Pulmino per disabili colpito da un treno

Ieri pomeriggio a Pontetaro, in provincia di Parma, un pulmino per il trasporto di persone disabili è stato urtato da un treno in arrivo, dopo essere finito sui binari della linea Bologna-Piacenza: un giovane a bordo è morto, mentre un altro è rimasto ferito in modo grave. Meno serie le condizioni dell’autista e di una donna, anche loro rimasti coinvolti. Secondo la ricostruzione dei vigili del fuoco, il conducente del mezzo avrebbe perso il controllo dopo una curva a gomito, andando dritto e finendo così sulle rotaie della linea ferroviaria convenzionale. Il minibus è stato pesantemente danneggiato dall’impatto con il treno: le Ferrovie hanno comunicato che il resto dei passeggeri è rimasto illeso.

Il Cnr snobba i precari: occupata la sede centrale

I sindacati della ricerca di Cgil, Cisl e Uil hanno occupato il Cnr. Protesta avviata ieri pomeriggio dopo aver scoperto che, su 400 precari storici che ancora aspettano di essere stabilizzati, l’istituto di ricerca intende assumerne non più di una cinquantina. Questo significa che 280 tra ricercatori e tecnologi rischiano già di andare a casa a fine anno, perché hanno superato il concorso tre anni fa ma ora quella graduatoria sta per scadere, quindi perderanno anche il diritto a essere inseriti. Si tratta di persone che rientravano nel cosiddetto “comma 2” della legge Madia approvata nel 2017: quelli con un’anzianità minima di tre anni, maturata però con rapporti di lavoro non dipendente (per esempio le collaborazioni coordinate), non potevano ottenere automaticamente il diritto alla stabilizzazione ma solo dopo aver superato una selezione bandita appositamente. Questa si è tenuta nel 2018 ma, dopo aver aspettato anni, gli idonei rimasti ancora fuori vengono ora messi alla porta. Al termine di una riunione molto tesa con il direttore generale, che ha manifestato la volontà di usare solo i 3,3 milioni stanziati da un decreto ministeriale a maggio (e non anche i 22,8 milioni messi a disposizione dal decreto Rilancio ad agosto 2020), le sigle hanno lanciato la mobilitazione nella sede centrale dell’ente. “Le organizzazioni sindacali ritengono immorale, assurda, incomprensibile e inaccettabile questa scelta”, hanno spiegato a margine dell’incontro.

I fratelli Bianchi scaricano la colpa su Belleggia

“Non siamo stati noi a uccidere Willy, siamo stati descritti come dei mostri”. Si sono difesi così Marco e Gabriele Bianchi, i due fratelli accusati di aver colpito a morte Willy Monteiro Duarte, il giovane ucciso nella notte fra il 5 e il 6 settembre 2020 dopo aver subìto un violento pestaggio fuori da un locale a Colleferro, vicino Roma. Davanti alla Corte d’Assise di Frosinone i due hanno dichiarato di aver avuto un ruolo limitato nella rissa, scaricando le colpe su uno degli altri due imputati al processo, Francesco Belleggia. “Ho visto Belleggia colpire come un vigliacco con un calcio in viso Willy mentre era a terra” ha detto Gabriele Bianchi, che poi ha aggiunto: “Io fin da subito volevo dire che la colpa era sua, ma il mio avvocato mi disse di aspettare”. Belleggia ha respinto questa ricostruzione, sostenendo che fu invece Marco Bianchi “a dargli una scarica di pugni e calci”. Domenico Marzi, legale della madre di Duarte, ha detto che la donna “è rimasta sconcertata dalle parole espresse oggi in aula dai fratelli Bianchi e dagli altri imputati”.

Gruppo Onorato, sequestrati 20 milioni di euro

I guai per il patron di Moby Vincenzo Onorato raddoppiano. Dopo l’inchiesta che lo vede indagato per bancarotta rispetto alla “Balena blu”, ieri il Tribunale di Milano ha disposto il sequestro conservativo di 20 milioni per la capogruppo Onorato armatori rispetto al caso Cin-Tirrenia. Al centro il debito di 180 milioni che Cin (gruppo Onorato) ha con Tirrenia in amministrazione straordinaria. Il Tribunale con una sentenza, contestata dal Gruppo Onorato, spiega che “gli elementi circoscrivono la valutazione del sequestro (…) alla percentuale del credito che (…) la debitrice Cin (..) ammette di non poter soddisfare”. Negli anni, secondo il Tribunale, Cin è stata una sorta di bancomat per la capogruppo. Cin e Moby sono in concordato preventivo. Per la difesa di Tirrenia “Cin ha perseguito l’interesse (…) delle altre società del Gruppo Onorato, concedendo finanziamenti indiretti (…) a favore della controllante per 213 milioni”. Politica che avrebbe impedito a Cin di ripagare il debito. Per il giudice: “Onorato armatorinon approva bilanci da anni”.

Procura di Roma, cambio al vertice: via Prestipino, il Csm vota per Lo Voi

Michele Prestipino non sarà più il procuratore di Roma, al suo posto andrà Franco Lo Voi, procuratore di Palermo, come anticipato dal Fatto. La Procura della Capitale sembra la protagonista di un film pieno di colpi di scena. Il 23 maggio 2019 era destinato a succedere a Giuseppe Pignatone il Pg di Firenze, Marcello Viola, il più votato dalla Quinta commissione; pochi giorni dopo, però, deflagra lo scandalo nomine, il caso Palamara, e tutto si azzera; il 4 marzo 2020 viene nominato procuratore, dopo un ballottaggio con Lo Voi, l’unico candidato che non era stato indicato dalla Quinta nella votazione precedente e unico procuratore aggiunto, Michele Prestipino, appunto, reggente dopo il pensionamento di Pignatone. Come era prevedibile, ma mezzo Csm ha ignorato il rischio più che concreto, i candidati con più titoli da manuale hanno presentato ricorso. Viola e Lo Voi hanno vinto sia al Tar che al Consiglio di Stato. Ieri, la terza votazione della Quinta presieduta dal togato di MI, D’Amato. A Lo Voi è andato il suo voto, quello del laico di FI Lanzi, relatore, e dei togati Dal Moro, Area e Ciambellini, Unicost. Il togato di AeI Ardita, invece, ha votato per Viola, il laico M5S, Gigliotti, si è astenuto. Il plenum, per il voto finale, potrebbe essere fissato prima di Natale e va da sé, dato come hanno votato i togati in Commissione, che la maggioranza è per Lo Voi. Il magistrato ha lavorato al fianco di Pignatone per tantissimi anni a Palermo, come Prestipino, che ha seguito l’ex procuratore sia a Reggio Calabria sia a Roma. In ballo ancora un ultimo ricorso di Prestipino, il 23 novembre in Cassazione: Prestipino ritiene che il Cds, per annullare la sua nomina a procuratore di Roma, abbia invaso la sfera del Csm. Ma per il Consiglio di Stato, Viola fu escluso senza alcun motivo dal secondo voto, perché anche se era il “preferito” dai protagonisti dell’Hotel Champagne era estraneo alle trame di Palamara & company. Inoltre, come Lo Voi, era più titolato rispetto a Prestipino. Ora la strada intrapresa dal Csm conduce a Lo Voi, che lascia campo libero a Palermo, dove potrebbe tornare Prestipino. Lo Voi a Roma significa un candidato in meno a Procuratore nazionale antimafia, dove hanno presentato domanda, oltre a Viola, altri due candidati fortissimi: il procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, e il procuratore di Napoli, Giovanni Melillo. Viola è anche candidato alla Procura di Milano.

Pivetti, il logo della Ferrari venduto ai cinesi per 7 mln

Dalla presidenza della Camera al rischio di un processo per frode fiscale e autoriciclaggio. Destino amaro per l’ex leghista Irene Pivetti, oggi al centro di un’inchiesta della Procura di Milano e del Nucleo di polizia economica finanziaria della Guardia di finanza, che ieri ha eseguito un sequestro preventivo urgente per circa 4 milioni. Motivo: “Pivetti può ancora spostare i soldi all’estero”. Le indagini sono state chiuse per sette persone con reati che vanno dalla frode fino al riciclaggio. Al centro, secondo il pm, compravendite fittizie, documenti falsi, decine di società con altrettanti conti in giro per il mondo, prestanomi e tesorerie finanziarie ad hoc.

Eccolo il sistema Pivetti giocato attorno al gruppo Only Italia, le cui società, scrive il pm Giovanni Tarzia, sono risultate “inconsistenti e (…) strumentalizzate dalla Pivetti per la dissimulazione della propria attività imprenditoriale”. Un “reticolato opaco” fatto di schermi societari sui quali triangolare il denaro. In particolare quello intascato dall’ex politico della Lega dopo tre compravendite fittizie che hanno riguardato una scuderia di auto da corsa riferibile a Leonardo Isolani. Nel 2016 la Isolani racing si ritrova a dover pagare al fisco circa 5 milioni. Per evitare l’aggressione patrimoniale Isolani e Pivetti mettono in piedi un giro di finte compravendite. Tre in particolare. La prima, da 100mila euro per la vendita alla Only Italia anche del logo della Isolani racing associato a quello del cavallino della Ferrari. A ciò si aggiunge la vendita di tre Ferrari da corsa per 1,2 milioni. Passaggio questo che non avverrà mai. Tanto che secondo la minuziosa ricostruzione fatta dalla Guardia di finanza nel 2018, Isolani ne ha ancora il possesso materiale. Dopodiché una la darà per un contenzioso, da una seconda sembra ottenere 840mila euro, la terza è stata sequestrata in un capannone in provincia di Varese. Ma è con il logo Isolani-Ferrari che Pivetti incassa un vero tesoro: circa 10 milioni per il solo logo, pagato poco più di 40mila euro e rivenduto a un gruppo cinese. Le indagini hanno ricostruito i flussi fino a 7,3 milioni pagati dai cinesi e incassati da una società polacca del gruppo Only Italia e da una tesorerie fiduciaria di Hong Kong entrambe riconducibili alla Pivetti. Denaro che l’ex leghista non farà comparire nella dichiarazione dei redditi del 2016 e 2017 ottenendo un guadagno di 3,5 milioni. Per suggellare l’affare, l’ex parlamentare organizza un evento a Roma a Palazzo Brancaccio. Incassati i bonifici Pivetti dà disposizione di effettuare altri trasferimenti estero su estero, anche su conti intestati a personaggi cinesi, alcuni residenti alla periferia est di Milano. Di questi, 2,7 milioni vengono bonificati alla Way Success Ltd, Newco intestata a terzi e, secondo l’accusa, voluta da Pivetti per dissimulare il reale beneficiario. Infine, il denaro sottratto al fisco, Irene Pivetti lo utilizzerà per affitti di immobili e di macchine. Da qui l’accusa di autoriciclaggio.

Renzi e il conto corrente negli atti: per la Giunta “nessuna violazione”

Non c’è alcuna violazione delle tutele parlamentari. L’acquisizione da parte della procura di Firenze dell’estratto conto di Matteo Renzi è legittima. È questa, secondo quanto ricostruito dal Fatto, la posizione della Giunta per le immunità del Senato che si è riunita per discutere della lettera inoltrata il 7 ottobre da Renzi alla presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati, in cui il leader di Italia Viva chiedeva “di porre in essere tutte le azioni a tutela dei diritti del parlamentare”.

La relatrice di Forza Italia, Fiammetta Modena, nella relazione presentata in Giunta martedì, ha difeso Renzi, ritenendo “illegittima” l’acquisizione “senza previa autorizzazione del Senato” delle chat del 3 e 4 giugno 2018 tra l’imprenditore Vincenzo Manes (non indagato) e l’ex premier in cui i due parlavano di un volo che Renzi avrebbe dovuto prendere per Washington. La relatrice ha proposto di sollevare un conflitto di attribuzione davanti alla Corte costituzionale, ipotesi concreta visto che il centrodestra è maggioranza in Giunta per le immunità e ha tutta l’intenzione di salvare Renzi.

Allo stesso tempo, però, la senatrice Modena, studiando i documenti depositati dal leader di Italia Viva, non ritiene che la Giunta si debba occupare dell’acquisizione dell’estratto conto. L’avvocato umbro, che ha posizioni iper-garantiste, infatti nella sua relazione non si esprime sulla questione dell’estratto del conto corrente finito agli atti: secondo quanto ricostruito dal Fatto, non ha rilevato illegittimità da parte degli investigatori e nemmeno che siano state violate le prerogative parlamentari di Renzi acquisendo parte dei suoi introiti.

L’estratto conto riguarda il periodo 14 giugno 2018-13 marzo 2020 ed è contenuto nell’informativa della Finanza depositata agli atti dell’indagine fiorentina. In quanto documenti pubblici anche perché conosciuti dalle parti, è stato in parte pubblicato in esclusiva dal Fatto lo scorso 6 novembre. Il leader di Italia Viva, però, non l’aveva presa per niente bene e cinque giorni dopo, l’11 novembre, nella sua e-news aveva gridato allo scandalo annunciando una “formale richiesta a Banca d’Italia per comprendere chi ha violato la Costituzione e la legge acquisendo senza titolo e poi pubblicando il mio conto corrente”.

Nella lettera inviata al direttore Unità Finanziaria (Uif) di Banca d’Italia, Claudio Clemente, e per conoscenza al governatore Ignazio Visco, di cui il Fatto è entrato in possesso, l’ex premier protesta per il fatto che la Guardia di Finanza abbia allegato nell’informativa non solo le Sos (segnalazioni di operazioni sospette) ma anche l’estratto conto. “O il suo ufficio non si è limitato a comunicare le Sos alla Guardia di Finanza, ma addirittura l’intero estratto conto – scrive Renzi al direttore dell’Uif – o tali informazioni sono il frutto di autonome iniziative investigative e che comunque non riguardano l’ufficio che Ella ha l’alto onore di redigere”. “Ciò che mi spinge, allora, alla ricerca di delucidazioni in ordine a quanto accaduto – continua la lettera del Senatore di Scandicci – è l’evidente frizione che è dato osservare tra il rigore cui l’Uif è chiamato nella gestione di informazioni riservate, ‘valore inestimabile’ da tutelare con severità (…), e la circostanza che sopra Le ho riferito per cui il mio estratto conto appare interamente riportato nelle annotazioni della polizia giudiziaria”.

La lettera è stata inviata da Renzi alla presidente del Senato il 4 novembre dopo la lettera del 7 ottobre in cui le chiedeva di intervenire per “tutelare i diritti del parlamentare”. Il leader di Iv inoltre ha anche depositato l’informativa della Guardia di Finanza – anche se “sbianchettata” – con il suo estratto conto. Studiando i documenti depositati da Renzi, però, la relatrice Modena non ha rilevato violazioni, in quanto esiste una giurisprudenza consolidata sul fatto che un parlamentare non abbia particolari guarentigie riguardo al proprio conto corrente. Anzi, come è noto, deputati e senatori devono ogni anno depositare in Senato la dichiarazione patrimoniali. Quindi la Giunta non se ne occuperà.

Matteo in casa Leopolda ospita gli amici Cassese, Sala e Malagò

Ritorna la Leopolda di Matteo Renzi. L’ex premier e i fedelissimi d’Italia Viva si riprendono il palco della stazione fiorentina per spargere le ultime briciole di una “narrazione” in crisi apparentemente irreversibile.

Nonostante tutto, ancora Leopolda: malgrado la crisi di consensi e quella economica; malgrado l’inchiesta sulla Fondazione Open, le casse vuote e l’autofinanziamento. Anche quest’anno – secondo Repubblica – il budget resta vicino ai 400mila euro. Saranno scuciti dalle casse del partito (alimentate dai contributi pubblici del Parlamento ai suoi gruppi) e sostenuti dalle microdonazioni. Nonostante tutto, ancora Matteo Renzi: sarà lui ad aprire la kermesse questa sera alle 20:30 e sempre lui a chiuderla domenica mattina prima di pranzo. Nel mezzo, sabato sera, è previsto un suo intervento dedicato all’inchiesta giudiziaria che monopolizza le cronache di queste settimane: Renzi tornerà a parlare del caso Open e dell’“hackeraggio di Stato” – parole sue – della Procura di Firenze. Si annunciano nuove parole affettuose anche nei confronti di questo giornale.

L’ex premier ha promesso ai sostenitori “una sorpresa”, un annuncio che arriverà nel suo intervento conclusivo (e che per adesso non vuole anticipare). C’è chi ipotizza il lancio di una nuova piattaforma di centro (insieme a Carlo Calenda) ispirata al gruppo europeo macroniano Renew, che metterebbe in soffitta, dopo appena due anni, il partito Italia Viva. Ma ci si aspetta anche che dalle parole di Renzi si cominci a delineare in modo più chiaro la strategia parlamentare in vista della partita Quirinale. A proposito di Colle, tra gli ospiti d’onore di questa undicesima edizione leopoldina c’è anche il giudice emerito della Corte costituzionale Sabino Cassese, figura di riferimento della micro-galassia renziana (e del più ampio universo draghista), invocato pubblicamente da Paolo Mieli come possibile carta dei moderati per la presidenza della Repubblica.

Altra presenza suggestiva è quella del sindaco di Milano, Giuseppe Sala: pure lui potrebbe essere coinvolto nei discorsi su un nuovo soggetto politico liberale e centrista. Venerdì sera, invece, salirà sul palco il presidente del Coni, Giovanni Malagò, mentre la “corrente” dei togati – per il renzismo non sono mica tutti cattivi – sarà confortata anche dalla partecipazione dell’ex pm Carlo Nordio e dell’avvocata divorzista Annamaria Bernardini de Pace. Poiché la Leopolda non smette di ambire a volare altissimo, prima dell’intervento finale di Renzi prenderà la parola anche un astronauta, Luca Parmitano (che già compariva tra gli ospiti in alcune edizioni del passato).

Renzi, per non far mancare nulla, ha annunciato anche l’istituzione di una stazione radiofonica apposita (ovviamente “Radio Leopolda”). Gli organizzatori si aspettano almeno 8mila presenti e già pregustano lunghe file all’ingresso: nonostante tutto, ancora Leopolda.

Dopo lo stop di Conte, Sangiuliano manda una vecchia intervista ai 5S

Il diktat non ha compiuto nemmeno 24 ore: mercoledì sera, dopo l’annuncio delle nomine del servizio pubblico che hanno escluso il Movimento , Giuseppe Conte ha annunciato l’aventino dei 5 Stelle dalla Rai. Nell’edizione delle 13 di ieri, però, il Tg2 diretto da Gennaro Sangiuliano ha mandato in onda un’intervista a Mario Turco, uno dei 5 vice di Conte. Che però era stata registrata quattro giorni prima.

Per lo sgambetto hanno scelto una delle edizioni più prestigiose, quella dell’ora di pranzo. I telespettatori del Tg2 hanno visto davanti alla telecamera il senatore Mario Turco, uno dei 5 vicepresidenti del Movimento che solo la sera prima – per voce del suo leader Giuseppe Conte – aveva dato l’addio ai canali del servizio pubblico. Immediatamente parte lo scherno dei renziani come Ettore Rosato: “Avevo detto che sarebbe durato poco, ma non pensavo che non reggessero nemmeno un giorno!”. In realtà quell’intervista era vecchia. Per dirla con Turco: “La redazione ha maldestramente riproposto un mio contributo dell’edizione serale del Tg2 di domenica 14 novembre”. Insomma è stata rimandata in onda la stessa dichiarazione a quattro giorni di distanza.

Il Cda “processa” Fuortes, ma solo un voto contrario

Un vero e proprio processo a Carlo Fuortes quello andato in scena ieri nel Cda Rai. Dove tutto il nervosismo dei consiglieri per esser stati tagliati fuori dalle nomine si è scatenato attraverso accese critiche sul metodo scelto dal capo azienda per le direzioni delle testate giornalistiche, dove “non sono stati rispettati criteri di merito trasparenza e tracciabilità”. Scelte che hanno completamente tagliato fuori i consiglieri, che si sono visti recapitare i curricula all’ultimo minuto. Già nei giorni scorsi avevano chiesto a Fuortes e alla presidente Marinella Soldi un maggior coinvolgimento nei criteri di scelta, ma l’ad non se li era filati preferendo confrontarsi, come si è visto, con Palazzo Chigi. Che da lunedì è diventata la sede di scelta dei nuovi direttori, con esponenti politici che sfilavano davanti al capo di gabinetto Antonio Funiciello, in costante contatto con Mario Draghi e lo stesso Fuortes. Il quale, dopo averli esclusi, aveva dato appuntamento ai consiglieri mercoledì mattina alle nove, iniziativa tardiva rispedita al mittente. Poi le nomine sono arrivate, con tutte le polemiche conseguenti, dovute soprattutto all’esclusione dalle direzioni di personalità vicine ai Cinque Stelle. Ora per l’ex direttore del Tg1, Giuseppe Carboni, si parla della direzione day time. “Sono un soldato di questa azienda, farò quello che mi dicono. Quello di cui sono grato è lo splendido rapporto avuto in questi anni con la mia redazione”, ha detto l’ex direttore parlando coi suoi giornalisti.

Ma torniamo a Napoli, dove ieri si è tenuto il Cda come segnale di vicinanza alla fiction Un posto al sole. I nomi dei nuovi direttori e di quelli confermati (Maggioni al Tg1, Sangiuliano al Tg2, Sala al Tg3, Petrecca a Rainews, Orfeo agli approfondimenti, De Stefano allo Sport, Casarin alla Tgr) sono passati a maggioranza: contro si è espresso Alessandro Di Majo (vicino a Giuseppe Conte), mentre Riccardo Laganà non ha partecipato al voto. “Non discuto i nomi, ma non sono stati applicati criteri, metodi e percorsi di scelta che non condivido. Sul punto il Cda non è mai stato coinvolto e considerato”, fa sapere Di Majo. Ma le critiche sono arrivate un po’ da tutti, anche quelli (Bria, De Biasio, Agnes) che hanno dato il via libera. E non sono mancati momenti di tensione. “Questo è un pessimo segnale che ha gettato nello sconforto buona parte del personale Rai. Non abbiamo potuto esercitare il nostro ruolo di controllo e indirizzo”, ha detto Laganà. Fuortes però si è difeso dicendo che la legge gli consente grande potere e “non è scritto da nessuna parte che nelle scelte debba essere coinvolto il Cda”. Mentre di fronte alle scelte fatte direttamente dalla politica, l’Ad ha negato dicendo che “si tratta solo di false indiscrezioni di stampa”. Pur ammettendo, però, che “per noi non è stata una partita facile…”.

Nel frattempo, se da una parte FI e Lega esultano, il presidente della Camera Roberto Fico torna a rimarcare la “necessità di una riforma della governance”. Ma ieri, sulle polemiche tra Fuortes e Conte, si è fatto sentire anche Luigi Di Maio. “In questi tre giorni non ero in Italia. Ho letto di tutto, ma si tratta di veline che servono solo a danneggiare il movimento. Mi attribuiscono poteri che non ho”, sostiene il ministro degli Esteri. In azienda, intanto, c’è gran subbuglio a Rainews per la promozione a direttore (era vice) di Paolo Petrecca, vicino a Giampaolo Rossi e Giorgia Meloni. “Vianello non era in scadenza ed è stato sostituito solo per fare spazio ai desiderata di un partito”, scrive il cdr di Rainews. Canale importante perché è qui che a dicembre partirà il tanto atteso sito di news. A coordinarlo sarà Diego Antonelli, che in tutta questa faccenda ha vissuto una vicenda paradossale: nominato vicedirettore lunedì 15, ha visto decadere la sua carica per il cambio di direzione giovedì 18. È durato tre giorni.