Domestiche. La filippina amorevole “resuscita” casa (poi ride degli italiani con i connazionali)

Mahalia è filippina, ha 60 anni, è piccolina e ha un gran bel sorriso. Ha le chiavi di casa e ogni mattina entra discreta per fare le pulizie, di lei so poco altro. Anzi, so che ha una figlia che ha chiamato Ritapavone, tutto attaccato, che vuole fare la cantante.

Mahalia pur vivendo in Italia da molti anni non ha imparato nulla della nostra lingua. Le donne filippine considerano la casa una grande fonte di orgoglio e fanno del loro meglio per creare un ambiente caldo e amorevole. Spesso prende in giro mio padre quando viene a trovarmi, lo chiama “quelu becchio”, mi fa molto ridere, eppure credo che siano coetanei. Lei governa e rigoverna, con una cura certosina e meditato distacco. Lavora tutto il giorno e la domenica si riunisce con i suoi conterranei nei giardini di piazzale Manila, banchettano, ascoltano strane musiche, e ridono che è una meraviglia, molto probabilmente di tutti noi, i “signoli”, che accudiscono. L’altro giorno sono entrati i ladri in casa e Mahalia è stata la prima ad accorgersene. Mi ha chiamata e gridava al telefono… “Atrumo atrumo” – “Ma di che parli Mahalia? Non ti capisco” – “…atrumoo!”. Ci ho messo un’ora a capire cosa fosse successo. Hanno portato via tutto, rivoltato casa e mi hanno distrutta moralmente.

Mahalia ha sistemato ogni cosa, ha strofinato casa con detergenti e disinfettanti, ha aggiustato dei vasi rotti, neanche fosse stata casa sua. La sera stanca morta continuava a sistemare, a profumare l’aria con gli incensi. Mi sono avvicinata e mi è sembrato che piangesse, poche lacrime su un viso bellissimo.

Mi ha guardato e mi ha detto: “Hanno scacciato l’anima della casa e io devo pulire, devo ritrovarla…”. In italiano scandito e quasi perfetto. L’ho abbracciata e le ho sussurrato piano: “Mahalia, l’anima di questa casa sei tu, ora basta, va a dormire…”.

 

Fascismo. Democrazia a rischio o paura infondata? Murgia e Berizzi per ragionare con la bussola

Due diversi fiumi di opinione scorrono intorno alla controversia sul fascismo (ritorno del fascismo) in Italia: c’è o non c’è? È un’ossessione o una rivelazione? Conta o non conta che un paio di non illustri leader del fascismo locale romano riescano a deviare un’intera manifestazione “no green pass” in un assalto violentissimo e bene organizzato contro la sede della Cgil? Torna il fascismo o stiamo assistendo a una delle tante versioni del teppismo che, di volta in volta e con cause diverse, si aggrega intorno a una latente ma continua rivolta contro le istituzioni?

Accademici importanti come Cacciari e Ricolfi sono irritati e sprezzanti verso chi vede dovunque il fascismo. Personalmente mi trovo meglio con 2 autori (diversi ma di talento) come Michela Murgia e Paolo Berizzi, che affrontano il problema con coraggio (“Si, il fascismo c’è”). Berizzi è da tempo sotto scorta, forse il solo giornalista italiano che non debba la sua protezione alle minacce della mafia ma al pericolo fascista.Come il lettore ha capito, sto parlando di 2 libri freschi di stampa – ma diversissimi – sul fascismo nell’Italia di oggi.

Il 1º è Istruzioni per diventare fascisti di Michela Murgia. Ha molti pregi, scrittura lieve e tendenzialmente allegra (mai bonaria o incline a comprensioni e perdoni). Una delle virtù è la nettezza tagliente con cui si descrivono certi indimenticabili tratti del fascismo di allora e di oggi, dimostrando che il fenomeno c’è, malgrado le amnistie offerte. Ma il punto forte è di ricordarci che i fascisti non ridono. Preferiscono il contatto fisico, dal pugno alle armi. Perciò il suo volume è due volte spiritoso. Perché lo è l’inclinazione a descrivere fatti e persone con il tono lieve e spesso allegro delle persone civili; e perché l’aiuta il contrasto tra lo spunto ironico dell’antifascismo e la cupezza fascista (risibile se non fosse assassina). Il secondo libro di cui sto parlando è un saggio-documento di Paolo Berizzi (È gradita la camicia nera): indispensabile a chi, per età o disattenzione, non ha mai conosciuto o intravisto il fascismo; o è caduto nell’errore di scambiare per serietà di condottiero la malevolenza aggressiva tipica di tutti gli Orban. Con una vasta collezione di episodi fascisti ai nostri giorni, specialmente (questa è anche una importante notizia) a Verona e dintorni, Berizzi ci rivela o ci ricorda che il fascismo è tragico, persino quando si tiene in disparte e in attesa. Ci sono le vite minacciate, le persone in pericolo, in qualche caso, per ora solo preliminare, le vittime.

L’importanza di È gradita la camicia nera sta nel suo autore, firma d’inchiesta di qualità provata (dal molto lavoro e dall’ira seguita alle sue investigazioni). Il valore di questi libri non è il punto. Il punto è quanto siano urgenti e necessari.

 

Istruzioni per diventare fascisti Michela Murgia, Pagine: 100, Prezzo: 12€, Editore: Einaudi

È gradita la camicia nera Paolo Berizzi, Pagine: 256, Prezzo: 17, Editore: Rizzoli

Il tema d’italiano, i maturandi e la lezione del professor Franzò

Veniamo noi con questa mia addirvi. Da qualche giorno circola in rete una petizione, lanciata da alcuni studenti, che vorrebbe escludere dall’esame di maturità il tema scritto di Italiano, che ha raggiunto più di quarantamila sottoscrizioni ed è indirizzata al ministro Patrizio Bianchi. Il testo è scritto con un italiano rivedibile e un errore di ortografia in incipit: “Noi studendi maturandi chiediamo l’eliminazione delle prove scritte agli esami di maturità 2022, poiché troviamo ingiusto e infruttuoso andare a sostenere degli esami scritti in quanto pleonastici, i professori curricolari nei cinque anni trascorsi, hanno avuto modo di toccare con mano e saggiare le nostre capacità. Inoltre abbiamo passato terzo e quarto anno in dad, penalizzandoci, distruggendo parte delle nostre basi che ci sarebbero dovute servire per gli esami. L’ulteriore stress di esami scritti remerebbe contro un fruttuoso orale indispensabile come primo passo verso l’età adulta”. Chissà se i maturandi si sono ispirati a Leonardo Sciascia quando racconta dell’ex studente del professor Franzò, ormai magistrato che ricorda al suo prof i brutti voti del liceo: “Ero piuttosto debole in italiano. Ma non è poi stato un gran guaio: sono qui, procuratore della Repubblica”. E quello: “L’italiano non è l’italiano: è il ragionare. Con meno italiano, lei sarebbe forse ancora più in alto”. Una “Storia semplice”, no?

Manco i cani. Alfonso SIgnorini, pensando forse di essere spiritoso, durante una puntata del Grande Fratello Vip: “Siamo contrari all’aborto in ogni sua forma, anche quello dei cani non ci interessa”. Ne è nata una polemica infinita, a cui ha preso parte anche Elena Santarelli, sostenendo che dell’aborto è meglio che parlino prima le donne. Il dibattito (dell’operaismo parlano solo gli operai) è vecchio quasi come la legge 194, che disciplina l’interruzione volontaria di gravidanza. Il conduttore ha invocato la libertà di pensiero, che è sicuramente un diritto da garantire (e vale soprattutto per le idee con cui non si è d’accordo). Diciamo che a noi (un noi che, come il lettore si sarà accorto, usiamo in un altro modo) preme moltissimo che sia garantito il diritto per le donne di abortire in sicurezza, cosa che visto il numero scandaloso di medici obiettori di fatto non avviene. Che sia cosa da Signorini o da signorine poco importa.

guai in paradiso (fiscale). Dal trionfo degli Europei a Wembley – contro l’Inghilterra l’11 luglio scorso – al misero pareggio contro l’Irlanda del Nord: la nostra Nazionale è passata dalle stelle alle stalle. Ora, sappiamo che il calcio non è davvero solo un gioco e che la qualificazione mondiale vale diversi miliardi. È stupefacente però che il “processo” a mr. Mancini si faccia per il mondiale e non per la spiacevolissima faccenda dei Pandora Papers (da cui risulta che Mancini e Vialli siano stati proprietari di società offshore nel paradiso fiscale Bvi). Servirebbe un var per il sentimento dell’etica pubblica.

simply the best. Inarrestabili Maneskin: dopo i successi americani sono stati proclamati miglior band rock agli Mtv Ema, superando “avversari” del calibro di Coldplay, Foo Fighters, Imagine Dragons. Naturalmente i Country cousins hanno di nuovo cercato di sfruttare la circostanza, cantando Zitti e buoni in una trasmissione tv: non c’è limite al trash. Ma anche il senatore Simone Pillon se l’è presa con il look di Damiano che agli Ema si è esibito in culottes e giarrettiera (“Tra poco arriveremo al reggiseno da uomo”), ricevendo dall’interessato l’ironica risposta: “Hai ragione Simo, la prossima volta completo e paPillon”. Insomma: farsi pubblicità a spese dei Maneskin sembra un’impresa ardua.

Ps: la settimana scorsa abbiamo scritto una vera castroneria, attribuendo Beggin ai Rolling Stones. Il brano, come hanno fatto notare con gentilezza alcuni lettori, è dei Four season: cenerissime in capo!

 

Asilo nido, lo sfascia famiglie (e il medioevo dentro fratelli d’Italia)

RAPPRESENTANTI MIMETICI. Andrea Colletti, presidente del collegio d’appello di Montecitorio, ha concesso alla deputata Sara Cunial la sospensione della delibera con cui era stato introdotto l’obbligo del green pass per accedere alla Camera. Il commento definitivo arriva dal dem Stefano Ceccanti: “Se l’argomento del Presidente Colletti per consentire alla deputata Cunial di entrare senza green pass contro una normativa regolarmente approvata è che una parte di elettorato che la pensa come lei debba essere rappresentata, consentiremo anche ai parlamentari sostenitori dei nudisti di entrare nudi?”.

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DRAGHI AL SINGOLARE. Sapete qual è la terribile minaccia che incombe non solo sul nostro sistema educativo ma anche sulla stabilità delle coppie italiane? Udite udite: gli asili nido. E dire che noi si pensava il contrario, che l’asilo nido fosse un supporto importante per la gestione dell’equilibrio familiare. Ma la senatrice di Fratelli d’Italia Tiziana Drago ci ha spiegato che non è affatto così: “Nutro seri dubbi sulle scelte politiche che si stanno operando sugli stanziamenti di fondo per gli asili nido. Ma qual è il messaggio che mandiamo al Paese? La nostra prospettiva qual è? Quella di mettere al mondo dei bambini e dargli come unica destinazione un asilo nido? Meglio estendere il congedo parentale per la madre da sei mesi a tre anni”. Chiaro giovani madri? Se decidete di fare un figlio levatevi dalla testa di poter continuare a vivere e lavorare come se nulla fosse. Altrimenti che messaggio manderete al Paese? Quello di volervi emancipare, quello di poter mantenere la vostra identità anche dopo aver messo al mondo un figlio, quello di preferire il lavoro alla vita da casalinghe? Sarete mica matte!! La Drago è passata dai 5Stelle, con i quali è stata eletta, a Fdi lo scorso marzo: forse per questo, l’altro giorno a Palazzo Madama, i grillini stappavano spumante.

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GIARRETTIERE E PA-PILLON. Simone Pillon non si accontenta. Non gli basta la sconfitta del ddl Zan, non è sufficiente spiegare alle famiglie cosa sia normale e cosa non lo sia, non è abbastanza neppure aver suggerito alle donne di dedicarsi all’accudimento perché sono più portate. No, il senatore leghista, dopo l’esibizione dei Maneskin agli MTV EMA, ha attaccato la band per il look: “Mi piacerebbe sapere quanta carriera potrebbe fare una band che inneggiasse alla difesa della vita dal concepimento. È facile andare secondo la corrente del politicamente corr(o)tto. Da giovani che si dicono alternativi e ribelli mi sarei aspettato qualcosa di diverso, che so, sul palco in smoking i maschietti e in abito da sera la signorina, con tanto di dichiarazioni tipo ‘i bambini hanno il diritto di avere una mamma e un papà’”. Damiano – in attesa di presentarsi del prossimo concerto vestito come Gianni Morandi nel ’62 a cantare “Fatti mandare dalla mamma… e dal papà … a prendere il latte” – ha postato foto in giarrettiera e calze a rete con questo commento: “Hai ragione Simo, la prossima volta completo e paPillon”. Nulla da aggiungere.

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Mail Box

L’ululato di Saramago
è la sola cura per l’Italia

A 12 anni dalla sua scomparsa, il premio Nobel portoghese José Saramago non smette di parlare attraverso le sue opere. I suoi romanzi racchiudono durissime critiche alla società e alla politica dell’epoca. Ma oggi tutto è come prima, o peggio. Uno dei capolavoro meno noti, Saggio sulla Lucidità (2004), è un’istantanea del nostro Paese: dopo il voto, al momento dello scrutinio, più dell’80% della popolazione ha scelto scheda bianca. Già 20 anni fa Saramago raccontava il distacco della politica dai cittadini; una politica che sopravvive solo con l’esercizio del potere, i giochi di palazzo e le false promesse. “Ululiamo disse il cane” è l’epigrafe che si trova all’inizio del romanzo: come rivelerà prima di morire, per Saramago i cani siamo noi. E il nostro compito è di ululare sempre più forte, per esprimere dissenso senza rassegnazione. Quanto ci sarebbe da ululare in un Paese divorato dall’astensionismo, dove viene quotidianamente calpestata la Costituzione e pregiudicati anelano alle più alte cariche? Già 20 anni fa lo scrittore ci metteva in guardia: la democrazia è sempre più “limitata, condizionata e amputata” dal potere economico. Come dargli torto, alla luce della pandemia: un capitalismo sfrenato che lascia sprofondare gli ultimi con l’appoggio della politica. Saramago non è più fra noi, ma la sua letteratura – potente e attuale – continua a farsi sentire, come un pungolo quotidiano che ci esorta ad ululare, a dissentire, a vivere.

Giacomo Casabianca

 

Covid, nuove chiusure?
La beffa dopo il vaccino

L’Italia ha raggiunto un alto numero di vaccinati, parlare di lockdown per i no-vax mi sembra fuori luogo. Il governo e il cts dovrebbero inserire nuove regole, ad esempio rafforzando l’uso delle mascherine sui mezzi di trasporto pubblici. Il professore Andrea Crisanti ha ribadito più volte l’importanza di questo dispositivo: perché non renderd obbligatorio l’uso della Ffp2 per chi non vuole vaccinarsi? Sarebbe l’ideale. Parlare di chiusure dopo aver raggiunto questo numero di vaccinati, sarebbe una sconfitta.

 

Rondo e i Rignano boys:

dossier e disperazione

Il 4 novembre 2015 Il Fatto Quotidiano pubblicava una mia lettera sulle “verità” renziane. Casualmente qualche giorno dopo scoprivo in rete che Fabrizio Rondolino aveva scritto un editoriale in cui, commentando la mia lettera, così esordiva con un tono tra il beffardo e il minaccioso: “Cari psicologi del Fatto, lasciate stare i giornalisti dell’Unità”. Ho subito pensato: ma questi devono essere disperati per perdere tempo con un semplice lettore di un giornale concorente, non iscritto ad alcun partito, che quindi politicamente conta meno del 2 di coppe quando comanda bastoni. Infatti avevo ragione: il Pd di Renzi era alla canna del gas, ben prima delle manovre di dossieraggio e degli attacchi social, venuti recentemente alla luce.

Maurizio Burattini

 

Draghi, le mine vaganti
e il M5s fuori dalla Rai

È poco rassicurante per le sorti del governo, definito di unità nazionale, l’uscita improvvida di Mario Draghi dopo l’esclusione dei Cinque stelle dalle nomine Rai. Il premier infatti ha voluto precisare che il pluralismo è stato rispettato. E, poiché ritengo che Draghi sappia ciò che dice, la morale della favola è che abbia condiviso sin dall’inizio l’esclusione del Movimento, ritenendo forse di rafforzare così il governo. Diversamente avrebbe potuto tacere facendo, come spesso fa, lo gnorri! Ma il rischio per le sue sorti è notevole: se il premier non si rende conto che la maggioranza si regge più sul centrosinistra (e sull’asse Pd-5S) che sul centrodestra, il suo governo finirà con l’andare in crisi. Grazie alla mina vagante Matteo Renzi, l’ex numero uno della Bce è stato battuto per due volte al Senato sul decreto legge Capienze. Dunque, stia attento il presidente del Consiglio, perché il suo governo, cosiddetto di unità nazionale, è divenuto di fatto a maggioranza variabile. A Mario Draghi consiglierei, pertanto, di occuparsi delle misure di contenimento della pandemia per fermare la quarta ondata del Covid, e di varare al più presto la legge di Bilancio. E si guardi da Renzi, specialista nel fare cadere i governi!

Luigi Ferlazzo Natoli

 

Giuseppe Conte, il sogno
di stare all’opposizione

Che bello sarebbe sentire Giuseppe Conte dire che – oltre allo stop alla presenza dei Cinque Stelle alla Rai – il Movimento non governerà più insieme a Berlusconi, Salvini e Renzi. E mario Draghi. Ma ormai, da ex pentastellato, politicamente vivo di sogni.

Bruno Maniga

Quirinale. Il nuovo Renzusconismo non fa i conti con Meloni e Salvini

L’Innominabile sa bene che alle prossime elezioni c’è il rischio che né lui, né gli esponenti del suo partitino, prenderanno sufficienti voti per tornare in Parlamento (e quindi poter contare ancora). Cosa fare allora? L’unico che può aiutarlo è Berlusconi, che brama il Quirinale, consapevole che se arrivasse al Colle il suo partito (fondato anche da amici dei mafiosi) resterebbe senza leader. Ecco la convergenza d’interessi: l’amico di Bin Salman porta i voti mancanti al “delinquente naturale” per la sua corsa al vertice della Repubblica; B. ricambierà sopprimendo Forza Italia e dando vita a un nuovo contenitore moderato, garantista, europeista e antipopulista, incoronando l’Innominabile come leader. Così Zerovirgola si sbarazzerà del suo partitino “italomorto” rientrando di peso nell’agone politico, per condizionare le scelte del governo. Che magari sarà di larghe intese e retto, ancora, dal migliore dei migliori: Draghi. Il tutto sotto la “tutela” costituzionale del Caimano, che ai piani alti del Quirinale si godrà la pensione rivestendo la più prestigiosa carica dello Stato. Di fronte a un tale incubo mi sovvengono le sagge parole di Mario Brega in Un sacco bello: “Me pijano li brividi, me pijano!”.

Gianluca Graziani

La prospettiva dell’ex Cavaliere al Quirinale è grottesca e surreale ma in Italia c’è sempre il rischio che gli accidenti della storia diano corso all’impensabile. Detto questo, caro Graziani, è probabile che il pregiudicato B. abbia già chiesto al suo allievo più spregiudicato un impegno del genere: il renzusconismo segnò l’avvento dell’allora Rottamatore alla guida del Pd e da allora il progetto di un nuovo centro moderato ha vissuto varie stagioni. Oggi però i tempi sono grami per entrambi, Berlusconi e Renzi, i loro due partitini sommati non vanno in doppia cifra e la fusione tra FI, Iv, Calenda e altre frattaglie centriste avverrà a prescindere dal Colle. È questo il disegno per esempio di azzurri governisti come Brunetta, Gelmini e Carfagna. Quanto all’incubo del Caimano al Quirinale – benché Renzi sia capace di qualsiasi cosa in odio al Pd e ai 5S – a salvarci saranno paradossalmente i suoi alleati Meloni e Salvini. Tutti e due ritengono il berlusconismo un fenomeno archiviato e soprattutto si preparano ad essere i grandi elettori di Mario Draghi. Almeno fino a oggi.

Fabrizio d’Esposito

Favole “Italia, la difesa più forte del mondo”. L’arma (scarica) dei crolli azzurri ai Mondiali

Farsi del male da soli. Raccontando in giro favole per gonzi che a furia di passaparola e veline di regime diventano verità assolute, scolpite nella pietra, salvo sgretolarsi sul più bello una, due, tre volte, nella speranza che la quarta non sia dietro l’angolo: vorrebbe dire che la nazionale italiana di calcio sta per incorrere nel quarto, consecutivo, catastrofico frontale al cospetto della manifestazione più importante, il campionato del mondo che ci ha sempre visto tra i suoi migliori interpreti (4 trionfi), secondi solo al Brasile (5). Secondi a dire il vero lo siamo ancora, ma da ormai tre lustri stiamo facendo ridere i polli a dispetto dell’arma letale che secondo gli aedi dell’Istituto Luce solo l’Italia possiede: la BBC, o BBBC (ai primordi era BCC) e cioè il bunker difensivo targato Juventus dove le B stanno per Buffon, Barzagli e Bonucci e la C per Chiellini (ieri Cannavaro). I più forti difensori del mondo. Del mondo dei sogni, forse.

Mondiale 2010. Reduce dal trionfo di Berlino 2006 con Buffon e Cannavaro grandi protagonisti, Lippi decide in Sudafrica di puntare tutto non sulla BBC che pure comincia a profilarsi (Bonucci, neo acquisto Juve, è considerato ancora immaturo) ma sulla BCC composta da Buffon, Cannavaro e Chiellini, quest’ultimo al primo mondiale. Buffon s’infortuna al debutto ma il mondiale azzurro, con Cannavaro-Chiellini coppia centrale fissa, è una tragedia: l’Italia finisce ultima nel girone della mutua con Paraguay, Slovacchia e Nuova Zelanda con due pareggi per 1-1 e una sconfitta nel match decisivo con gli slovacchi (2-3). Cinque gol subiti, il bunker che pare un groviera, torniamo subito a casa.

Mondiale 2014. Nella lista del 23 di Prandelli per il Brasile c’è la BBBC al completo: torna infatti Barzagli che era stato rincalzo a Germania 2006, ed era stato assente in Sudafrica, a formare il poker difensivo coi compagni di club Buffon, Bonucci e Chiellini. Buffon salta la prima partita, l’unica vittoriosa (2-1 all’Inghilterra), poi torna in scena col Costarica nella BBC (Barzagli-Chiellini difensori centrali) e con l’Uruguay nella BBBC (difesa a tre con Barzagli-Bonucci-Chiellini). Risultato: 2 tracolli che ci spediscono al creatore con ancora negli occhi le immagini di Chiellini che sul gol del Costarica si perde il non proprio irresistibile Bryan Ruiz e di Godin che svetta maestoso sull’intera difesa griffata BBBC a incornare l’1-0 che ci rimette sull’aereo. Alla faccia del bunker inviolabile.

Mondiale 2018. È quello in Russia dove noi non andiamo nemmeno. L’Italia di Ventura va a picco infatti nei playoff affondata dalla mediocre Svezia che al cospetto della BBBC schierata al gran completo sia a Stoccolma che a San Siro prima ci batte 1-0, poi impatta 0-0. Per Chiellini doveva essere il terzo mondiale, per Bonucci e Barzagli il secondo da titolari: invece, tutti a vederlo in televisione.

Mondiale 2022. Come siamo messi oggi lo sanno tutti. In Qatar rischiamo di non andare e poco importa se, ritiratosi Barzagli, Chiellini e Bonucci sono sempre i capisaldi della difesa azzurra e Buffon, anni 43, si dibatte in B nel dichiarato intento di infilarsi nell’ennesima BBC azzurro-mondiale (sic). Siamo al patetico. Il c.t. Mancini è reduce dal capolavoro dell’Europeo inglese, ma il sangue dalle rape è un miracolo che non sempre puoi ripetere. L’importante comunque è continuare a dirlo, e crederci: abbiamo la difesa più forte del mondo. Il mondo non se n’è accorto, ma non si può avere tutta dalla vita.

 

Coltivare etica. Metti un filosofo e un genetista tra i campi agricoli: ecco a voi Rocca Madre

“Occorre un cambio di paradigma”. Sicché tu credi che parlino di filosofia, invece parlano di pagnotte. “La diversità non è una minaccia ma un fattore di equilibrio”. Sicché tu credi che parlino di migrazioni, invece parlano di pomodori. Insomma, mettete dei filosofi, degli umanisti o dei genetisti a coltivare terra e sentirete echeggiare, anziché antichi proverbi contadini, forbiti principi di pensiero sociale. È quanto accade incontrando l’esperienza della “Rocca Madre” nel sud marchigiano. Ti mettono al centro della tavola una bella forma di pane dicendo “questo è il nostro pane”. E proprio quello diventa inopinatamente l’argomento della serata. Anche se una cena non basta a esaurirlo. Perché poi è un turbinio orgoglioso e inarrestabile di paradigmi, teorie, approcci interdisciplinari, modelli economici, prospettive antropologiche.

Ma spieghiamoci meglio. Rocca Madre è una “cooperativa agricola di comunità” nata nell’agosto del 2016 da persone e associazioni che non volevano arrendersi al fallimento di un progetto di agricoltura sociale e sostenibile detto di Rocca Monte Varmine e che era stato immaginato per una tenuta pubblica di 600 ettari di proprietà del comune di Fermo. Già coinvolte in quel progetto di recupero agronomico “mai attuato dal sindaco e dalla sua giunta”, le persone che l’avevano elaborato hanno insomma deciso di non disperdersi e di dar vita a questa nuova scommessa. Con un’idea chiara e ambiziosa: diffondere nella Valdaso, nel cui cuore sta la tenuta di Rocca Monte Varmine, un principio di agricoltura sostenibile e un modello di economia ad ecologia integrale, ossia “etica per l’ambiente e per le persone”, come spiega Olimpia Gobbi, insegnante e già assessore provinciale di Ascoli Piceno. “Puntiamo a realizzare filiere corte locali. Produciamo in bio-grano, trasformiamo in farina e pasta”.

Messaggeri di un nuovo mondo, si sono messi insieme una novantina di soci con diverse competenze e storie: medici, insegnanti, pensionati, contadini, imprenditori, artigiani, disoccupati, etc. Soci sostenitori, soci conferitori – cioè agricoltori che praticano metodi organici e conferiscono alla cooperativa parte dei loro prodotti –, soci lavoratori e soci fruitori dei prodotti. Ma, come sostengono alcuni dei fondatori (pochi nomi per tutti: Enrico Martini, Loris Asoli, Angela Pazzi, Mario Carini, Stefania Acquaticci, Pierluigi Valenti) la cooperativa non è al servizio solo o principalmente dei soci. È piuttosto al servizio della comunità, di cui punta a migliorare l’ambiente di vita e le forme delle relazioni sociali. Con l’economia del noi.

Semplice, no? Poi però tutto diventa complesso e specialistico, troppo per poterlo spiegare compiutamente in queste Storie italiane. Ma anche troppo affascinante per rinunciare a parlarne.

Si è catturati ad esempio dal principio sovrano del “miscuglio”, che porta non a selezionare i semi per averne di sempre più puri o redditizi ma a mescolarli in abbondanza per ottenere raccolti migliori e meno vulnerabili. Il profeta è qui un genetista avventuroso, Salvatore Ceccarelli, che adottò questo principio lavorando per decenni ad Aleppo in Siria, insieme con la moglie Stefania Grando: “Cercavamo semi migliori e siamo diventati migliori noi”, racconta felice. Si è attratti, ancora, da un’Italia che punta con vigore e fantasia sulle terre interne, un giorno abbandonate e spopolate. O dallo slogan straordinariamente evocativo “grano nostro, pane nostro”. Si è suggestionati dalla sfida di portare i contadini all’autoproduzione dei semi, oggi proibitiva anche a causa delle leggi. Si è affascinati, in generale, da questa infinita concatenazione di principi, che alla Rocca Madre diventano ciliegie, uno che tira l’altro senza interruzione.

Credetemi: visto da questa pagnotta a centro tavola, il ritorno alla terra è davvero un viaggio verso il futuro.

 

Destra clericale“Yo soy Silvio, soy un hombre, soy cristiano”: l’identità fluida di B. e Forza Italia

Quasi tre lustri fa, un anno prima della magnifica estate degli scandali sessuali, Silvio Berlusconi rivelò a cena un suo progetto segreto, mai attuato sinora: “Voglio scrivere la mia autobiografia, ci sto pensando da tempo. E sapete come la intitolerò? Mi piacerebbe chiamarla Il Santo Puttaniere”.

Era il 2008 e alla ricca mensa dell’ex Cavaliere era seduta anche l’ex ministra salmonata azzurra di cui B. era seriamente infatuato, come ha rivelato successivamente Fabrizio Cicchitto. Santo e puttaniere. Due vocazioni opposte a formare un divertito ossimoro. In ogni caso, a dispetto della presunta santità, l’anziano leader di FI non ha mai curato la sua satiriasi (lo constatò l’ex moglie Veronica Lario). Ma il tempo passa, l’oblio avanza e oggi a 85 anni l’ex premier si ricicla come capo di un partito cristiano di destra, erede di Sturzo e De Gasperi e persino del Giolitti prebellico che nel 1913 promosse il Patto Gentiloni tra cattolici e liberali.

Insomma, più santo che puttaniere a leggere il libretto che B. ha spedito a tutti i parlamentari nella sua campagna elettorale per diventare presidente della Repubblica. Il manoscritto s’intitola sobriamente Io sono Forza Italia ed è un guazzabuglio di erroracci storico-filosofici nonché una summa di quel clericalismo di destra avversario di ogni libertà e di ogni liberalismo possibile. Con sprezzo speculativo del ridicolo, l’anonimo ghost writer di Berlusconi arruola innanzitutto Benedetto Croce tra i teocon anti-abortisti. Colpa ovviamente di quel famoso saggio del filosofo Perché non possiamo non dirci cristiani. Uno dei titoli più abusati di sempre. Hai voglia a dire che don Benedetto lo scrisse nell’agosto 1942 per contrapporre la “rivoluzione cristiana” (in senso storicista non metafisico) all’orrido paganesimo nazista. Non solo.

Come conciliare poi (e questo è il nodo mai sciolto dai sedicenti liberalcattolici) i valori non negoziabili con quella “religione della libertà” crociana che negava la trascendenza della sapienza e osteggiava il matrimonio tra verità e potere dei regimi totalitari e teocratici? Il libretto della Forza Italia “liberale, cristiana, europeista e garantista” sancisce infatti che “la vita è sacra dal momento del concepimento fino alla morte biologica”. Convinzione, ovviamente legittima, di ogni credente. Ma l’individualismo liberale che c’entra? Senza dimenticare che nel 1994 Forza Italia nacque come partito laico. Non è il caso di ricordare tutto il dibattito sull’identità azzurra all’epoca dei “professori” (Colletti, Vertone, eccetera) ma vale la pena riportare quello che disse l’allora liberale Marcello Pera (oggi teocon ratzingeriano) nel 1998 contro l’ipotesi di una Forza Italia “popolare”: “FI al centro non diventerà forse democristiana, o clericale, o bigotta, ma ne avrà certo un contraccolpo sulla propria identità”.

Del resto “il popolarismo” del citato De Gasperi non fu mai liberale e in teoria era un centro che guardava a sinistra. Figuriamoci immaginarlo alleato di Meloni e Salvini. Quanti errori, appunto, nell’ansia di rincorrere il Colle. B. vuole essere un presidente “cattolico” conservatore. E l’unico con queste caratteristiche fu Oscar Luigi Scalfaro. Che nemesi per Silvio aspirante capo dello Stato!

 

Euro digitale. Buono per i risparmiatori, cattivo per le banche che si troverebbero scavalcate

Anche sull’euro digitale le banche italiane diffondono notizie infondate, fake news . È infatti un’invenzione che esso verrà introdotto per “combattere le pseudo-valute digitali e l’illecito” o che “frenerà l’evasione”, come ha affermato il 1° novembre al Corriere della Sera Antonio Patuelli, presidente della loro associazione (Abi). In realtà l’impatto che potrà avere sul bitcoin sarà nullo o quasi. Idem per l’illegalità nelle sue varie forme.

Se uno va sul sito della Banca centrale europea (Bce) legge come stanno davvero le cose. Ed è la Bce che lo sta studiando e deciderà se e come emetterlo non prima di fine 2023. In particolare essa, con buona pace di Patuelli e degli istituti di credito italiani, ribadisce che “una certa quantità di contante è necessaria per il corretto funzionamento dell’economia”. Per cui è ugualmente una frottola che l’euro digitale condurrà alla fine del contante.

Nessuna speculazione. È fuorviante l’accostamento al bitcoin e simili. L’euro o altre divise digitali possono assomigliare alle cosiddette criptovalute nella forma, magari per l’utilizzo della blockchain. Ma nella sostanza sono invece contigue ai contanti. Lo scrive di nuovo la Bce: se venisse emesso, esso “sarebbe come le banconote”. Un euro digitale varrebbe né più né meno di una moneta di un euro, 100 euro digitali come la banconota equivalente ecc. Nulla a che vedere col sali-e-scendi del bitcoin.

L’euro digitale permetterebbe di avere soldi in forma immateriale, scavalcando le banche. Anziché moneta bancaria come il denaro su conti correnti e libretti, sarebbe moneta della banca centrale esattamente come il contante. Avere euro digitali significherà in un certo senso avere un conto presso la Banca centrale europea. Così i consumatori potranno disporre pagamenti digitali senza che Banca Intesa, Unicredit, Nexi, Paypal ecc. abbiano modo di raschiare via soldi sulla transazione.

Vantaggi per i risparmiatori. Non sarebbero solo consumatori e negozianti ad avvantaggiarsi dell’euro digitale, evitando i balzelli sui pagamenti elettronici. L’esistenza e la disponibilità di euro, dollari o franchi digitali permetterebbe di passare facilmente dalla (insicura) moneta bancaria, cioè quella su conti correnti, conti deposito e libretti, alla (sicura) moneta della banca centrale. E di mettersi così al riparo da crac, fallimenti e bail-in. Da leccarsi le dita in termini di sicurezza.

Attualmente ciò è possibile solo prelevando e tesaurizzando banconote, per esempio in cassetta di sicurezza. Si tratta di un’operazione scomoda, resa difficile dall’ostruzionismo delle banche, con alcuni costi seppur modesti e qualche rischio. Quindi le prospettive sono allettanti, forse troppo perché si realizzino. È ancora tutto da vedere se la Bce deciderà di emettere davvero l’euro digitale. Saranno infatti fortissime le resistenze del sistema bancario e non tutte pretestuose.