principio per trasformarsi in “una campagna di esecuzioni arbitrarie”. Quei dossier, adesso pubblicati con tanto di timbri, foto infrarossi con i bersagli in bianco e nero e numeri delle coordinate verdi, “mettono in luce gli eccessi della missione iniziata nel 2016 e le responsabilità della Francia nei crimini della dittatura del maresciallo Al Sisi”.

La collaborazione militare viene avviata nel 2016, quando Jean Yves Le Drian, a capo del dicastero della Difesa nell’amministrazione di Francois Hollande, insieme a Christophe Gomart, capo dei servizi segreti di Parigi, incontra l’omologo egiziano Sedki Sobhi. Strette di mano, sorrisi e clima disteso sono dovuti all’avvenuta vendita di 24 Rafaele e le 2 fregate Fremm (in cui è coinvolta anche l’Italia, ndr): un carico che al Cairo costa oltre 5 miliardi di euro. Pochi mesi dopo l’Eliseo sa già che continua a favorire il massacro dei civili che, in carovane, attraversano le frontiere dove non c’è traccia di radicali islamici, ma solo orme di contrabbandieri che trasportano merce per il mercato nero contro cui si abbattono letali i missili egiziani.

Lungo quella strada dove sfrecciano i pick up lavorava anche Ahmed El-Fiky con due colleghi: l’operaio cementificava la strada verso la cittadina di al Bahariya, la stressa che avrebbe attraversato una fila di pick up che salterà in aria. I passeggeri moriranno insieme a quei tre operai: sono solo alcuni dei morti eliminati dal fuoco che cade dal cielo egiziano che segue alle segnalazioni francesi. All’obitorio, uomini in passamontagna, minacceranno la famiglia di Ahmed: sul certificato di decesso bisogna scrivere “causa di morte sconosciuta”.

Quando nel 2017 Macron viene incoronato nuovo presidente di Francia, aspetta tre anni prima di appuntare al petto del maresciallo del Cairo la croce della Legione d’Onore: Al Sisi se l’è meritata, è “affidabile alleato” contro il terrorismo. Insieme alla medaglia ci sono altri 30 caccia Rafale che Parigi vende al faraone: costano altri 3 miliardi e mezzo di dollari e volano nello stesso cielo degli aerei-spia.

Mail box

 

Rendiamo obbligatorio il vaccino al più presto

È inutile girarci intorno: rendiamo questi vaccini obbligatori, una volta per tutte! C’è un continuo tira e molla fra i troppi che parlano e creano solo ulteriori tensioni e inquietudini. Molti Stati europei vanno romai in direzione di una stretta sempre più tesa verso l’adozione dell’obbligatorietà vaccinale. A mio avviso non c’è assolutamente più nulla da tergiversare e indugiare, anche perché le giustificazioni di chi non vuole l’obbligatorietà non stanno più in piedi, dato che molti vaccini sono stati convalidati da tempo e hanno superato la fase emergenziale. Sappiamo benissimo che chi è vaccinato ha una protezione, anche se non è immune da un possibile contagio e forse anche una malattia. D’altronde, in passato, non mi risulta che altri tipi di vaccini coprissero al 100%: nessuno, ma pur tuttavia lo Stato li ha resi tutti obbligatori. Qui non si tratta ancora di parlare di confini delle libertà. Si tratta, una buona volta per tutte, di saper gestire con fermezza ciò che a mio avviso deve essere fatto, al fine di tutelare la salute pubblica dell’intera collettività.

Adalberto de Bartolomeis

Caro Adalberto, e poi che facciamo? Chi non si vaccina ugualmente lo arrestiamo? E dove li mettiamo i 6-7 milioni di nuovi detenuti? O li multiamo solo per finta, visto che lo Stato riesce a incassare meno del 4 per cento delle ammende?

M. Trav.

 

I collegamenti fra Open e il capo di Gabinetto

A proposito del caso Funiciello-Open, sono veramente schifata di sapere quali intrallazzi esistono fra Palazzo Chigi e i funzionari che dovrebbero avere incarichi “unicamente per finalità di interesse generale”, e che il governo Conte aveva già messo alla porta.

Carla Ferrario

 

Caro Bob Aggiustatutto, grazie che “ci proteggi”

Grazie, Roberto Gualtieri. Grazie perché oggi ci sei tu a proteggerci. Lo fai premurosamente chiudendoci strade e ponti, mesi o anni prima della loro manutenzione, non solo per timore della nostra incolumità, ma perché hai paura di quei risarcimenti bypassabili semplicemente attraverso limiti di velocità o di carico. Hai chiuso il ponte di ferro che collega Ostiense a Monteverde, e una delle quattro direttrici che portano fuori da Ostia, via dei Pescatori, e hai detto che li riparerai tra due anni il primo e a primavera il secondo. Ancora grazie per la tempestività che hai dimostrato dal toglierti dai rischi in misura inversamente proporzionale ai tempi in cui noi potremo ripercorrere quelle direttrici fondamentali. Grazie, perché da oggi tutti potranno sapere che, a gestire lo scempio del trenino Roma-Ostia, non è stata solo l’Atac che hai disgraziatamente ereditato, ma anche i tuoi amici della Regione Lazio, gli stessi che nel 2010 affidarono quella metastasi al sindaco Veltroni, che già allora ne enfatizzava una corsa ogni sei minuti. Grazie per quei soldi che non hai mai dato al Comune di Roma quando eri ministro dell’Economia. Grazie di subentrare a chi non ti ha lasciato nemmeno un euro di debito in più di quei 13 miliardi ereditati da Alemanno, Veltroni e Rutelli. Grazie, perché adesso il sindaco di Roma può permettersi, ancor prima di insediarsi ufficialmente, 5 milioni regalati da Anas per la manutenzione stradale, 1 miliardo e mezzo per il Giubileo, inseriti in manovra e 500 milioni dal Pnrr, considerati una miseria rispetto a quanto richiesto da Conte nel Recovery ma che in realtà, con Raggi, probabilmente non si sarebbero visti nemmeno quelli. Un ringraziamento anticipato per tutti quegli autobus, Tmb, cassonetti e pinete che, mi auguro, da oggi in più non vadano più a fuoco, e per l’auspicabile presa di coscienza dei romani, che non lasceranno più i loro materassi, armadi, comodini e frigoriferi ai piedi dei cassonetti. Grazie per pagare il pizzo ai netturbini affinché smettano di delinquere, grazie a una “trattativa Comune-monnezza” dai connotati farseschi. Ma soprattutto, grazie perché, attraverso la tua amicizia con il nostro premier, che non è espressione dell’elettorato, riuscirai ad avere molto di più per quelli che nei precedenti cinque anni si erano rassegnati ad avere molto di meno.

Maurizio Contigiani

Il caos Rai: “Come mai i programmi cambiano orario?”. “Giochi di potere”

Gentile redazione, perché la Rai si “diverte” a spostare o a tagliare dei programmi popolari, graditi al grande pubblico? Piano piano hanno eroso il tempo del Kilimangiaro, Mezz’ora in più alla Annunziata e adesso l’inserimento di Rebus, tolti 45 minuti, col risultato di sentire continuamente “abbiamo poco tempo, ci dia una risposta breve”. E perché sostituire Un posto al sole con un ulteriore approfondimento politico? Siamo stufi di approfondire con le stesse compagnie di giro, ecc ecc.

Anna Maria Bruscolini

 

Gentile Anna Maria, ha perfettamente ragione, molto spesso capita che programmi graditi al pubblico vengano “accorciati”, spostati di palinsesto o addirittura cancellati. A questo proposito un esempio lampante è quello di “Passepartout”, trasmissione culturale del compianto Philippe Daverio che, oltre a essere di alto livello, riscuoteva un buon gradimento da parte della platea televisiva. I motivi di queste scelte apparentemente inspiegabili sono diversi. Ma la principale causa va ricercata nel fatto che la Rai è controllata direttamente dalla politica: dal ministero dell’Economia e dal Parlamento. Controllata nel vero senso della parola, visto che poi esiste pure una commissione di vigilanza, che appunto “vigila” sulla Rai. Quindi a volte le scelte non sono dettate unicamente da motivi che riguardano il prodotto, la buona televisione, i gusti del pubblico, il servizio pubblico, eccetera, ma secondo logiche volte solo ad accontentare le richieste della politica che, spesso, agisce tramite i propri uomini (e donne) piazzati da questo o quel partito dentro l’azienda. Mettiamoci poi anche il fatto che a volte vengono promossi dirigenti persone non sempre all’altezza (che magari fanno carriera unicamente perché legati proprio alla politica) ed ecco forse spiegato il perché di scelte che, a un primo sguardo, appaiono incomprensibili. Inoltre va detto anche che la Rai è una struttura elefantiaca, con circa 13 mila dipendenti, di cui 1.800 giornalisti. E spesso per introdurre novità o cambiamenti (si spera in meglio) occorre molto più tempo rispetto alle emittenti private, più agili e veloci. Detto questo, c’è poi tutto un esercito di personale Rai molto capace e competente. È forse anche per questo che la tv pubblica riesce ancora, ogni tanto, a realizzare programmi d’indubbia qualità, come quelli che lei ha citato. O a piazzare dei gran colpi, come certe fiction, da Montalbano a Imma Tataranni, passando per Rocco Schiavone. Ma pensi anche alla grande novità di Raiplay, piattaforma dove possiamo vedere quasi tutto ciò che va in onda.

Gianluca Roselli

Virus e sindrome dell’influenzabilità

Gli attuali studisulla pandemia sembrano attrarre solo se riguardano l’andamento della diffusione del virus, i vaccini, le terapie, tralasciando molti altri aspetti ed effetti importanti. Poco o nessun interesse riscuote lo studio dell’impatto avuto dalla comunicazione sui comportamenti, persino su successi e insuccessi delle misure di contenimento, delle campagne vaccinali. Benché in molti lamentino che la comunicazione sia stata non adeguata, il singolo non sembra averne consapevolezza e pensa di essere non influenzabile, a differenza degli “altri”. Tale fenomeno, già conosciuto, prende il nome di “effetto terza persona”, e sembra dipendere dal bisogno di percepire le proprie azioni come libere da qualsiasi forma di controllo al fine di accrescere la propria autostima. Su tale comportamento si fonda una famosa teoria elaborata da Davidson (scienziato della comunicazione) che nel 1983 ha proprio dimostrato che le persone sottostimano l’effetto che i mass media hanno su di loro e al contempo sovrastimano l’effetto che hanno sugli altri. In realtà, in un mondo cosi affollato da mezzi comunicativi, nessuno rimane esente dal loro condizionamento che, spesso, non è diretto ma si affida anche alla manipolazione delle emozioni. Le immagini e le musiche utilizzate in accompagnamento sono spesso il mezzo di tale tecnica sofisticata. La pandemia è stata anche questo. Abbiamo assistito a trasmissioni volutamente allarmistiche, con la partecipazione di alcuni “esperti” e “opinionisti” che hanno ottenuto solo lo scopo di attrarre facilmente l’attenzione su di sé, visto che (altro fenomeno già studiato) si è più credibili quando si annunciano disgrazie. Uno degli errori è la mancanza di un linguaggio netto ma non dogmatico, non eccedere nel sostenere un pensiero o un’ipotesi, rifuggendo dai fanatismi che, prima o poi, smentiti, creeranno confusione, sfiducia. In una situazione in gran parte imprevista e imprevedibile, la gente avrebbe dovuto esser preparata a un percorso necessariamente “a vista”. Ciò avrebbe evitato le delusioni, la sfiducia, addirittura il rigetto verso misure importanti o eventi quali la vaccinazione.

 

Tutto su Dalla: da “Quale allegria” fino a Berlinguer

Operaio. “Ho trascorso molto tempo da solo. Mia madre sospettava che, al di là di alcune intuizioni che lei trovava geniali, io fossi un deficiente. Mi portò anche da uno psichiatra. C’era un istituto psicotecnico d’avanguardia a Bologna dove giudicavano l’attitudine dei bambini e mia madre, convinta di avere un genio in mano, mi portò lì. Mi fecero fare tutti i test e lei, che si aspettava che le dicessero ‘Suo figlio andrà sulla Luna’, si sentì rispondere: ‘Suo figlio sarà un bravo operaio’. ‘Operaio sarà lei’ replicò”.

Bidello. “Meglio avere in casa un artista che un bidello” (la madre quando Lucio abbandona il liceo).

Mare. Nel 1950 muore di tumore il padre Giuseppe. Lucio ha sette anni. Ricorderà poi il momento in cui la madre aveva tentato di spiegargli cosa era successo e la sua reazione: “Avvertivo come già chiusa la ferita che aveva provocato alla mamma la morte del babbo e non so per quale misteriosa ragione non scattava il mio dolore di orfano, per cui mi sentii obbligato a dare una risposta che la tranquillizzasse, che testimoniasse nello stesso tempo e perentoriamente il mio essere diventato adulto, capo famiglia. Con la stessa pietà e con lo stesso amore le buttai le braccia al collo e le dissi: dove andiamo quest’estate al mare?”.

Sempre. “Sono un comunista sempre in crisi che va sempre a messa”.

Domande. “Scusate, ma voi scrivete prima le parole o la musica?” (domanda di Enrico Berlinguer a Dalla e De Gregori, durante un incontro organizzato da Walter Veltroni a casa di Tonino Tatò, responsabile dell’ufficio stampa del Pci).

Colli. Lucio aveva promesso alla mamma che alla sua morte l’avrebbe portata in giro per i colli bolognesi con il carro funebre. E così, è l’estate 1977, il carro parte dalla Certosa, passa per la zona di Gaibola, si avvia verso i colli, ma a un certo punto si rompe, si ferma e non riparte più. Allora Lucio chiama un amico meccanico che riesce a riparare il guasto, e alla fine il carro riparte e completa il percorso.

Allegria. Quale allegria, scritta da Lucio una settimana dopo la morte della madre.

Masturbazione. Recensione di Disperato erotico stomp scritta da Sergio Saviane sull’Espresso: “Dalla, per fare troppo lo spiritoso o per far vedere che soffre, condisce i suoi spaghetti canori miliardari con i luoghi comuni della miseria e del sesso sottoproletario: siamo arrivati al populismo della masturbazione bolognese. Che bisogno c’è di tanti culi, fiche, peli o pippe per mandare un messaggio?”.

Cose. “A Lucio Dalla devo una serie di cose importanti: per esempio un discreto numero di note poco usuali da ficcare nelle mie musiche e un certo modo di sbagliare la triade fondamentale sul pianoforte per avere degli accordi di terza o di settima eccedente. A lui devo anche una serie infinita di pranzi, senza voler considerare il fatto che una sera che io ero caduto in un buco lui si offrì di ricomprarmi la chitarra che si era sbriciolata. Più un libro di Hans George Rauch e uno di Clovis Trouille (ma quelli erano regali per il mio compleanno, comprese le dediche gutturali); e poi avermi fatto conoscere la pittura di Otto Dix” (Francesco De Gregori).

Buco. La casa romana di Dalla, a Trastevere, in vicolo del Buco numero 7.

Ultima. L’ultima volta che Gianni Morandi vide Dalla, il 26 febbraio 2012 allo Stadio Dall’Ara. Il Bologna perse per 3-1 con l’Udinese. Lucio andò via prima della conclusione della partita.

Notizie tratte da: Lucio Dalla di Ernesto Assante e Gino Castaldo, Mondadori, 365 pagine, 20 euro.

 

Dalla destra a Renzi: fate lavorare B.

È del tutto evidente che il “Berlusconi grillino” (Libero), quello che loda il Reddito di cittadinanza del M5S come cosa buona e giusta poiché “aiuta i poveri”, rappresenta sempre di più la mina vagante nel campo del centrodestra. Giorno dopo giorno, il “federatore”, colui che prima riuscì a coalizzare le forze sparse, e tra loro ostili, dell’anticomunismo (Fini e Bossi) per poi assumere il ruolo di padre nobile dispensatore di saggezza ai giovanotti scavezzacollo (Salvini e Meloni), sembra deciso a rompere gli ormeggi. Per lasciarsi andare, libero e felice, dove lo portano il cuore e, come sempre, gli affari suoi. Avete presente quegli arzilli vecchietti che giunti a una certa età diseredano figli e nipoti per dilapidare i risparmi di una vita al Bingo e nei sexy shop? Ecco.

Certo, le carezze dispensate a Giuseppe Conte (“ha il mio stile”), contraccambiato con l’invito al tavolo delle riforme, fanno parte del battage elettorale per il Quirinale dove il fu Caimano intende giocarsi le sue carte. Senza dimenticare che il proprietario di Forza Italia (accreditato dai sondaggi con un 7-8 per cento non disprezzabile) gioca con il Partito popolare europeo, lontano dai gruppi sovranisti dei suoi alleati-coltelli. Non si può neppure escludere, poi, che l’ingordigia elettorale di Matteo&Giorgia stia fortemente sulle scatole all’ex Cavaliere, deluso anche dalla scarsa considerazione con cui la coppia ha accolto la sua autocandidatura al Colle. Loro non osano contraddirlo perché hanno troppo bisogno delle ospitate di Mediaset dove vengono invitati con assiduità. Lui si fa ritrarre mentre riceve la terza dose del vaccino mostrando l’ago orgogliosamente conficcato nel braccio. Alla faccia di tutti quelli che nella Lega e in FdI si ostinano a lisciare il pelo dei no-vax. Tempo al tempo e vedrete se non riuscirà a traslocare gli azzurri nel centro moderato che Matteo Renzi gli sta apparecchiando. Confinando così la destra-destra in un ruolo laterale. Lasciatelo lavorare.

Uggetti, la Corte di Appello ha commesso errori di diritto

Simone Uggetti, ex sindaco di Lodi, venne condannato nel 2016 dal Tribunale di Lodi alla pena di dieci mesi di reclusione per aver turbato la gara bandita per la gestione delle piscine comunali che venne assegnata alla società “Sporting Lodi” nel cui cda sedeva l’avvocato Cristiano Marini. Con sentenza del maggio 2021, la Corte di appello di Milano ha assolto Uggetti (e Marini) perché il fatto non sussiste.

Sono state adesso depositate le motivazioni, dando atto che: a) “È pacifica acquisizione che una bozza del bando venne inviata dal sindaco Uggetti a Marini”; b) vi era stato “nell’ufficio del sindaco” un incontro tra costui e la funzionaria responsabile del settore sport e turismo, Caterina Uggé, incontro al quale era stato presente Marini “che aveva per le mani una bozza dell’ultima stesura del bando che, poi, lo stesso lasciava allontanandosi dalla stanza”; c) “Marini inviava via mail al sindaco, nonché al presidente di “Sporting Lodi”, il parere richiestogli dallo stesso Uggetti nel senso di procedere a un “bando a evidenza pubblica, prevedendo requisiti locali volti a scoraggiare partecipazioni esterne e requisiti di solidità economica volti a scoraggiare soggetti estemporanei”; d) dalle conversazioni intercettate risultava che il sindaco e Marini cercavano di “eliminare messaggi, in particolare, una mail inviata dal primo al secondo con allegata la bozza del bando”, circostanza questa che portava all’arresto dei due indagati atteso il pericolo di inquinamento delle prove. Sempre nell’esposizione dei fatti, la Corte di appello ha dato atto delle conclusioni cui era pervenuto il Tribunale, il quale ha ritenuto che le interlocuzioni tra il sindaco e Marini avevano alterato la par condicio producendo l’effetto turbativo. La Corte di appello ha ritenuto di poter superare le argomentazioni del Tribunale, ritenendo che “una interpretazione costituzionalmente orientata e conforme in particolare al principio di offensività deve illuminare il giudizio: ‘Ci si deve, infatti, confrontare con la necessità di non dover punire indiscriminatamente le mere irregolarità formali attinenti all’iter procedimentale, irregolarità che, invece, devono essere idonee a ledere i beni giuridici protetti dalla norma, non essendoci un interesse fine a se stesso a garantire la regolarità e la trasparenza della gara, essendo la tutela della mera regolarità formale dell’asta e della Pa non il bene tutelato dall’art. 353 Cp, ma un presidio per la libera concorrenza, strumentale al perseguimento dell’interesse della Pa. Dunque la turbativa non ricorre in presenza di qualsiasi disordine relativo alla tranquillità della gara essendo necessaria una lesione, anche potenziale, agli scopi economici della Pa e all’interesse dei privati di poter partecipare alla gara dovendosi, comunque, guardare alla realizzazione delle esigenze utilitaristiche della Pa”.

Si tratta di una erronea e arbitraria interpretazione della norma perché, per la configurazione del reato, non è “necessaria una lesione agli scopi economici della Pa” e il bene tutelato dalla norma è esattamente il contrario di quello sostenuto dalla corte: esso è “l’interesse della Pa al libero e regolare svolgersi dei pubblici incanti”, essendo proprio “il rispetto delle regole” della procedura concorsuale il bene giuridico tutelato, sì che coloro che hanno interesse a partecipare alla gara devono poter fare affidamento a che nessuna irregolarità, nessuna anomalia procedurale alteri le regole e, cioè, il corretto andamento della gara. Ed è questo l’esatto principio giuridico applicato dal Tribunale, che ha individuato nell’operato del sindaco una interferenza rilevante ai sensi dell’art. 353 Cp sul contenuto del bando di gara del 2016 e, quindi, sulla successiva aggiudicazione alla “Sporting Lodi”. Il grave errore di diritto legittima un ricorso alla Corte di legittimità.

 

Draghi “l’anti-Papa” tace sui mali della finanza

Tra le rare personalità che denunciano i mali e i pericoli della finanza, appare avere la maggiore autorevolezza e un enorme seguito nel mondo: eppure, Papa Francesco non ottiene adeguato spazio e risalto su tanti giornali italiani quando lancia i suoi duri e frequenti attacchi agli speculatori e a tutti quanti aggravano le disuguaglianze nel mondo con il loro egoistico “fare i soldi con i soldi”.

Questa marginalità mediatica ha sollevato il dubbio che il problema sia sull’altra sponda del Tevere rispetto al Vaticano: a Palazzo Chigi, dove il premier Mario Draghi è un simbolo mondiale della grande finanza. È membro “senior” della superlobby “Gruppo dei trenta” di Washington, che riunisce in assoluta riservatezza potenti ed ex potenti della finanza, come la Segretaria del Tesoro ed ex numero uno della Banca centrale Usa, Janet Yellen, o l’ex governatore della Bank of China, Zhou Xiaochuan. Draghi è stato alla Banca Mondiale, direttore del Tesoro italiano, vicepresidente della banca privata Usa Goldman Sachs, governatore della Banca d’Italia, presidente della Banca centrale europea e del Comitato per i rischi finanziari sistemici. Non potendo certo togliere a Francesco il ruolo di “acqua santa”, Draghi, nel confronto tra opposti, sarebbe destinato a quello del “diavolo” proveniente dall’Inferno del denaro controverso. Ma gli editori di giornali (alcuni sono anche ricchi finanzieri) si aspettano dal premier 350 milioni di aiuti pubblici. Le élite dei giornalisti più pagati e influenti bramano un maxi-regalo (stimato circa 1 miliardo ogni 5 anni) – sempre a carico dei contribuenti – per salvare le loro “pensioni d’oro” e vari privilegi dal tracollo del fondo privatizzato di categoria Inpgi 1. Nei media ormai si sa che Draghi ama essere celebrato e va in fibrillazione perfino per le chiacchiere di un barista, se non assecondano le sue strategie. Possono raffigurarlo, pur metaforicamente, come un “diavolo” anti-Papa?

La contrapposizione a distanza, però, è nei fatti. Avviene a Roma. Annuncia intriganti sviluppi: da un lato i messaggi semplici, lucidi e pesanti del Papa contro “il predominio della finanza”, dall’altro le politiche del premier, che proprio nella finanza ha acquisito la tendenza del “Robin Hood al rovescio”, che toglie ai poveri per dare ai ricchi.

Per il Papa “occorre un’economia equa nel terreno inquinato dalla finanza”. Più volte ha chiesto che sia rigidamente “regolamentata” perché “la situazione, a causa della speculazione, è diventata insostenibile e pericolosa”. La considera qualcosa di “inagibile, liquido, gassoso, che finisce come la catena di Sant’Antonio…”, procurando arricchimenti a pochi e danni all’umanità. Francesco contesta “l’idolatria del denaro”. Ha ammonito che – durante la pandemia – l’economia reale, “quella che crea lavoro, è in crisi; quanta gente senza lavoro…”, mentre gli speculatori si arricchiscono grazie a “mercati finanziari mai così ipertrofici come ora”. Ha accusato la lontananza “della grande finanza dalla vita della maggior parte delle persone”. In una lettera alla Banca mondiale e al Fondo monetario di Washington ha ricordato che “molti nostri fratelli e sorelle nella famiglia umana, specialmente quelli ai margini della società, di fatto sono esclusi dal mondo finanziario”, che aggrava “ingiustizie, disuguaglianze, povertà”.

Il premier, come da prassi, è andato “a baciare l’anello” al Papa in Vaticano. Ma quando Francesco lancia le sue accuse sui mali e i pericoli della finanza non possono non fischiargli le orecchie. Nelle sue frequentazioni del “Gruppo dei trenta” o di altre lobby riservate di finanzieri, come Bilderberg e Trilateral, i temi dominanti sono stati il denaro, i grandi arricchimenti, meno regole anche per la speculazione. Nella banca privata Usa Goldman Sachs ha operato nelle attività più criticate dal Papa. Da direttore del Tesoro aprì ai derivati finanziari, che provocheranno perdite enormi agli Stati (e tanta povertà) con la grande crisi iniziata nel 2008. La sola banca tedesca Deutsche bank accumulò una esposizione lorda su questi prodotti ad alto rischio stimata la fantascientifica cifra di 48 mila miliardi di euro. Banche del piccolo Lussemburgo hanno in pancia una simile potenziale “bomba atomica” finanziaria pericolosa per la zona euro. La Grecia, con i derivati, ha ampliato il crollo e le fasce di povertà.

Draghi, alla Bce, ha fatto “tutto quello che serve” – con il denaro pubblico – per salvare l’euro, i mercati finanziari, banchieri, investitori, speculatori, che sono tornati ad arricchirsi come prima. Ma i tanti milioni di disoccupati e di poveri indicati da Papa Francesco?