Parole-valigia, allitterazioni e liste: da Rabelais a Joyce

 

ELEMENTI DI STILISTICA COMICA

Dalla volta scorsa stiamo dando una sbirciatina al Finnegans Wake di Joyce (ce ne sono altri?). Abbiamo notato alcune coincidenze con lo stile grottesco di Rabelais: la passione per le liste e per le parole modificate (metaplasmi, cfr. Qc#17).

Le liste. I cataloghi, come testimoniano quelli biblici e quelli omerici, nacquero come registri (di mercanzie, di soldati, di nascite e morti), ma il Medioevo di Rabelais li usava, sotto forma di erbari, bestiari, manuali &c., per dare ordine al mondo. L’accumulo per enumerazione di elementi eterogenei si confaceva al gusto medievale per la meraviglia, che non distingueva fra il bello e il bizzarro (Eco, 1986). La lista eclettica è una manna per scrittori come Rabelais e Joyce poiché l’abuso torrenziale di elenchi parodia il sapere enciclopedico e la pedanteria degli eruditi; sbeffeggia sin dall’aspetto grafico due qualità che rendono bello un testo di stile tradizionale, l’integrità e l’armonia; è il mezzo più immediato per fare una caricatura satirica del proprio tempo, dato che il catalogo di elementi eterocliti sabota i codici della propria epoca; infine poiché infonde una gioia infantile nel lettore, come si può verificare leggendo l’elenco dei titoli del “mamafesta” di Anna Livia Plurabelle: “The Augusta Angustissimost for Old Seabeastius’ Salvation, Rockabill Booby in the Wave Trough, Here’s to the Relicts of All Decencies, Anna Stessa’s Rise to Notice, Knickle Down Duddy Gunne and Arishe Sir Cannon, My Golden One and My Selver Wedding, Amoury Treestam and Icy Siseule, Saith a Sawyer til a Strame, Ik dik dopedope et tu mihimihi, Buy Birthplate for a Bite, Which of your Hesterdays Mean Ye to Morra? Hoebegunne the Hebrewer Hit Waterman the Brayned, Arcs in His Ceiling Flee Chinx on the Flur, Rebus de Hibernicis, The Crazier Letters, Groans of a Britoness, Peter Peopler Picked a Plot to Pitch his Poppolin…” (prosegue così per altre due pagine e mezzo); e come si rileva dal brano dove Rabelais, raccontando della pugna fra macedoni e corinzi, ci informa che “gli uni forbivano corsaletti, lucidavano corazze, ripulivano bardature, frontali, cotte, brigantine, celate, baviere, cappelline, bipenni, elmi, morioni, maglie, cotte, bracciali, cosciali, ascellette, gorgerine, gambali, pettorali laminati, usberghi, palvesi, scudi, calzari, gambiere, solerette, sproni. Gli altri apprestavano archi, fionde, balestre, proiettili, catapulte, falariche, granate, recipienti, cerchi e lanciafuochi, baliste, scorpioni, e altre macchine belliche per respingere e distruggere le torri d’assedio; aguzzavano ronche, picche, rampiconi, alabarde, ramponi, lance e zagaglie, forconi ferrati, partigiane, clave, azze, dardi, dardelli, giavelline, giavellotti, spiedi; affilavano scimitarre, spadoni, pafurti, spade, verdunesi, stocchi, pistole, aste, daghe, mendozine, pugnali, coltelli, lame, verrettoni”. Sono spassi innanzitutto sonori.

I metaplasmi. FW pullula di pun (giochi di parole sugli omofoni e sugli omonimi), segmentazioni, parole-valigia alla maniera di Lewis Carroll (Lewd’s carol in FW, con allusione alla sua passione per le bambine), e sciarade, una decina delle quali sono di 100 lettere, stanno per “tuono”, e segnalano momenti epocali: per esempio, ba babadalgharaghtakammi narronnkonnbronntonner ronntuonnthunntrovarrhou nawnskawtoohoohoordenen thurnuk! segnala la caduta di Adamo ed Eva: dentro ci troviamo, dopo il riferimento iniziale alla torre di Babele, la traduzione di “tuono” in varie lingue (ungherese, hindu, arabo, giapponese, finlandese, greco, francese, italiano, inglese, portoghese, svedese, danese, irlandese), e l’italiano “camminarono”. La sciarada più simpatica, per me, resta sempre “moocow”, all’inizio di “Ritratto di un artista da giovane”: unisce moo (il muggito) e cow (la mucca), e il suo suono evoca di proposito “mucca”. In FW mi fanno molto ridere i metagrafi di sostituzione omofonica (“Who ails tongue coddeau, aspace of dumbillsilly?” per “Où est ton cadeau, espèce d’imbécile?”).

Le allitterazioni. Rabelais e Joyce componevano a orecchio, seguendo assonanze e ritmi, sicché entrambi avevano anche il gusto per l’allitterazione, cioè per la ripetizione rilevante di consonanti (“from swerve of shore to bend of bay”) e di vocali (“a way a lone a last a loved”). Le allitterazioni danno una colorazione irlandese all’inglese di FW: “Tilling a teel of a tum, telling a toll of a teary turty Taubling”, “It made ma make merry and sissy so shy and rubbed some shine off Shem and put some shame into Shaun”, “Are we speachin d’anglas landadge or are you sprakin sea Djoytsch?”, “Totalled in toldteld and teldtold in tittletell tattle” (Lemos, 2010). Quando Joyce correggeva il testo durante la stesura, l’allitterazione era la sua strategia principale: “After the whole beanfest”diventa “after the same barbecue” e infine “after that same barbecue beanfest”. L’uso dell’allitterazione è molto simile a quello delle parole-valigia. Una differenza è tecnica: barbecue e beanfest non potevano essere fuse insieme, come invece accade per penisulate, che collega pen, penis, isolate e peninsular, la parola che appare nella prima versione (Franco, 1995). L’altra differenza è che l’allitterazione evoca analogie, essendo l’effetto onomatopeico condizionato dal significato delle parole (Attridge, 1988), mentre le parole-valigia, come gli altri metaplasmi, fanno detonare la denotazione. FW è un divertente chaosmos (chaos + cosmos) con cui l’irlandese Joyce punisce l’inglese oppressore rendendolo straniero rispetto alla sua stessa lingua. “Punire”, spiega Lemos (2010), “è una parola ‘ambiviolenta’” (FW 518.2): è ostile, ma contiene il gioioso pun. “How will you pun? You punish me?” (Ulysses, 361).

(82. Continua)

Kabul, continuano i rapimenti. Ucciso dottore-icona Alemi

Lo psichiatra Mohamed Nader Alemi lavorava all’ospedale provinciale di Mazar-i-Sharif, dove è stato rapito due mesi fa. I rapitori hanno chiesto un riscatto di 350mila dollari per il suo rilascio. Nonostante il pagamento sia avvenuto, i criminali lo hanno torturato e ucciso lasciando il suo corpo in strada. Sotto il precedente governo, sostenuto dagli Stati Uniti, la criminalità era aumentata, insieme ai frequenti rapimenti a scopo di riscatto, che avevano spinto diversi uomini d’affari a fuggire dall’Afghanistan.

Questi crimini non sono cessati quando i talebani hanno preso il potere. “L’Emirato Islamico è impegnato a trovare e punire i colpevoli” ha detto il portavoce del ministero dell’Interno talebano, Saeed Khosty, che ha affermato che le forze islamiste hanno arrestato otto sospetti rapitori del dottore.

“Respiro”, i diari boliviani di Di Battista

“Respiro, racconti boliviani di Alessandro Di Battista” è un documentario in tre puntate realizzato da Loft Produzioni e pubblicato in esclusiva per TvLoft (disponibile su www.tvloft.it , app e smart tv). La prima puntata sarà disponibile da domani.

Dopo mesi di lockdown avevo bisogno di concentrarmi su temi e argomenti che non fossero solo la pandemia. Volevo analizzare altre tragedie del presente e nuove opportunità per il futuro. Avevo bisogno dell’America latina, un continente vitale come non mai e che non smette di lottare. Avevo bisogno di discorsi lenti, di lotte sociali, di incontrare le popolazioni indigene del bacino amazzonico. Avevo bisogno di respirare sebbene la Bolivia non sia un Paese dove è semplice farlo. L’altitudine ti mozza il fiato così come le bellezze del sud Lipez o della Cordillera real, così come le drammatiche condizioni di vita dei minatori di Potosì. La Bolivia è uno dei Paese più poveri al mondo. La Paz, e soprattutto El Alto, l’immensa città aymara a 4000 metri d’altitudine, sono luoghi dove il progresso e la speranza vanno a braccetto con la miseria. Ancora oggi decine di migliaia di minatori si spaccano la schiena e rischiano la vita per mantenere le proprie famiglie. Ma forse qualcosa potrebbe cambiare grazie al litio, il carburante del prossimo secolo. Con 21 milioni di tonnellate stimate solo al di sotto del Salar de Uyuni, la Bolivia è il Paese con la più grande riserva al mondo di litio. Il che lo mette, oltretutto, al centro della guerra geo-politica dei prossimi 50 anni. Chissà come verrà combattuta la guerra per il controllo dell’oro bianco. Quella per l’oro nero, il petrolio, ha causato morte, profughi e destabilizzazione. In Venezuela, primo paese al mondo per riserve petrolifere, si cerca di imporre un cambio di governo da 20 anni. Proprio da quando Chavez ha nazionalizzato l’industria petrolifera. L’Iraq, terza riserva al mondo, è stato bombardato per anni. L’Iran, quarto al mondo, è al centro della nuova guerra fredda. La Libia, nono per numero di barili, è un Paese in guerra civile, da quando si decise, con la scusa dei diritti umani, di buttare giù Gheddafi. Nel 2020, in Bolivia, ha vinto di nuovo il Mas, (Movimento al Socialismo), e l’ex ministro dell’Economia Luis Arce è diventato Presidente. Arce sta portando avanti le stesse politiche del suo predecessore Evo Morales: nazionalizzazioni, sovranità energetica e collaborazione con la Cina. Tutto questo racconto in Respiro, il documentario in tre puntate che ho realizzato per TvLoft. L’ho chiamato così perché tutto, in Bolivia, ha a che vedere con il respiro. Il respiro affannoso dei minatori, il respiro che si trattiene sulle strade delle Ande, il respiro dell’Amazzonia, la foresta che mantiene in vita il mondo. Una foresta abitata da popoli ai quali dovremmo esser grati perché lottano per custodirla e, in un certo senso, ci permettono di respirare.

Boric il rivoluzionario sfida la destra di Kast

Poche ore prima che venissero aperte le urne dove oggi i cileni sceglieranno chi andrà al ballottaggio alle prossime elezioni presidenziali, cento intellettuali sudamericani hanno sottoscritto una lettera pubblicata dal quotidiano El Mercurio per chiedere “la fine dell’era del caos”, che nei corridoi della politica di Santiago dura da almeno due anni, e per sottoscrivere un “patto di convivenza sociale” che escluda per sempre il ricorso alla violenza. Quelle di oggi sono le elezioni più polarizzate che il Paese ricordi: i candidati favoriti si agitano agli estremi opposti della scena politica cilena, sono “i due politici più estremisti” dalla fine dell’era Pinochet, ha detto l’ex governatore della banca centrale José De Gregorio. Sono Gabriel Boric, della sinistra radicale, che a 35 anni è il più giovane candidato alla presidenza della storia del Paese, e il destrorso Jose Antonio Kast, che ha vent’anni in più.

Il primo è un barbudos che ha cominciato a ottenere credibilità di “duro e puro” da quando guidava i movimenti studenteschi durante le proteste del 2011: adesso ai comizi promette di seppellire i neoliberali e le disuguaglianze sociali. L’altro è una vecchia volpe che abita le dinamiche della destra cilena dall’era del regime. L’ultraconservatore Kast, fondatore del partito nazionalista repubblicano, è oggi la testa d’ariete della coalizione del Fronte sociale cristiano. Vuole concedere libertà solo al mercato, a chi vuole tagliare le tasse e “ripristinare l’ordine”: promette invece che l’orizzonte dei diritti rimarrà chiuso. Padre di nove figli, è contrario all’aborto, ai matrimoni omosessuali e ai migranti che arrivano a migliaia dal Venezuela. Le dittature sono nel suo album di famiglia, fanno parte della storia della sua dinastia e gli ispirano una furente nostalgia: suo padre era un ufficiale nazista, suo fratello un ministro di Augusto Pinochet.

Secondo l’istituto di sondaggi Cadem, è comunque lui il favorito al primo turno con il 21% delle preferenze: Boric raggiunge solo il 20% dei consensi. Molto più in basso nella rosa degli sfidanti c’è Yasna Provoste, volto di socialisti e democristiani, che supera di qualche punto Sebastian Sichel, il ministro conservatore per lo Sviluppo sociale del governo Pinera. La vittoria, nello Stato che si è arroccato ai suoi poli più opposti, la sanciranno gli indecisi: sono il 25%.

Tra l’aspirante caudillo e il rivoluzionario cresciuto nelle piazze ribelli dovranno scegliere adesso quindici milioni di cileni. Migliaia di loro erano per le strade durante l’estallido social, “lo scoppio sociale”: le manifestazioni invasero le strade quando il governo provò ad aumentare il costo biglietti della metro della Capitale, ma la gioventù ci mise poco ad esplodere anche contro l’ineguaglianza economica diffusa, la disoccupazione e lo stesso governo Pinera, travolto da accuse di corruzione e frode. Sulle spalle del presidente che se ne va, grava l’impopolarità, (il 79% dei cittadini non lo appoggia), ma anche il fantasma dell’impeachment da cui lo ha salvato il suo Senato quando è stato accusato, dopo lo scandalo dei Panama Papers, di appropriazione indebita: almeno 152 milioni di dollari li ha guadagnati la sua famiglia grazie a una vendita illegittima di una miniera. Piñera finirà il suo mandato a marzo e non potrà ricandidarsi. Lo dice la Costituzione cilena, che però andrà cambiata: risale all’epoca del sangue e delle violenze di Pinochet. Un nuovo testo costituzionale entrerà in vigore nel 2023, quando chiunque siederà a La Moneda, palazzo della residenza presidenziale, sarà comunque la faccia vecchia di un’epoca finalmente nuova.

Giovani inglesi convertiti più dai neonazi che dagli islamisti

L’estremismo di destra ha superato per la prima volta il radicalismo islamico come prima causa di segnalazione a Prevent, il programma di prevenzione del terrorismo del governo britannico, secondo dati forniti dall’Home Office, il ministero degli Interni. La differenza è notevole: nel 2020/21 le segnalazioni di rischio di radicalizzazione islamista sono state 1.064, contro le 1.229 di ideologie di estrema destra. Il volume totale è calato dal 2015, quando le denunce erano state quasi 6.000. Ma allora era l’islamismo radicale a dominare, con 4.997 casi.

A vigilare e avviare l’intervento di Prevent sono per oltre il 36% le forze dell’ordine, seguite da insegnanti ed educatori e, infine, dai servizi carcerari, nel caso di radicalizzazione durante periodi di detenzione. Nel 2013, i neofascisti erano il 6% del detenuti per terrorismo. Nel 2020 sono saliti al 20%. Il reclutamento avviene attraverso canali tradizionali, ma anche via social (specie Telegram) e nelle scuole: in uno studio dell’University College London Institute of Education, i docenti hanno raccontato di aver ascoltato, in aula, studenti di scuole superiori esprimere opinioni riconducibili a idee di estrema destra, come suprematismo bianco, islamofobia, razzismo, misoginia e antifemminismo.

L’isolamento da lockdown sembra aver incrementato la radicalizzazione online. Secondo i ricercatori della Ong antirazzista Hope not Hate, uno dei temi che più favoriscono il reclutamento fra i giovanissimi è l’avversione per i diritti delle persone trans, viste come minaccia all’integrità della famiglia tradizionale e della percepita supremazia gerarchica dell’uomo bianco. Il fenomeno è monitorato con allarme da antiterrorismo e intelligence ormai da qualche anno: lo scorso settembre, il direttore regionale dell’MI5, Ken McCallum, aveva dichiarato come la presenza di adolescenti stesse aumentando nei casi relativi al contrasto al terrorismo, in particolare nelle indagini sulla destra estrema.

Quello dell’adesione a formazioni neo-fasciste è un fenomeno in rapido aumento nel Regno Unito: oggi i più attivi sono gli ultra-nazionalisti Patriotic Alternative,The British Hand, The White Rose, oltre allo storico British National Party, e gli anti-islamici For Britain Only e Identitatian Movement, mentre Britain First è appena stato autorizzato dall’Electoral Commission a ri-registrarsi ufficialmente come partito, malgrado il suo leader, Paul Golding, sia stato condannando per terrorismo e incitazione all’odio razziale.

Il giorno della rabbia Usa. Assolto il “killer bianco”

Il verdetto di Kenosha, con l’assoluzione dell’adolescente bianco che la sera del 25 agosto 2020 uccise a colpi d’arma da fuoco due manifestanti bianchi anti-razzisti, “mette a nudo le divisioni dell’America”. Il titolo del Washington Post vale per le proteste che attraversano l’Unione da est a ovest, da New York a Oakland, con epicentro a Portland nell’Oregon, capitale del movimento Black Lives Matter; e anche per le reazioni dei politici. I democratici radicali soffiano sul fuoco della contestazione; Trump si congratula con l’assassino “non colpevole”. In mezzo, il presidente Joe Biden parla il linguaggio della moderazione: “Il verdetto di Kenosha lascia molti americani arrabbiati e preoccupati, me incluso, ma la giuria ha parlato” e le sentenze vanno rispettate.

Del resto, fin quando sarà legale che un ragazzo di 17 anni parta da casa sua nell’Illinois armato d’un fucile d’assalto AR-15 per andare a contro-manifestare in Wisconsin; o che gli anti-razzisti contestino il verdetto fuori dal Palazzo di Giustizia di Kenosha tenendo in bella vista le loro armi; “ci saranno altri casi come questo”, avverte Janine Geske, una ex giudice suprema del Wisconsin. Le proteste più vibrate ci sono state a Portland: centinaia di manifestanti in strada, vetrine infrante, lancio di oggetti contro i cordoni di polizia. Le autorità denunciano un “comportamento violento e distruttivo da parte di una fetta significativa della folla”. Prima della mezzanotte, però, la situazione s’è acquietata.

A Brooklyn, centinaia di persone hanno marciato in modo pacifico fino al ponte sull’East River: non ci sono stati episodi di violenza né arresti. Analoga scena a Oakland, in California: un centinaio di persone marciavano scandendo “Rivoluzione nient’altro”, senza intemperanze. Il presidente Biden cerca di gettare acqua sul fuoco: invita tutti a esprimersi pacificamente, “coerentemente con lo Stato di diritto. Violenza e distruzione della proprietà non hanno posto nella nostra democrazia”, sottolinea, assicurando al governatore del Wisconsin Anthony Evers “qualsiasi assistenza necessaria per garantire sicurezza pubblica”.

Biden ricorda: “Ho corso con la promessa di riunire l’America, perché credo che ciò che ci unisce è di gran lunga maggiore di quello che ci divide. Non guariremo le nostre ferite da un giorno all’altro, ma resto saldo nell’impegno di fare quanto posso per garantire che ogni americano sia trattato equamente, con correttezza e dignità, secondo la legge”.

Più aspra la reazione della sua vice Kamala Harris, afroamericana per parte di padre, ex magistrata: “Ho speso gran parte della mia carriera lavorando per un sistema penale più equo, e chiaramente c’è ancora molto da fare”. Delusi i democratici radicali: “È un sistema che protegge quelli per i quali è stato ideato”, commenta la deputata di New York, Alexandria Ocasio-Cortez. La sentenza, in realtà, non è stata sorprendente, specie dopo la testimonianza di Gaige Grosskreutz, 27 anni, il ferito sopravvissuto alla tragica sparatoria: ha ammesso di avere puntato lui per primo l’arma su Rittenhouse, che a quel punto sparò. Altri testi hanno fornito indicazioni contrastanti, per quanto riguarda le due persone uccise, Joseph Rosenbaum, 36 anni, e Anthony Huber, 26.

“Se non è legittima difesa questa, non c’è più legittima difesa”, dice Trump. Alcuni congressman repubblicani sono pronti a dare un posto da stagista a Rittenhouse, parso in aula un bamboccione emotivamente fragile, ma ormai divenuto un’icona dell’estrema destra suprematista e razzista, oltre che un testimonial della persistenza negli Usa della legge del Far West. Il processo è stato orientato dal giudice Bruce Schroeder, 75 anni, che ha simpatizzato per la difesa, rifiutandosi di considerare Rosenbaum e Huber “vittime” perché non erano passanti, ma partecipavano alle violenze.

Quella notte era stato proclamato il coprifuoco, ma non bastò a sedare affrontamenti, con i vigilantes bianchi a spalleggiare la polizia. La sentenza era scontata, o quasi, dopo la testimonianza di Grosskreutz. E le cronache avevano fin dall’inizio riferito di una notte di violenza da ambo le parti a Kenosha, dove Black Lives Matter protesta per il ferimento di Jacob Blake, un afroamericano di 23 anni, cui la polizia aveva sparato sette colpi alla schiena e che è rimasto paralizzato dalla vita in giù. La protesta prese una piega quasi insurrezionale: incendi, saccheggi, devastazioni; e divenne un tema della campagna elettorale, con i candidati a fare passerella nella cittadina del Wisconsin.

Uil Sicilia: via il segretario, arriva la moglie

Chi è appassionato al tema del ricambio nella classe dirigente, potrebbe trovare interessante sapere che il prossimo 7 dicembre, dopo ventuno anni, la Uil Sicilia cambierà il suo segretario generale. C’è solo un problema: a succedere a Claudio Barone, in carica dal 2000, sarà sua moglie Luisella Lionti, anche lei sindacalista di lungo corso e attuale segretaria organizzativa regionale. Al “termine” di un regno sopravvissuto a cinque congressi, sta per realizzarsi un avvicendamento in famiglia. Il marito lascia, la consorte sale al vertice.

Doverosa premessa: la procedura avverrà in maniera del tutto regolare e conforme allo statuto. Si riunirà il consiglio confederale a livello territoriale e i delegati voteranno il nome della nuova segretaria, che sarà per la prima volta una donna nella storia della Uil siciliana. Si prevede una approvazione con maggioranza molto ampia, anche perché in genere nei sindacati si evita di scegliere i leader facendo la conta all’ultimo voto; una vittoria risicata sarebbe la plastica dimostrazione che l’organizzazione è lacerata all’interno dalle correnti.

Liberato quindi il campo da ipotetici vizi di forma, resta il profilo dell’opportunità. E su questo il segretario Barone ammette che la situazione è quantomeno “delicata”, ma poi non ha dubbi: “Mia moglie – spiega – è segretario organizzativo da 14 anni, milita da più di trenta, è un dirigente sindacale più che conosciuto, ha gestito direttamente alcune province, ha portato a termine situazioni complesse come i commissariamenti ad Agrigento, Messina e Siracusa”.

Il ragionamento alla base è che la “riconosciuta bravura” di Luisella Lionti, giudizio evidentemente condiviso nel sindacato, è sufficiente a mettere da parte l’imbarazzo creato da una moglie che prende il posto del marito alla testa di un’organizzazione che ha retto per. Del resto, fa notare sempre Barone, “siamo di fronte a un segretario organizzativo che diventa segretario generale, una successione che rientra nelle dinamiche classiche”. E che, tuttavia, dimostra pure che il ruolo svolto da Lionti in questi anni al fianco di suo marito abbia in qualche modo favorito questa ascesa.

C’è una critica che spesso investe i sindacati italiani, non solo la Uil, quella di essere barricati nelle proprie strutture burocratiche e di essersi nel frattempo persi le nuove generazioni. “Vuole sapere se questa operazione rischia di allontanare di più i giovani? – riflette Barone – Tutto il contrario, il consenso di mia moglie è ai massimi proprio nelle federazioni che rappresentano il commercio o i lavoratori atipici, dove l’età media è più bassa”.

Negli anni passati aveva fatto discutere il fatto che il figlio dell’ex segretario nazionale Carmelo Barbagallo, oggi capo dei pensionati, lavorasse per Formatemp, il fondo per la formazione in favore dei lavoratori in somministrazione partecipato dagli stessi sindacati oltre che dalle associazioni datoriali. Anche allora il principale argomento difensivo era lo stesso: non si può essere discriminati in quanto figli di qualcuno.

Alitalia, il governo tiene segrete le richieste dell’Ue

Il decreto legge Infrastrutture, approvato in via definitiva il 4 novembre, contiene all’articolo 7 le norme che hanno permesso a metà ottobre il trasferimento delle attività della vecchia Alitalia alla nuova compagnia Ita e dunque il suo decollo. Esso ha imposto ai Commissari di Alitalia di adeguarsi alla decisione con cui la Commissione europea ha dato il via libera a Ita e ha disposto il passaggio a trattativa diretta dei soli beni aziendali desiderati da Ita, senza che con essi fosse trasferito in automatico anche il relativo personale. In sostanza è grazie alle norme del decreto che la nuova azienda ha potuto selezionare in autonomia il personale – in deroga a precise norme generali, sia italiane che comunitarie – e pescare a suo piacere tra gli asset di Alitalia, lasciando all’amministrazione straordinaria oltre ottomila dipendenti in cassa integrazione e molti asset inutilizzabili.

Nel testo della norma questi permessi a Ita di fare quello che voleva risultano essere basati sulla decisione del 10 settembre della Commissione Ue, che tuttavia non è ancora pubblica e non è stata trasmessa dal governo alle Camere neppure in via riservata, imponendo in conseguenza ai parlamentari di approvare la norma senza poterla modificare, dato che il governo ha posto la fiducia. In sostanza deputati e senatori sono stati obbligati a deliberare senza conoscere, una condizione spiacevole, non rispettosa delle prerogative del Parlamento e neppure conforme alle regole della produzione legislativa.

A seguito di questa vicenda, il presidente della Camera, Roberto Fico, ha scritto nei giorni scorso al presidente del Consiglio, Mario Draghi, evidenziando l’anomalia di quanto avvenuto: “Deputati di diversi Gruppi parlamentari hanno rilevato come questo ramo del Parlamento abbia dovuto deliberare su una questione complessa e delicata, come quella disciplinata dall’articolo 7, comma 2, del provvedimento, senza avere piena conoscenza delle cruciali prescrizioni della Commissione europea in materia”.

La lettera, resa nota dalle agenzie di stampa, così prosegue: “Ritengo opportuno rammentare che, ai sensi dell’articolo 14, comma 3, della legge n. 234 del 2012, quando una decisione in materia di aiuti di Stato o una procedura d’infrazione avviata nei confronti dell’Italia è posta ‘alla base di un disegno di legge d’iniziativa governativa, di un decreto legge o di uno schema di decreto legislativo sottoposto a parere parlamentare, nonché in ogni altro caso, su richiesta di una delle due Camere, il presidente del Consiglio dei ministri o il ministro per gli Affari europei comunica alle Camere le informazioni o i documenti relativi a tali atti’. In base al comma 5 del medesimo articolo, il governo può raccomandare l’uso riservato delle informazioni e dei documenti così trasmessi”.

In sostanza, contrariamente a tutti i casi precedenti, in cui decisioni dell’Ue non pubbliche sono state trasmesse alle commissioni parlamentari in via riservata, questa volta non è stato fatto e la mancanza è particolarmente grave se si considera che l’intera decisione è destinata a divenire pubblica, con la sola esclusione di parti che solo i governi nazionali possono chiedere che restino riservate. Anzi avrebbe già dovuto esserlo dalla fine di settembre dato che il tempo concesso per la richiesta di cancellature è di quindici giorni lavorativi, trascorsi i quali la Commissione è autorizzata alla pubblicazione integrale. Ad esempio il provvedimento autorizzativo degli aiuti di Stato al gruppo Lufthansa, emanato dalla Commissione europea il 27 ottobre 2020, fu tempestivamente pubblicato il 20 novembre successivo.

Poiché il responsabile dell’occultamento della decisione su Ita è solo il governo italiano, gli addetti ai lavori del settore aereo se ne chiedono le ragioni. Se vogliamo pensar male, seguendo il consiglio di un importante politico della Prima Repubblica, dobbiamo forse ipotizzare che non tutte le decisioni su Ita e su Alitalia siano della Commissione europea, ma risulti conveniente farlo credere? Il tempo è destinato a svelarcelo.

Tim: “Rischiamo 40 mila esuberi”. I sindacati contro il governo

Le grandi manovre ai vertici di Tim, ormai pubbliche, hanno finalmente portato uno dei grandi non detti della Repubblica allo scoperto: l’ex monopolista, senza la rete unica verticalmente integrata nella società, rischia di dover passare per una ristrutturazione dolorosissima: “Si rischiano 40mila esuberi”, ha detto sparando alto Fabrizio Solari della Slc Cgil (praticamente l’intera forza di lavoro di Tim). Poi lo stesso Solari coi colleghi di settore di Cisl e Uil ha reso pubblica una lettera inviata al ministro Giancarlo Giorgetti che è un duro attacco al governo, che in silenzio sta affossando la rete unica: “Si va profilando l’ennesimo affossamento dell’ex monopolista. Un’azienda che aveva basato il proprio piano di rilancio industriale su un progetto infrastrutturale condiviso dal governo vede ora rimesso tutto in discussione per il repentino e a oggi tutt’altro che chiaro cambio di impostazione dell’esecutivo. C’è in gioco la tenuta occupazionale di Tim con il rischio di migliaia di esuberi e la tenuta di tutto il settore Tlc”.

Cosa è successo? Come Il Fatto ha scritto domenica 7 novembre, l’ad Luigi Gubitosi è ormai quasi un ex: Vivendi, primo azionista di Tim col 24%, lo vuole fuori, scontenta dei conti della società. La novità più recente è che l’offensiva decisiva per la sostituzione del manager sembra partita: la gran parte dei consiglieri d’amministrazione ha chiesto una riunione straordinaria venerdì con una lettera che prefigura di fatto la cacciata di Gubitosi, ma lancia anche un preoccupante segnale ai mercati. I nodi, insomma, stanno venendo al pettine, a partire dall’insostenibilità del piano industriale, specialmente senza la grande operazione di sistema della rete unica (da qui la necessità di sfoltire il personale). Neanche la volontà del governo di favorire la cordata di Tim nella gara per il cloud pare aver cambiato le intenzioni dei francesi, che hanno chiuso il lungo contenzioso con Mediaset e ora vogliono tornare a contare dentro l’ex monopolista.

Mail Box

 

Come al solito, Rainews continua a censurarci

Noto che il nostro giornale su Rainews 24, nella trasmissione delle 23 sulla rassegna stampa, viene continuamente censurato e taciuto. Sempre in primis: Corriere, Repubblica e Stampa; il Fatto, invece, non viene mai letto. Bella censura. Altro che paese delle libertà: la Rai che censura chi non è allineato. Si può far a loro presente questa ingiustizia verso i lettori del Fatto, che pagano anch’essi per il canone?

Adriano Guarnieri

 

Caro Adriano, condivido tutto, tranne lo stupore: mi meraviglierei del contrario.

M. Trav.

 

Bob Aggiustatutto: soldi a chi non si dà malato

Visto come si risolve a Roma il problema della monnezza? Premiando chi non si dà malato. A breve verrà risolto quello degli autobus: premio a chi non li brucia. E poi anche quello dei cassonetti: un grosso premio ai piromani! La Raggi evidentemente non aveva capito niente. Comunque, a venti giorni dalla nomina, nessun incendio né di autobus né di cassonetti. A me sorge un dubbio: che siano stati gli alleati di governo?

Alessandro Sparvoli

 

La neodirettrice del Tg1 è a capo della Trilateral

Nella tornata delle ultime non-meritocratiche nomine lottizzate della Rai, è passato sotto silenzio un dettaglio di un certo rilievo. La neodirettrice del Tg1 Monica Maggioni è anche presidente della Trilateral Italia, un’organizzazione la cui attività è segreta. Non credo possa accadere in alcun servizio pubblico europeo.

Giovanna Lembo

 

Tutte le mezzecalzette contro Giuseppe Conte

Non è possibile condividere gli argomenti strumentali che ci vengono inflitti in queste ore contro il Movimento a proposito della questione delle nomine lottizzate in Rai. In breve, a Conte si contestano i seguenti demeriti, va da sé non perdonabili: non aver fatto abbastanza per contrastare questa logica spartitoria delle nomine al tempo dei suoi due governi, e del lamentarsi per essere stato escluso dall’attuale spartizione (alla quale, si dà per scontato, avrebbe partecipato molto volentieri). Trovo entrambi gli argomenti inaccettabili. Purtroppo, e per fortuna, l’avvocato è un tipo “geneticamente” onesto e tendenzialmente sincero, e ciò lo espone agli attacchi di tutte le mezzecalzette assortite (politicanti e giornalisti) che ormai affollano la scena pubblica. Mi auguro sinceramente che non lo obblighino ad adeguarsi, perché sarebbe davvero il tramonto di ogni residua speranza di riscatto.

Patrizia Cozzolino

 

La quarta ondata tocca anche i vaccinati

Il governo, le autorità sanitarie, l’informazione mainstream ci dicono che la curva epidemica sale perché ci sono pochi vaccinati e la responsabilità della diffusione della malattia è dei non vaccinati, quindi occorre agire su questi e premiare i vaccinati. Ma siamo sicuri che ciò sia vero? Le cause dell’aumento dei positivi al coronavirus sono molto più complesse secondo il parere di due scienziati, Alexander Kekulé, epidemiologo e virologo tedesco, e Mariano Bizzarri, oncologo docente alla Sapienza. Kekulé, nell’intervista al Corriere del 9 novembre, considera la sottovalutazione dei vaccinati diffusori come la causa principale per la falsa sicurezza d’immunità, poi il basso tasso di vaccinazione, lo scarso uso di mascherine, le manifestazioni senza misure di controllo, senza test e distanziamento. Anche Bizzarri, in una conferenza al Senato del 6 ottobre, conferma la contagiosità dei vaccinati e dice anche, contrariamente a quanto si ritiene, che la curva epidemica dei contagi non è correlata con lo stato di vaccinazione della popolazione. In effetti, anch’io avevo notato che, mesi fa, quando il Regno Unito e Israele erano i posti più vaccinati, c’erano picchi di 50mila positivi in nel primo Paese e 10mila nel secondo, come se con l’aumento dei vaccinati si diffondesse la malattia. E anche adesso, in Italia, si dice che stiamo ritornando ai contagi di maggio, eppure siamo molto più vaccinati. Come mai? Ho controllato il tasso di vaccinazione, il numero di contagi e i decessi di tutti i Paesi europei in un giorno qualunque, tipo il 17 novembre, ed effettivamente ho constatato che non c’è un rapporto fra il tasso di vaccinazione e i contagi. Se quanto dicono i due scienziati è vero, e io credo lo sia, la strategia che si sta attuando, premiare i vaccinati e criminalizzare e isolare i non vaccinati con il Green pass, è sbagliata e fallimentare perché non ci sono colpevoli ma un virus che si diffonde tra vaccinati e non vaccinati, con l’unica differenza che i primi si ammalano di meno ma diffondono il contagio, e i secondi si ammalano più gravemente e finiscono più spesso in ospedale.

Ireo Bono