Salead almeno 12 il numero dei migranti che hanno perso la vita al confine tra Bielorussia e Polonia nelle recenti settimane. L’organizzazione umanitaria polacca Polish Emergency Medical Team ha informato ieri le autorità di Varsavia della morte di un bambino di un anno, ritrovato senza vita in uno dei boschi in cui i rifugiati tentano di sopravvivere nonostante la mancanza di cibo, acqua e abiti adeguati alle temperature siderali. Soccorsi sono stati prestati ai genitori e altri membri della famiglia del bambino, che sono arrivati dalla Siria circa sei settimane fa. Le autorità bielorusse ieri hanno sgomberato l’accampamento e trasferito i migranti in un rifugio che si trova nei pressi del valico di frontiera di Bruzgi. Ieri sono iniziati i primi rimpatri di migranti verso l’Iraq. L’Unione europea promette che nuove sanzioni contro Minsk sono in arrivo.
Abusi, star del tennis ritratta ma la sua mail suscita dubbi
La sparizioneLa stella del tennis Shuai accusa di stupro l’ex vicepremier cinese e poi svanisce nel nulla. La tv di Pechino diffonde una sua mail, per il Wta è falsa
Dove si trova la fuoriclasse del tennis cinese Peng Shuai? Dove è finita dopo aver accusato di stupro l’ex vicepremier cinese Zhang Gaoli? Il 2 novembre scorso, il suo post di denuncia su Weibo, il Twitter cinese – nonostante sia stato immediatamente rimosso dalle autorità –, è diventato subito virale. La scure di Pechino si è abbattuta quasi simultaneamente in Rete: varie parole sono state temporaneamente censurate, compreso il termine “tennis“. Dove si trovi adesso la numero uno al mondo di doppio nessuno sembra saperlo tranne la Cgtn Europe, colosso televisivo cinese che trasmette in lingua inglese, che ha diffuso ieri una sua presunta email: “Le accuse di stupro non sono vere, ma sono state diffuse senza il mio consenso dalla Wta”, associazione delle tenniste. Né sparita, né in pericolo: “Mi sto riposando a casa ed è tutto ok”, riferiva l’email diffusa dal canale. Il testo sarebbe stato scritto per rispondere all’appello di Steve Simon, amministratore della Wta, allarmato dall’improvvisa sparizione della giocatrice. Per il ceo, però, il messaggio diffuso dal media allineato alla politica del Dragone moltiplica, invece di dissipare, i dubbi sulle condizioni di salute e di libertà della campionessa: “Peng Shuai ha mostrato incredibile coraggio nel denunciare i vertici politici cinesi, abbiamo bisogno delle prove che testimoniano che sta bene”. Il capo della Wta, che ha tentato invano di contattarla in ogni modo, stenta a credere che sia Shuai l’autrice della email: “Le accuse di abusi sessuali vanno investigate, le voci delle donne vanno ascoltate”. Adesso si sono unite al coro di quanti chiedono chiarezza alla Cina sulla giocatrice anche le femministe del Metoo.
Altro che lodi: chi salva i profughi va a processo
Sarebbe dovuta comparire davanti ai giudici di Lesvos la nuotatrice siriana Sarah Mardini, oggi rifugiata in Germania, peccato che le sia stato vietato di rientrare in territorio ellenico e di presenziare in tribunale come è suo diritto. Fatto che il suo avvocato ha definito un paradosso. Ma non è questo il motivo ufficiale divulgato dalle autorità greche per cui il processo è stato posticipato a data da destinarsi. La ragione addotta dai magistrati è la mancanza di giurisdizione della Corte stessa che si era rifiutata di pronunciarsi sul divieto di spostamento. Da eroina applaudita dal mondo intero per aver portato in salvo sulla spiaggia di Lesvos numerosi migranti dopo aver trascinato a nuoto per ore il gommone in avaria su cui si trovavano, a imputata per spionaggio, traffico di esseri umani, contrabbando e riciclaggio di denaro.
La vicenda della nuotatrice 25enne della Nazionale siriana, Sarah Mardini, arrivata nel 2015 sull’isola greca assieme alla sorella Yusra, olimpionica di nuoto, anche lei tuffatasi in acqua per aiutarla a evitare il naufragio, è l’esempio più eclatante del trattamento degradante e illegale che i migranti, ma anche chi li soccorre, ricevono in Grecia. Nonostante la normativa europea in tema di accoglienza e i soldi stanziati dall’Unione, Atene sta mostrando con il passare del tempo di non voler adempiere ai propri obblighi. Ieri dunque sarebbe dovuto iniziare presso il tribunale di Mitilene il processo a carico di Sarah e altri 23 operatori coinvolti nei salvataggi, la maggior parte affiliati all’Emergency Response Center International (ERCI), un gruppo che ha operato a Lesvos dal 2016 al 2018. Sarah, che dopo aver ottenuto l’asilo dalla Germania era tornata a Lesvos nel 2017 per fare la volontaria con l’ERCI, e il giovane subacqueo irlandese Sean Binder devono affrontare le accuse più gravi, rischiando la pena più pesante: 25 anni di carcere. Entrambi sono stati arrestati nel 2018 rimanendo in custodia cautelare per 4 mesi.
Lo scorso giugno il Parlamento europeo lo ha definito in un report “il più grande caso di criminalizzazione della solidarietà in Europa”. Le organizzazioni umanitarie, Amnesty International e Human Rights Watch, hanno sottolineato che il processo ha lo scopo di intimidire gli altri operatori umanitari. Oxfam, assieme al Consiglio Greco per i Rifugiati ha pubblicato un’inchiesta in cui denuncia che la detenzione dei migranti è diventata una prassi. Sono stato presi in esame 3 mila migranti, in media 7 richiedenti asilo su 10, tra i quali donne incinte e minori non accompagnati rimasti in detenzione amministrativa senza assistenza. “In Grecia uomini, donne e bambini sono sottoposti a condizioni di detenzione inumane e che negano i loro diritti fondamentali, come rilevato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Quasi la metà di questi, bambini compresi, resta in detenzione senza alcuna accusa penale a carico”, si legge. Nonostante la normativa europea indichi la detenzione amministrativa come ultima risorsa, nel 2019 le autorità hanno ampliato i motivi che portano alla detenzione anche alla verifica dell’identità della persona; hanno eliminato la possibilità di prendere in considerazione misure alternative, in determinate circostanze; e hanno introdotto la possibilità di estendere la detenzione fino a 3 anni. Un approccio che viola lo stesso diritto greco.
Ankara libera i coniugi: non sono agenti del Mossad
Arrestatinove giorni fa con l’accusa di essere agenti segreti di Tel Aviv, i coniugi israeliani Mordechai e Natalie Okhnin sono rientrati ieri in patria dopo aver trascorso otto giorni nelle carceri turche. Entrambi conducenti di autobus della compagnia privata Egged, i due si trovavano in Turchia per trascorrere le ferie. Durante la vacanza si sono scattati una foto ricordo con alle spalle il palazzo Dolmabahce, residenza presidenziale. Quel selfie appare sospetto a un cameriere di un ristorante che li scambia per agenti segreti e avverte le autorità. I coniugi sono finiti così dietro le sbarre insieme a un cittadino turco. Dopo giorni di prigionia, gli inquirenti di Ankara hanno appurato che non si trattava di agenti segreti, ma di semplici turisti, “due cittadini innocenti casualmente finiti in una situazione complessa”, come ha riferito nei giorni scorsi il premier israeliano, Naftali Bennett. Gli Okhnin hanno ringraziato ieri il primo ministro e la sua squadra, che hanno organizzato con un jet privato il loro volo di rientro. Giunti all’aeroporto Ben Gurion i due hanno riferito di voler solo tornare presto al lavoro e rivedere i parenti. Bennett e il suo ministro degli Esteri Yair Lapid hanno ringraziato Erdogan e il suo governo per la cooperazione. Da Ankara, invece, nessuna dichiarazione ufficiale.
“Lingua del diavolo”: così i regimi frugano nelle vite dei nemici
I bad guys dello spyware israeliano hanno colpito ancora. L’azienda del momento si chiama Candiru, con sede a Tel Aviv, ed è una delle quattro società informatiche israeliane messe sulla lista nera dagli Usa. Il prodotto di punta di Candiru – smascherato dal Citizen Lab di Toronto e denunciato anche da Microsoft – si chiama Devils Tongue, “la lingua del diavolo”. Diversamente dall’arcinoto Pegasus della israeliana NSO, che viene usato sui telefoni, questo viaggia sui computer. Sebbene le società che operano in questo settore siano tenute a selezionare accuratamente i loro clienti, secondo Citizen Lab, Candiru avrebbe fornito Devils Tongue a regimi come Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Uzbekistan, Singapore, Qatar. E sarebbe stato utilizzato per spiare centinaia di giornalisti, avvocati, attivisti dei diritti umani e oppositori politici. Devils Tongue viene utilizzato per i cosiddetti attacchi watering hole, che aggiungono un codice dannoso a siti web legittimi che è probabile che l’utente “messo sotto osservazione” possa visitare.
Una volta che la persona visita il sito, il codice può essere utilizzato per infettare il suo computer, potenzialmente per spiarlo o infliggere danni in altri modi. In ogni caso è poi possibile spiare le attività del singolo computer. Funziona sia con iOS che con Windows, sfruttando la maggiore vulnerabilità di quest’ultimo. Secondo Microsoft, le vittime degli attacchi sono centinaia, in decine di Paesi, Italia compresa. Le funzionalità di Devils Tongue comprendono la possibilità di intercettare e decrittare le comunicazioni protette dal sistema crittografico Signal, oltre che sottrarre cronologia e password memorizzate con Google, Explorer, Firefox, Safari e Opera. La campagna di diffusione dello spyware avrebbe sfruttato, secondo i ricercatori di Citizen Lab, numerosi siti internet pensati per emulare quelli dedicati a campagne collegate ad Amnesty International e al movimento Black Lives Matter. La società – che attualmente sta utilizzando un altro nome (Saito Tech Ltd) agisce in quell’area grigia in cui si muovono altre company israeliane come la NSO. Entrambe sono state recentemente aggiunte alla black list degli Stati Uniti dopo che l’Amministrazione Biden ha compiuto il raro passo di accusare queste aziende di lavorare contro gli interessi della sicurezza nazionale Usa. Candiru – la più misteriosa società di guerra cybernetica israeliana, prende il suo nome da un pesce gatto parassita d’acqua dolce che si trova in Amazzonia – venne fondata nel 2014 e ha poi subito diversi cambi di nome.
Prodotti come Devils Tongue verrebbero venduti solo a governi legittimi per la lotta al terrorismo – dicono loro –, ma poi la tentazione dei clienti è così forte che finisce per essere usato contro dissidenti, giornalisti, governi avversari, ma anche per lo spionaggio industriale. Impossibile avere una conferma diretta, ma tra i bersagli colpiti da Devils Tongue c’è stata anche l’italiana Piaggio Aerospace come risulta da una fonte vicina a Citizen Lab, e la Denel, una company aerospaziale e militare sudafricana di proprietà statale. Non c’è nessun dubbio che i vari emiri e sultani mediorientali, che possono permettersi di pagare milioni di dollari per malware e spyware, usino poi in maniera spregiudicata questa “manna informatica” che offrono le società israeliane di cybersicurezza. Un tribunale della Florida ha convocato il principe ereditario dell’Arabia Saudita, Mohammed bin Salman (MbS), e il principe ereditario degli Emirati Arabi Uniti, Mohammed bin Zayed Al-Nahyan (MbZ). Sono accusati di aver ordinato l’hacking del telefono di Ghada Oueiss, una giornalista di Al Jazeera. La presentazione della causa ha poi rivelato che lo spyware avanzato israeliano Pegasus della NSO – usato ancora una volta dal- l’Arabia Saudita e dagli Emirati – aveva violato i dispositivi di dozzine di giornalisti, presentatori e altri dipendenti di Al Jazeera per mesi. La Corte ha dato a entrambi i principi ereditari convenuti fino al 5 gennaio per rispondere alla citazione. Un giudice Usa può emettere una sentenza senza il loro contributo se non ci sarà risposta. Altri imputati nella causa includono alti funzionari degli Emirati e dell’Arabia Saudita come l’ex aiutante di MbS, Saud Al-Qahtani. Nella lista c’è anche l’agenzia di stampa saudita Al Arabiya. Questa chiamata in tribunale è l’ultima a colpire MBS quest’anno, dopo una precedente causa dell’ex capo dell’intelligence saudita, Saad Al-Jabri, che il principe ereditario avrebbe tentato di assassinare usando un gruppo di sicari in Canada, dove risiede Al-Jabri. Una causa è stata intentata anche dalla fidanzata del giornalista saudita Jamal Khashoggi, ucciso dalla squadra d’assalto di MbS nel consolato a Istanbul, due anni fa.
Mail box
Senza “Il Fatto” la nostra vita vale un po’ meno
Cari amici del Fatto, adesso basta. Come scritto mesi fa, la difesa del nostro giornale non riguarda solo voi, ma soprattutto noi. Allora basta: per proteggerci dalla melma renziana, vogliamo essere in prima fila. Aprite un conto corrente finalizzato a fermare l’Innominabile e noi vi aiuteremo. Non è un consiglio, è un obbligo. Perché senza Il Fatto Quotidiano la nostra vita vale meno.
Daniele Mantovani
Caro Daniele, il miglior aiuto al Fatto è acquistarlo, abbonarsi e regalare abbonamenti. Come moltissime persone in più stanno facendo nelle ultime settimane. Grazie di cuore a tutti.
M. Trav.
Basta sentire il senatore d’Arabia e cambi canale
Avevo già attivo un abbonamento che rinnovavo mensilmente. Ho però deciso di passare all’abbonamento con scadenza annuale. Mi ha convinto il vostro testimonial che ho visto in tv in questi giorni. Mi sembra si chiami Renzo o Ranzi, non ricordo esattamente, ma raggiunge in pochi secondi il suo scopo. È veramente efficace, basta sentirlo parlare e subito scatta la voglia di aiutare Il Fatto.
Mirko Silva
Evitiamo l’Innominabile, ormai lo conosciamo
Nel corso della nostra vita abbiamo dovuto far ricorso, nostro malgrado, al precetto di Bloch: “Non litigare mai con un idiota, la gente potrebbe non capire la differenza”. Questa volta tocca a Giuseppe Conte. Renzi lo ha sfidato a un confronto per “cantargli i misfatti del M5S”. Spero che Conte non consideri seriamente una cosa del genere. Renzi è ormai politicamente impresentabile, e sul piano umano non sta messo meglio. “Se lo conosci lo eviti”, dicono: ecco, ormai lo conosciamo, evitiamolo. Abbiamo già sofferto abbastanza per il siparietto deprimente interpretato da Renzi alla presenza di Marco Travaglio, Massimo Giannini e Lilli Gruber. Può bastare. Conte è una persona di esperienza e sa come evitare le situazioni sgradevoli.
Massimo Della Fornace
Affinità tra coronavirus e l’influenza spagnola
Mi sono soffermato sull’articolo del professor Montanari dal titolo “Il virus ha ucciso anche il sacro diritto di critica”. Nell’ultima colonna dell’articolo Montanari evidenzia il paradosso delle autorità che con solerzia profilattica pongono limiti ad assembramenti di manifestanti, mentre lasciano che il problema del sovraffollamento dei convogli di lavoratori e studenti assiepati come su “carri bestiame che sembrano allevamenti di Covid” non venga minimamente risolto. Ho pensato alla stesura della mia tesi di laurea che trattava della pandemia di influenza spagnola del 1918-1920. Anche allora, come oggi, le autorità assunsero alcune misure di prevenzione che avevano più l’utilità di un palliativo per lenire le ansie delle popolazioni, che l’effettiva volontà o capacità di risolvere il problema dei contagi. Le persone durante la mortifera seconda ondata pandemica dell’ottobre 1918 iniziarono a morire come mosche e la diga della censura di guerra, che era stata eretta per bloccare il diffondersi delle notizie sulla pandemia, si sgretolò di fronte alla portata della piena pandemica. Fu allora che molti governi europei iniziarono una massiccia campagna di disinfezione nelle piazze e nelle strade delle città; a Parigi come a Roma regnava incontrastato il puzzo acre dell’acido fenico. Interpellato sull’efficacia della campagna di disinfezione da alcuni giornalisti, l’allora presidente dell’istituto Pasteur di Parigi, Emile Roux, rispose lapidario: “Assolutamente inutile! Mettete venti persone in una stanza disinfettata e fate entrare un malato di influenza. Se starnutisce, se anche una sola particella del suo muco nasale o della sua saliva raggiunge chi gli sta accanto, quest’ultimo sarà contagiato nonostante la disinfezione”.
Aureliano Castiglione
Un pregiudicato non può andare al Quirinale
Mi ha sbigottito vedere B. in seconda posizione, dietro Draghi, nel sondaggio di Pagnoncelli relativo alle preferenze degli italiani per il prossimo presidente della Repubblica. Mi auguro che il nostro giornale faccia la sua parte per scongiurare questa eventualità, impegnandosi a pubblicare, da qui a febbraio, in prima pagina e a caratteri cubitali: “Berlusconi delinquente”. L’Italia migliore, non quella dei “migliori”, si mobiliti.
Marco Bernardini
Gli eroi: “Noi Operatori sociosanitari precari, dimenticati e ora gettati via”
Gentile redazione, di fronte ai richiami dell’Europa, dell’Organizzazione mondiale della sanità e soprattutto dalla Protezione civile per far fronte alla pandemia, tutti abbiamo risposto e tutti siamo partiti per aiutare coloro che più ne avevano bisogno. Tutti gli operatori della sanità e soprattutto noi della categoria socio sanitaria, nessuno escluso, si è prodigando oltre ogni limite. L’opinione pubblica che sovente in passato ci vedeva come causa di una cattiva sanità, ora ci definiscono eroi.
Non siamo eroi! Semplicemente abbiamo cercato di fare al meglio il nostro lavoro, affrontando, ogni giorno, le conseguenze: non solo del nostro operato, ma soprattutto del “nemico” che avevamo di fronte. Noi Operatori sociosanitari abbiamo risposto al richiamo della Protezione civile, senza pensarci troppo, e siamo partiti. Purtroppo però in questo ultimo periodo siamo stati dimenticati da tutti: dal governo, dalla Regione, dagli enti e soprattutto dalla stessa Protezione civile. Noi rappresentanti degli Operatori sociosanitari della task force d’emergenza Covid esprimiamo il nostro disappunto su quanto la Protezione civile e il governo hanno attuato con il provvedimento sul reclutamento di Oss come volontari, venendo, di fatto, a mancare di rispetto verso questa figura: invece di essere stipendiati dallo Stato e forniti di un vero contratto, ci è stata data una retribuzione forfettaria, un rimborso spese, cosa che non è avvenuta per altre categorie. Migliaia di noi di sono contagiati, abbiamo affrontato la pandemia e ora affrontiamo una crisi in cui siamo stati dimenticati, usati come carne da macello e buttati lì come ciabatte che non si usano più senza pensarci due volte, una mancanza di riconoscimento per tutto ciò che abbiamo fatto e per tutto ciò che abbiamo vissuto. Si parla tanto di precariato e di stabilizzazione per tutti i nostri colleghi, ma anche noi dovremmo essere riconosciuti, anche noi abbiamo attraversato questa pandemia: perché nessuno se lo ricorda? Perché non rientriamo anche noi in un riconoscimento dopo tutto quello che abbiamo attraversato? Si parla spesso di volontariato, ma di volontariato poco c’era in quanto siamo stati sottoposti a turni massacranti, ma lo abbiamo fatto volentieri e senza remore: perché questo non viene ora riconosciuto e almeno ricordato? Noi Oss chiediamo un riconoscimento per tutto l’operato svolto e per dire a tutti che anche NOI CI SIAMO, che anche NOI abbiamo lottato, che anche NOI abbiamo contribuito, che anche NOI abbiamo lasciato casa e famiglia per aiutare chi aveva più bisogno e che anche NOI abbiamo risposto alla chiamata: ECCOCI… NOI ERAVAMO LÌ.
Un gruppo di operatori sociosanitari della Protezione civile in Campania
Sallusti-Sileri, derby dell’ubiquità
Credevo che Alessandro Sallusti fosse imbattibile, quanto a presenze nei talk. Ogni volta che schiaccio un tasto sul telecomando, dopo pochi istanti vedo apparire in collegamento il suo primo piano, versione cinemascope. Così la televisione sta dando il colpo di grazia al cinema; sostituendo la versione gigante di Mastroianni, Gassman, Monica Vitti, con quelle di Sallusti, Piero Sansonetti, Maria Giovanna Maglie. Tornando a Sallusti, i casi sono due: o sono molto fortunato (ogni volta che gratto, vinco), oppure lui è sempre lì. È vero che il Talk Unico invita sempre le stesse persone; è vero che che il conformismo è l’essenza della tv generalista; è vero che dopo 100 passaggi chiunque diventa qualcuno… tutto vero, ma Sallusti sembrava dotato di una marcia in più.
Sembrava. Poi è arrivato Pierpaolo Sileri, e come Coppi ha staccato Bartali sul Pordoi, Sileri ha raggiunto Sallusti, per allungare in solitaria. Non te ne accorgi subito. A differenza di Sallusti-Bartali, Sileri-Coppi non si collega. Va fisicamente nei salottini con gli altri opinionisti e attende con calma il suo turno, dove di solito dice cose sensate. Sempre le stesse: l’importante è esserci. Il doppio ruolo di medico e di sottosegretario gli ha consentito finora di essere utilizzato in qualsiasi modulo tattico, mentre la vera ragione della sua ubiquità l’ha spiegata lui stesso al Costanzo show: “Vado in televisione perché c’è la pandemia; ma appena il virus sarà sconfitto non verrò più. Quindi, spero di non venire più il prima possibile”. Non fa una grinza: il dottor Sileri è fisso in tv per accelerare la sua sparizione. Più ci va, prima se ne andrà. Non deve stare più nella pelle all’idea di dire addio ai talk: ecco perché ci va in continuazione. “Abbiamo 86mila secondi al giorno, cerchiamo di usarli bene”. Lui li usa benissimo, e speriamo che con il suo veto Giuseppe Conte non gli metta i bastoni tra le ruote. Dio è in tutti i luoghi, Pierpaolo Sileri c’è già stato, e non vede l’ora di tornarci.
Il libro di Renzi è una “cazzata” anche per i suoi
Arriva il tragico momento in cui qualcuno sussurra all’orecchio del leader che deve assolutamente pubblicare la sua autobiografia, e se costui oppone qualche timido diniego gli si oppone il grande successo riscosso dal libro di Giorgia Meloni. Subito si arruola una squadra costretta a scartabellare tutto ciò da cui può emergere soprattutto la dimensione umana dell’illustre autore (che si limiterà a correggere le bozze a cose fatte): dai temini delle elementari agli interventi nel cineclub parrocchiale. Tutto sulla base del collaudato format motivazionale dalle stalle alle stelle. Ovvero: se perfino uno come me è diventato ministro puoi diventarlo anche tu. Infatti, per il lancio su giornali e tv il marketing punterà su qualche esclusiva rivelazione di aspetti intimi e segreti (traumi infantili, drammi familiari). Occultati per un’intera vita e che stasera il nostro ospite ci confiderà, un applauso. Infatti, dopo il coming out dell’ex ministro Vincenzo Spadafora (titolo: Senza riserve), giunge in libreria il bullizzato Luca Zaia (Ragioniamoci sopra): “Ero l’oggetto di scherno, pieno di lentiggini, venivo pure pestato, le prendevo e non reagivo, non sono mai stato un eroe di prestanza fisica”. Confessione choc del presidente del Veneto di cui temiamo Matteo Salvini fosse già al corrente. In certi casi può accadere che la botta arrivi dopo la pubblicazione del manufatto, e da parte di chi mai ti aspetteresti. Accade a Matteo Renzi che ieri mattina alla lettura (sul Domani) di alcune sapide carte dell’inchiesta Open, avrà riflettuto amaramente sulla fallacia dell’amicizia e sull’ingratitudine umana. Nell’apprendere come i meglio petali del Giglio Magico, Marco Carrai e Alberto Bianchi, giudicavano la sua ultima fatica letteraria. Bianchi: “Diciamolo tra noi che tanto non ci sente nessuno: libro Avanti: cazzata”. Ingiusta stroncatura che Bibì e Bibò accompagnano (che tanto non li sentiva nessuno) con altre brusche valutazioni (sempre in amicizia). “Polemiche su Enrico Letta: cazzate. Problema antipatia appena apre bocca: reale. Boschi: palla al piede che lui continua a difendere e quindi stura a pettegolezzi e basta”. Senza contare “i 2 milioni spesi per quel referendum del cazzo e i social, senza averli”. Diciamolo: per molto, molto meno, il Matteo d’Arabia ci ha sommerso di querele.
L’Ambrogino d’Oro a Tognoli e Cervetti scorda Tangentopoli
Anche quest’anno a Milano si ripete il rito degli Ambrogini d’Oro, che questa volta ci regala qualche lampo di gioia, perché due delle medaglie di benemerenza civica saranno assegnate, il giorno di Sant’Ambrogio, alla memoria di donne come Emilia Cestelli e Francesca Fraintesa Barbieri, personaggi luminosi e fuori dai giochi delle lottizzazioni che concorrono ogni anno a formare la lista dei premiati. Inevitabile però non notare altri due nomi che stonano, in quella lista, proprio nell’anno in cui ci si prepara a ricordare il trentennale di Mani Pulite. Di quell’inchiesta furono due protagonisti di primo piano: il primo è Carlo Tognoli, sindaco di Milano, socialista, scomparso nel marzo scorso; il secondo è Gianni Cervetti, comunista, capo della corrente “migliorista” del Pci milanese.
Tognoli fu un buon sindaco, amato dai milanesi che apprezzavano la sua concretezza e la sua bonomia. Cervetti ha saputo inventarsi una seconda vita dopo la politica, fondando (insieme a Luigi Corbani e al maestro Vladimir Delman) La Verdi, diventata ormai una delle istituzioni musicali di Milano, con la sua orchestra sinfonica, il suo coro, il suo auditorium di largo Mahler. Il vizio della memoria ci costringe però a ricordare, oltre ai loro meriti, anche le loro imprese negli anni di Mani pulite.
“Tognolino” – così era chiamato – era simpatico, non puntò mai all’arricchimento personale, ma era dentro il sistema di Tangentopoli. Fu condannato in via definitiva a 3 anni e 3 mesi, per ricettazione: per aver incassato i soldi delle tangenti raccolte da Mario Chiesa, imputato numero uno di Mani pulite, che con le mazzette imposte al Pio Albergo Trivulzio finanziava sia lui, sia il suo successore a Palazzo Marino, Paolo Pillitteri, il “sindaco cognato” (di Bettino Craxi). Tutti sembrano poi dimenticarsi perché Tognoli fu costretto a dimettersi da sindaco di Milano: nel 1986, sei anni prima di Mani pulite. Fu per l’esplodere dello “scandalo delle aree d’oro”, quando la città scoprì che la “giunta rossa”, i campioni del “riformismo” (Psi craxiano e Pci “migliorista”) avevano reso edificabili, guarda caso, proprio le aree del nuovo re del mattone, un amico di Bettino Craxi di nome Salvatore Ligresti.
Gianni Cervetti fu mandato dal Pci a studiare a Mosca, negli anni Cinquanta. Tornato in Italia, diventò segretario della federazione milanese, membro della segreteria nazionale, responsabile dell’organizzazione del partito, ministro della Difesa del “governo ombra” del Partito comunista, parlamentare europeo e poi deputato a Montecitorio. Quando nel 1993 Antonio Di Pietro arrestò Luigi Mijno Carnevale, vicepresidente della Metropolitana milanese e cassiere delle tangenti del Pci a Milano, questi raccontò di aver versato, negli anni, 700 milioni di lire ai “miglioristi”, cioè – dice lui – a Gianni Cervetti. Processato, Cervetti fu condannato in primo grado a 3 anni per ricettazione. Durante il dibattimento d’appello, incontrò in aula il pm Paolo Ielo e gli disse: “Dottore, se mi confermano la condanna, passo da lei”. Era l’annuncio di un innocuo saluto, o la promessa di nuove rivelazioni sulle tangenti al Pci? Non lo sapremo mai. Cervetti, infatti, in secondo grado fu assolto, con formula dubitativa: le rivelazioni di Carnevale sono “non calunniatorie”, ma non bastano, dice la sentenza, perché mancano di “dettagli specifici e particolari significativi”. Chissà se oggi Cervetti, grande vecchio della musica a Milano, che già ha raccontato L’oro di Mosca, cioè i soldi che arrivavano al Pci dall’Unione Sovietica, ha voglia di raccontare, per la storia e non per i tribunali, le cose che forse voleva dire a Ielo?