Nuova (vecchia) Rai fu. Con il via libera del Consiglio di amministrazione, Viale Mazzini ha i suoi nuovi direttori, in un coro di applausi e complimenti rotto soltanto da voci isolate. Come quella del sindacato Usigrai, secondo cui “il valzer di nomine” deciso “fuori dalla Rai” dimostra “la mancanza di un progetto” per l’azienda: “La spartizione di poltrone rende non rinviabile la nostra richiesta di una legge che allontani le sorti del Servizio pubblico da quello dei governi di turno e dei partiti”.
Gli effetti – non certo nuovi o imprevedibili – della lottizzazione non sfuggono neanche ad analisti e a chi in Rai ha lavorato per anni.
Siliato “Vantaggi per il Tg5”
Il paradosso più evidente lo sintetizza Francesco Siliato, docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi al Politecnico di Milano: “Al vertice dei telegiornali hanno confermato chi ha avuto numeri peggiori e mandato via chi ha ottenuto risultati migliori”. Il riferimento è chiaro: da una parte Gennaro Sangiuliano, che resterà al vertice del Tg2 in quota Lega, e dall’altra Giuseppe Carboni, silurato dal Tg1. Nel mezzo, l’eterno Mario Orfeo, passato dal Tg3 alla nuova casella della Direzione Approfondimento.
La considerazione di Siliato è confortata dai numeri elaborati da Studio Frasi, la società specializzata di cui è partner il professore, che ha paragonato i dati Auditel della nuova stagione dei Tg con lo stesso periodo del 2020 (condizionato dalle chiusure causa Covid) e del 2019. Scoprendo risultati interessanti: “Rispetto allo scorso anno, il Tg1 ha perso il 3,94 per cento del suo share – spiega Siliato al Fatto –, ma rispetto al 2019 segna un +8 per cento”. Numeri ben diversi da quelli del Tg2: “Il telegiornale di Sangiuliano ha perso il 21,58 per cento rispetto a dodici mesi fa, l’8,74 se consideriamo il periodo pre-Covid”. I freddi dati dicono allora che la meritocrazia conta poco: “La Rai non funziona come un’azienda normale, in cui si premia chi guadagna e si penalizza chi perde. Qui succede il contrario, segno che il criterio di scelta non è il pubblico, ma l’interesse dei partiti”. Con un corollario evidente a vantaggio di Mediaset, non certo parte disinteressata alla partita delle nomine: “Di fatto si cambia il direttore del telegiornale che dà più fastidio al principale tg della concorrenza, ovvero quello di Canale 5”.
Mineo “C’è rischio censura”
E ancor prima del giudizio sui nomi scelti, c’è un tema di poteri, funzioni e metodo. A parlarne è Corradino Mineo, per decenni volto noto Rai prima dell’addio nel 2013. Il primo problema è proprio il ruolo per cui è stato scelto Orfeo, che coordinerà tutto il “genere” Approfondimento, nella nuova concezione del servizio pubblico per cui ogni settore, indipendentemente dalla rete, sarà diretto da un unica figura. Non si sa con quali risultati: “Come puoi pensare di dirigere contemporaneamente Bruno Vespa, Bianca Berlinguer, Sigfrido Ranucci e tutti i programmi dell’approfondimento? Finisce che o non li segui, e dunque è come se non ci fossi, oppure fai il censore”. Il pericolo, secondo il giornalista, è che si enfatizzi la vocazione “privatistica” della Rai: “L’idea dei generi circolava già quando me ne andai. Il problema è che dietro ai generi ci sono spesso logiche berlusconiane”. In che senso? “Le fiction molte volte mi sembrano dei veicoli di pubblicità delle Regioni. E i talk show ormai sono costruiti trattando con gli agenti dei giornalisti e degli ospiti. La Rai in questo si è modellata su cliché Mediaset”.
Il governo di tutti, poi, complica le cose. Al netto del solito conflitto di interessi legato a Berlusconi, i tecnici a Palazzo Chigi partecipano alla spartizione come un partito privilegiato: “Quelli che prima sapevano di avere la protezione di un partito se ne stavano zitti in attesa. Con i tecnici, si vede gente costretta a esporsi molto di più, a farsi notare dai nuovi arrivati. E il governo, grazie alla riforma di Renzi, ha un potere ancora più decisivo”.
Emiliani “Orfeo epurator”
Il risultato della spartizione è la rabbia del M5S, manifestata da Giuseppe Conte: “Non andremo più nelle reti del servizio pubblico”. Vittorio Emiliani, componente del cda Rai a cavallo tra gli anni 90 e 2000, non biasima l’ex premier: “La reazione di Conte è tardiva e ingenua, ma certamente c’è stata una regia per escludere i 5Stelle dalle nomine”. E non per favorire nomi il cui prestigio supera ogni polemica: “Mi sembra sia stato un compromesso al ribasso, una marmellata pericolosa che ha prodotto scarse competenze. Monica Maggioni è per tutte le stagioni, Orfeo lo associamo ai tanti cacciati durante il suo mandato da dg. Siamo alla distribuzione monarchica di posti di comando”. Emiliani non nega che la lottizzazione esistesse pure nella “sua” Rai, ma ne fa un discorso di valore professionale: “Allora c’erano dei quadri dirigenziali di indubbia competenza, che è l’unico antidoto che la Rai ha rispetto al controllo dei partiti”.
Guglielmi “Tg2 di parte”
Di tutt’altra Rai faceva parte pure Angelo Guglielmi, l’uomo che tra il 1987 e il 1994 trasformò Rai Tre in un piccolo gioiello in grado di lanciare decine di volti noti e programmi tutt’ora in onda (da Blob a Chi l’ha visto?). Oggi Guglielmi è perplesso soprattutto dalla conferma di Sangiuliano al Tg2: “Sono rimasto stupito perché credo abbia dato molte prove della sua parzialità in questi anni”. Come Emiliani, Guglielmi parla della lottizzazione come di un fenomeno antico, ma ricorda anche come riuscì a lavorare senza condizionamenti: “L’unico con cui avevo un rapporto era Walter Veltroni, che però aveva capito che avrebbe avuto maggiori vantaggi se io avessi lavorato con piena libertà. Oggi forse i politici non avrebbero la stessa intelligenza”.