A Padova le sculture crescono nell’orto, a Merano gli uccelli intonano Liszt

Quando ero bambino, all’Orto Botanico di Padova (uno dei più antichi del mondo) si entrava per una passeggiata pagando poche lire, e nelle serre ottocentesche poeticamente délabrées andavo sempre a vedere le piante carnivore che chiudevano le foglie sul ditino.

Oggi l’ingresso vale 10 euro, e tutto è musealizzato e modernissimo: in quelle serre è ospitata una personale dell’artista ceco Krištof Kintera (How Nature Works, fino al 9.01), tesa a riflettere – a pochi passi dalla palma secolare sotto cui Goethe concepì le sue teorie botaniche – sui punti di contatto e di frizione tra il mondo artificiale della tecnologia e quello della natura. Un tappeto di transistor, fili, schede madri e circuiti dà quasi l’impressione di una città lillipuziana o di un prato di materiale organico pronto a crescere e prosperare; quelli che sembrano fiori e arbusti allineati nelle serre si rivelano in realtà sculture, fatte di scarti e materiali di reimpiego, oziosi scampoli di un erbario prodotto con scalpello e fiamma ossidrica nell’affascinante e terribile Laboratorio post-naturale. Ma se questa prevalenza quasi scherzosa dell’antropocene sembra alludere al problema ecologico anche dall’angolo del “recupero” e del “paesaggio artificiale”, altrove vi è chi muove in una direzione opposta. Nel video Mimesis as Resistance, Kader Attia mostra come l’uccello-lira australiano sia capace di imitare tutti i suoni del mondo circostante, tra i quali motori, seghe elettriche, sirene di allarme: i gorgheggi dei pennuti che riproducono i rumori antropici dialogano con il video di Annika Kahrs in cui un pianista suona la Predica di San Francesco di Liszt dinanzi a un partecipe pubblico di uccelli veri e propri. Questo confronto ideale è il vertice della deliziosa mostra The Poetry of Translation alla Galerie KunstMeran (fino al 13.02), vertice in senso proprio, visto che siamo all’ultimo piano di un labirintico e suggestivo terra-tetto che si apre sui portici della città. Non è qui solo questione di voci naturali: nell’Alto Adige lacerato dal problema linguistico, il problema del tradurre e del capirsi viene esplorato anche sul piano umano.

 

Ci vuole coraggio a rifare l’“Amleto”

Amleto di William Shakespeare è l’opera più incrostata della storia del teatro: è stata leggiucchiata, orecchiata, vista, rivista – non solo sul palcoscenico – così tante volte, in così tanti secoli, che è difficile uscire dal seminato codificato, dalla “trappola per topi”, dalla formuletta cristallizzata per cui il principe di Danimarca è solo una vittima, pensosa e sensibile.

Eppure, per vendicarne uno ne ammazza parecchi, il giovinastro: sono otto i cadaveri a fine tragedia. Eppure, tutto intorno a lui è marcio e mortifero, “una prigione”: come può Amleto uscirne lindo e innocente? Perché non credergli quando ammette di essere “cattivo”, o quando altri lo criticano perché “è puerile indugiare nel lutto”? Perché dar credito alla sua recita, per cui da lucido si finge pazzo? Chi ha le visioni non pare troppo sano di mente, né Amleto né l’amico Orazio, entrambi compagni di università a Wittenberg: lo studio fa male alle menti più fragili.

Il nuovo allestimento di Giorgio Barberio Corsetti al Nazionale di Roma ha un incipit metateatrale, felicissimo: Amleto entra dalla platea e sale in palco per recitare il celeberrimo monologo, “Essere o non essere…”. Non è l’unico strappo alla trama: anche altre scene – come l’arrivo della compagnia di comici – sono subito anticipate, e poi verranno ripetute nella loro collocazione originale. Orazio, il “testimone” della tragedia, sale alla ribalta col copione in mano: è una recita della recita, è chiaro. I personaggi avanzano in proscenio come in Pirandello; la didascalia luminosa (“Io ero Amleto”) cita l’Hamletmaschine di Müller e il fantasma di re Amleto – con bombetta e al guinzaglio – ha qualcosa di beckettiano. Purtroppo, però, quella di Corsetti è una promessa non mantenuta fino in fondo: la destrutturazione del testo regge per poche scene; la recita della recita si perde per strada, come Orazio col suo copione; il ritmo si dilata fino alla noiosa scena madre-figlio, più concitata che drammatica; troppe musichette; troppi cambi di scena; troppi controscena, quasi tutti con attori-fumatori.

“Amleto accoglie il pubblico in teatro, il suo e nostro teatro intimo, profondo, nascosto”, racconta il regista nelle note. “È solo sulla scena, che è lo spazio della sua mente”. Argh, eravano partiti così bene e poi si finisce sempre nello psicologismo… L’ottimo cast tuttavia viene in soccorso, scongiurando la “psicobanalisi” (© Maurizio Crozza) con tanta bella e fresca carne al fuoco: quella degli interpreti. In primis, l’esuberante Amleto di Fausto Cabra, sornione e rock; l’iperattiva Ofelia di Mimosa Campironi, che non conosce le mezze misure – o corre o niente, e si lascia annegare –; la lucidità stizzosa di Claudio-Michelangelo Dalisi, che riesce a trasmettere qualcosa di inedito di un personaggio solitamente dipinto, e liquidato, come disgustoso; il Polonio burlone e affettuoso di Bolo Rossini, fin bucolico giardiniere ai margini di una “marcia prigione”.

Anche grazie agli attori la tragedia non scolora in un dramma da cameretta e pigiama, con la numinosa traduzione di Cesare Garboli sempre sul punto di essere declamata come le poesie di Natale: ma no, non accade. Bravi tutti. Ci vorrebbe solo un po’ più di coraggio nel rileggere l’Amleto, rifarlo, ribaltarlo e – perché no – re-citarlo.

 

Amleto Adattamento e regia di Giorgio Barberio Corsetti Roma, Teatro Argentina, fino al 9 dicembre

“Hellbound”, dalla SudCorea arriva un’altra bomba (emotiva)

Il prologo non ha eguali nel panorama audiovisivo dell’anno: un ometto nervoso seduto in un caffè guarda compulsivamente l’orologio del telefono, finché tre creature demoniache comparse dal nulla non lo braccano, lo fanno a pezzi e lo inceneriscono, tra il moderato stupore dei cittadini di Seul che riprendono la scena con lo smartphone. Disponibile su Netflix, è la serie fantahorror Hellbound, sei episodi live-action che il regista Yeon Sang-ho, celebre per Train to Busan e Peninsula, ha tratto dal proprio omonimo webtoon di successo. L’origine è sudcoreana, il servizio streaming spera certamente di replicare, anche in sedicesimi, il successo di Squid Game, ma le analogie invero non si sprecano: Hellbound opta per la trascendenza, mostrando in contrappunto le debolezze e le aporie di una società costretta a fare i conti con l’inferno, e dunque con un Dio vendicativo, organizzazioni religiose che ci marciano, teorie complottistiche pervasive sui social, vigilantes e altri ammennicoli di una contemporaneità scorciata à la Black Mirror. Il colpo di scena ideologico è che il problema non è l’inferno, ma sartrianamente sono gli altri: una faccia grigia compare a qualcuno nel mondo decretandone la morte a breve o lungo termine – all’esecuzione si presteranno i tre demoni dalle sembianze di giganteschi e fumosi Golem – ma alla condanna concorrono in misura determinante la setta della Nuova Verità, guidata dal carismatico Jung Jin-soo (Yoo Ah-in, super), e ancor più gli “scissionisti” fascisti della Punta di Freccia. Grande è la confusione, e la connivenza, sotto il cielo, e potranno il detective vedovo e dolente Jin Kyung-hoon (Yang Ik-joon) e l’avvocatessa progressista Min Hye-jin (Kim Hyun-joo) porvi rimedio? Non solo l’idea del buon Yeon Sang-ho vellica determinismo e altre non facezie del (soprav)vivere qui e ora, dal Covid ai negazionismi, dal riscaldamento alle diseguaglianze globali, ma complici attori di valore, regia popolare con benefit autoriali e metronomo drammaturgico sapiente sa incollarci a una visione non peregrina con innegabile soddisfazione.

Applausi meritati, ma chi è senza peccato scagli pure la prima critica.

@fpontiggia1

A Venezia, la vita sfreccia veloce su un motoscafo

Quattro anni dedicati all’esplorazione dei ragazzi che sfrecciano per la laguna veneziana, immergendosi nella cosiddetta “religione del barchino”. Non poteva far diversamente Yuri Ancarani, cineasta e videoartista esperienziale “quotato” nel 2016 dal New York Times “fra i nove nuovi registi da conoscere”, quando ha immaginato un racconto audiovisivo sulla vita di questi baby-motoscafisti devoti solo al dio motore, sempre più potente e competitivo, cuore pulsante di un’esistenza superficialmente liquida, letteralmente e non.

Acclamato alla congeniale Mostra del cinema di Venezia, concorso Orizzonti, Atlantide è l’utopia terraquea di Daniele, ossuto giovane di Sant’Erasmo, livoroso verso i coetanei che vantano bolidi più veloci del suo. Per quanto fidanzato con una ragazza adorante, Daniele è di fatto un emarginato, un outsider auto-imprigionato ai bordi perimetrali dell’insulsa goliardia in cui si esprime il modus vivendi di questa gioventù salmastra. La chiave d’accesso per il branco si chiama motore nuovo, di quelli che spaccano, da acquistare spacciando fumo e potenziare con pezzi rubacchiati nottetempo agli amici/nemici. Se sullo sfondo regna il degrado umano, sociale e culturale, al centro dello sguardo dei ragazzi esiste solo il superamento del limite, l’estremizzazione sensoriale, la celebrazione di un tutto che equivale al nulla. Del resto lo scopo di Daniele è sfidare il vento e tagliare le onde fino a Venezia, l’eterna morente che vivrà per sempre, il “punto di non ritorno” dove il miraggio può finalmente esplodere in orgasmi psichedelici.

“Nato senza sceneggiatura” perché con “dialoghi rubati dalla vita reale” – ha spiegato Ancarani – Atlantide è un oggetto artistico di rara meraviglia che contiene (e supera) il cinema nella sua quintessenza. Perché si tratta, secondo una definizione acutamente battezzata dall’autore, di un “film reattivo”, capace cioè di registrare i segnali della realtà osservata e poi di farsi “scrivere”, sovvertendo l’ordine tradizionale della creazione progettuale cinematografica. Libero da schemi, il paradigma work-in-progress di Ancarani riesce a vibrare con tutta la sua energia: la parabola discendente dell’eroe che crea la narrazione classica, l’elemento documentaristico che sorprende e testimonia senza filtri, lo straordinario contrappunto fra musica (tra classica e Trap locale) e la visionarietà magniloquente, una sinfonia per gli occhi e le orecchie che crea dipendenza. Un vortice di bellezza all’insegna della radicalizzazione e della prossimità corporale con i protagonisti esente dal timore: osare “facendosi sguardo” sembra l’unico assunto di Atlantide, capace perfino di “intuire” la natura verticale di Venezia. Da gustare assolutamente sul grande schermo, dove uscirà dal 22 al 24 novembre con auspicabile possibilità di prolungamenti, il film di Yuri Ancarani è un potente esemplare di arte cinematografica che guarda al futuro senza smarrire l’essenza fondativa del passato.

Adamo, Eva e le nozze da inferno

Anticipiamo qui stralci dei “Diari di Adamo ed Eva” di Mark Twain (1835-1910), per la prima volta editi insieme in Italia da Mattioli 1885: una irriverente “Bibbia” dello scrittore americano, che si diverte a parodiare il primo matrimonio della storia dell’umanità

Estratti dal diario di Adamo

Lunedì. Questo nuovo animaletto con quel lungo pelo me lo ritrovo sempre tra i piedi. Sta sempre lì a girarmi attorno e mi segue dappertutto. Una faccenda che non mi sconfinfera; non sono abituato alla compagnia. Vorrei che se ne rimanesse con gli altri animali… Oggi nuvoloso, vento da levante; mi sa che avremo pioggia… “Noi”? Dove ho pescato questa parola?… Ah, adesso lo ricordo – la usa quel nuovo animaletto.

Sabato. L’animaletto mangia troppa frutta. Presto ne saremo a corto. Di nuovo “Noi” – questa è una parola sua; anche mia ora, a forza di sentirla. Un po’ troppa nebbia. Io, personalmente, non esco con la nebbia. L’animaletto lo fa. Se ne va in giro qualsiasi tempo faccia, poi torna dentro pestando ovunque con i piedi sporchi di fango. E chiacchiera. Un tempo era tutto così gradevole e silenzioso da queste parti.

Lunedì. L’animaletto dice che il suo nome è Eva. Per me benissimo, nulla da obiettare. Dice che è per chiamarla quando voglio che venga. Se è per questo, era superfluo, le ho fatto… Dice che non è un “Lui”, ma una “Lei”. Una faccenda dubbia assai; comunque per me fa lo stesso; quanto è lei non significherebbe niente per me se solo se n’andasse per conto suo e non chiacchierasse.

Giovedì. Mi ha spiegato d’essere stata creata da una costola prelevatami dal corpo. Una faccenda quantomeno dubbia, se non di più. A me non manca nessuna costola… Ha un sacco di guai con la poiana; dice che l’erba non le si adatta; ha paura di non poterla allevare; pensa che fosse destinata a vivere di carne in decomposizione… Non è che possiamo sconvolgere tutti i piani per venire incontro alla poiana.

Sabato. Ieri è caduta nello stagno mentre ci si stava guardando dentro, cosa che fa in continuazione. Si è quasi soffocata, e ha detto che è stato sgradevole assai. La cosa l’ha fatta addolorare per le creature che ci vivono dentro, che lei chiama pesci, perché continua ad affibbiare nomi a cose che non ne hanno alcun bisogno e non rispondono mai quando le si chiama con quel nome, il che è una faccenda di nessuna importanza per lei, visto che in ogni caso è una tale testona. E così ieri sera ne ha tirati fuori parecchi da lì e me li ha ficcati nel letto per tenerli al caldo; ma io li ho osservati, e non m’è affatto sembrato che stessero meglio, si agitavano solo meno. Non appena cala il buio li butterò fuori dalla porta. Non dormirò più con loro, perché li trovo viscidi e sgradevoli per sdraiarcisi in mezzo quando non si ha niente addosso.

Martedì. Adesso s’è fissata con un serpente. Gli altri animali sono contenti, perché stava sempre lì a fare esperimenti con loro e li infastidiva; e anch’io sono contento perché il serpente chiacchiera, il che mi dà un po’ di respiro.

Venerdì. Dice che il serpente le consiglia di assaggiare il frutto di quell’albero e dice pure che il risultato sarà una vasta ed eccellente e nobile conoscenza. Io le ho spiegato che ci sarebbe stato anche un altro risultato – avrebbe introdotto nel mondo la morte. È stato un errore – avrei fatto molto meglio a tenermi per me quell’osservazione; a lei invece ha fatto solo venire un’idea – poter salvare la poiana malata e fornire carne fresca ai leoni e alle tigri così abbattuti. Le ho consigliato di tenersi lontana dall’albero. Ha detto che non l’avrebbe fatto. Prevedo guai. Meglio emigrare…

 

Il diario di Eva

Quando mi guardo indietro, il Giardino mi sembra un sogno. Era bello, straordinariamente bello, magicamente bello; e ora è perduto, e non lo vedrò mai più. Il Giardino è perduto, ma ho trovato Lui, e sono felice. A suo modo mi ama… Se mi domando perché lo amo, mi rendo conto che non lo so, e non m’importa poi tanto di saperlo… Amo alcuni uccelli per il loro canto; ma non amo Adamo per il suo modo di cantare – no, non si tratta di quello; più lui canta più la cosa non mi persuade. Fa rizzare i capelli, ma non importa; posso abituarmi ad avere i capelli dritti in testa.

Non è per il suo acume che lo amo – no, non è quello. Non è da biasimare per la sua intelligenza così com’è, perché non se l’è fatta da solo; è come Dio l’ha fatto, e tanto basta. C’era un disegno saggio dietro tutto questo, lo so. Con il tempo si svilupperà, nonostante ritenga che non accadrà immediatamente; e comunque, non c’è fretta; va bene così com’è. Non è per i suoi modi raffinati e cortesi e per la sua sensibilità che lo amo. No, ha notevoli mancanze al riguardo, ma va abbastanza bene così, e sta migliorando. Non è per la sua laboriosità che lo amo – no, non è quello… Non è per la sua istruzione che lo amo – no, non è quello. È un autodidatta, e sa davvero un sacco di cose, se non fosse che sono sbagliate.

Non è per la sua galanteria che lo amo – no, non è quello. Ha fatto la spia su di me, ma non lo condanno per questo; è una peculiarità del suo sesso, credo, e il suo sesso non se l’è fatto certo da solo. Di sicuro io non avrei spifferato sul suo conto, sarei morta piuttosto… Allora, perché lo amo? semplicemente perché è maschio, credo. È una questione di sesso, penso.

L’autorizzazione a non procedere

Nel testo originario della Costituzione, era previsto che nessun membro delle Camere (Camera dei deputati e Senato della Repubblica) potesse essere sottoposto a procedimento penale senza l’autorizzazione della Camera di appartenenza.

A fronte dell’indignazione popolare conseguente all’uso fatto del diniego di autorizzazioni, non solo sulla base di sacrosante ragioni di tutela della libertà dell’attività parlamentare, ma anche per assicurare l’impunità per reati comuni (persino per un omicidio colposo conseguente a incidente stradale), l’art. 68 della Costituzione fu modificato con la legge costituzionale 29 ottobre 1993, n. 3.

Rimase la necessità di autorizzazione per perquisizioni personali e domiciliari, intercettazioni di conversazioni o comunicazioni e sequestro di corrispondenza, oltre che per le ipotesi di limitazione della libertà personale. Invero, se è comprensibile la tutela della libertà personale, è incomprensibile come possano essere subordinate ad autorizzazione preventiva atti a sorpresa quali perquisizioni o intercettazioni. Infatti un dibattito nella assemblea di cui il parlamentare fa parte vanificherebbe l’utilità dell’atto. Solo uno sciocco, per esempio, saputo che si sta per perquisirlo, per esempio per trovare stupefacenti, continuerebbe a detenere ciò che gli inquirenti ricercano. Altrettanto deve dirsi per le intercettazioni: chi converserebbe sapendo che è stata autorizzata una intercettazione nei suoi confronti?

Gli atti a sorpresa non possono perciò essere compiuti, ma può capitare (e concretamente capita) che intercettando altro soggetto si acquisiscano conversazioni rilevanti in sede penale con un parlamentare. In questi casi l’autorità giudiziaria deve chiedere alla Camera di appartenenza l’autorizzazione all’utilizzo di tali conversazioni.

La Corte costituzionale è più volte intervenuta su dinieghi di autorizzazione all’utilizzo di intercettazioni.

Con sentenza n. 74 del 26.02.2013 la Corte costituzionale, in riferimento a un procedimento penale per concorso esterno in associazione mafiosa, ha annullato la deliberazione della Camera dei deputati di diniego dell’autorizzazione alla utilizzazione, da parte della magistratura procedente, di intercettazioni telefoniche coinvolgenti casualmente il parlamentare, a seguito di ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere. Il tutto affermando che: “Non spettava alla Camera dei deputati negare, con deliberazione del 22 settembre 2010, l’autorizzazione, richiesta dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli, a utilizzare quarantasei intercettazioni telefoniche nei confronti di N. C., membro della Camera dei deputati all’epoca dei fatti, nell’ambito del procedimento penale nel quale il predetto parlamentare risulta imputato. Invero, premesso che ai sensi dell’art. 6, della legge n. 140 del 2003, il criterio alla stregua del quale deve essere valutata la correttezza dell’esercizio del potere giurisdizionale nei confronti dei membri delle Camere è costituito dalla ‘necessità’ processuale e la valutazione circa la sussistenza di tale necessità spetta all’autorità giudiziaria richiedente, mentre al Parlamento compete di verificare che la richiesta di autorizzazione sia coerente con l’impianto accusatorio, accertando che il giudice abbia indicato gli elementi sui quali la richiesta si fonda e che questa sia motivata in termini non implausibili, nella deliberazione impugnata la motivazione formulata dal GIP a giustificazione della necessità di acquisire le intercettazioni non è stata in alcun modo esaminata e il diniego espresso dalla Camera è fondato su argomenti che hanno solo una remota attinenza con il requisito della necessità e comunque non concernono la plausibilità o sufficienza della motivazione del giudice, essendo volti piuttosto a negare in modo assiomatico rilievo decisivo al valore probatorio delle comunicazioni intercettate. Conseguentemente la delibera della Camera risultando assunta sulla base di valutazioni che trascendono i limiti del sindacato previsto dall’art. 68, terzo comma Cost. e interferiscono con le attribuzioni assegnate in via esclusiva al giudice penale, deve essere annullata”.

Semplificando: la Camera di appartenenza non può sostituirsi all’autorità giudiziaria nell’esercizio dei poteri di questa.

Ciò che è avvenuto per quanto riguarda le conversazioni di Matteo Renzi finite agli atti dell’inchiesta della Procura di Firenze non ha rappresentato “una utilizzazione parcellizzata e disconnessa dalla posizione dei parlamentari”, bensì una “utilizzazione che ha evidenti e inequivocabili incidenze sulla loro posizione nell’ambito del procedimento penale”.

Nella recente vicenda che riguarda le indagini sulla Fondazione Open, il 4 ottobre la Procura di Firenze ha dichiarato il non luogo a provvedere rispetto all’istanza dei legali di Renzi, che qualche giorno prima avevano avanzato “formale intimazione al Procuratore aggiunto, dott. Luca Turco, di astenersi dallo svolgimento di qualsivoglia attività investigativa preclusa in base all’articolo 68 della Costituzione (sulle guarentigie dei parlamentari, ndr)” e dall’utilizzo di “conversazioni e corrispondenza casualmente captate (…) senza la previa autorizzazione della Camera di appartenenza”. Ciò in quanto l’utilizzazione dei dati processuali in questione è stata operata non già nei confronti di Renzi, ma di un altro indagato che non essendo parlamentare non poteva invocare quelle garanzie riconosciute agli eletti.

Il senatore Renzi ha richiesto che l’Assemblea valutasse tale situazione e il senatore Pietro Grasso aveva segnalato come, al momento, non risultasse l’uso nei confronti del parlamentare di dati sequestrati a un terzo.

Con sentenza n. 390 del 2007 24.10.2007 la Corte costituzionale ha dichiarato “costituzionalmente illegittimo l’art. 6, commi 2, 5 e 6, della legge 20 giugno 2003, n. 140, nella parte in cui stabilisce che la disciplina ivi prevista si applichi anche nei casi in cui le intercettazioni debbano essere utilizzate nei confronti di soggetti diversi dal membro del Parlamento, le cui conversazioni o comunicazioni sono state intercettate. Infatti, le disposizioni impugnate sono incompatibili con il fondamentale principio di parità di trattamento davanti alla giurisdizione, accordando al parlamentare una garanzia ulteriore rispetto alla griglia dell’art. 68 Cost., che finisce per travolgere ogni interesse contrario, poiché si elimina, a ogni effetto, dal panorama processuale una prova legittimamente formata, anche quando coinvolga terzi che solo occasionalmente hanno interloquito con il parlamentare. Così si introduce una disparità di trattamento non solo fra il parlamentare e i terzi, ma anche fra gli stessi terzi, posto che la posizione del comune cittadino, cui gli elementi desumibili dalle intercettazioni nuocciano o giovino, viene a risultare differenziata in ragione della circostanza, casuale, che il soggetto sottoposto ad intercettazione abbia avuto come interlocutore un membro del Parlamento. Quel che rende contrastante l’art. 6, commi 2, 5 e 6, non solo con il principio di eguaglianza ma anche con il parametro della razionalità intrinseca è il fatto che sia stato delineato un meccanismo integralmente e irrimediabilmente demolitorio, omettendo qualsiasi apprezzamento della posizione dei terzi, anch’essi coinvolti nelle conversazioni”.

Una pronuncia del Senato di segno contrario alle decisioni della Corte costituzionale ricorderebbe il celebre motto del Marchese del Grillo: “Io so’ io e voi non siete un c…”.

 

Assolto Kyle: uccise due anti-razzisti a Kenosha

Per la prima volta da quando Joe Biden è presidente, torna a farsi sentire negli Stati Uniti l’incubo delle tensioni razziali: l’assoluzione di un ragazzo bianco accusato di avere ucciso due persone e d’averne ferita una terza, – tutte bianche-, durante le proteste razziali dell’estate 2020 a Kenosha, in Wisconsin, potrebbe innescare proteste diffuse e reazioni violente. Si teme che avvenga quello che poteva avvenire se ad aprile Derek Chauvin, il poliziotto che uccise a Minneapolis George Floyd, non fosse stato condannato. Il governatore del Wisconsin Tony Evers aveva da giorni allertato la Guardia Nazionale, in attesa del verdetto.

La sentenza d’assoluzione non giunge inattesa, visto l’andamento del processo.

Kyle Rittenhouse, 17 anni al momento dei fatti, oggi maggiorenne, sparò con un AR-15 e uccise due manifestanti, ferendone un terzo, mentre Kenosha era teatro di violente manifestazioni, protrattesi per più notti, contro la polizia. Il movimento Black Lives Matter chiedeva giustizia per Jacob Blake, un afroamericano di 23 anni, a cui la polizia aveva sparato sette colpi alla schiena e che è rimasto paralizzato dalla vita in giù. Quella vicenda, e le proteste che ne derivarono, divennero un tema della campagna presidenziale: Donald Trump elogiò la polizia, Kamala Harris visitò Kenosha manifestando solidarietà ai familiari di Blake.

La giuria, che aveva già alleggerito i capi d’accusa contro Rittenhouse, è rimasta riunita per tre giorni e mezzo – il processo s’era concluso lunedì -, prima di dichiarare il giovane “non colpevole” per tutte le imputazioni. Rittenhouse, che era a Kenosha per contro-manifestare, ha sempre sostenuto di avere agito per legittima difesa, in un contesto di paura e di violenza. Alcune aree della cittadina furono letteralmente messe a ferro e fuoco, vi furono ingenti danni. Il caso ha rilanciato il dibattito sul possesso delle armi e sul diritto a difendersi.

Ad attirare l’attenzione sul dibattimento, ha anche contribuito il controverso giudice che lo ha presieduto: Bruce Schroeder non considerava “vittime” le due persone uccise da Rittenhouse perché stavano partecipando alle violente proteste.

“Ormai Lukashenko andrà avanti finché l’Ue non lo fermerà”

Alle elezioni dell’agosto 2020, Svetlana Tikhanovskaya si è presentata alle elezioni presidenziali contro Alexader Lukashenko. Suo marito era già in carcere. Era il leader dell’opposizione. Lukashenko lo fece imprigionare. Dopo le dure proteste di piazza nel 2020 Tikhanovskaya, con i figli, ha lasciato il Paese. Vive a Vilnius e da lì guida l’opposizione bielorussa.

Quanto durerà questa crisi?

Lukashenko continuerà fino a quando non verrà fermato. Vuole essere legittimato dall’Ue. Questo è l’unico modo che ha di restare al potere. Ha perso le elezioni, i bielorussi gli hanno detto di andarsene. Ma non vuole e con forza, torture e repressione ha mantenuto il potere. Pensa di fare lo stesso con l’Europa, spingendo le persone sul confine polacco. Se non viene fermato adesso continuerà a minacciare l’Europa. Bisogna che senta la pressione interna, ma anche quella esterna. Bisogna togliere risorse al regime.

Come stanno reagendo i bielorussi?

Sono preoccupati e dispiaciuti per i migranti caduti in trappola e che adesso sono ostaggi del regime. Ma allo stesso tempo la maggioranza della popolazione pensa che l’unica soluzione sia la legalità. I migranti o chiedono asilo in Bielorussia o ritornano da dove sono venuti.

Questa situazione può danneggiare Lukashenko?

Certo, può essere la sua fine. E per questo dobbiamo rispondere in modo corretto e rispettando leggi, valori e principi.

La Polonia sta impedendo alle Ong di aiutare i profughi. La polizia ha usato cannoni ad acqua e lacrimogeni. È corretto?

Dove ha preso queste informazioni? Il governo polacco non ostacola il lavoro delle Ong e non mette pressione sui migranti. È l’esercito bielorusso che sta picchiando i profughi. Colpisce forte chi chiede di poter tornare a Minsk. Ci sono diverse testimonianze di queste violenze. Sia di giornalisti che di residenti locali.

Possiamo fidarci delle immagini che arrivano dal confine? Di quelle trasmesse dai media russi e bielorussi?

Non penso proprio. La popolazione bielorussa ha smesso da tempo di informarsi attraverso i media ufficiali. Circa l’80% della popolazione cerca le notizie in modo indipendente, sui social network come Telegram e YouTube. Nessuno crede alla televisione di Stato controllata da Lukashenko. Sono gli stessi telegiornali che negano l’esistenza del Covid. Manipolano persino il numero di ospedalizzazioni e di morti.

Putin trae vantaggio da questa crisi?

Sì, su diversi piani. Sta utilizzando questa situazione per avere maggior controllo sulla Bielorussia. Ha messo in difficoltà l’Europa, creando tensioni tra i vari Paesi comunitari. E distrae l’attenzione dai due argomenti che lo mettono più in difficoltà: la situazione dei diritti umani in Russia e il conflitto con l’Ucraina

Ha paura che questa crisi possa allargarsi oltre il confine tra Polonia e Bielorussia?

Molti politici, cercando di risolvere questa situazione, perdono di vista il cuore del problema. Questa è una crisi creata a tavolino. È un processo programmato per spostare l’attenzione da quello che sta accadendo realmente in Bielorussia, dove ci sono migliaia di prigionieri politici. Ogni giorno ci sono nuovi arresti, anche solo per un like sotto un post contro il regime. Persone che sono in carcere solo perché hanno detto di volere un nuovo presidente. Torturati, picchiati, persino uccisi.

Come nel caso di suo marito?

Sergej è ancora in prigione e hanno messo in piedi anche un processo farsa a porte chiuse. Questo non può accadere in Europa nel XXI secolo.

MailBox

 

Ancora così e il Saudita non arriva manco al 2%

Un’altra trasmissione come Otto e mezzo di venerdì scorso e il maramaldo di Rignano sull’Arno non arriverà neppure al suo misero 2% con il quale, comunque, ha già fatto tanti, troppi danni. Il vostro è un compito civile! Ma come si può tollerare un atteggiamento del genere, unito a complotti e atteggiamenti vergognosi come quelli che emergono dall’inchiesta (che trattandosi di email e intercettazioni sono inconfutabili)? Tutto sembra tornato “normale”, come ai tempi di B. del quale Renzi è il discepolo ed erede. Caro direttore, la stima e la fiducia nel vostro lavoro è confermata ogni mattina in edicola (non online, a me il giornale piace di carta). Coraggio!

Ernesto Ricci

 

Partiti, sono favorevole ai finanziamenti pubblici

Sono scandalizzato dalla “normalità” con cui è stata accolta la recente dichiarazione di Salvini: “Ascolto tutti e decido io, come sempre”, un’offensiva alla democraticità e collegialità. Ci stiamo abituando al disprezzo dei partiti, al leader “forte”, alla personalizzazione perfino nei simboli di partito e ai tanti altri mali che ben conosciamo, che stanno portando alla nostra “democrazia malata”. Credo fermamente nell’art. 49 della Costituzione, che garantisce democraticità interna, tutela minoranze e trasparenza, ma dovrebbe essere affiancata a un forte risveglio di coscienza civile e cittadinanza attiva. In tale contesto, sarei ben favorevole a reintrodurre un adeguato finanziamento pubblico, con rigidi controlli e sanzioni.

Silvestro Profico

 

Perché non voglio più pagare il canone Rai

La Rai svolge un servizio pubblico (o così dicono) ed è per questo motivo che paghiamo un canone se siamo possessori di una tv: siamo obbligati a pagarlo sulla fattura del gestore dell’energia elettrica come stabilito dalla legge 208 del 2015. Ora mi domando, perché dovremmo continuare a pagare un canone se a decidere le nomine dei direttori dei tg è un non eletto dai cittadini che non tiene minimamente in considerazione, nel farle, il parere del primo partito politico del Paese? Vi chiedo se potreste organizzare una raccolta firme per abolire l’obbligo del canone e di inviare le firme raccolte al presidente del Consiglio: siamo in tanti a essere stufi di pagare un servizio che non vogliamo, a queste condizioni. Siamo in tanti a rivendicare il ruolo di elettori in un Paese democratico che non vogliono più essere trattati da sudditi, a partire dalle nomine Rai e dall’obbligo di pagare il canone, senza avere il diritto di sentirsi rappresentati nella gestione dell’informazione.

Vito Coviello

 

Come comprarsi i voti per il Colle e vivere felici

Potrei candidarmi anche io al Quirinale? Scherzo, naturalmente! Sono solo un vecchio scugnizzo nato nel 1940, con pochi studi e oltretutto povero. Mettiamo però che fossi un vecchio ricchissimo, tombeur de femmes, amante del potere e senza eccessivi scrupoli per conquistarlo e sempre più che determinato a fare il presidente della Repubblica: potrei riuscirsi, se usassi le mie ricchezze per comprarmi i voti necessari? Una tale ipotesi me l’ha ispirata una frase che ho trovato leggendo un articolo che parlava di Howard Hughes, importante e controversa figura della storia americana, che affermava con convinzione che “ogni essere umano ha il suo prezzo”. Se non ricordo male anche la storia recente del nostro Parlamento pare abbia dimostrato, con le dovute eccezioni, che davvero ogni uomo ha il suo prezzo. Chissà che la storia non possa ripetersi.

Raffaele Pisani

 

Io, vittima del decreto Salvabanche di Renzi

Ho rinnovato l’abbonamento al Fatto (pur continuando ad acquistarlo anche in edicola) perché voglio contribuire a mantenere in vita una delle poche, se non l’unica, voci della verità, come quella relativa ai ripetuti misfatti di Matteo Renzi. A tal proposito, essendo una delle cosiddette vittime del decreto Salvabanche, mi permetto di ricordare come la caduta di Renzi sia derivata, oltre che dalla sconfitta al referendum costituzionale, anche dalla sfiducia che l’uomo di Rignano è stato capace di generare con quel decreto, peraltro avallato da “nuovo santo” Sergio Mattarella.

Claudia Chiostri

“Le Iene”. “Il Csm ci accusa a vuoto: è una minaccia al diritto di cronaca”

Caro Direttore, sta accadendo qualcosa che consideriamo un pericoloso attacco al diritto di cronaca: il Csm ci accusa di aver riportato una “versione dei fatti assolutamente faziosa e non corrispondente alla realtà” che ha travalicato “i limiti di una serena e obiettiva cronaca e critica dei provvedimenti giudiziari”. Per capire la gravità dell’accusa è necessario sapere che il 27 ottobre 2020 un’ambulanza scortata dai carabinieri preleva Carlo Gilardi e lo porta contro la sua volontà in una casa di riposo. Carlo non è un ladro. È un benefattore di 90 anni, un uomo facoltoso, senza figli o eredi diretti. Nel 2017 è stato sottoposto ad amministrazione di sostegno e da quel momento non ha più potuto disporre del suo patrimonio. Nel settembre del 2020, un mese prima del ricovero coatto, ha denunciato Adriana Lanfranconi, la sua amministratrice, con l’accusa di avergli sottratto indebitamente 40 mila euro, “bonificandoli a un nominativo a lei conosciuto”. Con quella denuncia Carlo manifestava la sua più grande paura: “Stanno cercando di farmi dichiarare incapace di intendere e volere al solo fine di poter gestire liberamente i miei soldi e proprietà”. Poi invocava l’intervento della stampa “per dimostrare come in Italia la giustizia tratti i cittadini onesti, rei solo di essere anziani”. A seguito della denuncia di Carlo, la Lanfranconi è stata sostituita da Elena Barra ed è proprio alla Barra che Carlo si rivolge, mentre è portato a forza sull’ambulanza: “Voglio la mia libertà che mi avete sottratto! Se mi dovete portare via mi dovete mettere le manette!”. Da quel giorno Carlo è scomparso. All’inizio nemmeno i suoi familiari riuscivano a capire dove fosse. Tuttora nessuno può andare a trovarlo, tanto che i cugini hanno fatto un esposto in Procura e un ricorso alla Corte europea dei Diritti dell’uomo. Persino il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà ha raccomandato una soluzione diversa per Carlo. Da fonti certe sappiamo che il suo ricovero è stato disposto dall’amministratrice Barra “per sua tutela rispetto a possibili circonvenzioni soprattutto economiche”. Ma come poteva essere circuito se dal 2017 Carlo era sottoposto ad amministrazione e non poteva disporre del suo denaro? A domanda, la Barra non ha mai risposto, sostenendo che il ricovero è temporaneo. È passato più di anno, diverse interrogazioni e interpellanze parlamentari, e Carlo è ancora nella Rsa, isolato. Le novità che ci riguardano sono un rinvio a giudizio per diffamazione nei confronti di Barra e il duro comunicato del Csm che ci accusa persino di aver “scatenato una scia d’odio sui social network” contro la Barra e la Giudice tutelare Paganini. Siamo giornalisti: responsabili della veridicità di quello che raccontiamo, non del comportamento incivile di terzi. Il nostro obiettivo non è mai stato minare la serenità di un giudice e di un amministratore, bensì capire se sia stata lesa la libertà di Carlo e darne conto. Per questo l’affondo del Csm ci sorprende e addolora. Lo viviamo come un gravissimo precedente, una minaccia al diritto di cronaca.

Davide Parenti, “Le Iene”