La conferenza COP26 ha prodotto pochi risultati concreti, anche se è incoraggiante che tutti gli Stati si siano impegnati a formulare programmi e renderne pubblici periodicamente i risultati. L’obiettivo di contenere il riscaldamento della Terra entro l’1,5 C° appare sempre più elusivo. Per raggiungerlo occorrerebbe ridurre le emissioni di CO2 del 45% entro il 2030 e azzerarle entro il 2050, tagli che paiono oggi irraggiungibili. La variazione dell’emissione di CO2 dipende da tre fattori: l’aumento del Pil, la variazione dell’intensità di energia (rapporto energia/Pil) e la quota di energia che verrà prodotta senza emissione di CO2.
L’Onu prevede per i prossimi 30 anni ancora un forte aumento della popolazione mondiale, da 7,6 a 9,8 miliardi. La popolazione crescerà del 13% in Asia e raddoppierà nell’Africa subsahariana mentre resterà stabile nel totale di Europa e Nord America. Se il reddito pro capite continuerà a crescere col trend attuale il Pil reale potrebbe aumentare (dal 2016 al 2050) di circa 4 volte nell’Africa subsahariana, 3,6 volte in Asia e 1,7 volte nei paesi Ocse (secondo uno studio di Pwc). L’incremento nella domanda di energia sarà inferiore, a seconda del livello di reddito di ogni paese. L’intensità di energia è più elevata nelle fasi iniziali della crescita e più bassa nei paesi evoluti anche per il maggior peso del settore servizi. Tuttavia la domanda di energia continua a crescere col reddito e se il Pil aumentasse come indicato sopra da qui al 2050 la domanda di energia potrebbe forse anche raddoppiare. Per contenere l’aumento della CO2 l’energia prodotta da rinnovabili dovrebbe non solo sostituire quella prodotta oggi da combustibili fossili (circa l’80%) ma coprire anche la maggior domanda dei prossimi 30 anni. Una prospettiva che appare assai poco realistica.
Europa e Nord America hanno le maggiori possibilità di ridurre le emissioni di CO2 perché il Pil e la domanda di energia aumenteranno relativamente poco e l’opinione pubblica sembra disposta a sostenere i costi della transizione ecologica, ma nel resto del mondo la situazione è ben diversa. Sussidiare auto elettriche o fotovoltaico può essere elettoralmente premiante in Europa o negli Usa ma influirà poco sulle prospettive del pianeta.
Gli aumenti più rilevanti di popolazione e di Pil si verificheranno in paesi (India, Nigeria, Pakistan, Bangladesh, Indonesia etc) che hanno oggi un reddito pro capite basso, una forte domanda di energia per la crescita e pochissime risorse da dedicare alla sostituzione di combustibili fossili con più costose energie rinnovabili. In molti di questi paesi, India in primis, il ciclo del carbone da lavoro a milioni di persone: rinunciarvi comporterebbe costi che non sono in grado di sostenere, anche perché la loro opinione pubblica non percepisce l’urgenza di farsi carico di oneri per la salute del pianeta.
I Paesi in via di sviluppo, rilevando che l’attuale livello di inquinamento è stato causato dai paesi “ricchi” e chiedono ingenti trasferimenti per finanziare una crescita basata su energie meno inquinanti, ma questi difficilmente troveranno consenso elettorale nei Paesi “ricchi”. La Cina, oggi il maggior inquinatore, è un caso particolare perché ha la forza politica per gestire i costi dell’uscita dal carbone e potrebbe mantenere i suoi impegni, sia pure su un arco di tempo assai più lungo di quanto richiesto per l’obiettivo dell’1,5%. Pechino può anche trarre beneficio dalla transizione ecologica, essendo il maggior produttore di batterie e pannelli fotovoltaici.
Lo sviluppo di energie rinnovabili dipende anche dalla convenienza economica. Per questo è importante che i paesi industriali incentivino innovazioni tecnologiche atte a ridurne i costi. Resta da chiederci se sia comunque fattibile l’enorme aumento di energia da rinnovabili che sarebbe richiesto per l’obiettivo dell’1,5%. Il fotovoltaico è limitato dalle superfici disponibili e crea problemi ambientali come l’eolico. Lo sviluppo di questi settori richiede l’estrazione e lavorazione di materie prime che inquinano l’aria e l’ambiente, in particolare per la produzione di batterie. Lo smaltimento di pannelli e batterie esausti porrà problemi di cui oggi non si parla. Al netto di nuove tecnologie, resta il nucleare che però è mal visto nella maggior parte dei paesi che potrebbero svilupparlo.
Insomma la prospettiva è che nei prossimi decenni l’energia divenga sempre più scarsa e costosa e la qualità dell’aria continui a deteriorarsi: se allarghiamo la considerazione anche ai crescenti problemi di carenze idriche e di molti minerali si è indotti a chiederci se l’ulteriore crescita della popolazione mondiale, con l’attuale tenore di consumi, sia compatibile con la salute del pianeta.