La rai dei migliori: riecco il duo Maggioni&Orfeo

In Rai sono entrambi di casa. Lui, Mario Orfeo, record italiano, ha diretto tutti e tre i Tg ed è stato braccio armato della stagione renziana e delle sue epurazioni. Lei, Monica Maggioni, nello stesso periodo era la presidente della Rai. Ora si preparano a brindare di nuovo: Orfeo è il nome proposto per la direzione Approfondimento, quella che darà la linea per Tg e talk. Maggioni dovrebbe tornare a dirigere il Tg1.

Arrivato al Tg1 nel 2012, dopo aver diretto il Tg2 tra il 2009 e il 2011, Orfeo resta in sella cinque anni gestendo il principale telegiornale italiano nei mesi del referendum costituzionale del 2016: i dati Agcom sulla par condicio inchiodano il Tg1 evidenziando un netto sbilanciamento dei tempi di informazione a favore del Sì. Nel 2017 diventa direttore generale della Rai ed è protagonista dell’ultima fase della gestione renziana, quella che porta all’addio di alcuni volti ritenuti d’intralcio al Pd, nonostante ascolti più che buoni. L’addio più rumoroso, nell’ottobre del 2017, è quello di Milena Gabanelli – “Mi sento umiliata, mi hanno offerto lo sgabuzzino” dice quando naufraga il progetto di rilancio di Rai News 24 – che emigra nel gruppo Rcs. C’è poi la fuga del conduttore de L’Arena Massimo Giletti: “L’informazione è una cosa seria – sosterrà Orfeo – e non si fa con le urla o facendo spettacolo”. L’autunno 2017 è anche quello in cui di Orfeo discutono l’avvocato e amministratore della Fondazione Open, Alberto Bianchi, e la segretaria di Luca Lotti, Eleonora Chierichietti. Il 13 novembre Bianchi scrive: “Orfeo non ha chiamato Insegno. Ci avete parlato?”. “No” risponde Chierichetti “domani lo vede”. E Bianchi: “Ricordaglielo”. Pino Insegno è un attore che tre mesi dopo, nel febbraio 2018, avrà una parte nella storica fiction Rai Un posto al sole. “Sarebbe interessante piuttosto capire per quale motivo, dopo tanti successi televisivi, per quattro anni, dal 2016, sono stato esiliato dalla tv”, risponde al Fatto Insegno che smentisce questa ricostruzione ricavata dagli atti d’indagine della procura d Firenze su Open. “L’unico che abbia mai contattato tra questi nomi – conclude – è stato Orfeo, in qualità di direttore generale Rai, per chiedergli spiegazioni sulla mia situazione. E non ho mai ricevuto risposta”.

Bianchi in quei mesi segna sulla sua agenda: “Hai potuto parlare con Orfeo per Pino Insegno? Non vorrei che ci fossero interferenze di terzi (Andrea Gemma si è già proposto con lui dicendo che basta che glielo dica e con Orfeo, ci pensa lui). O gliene parli tu, o mi fissi con Orfeo e gliene parlo io”. In relazione all’argomento denominato “4-RAI”, si legge, fra l’altro: “Ti ricordo poi che Pietro Di Lorenzo ti cercava perché vorrebbe che Orfeo ricevesse 10 min. suo figlio, Daniele.” Daniele Di Lorenzo è un produttore cinematografico. Interpellato dal Fatto, Orfeo commenta: “Non ho mai incontrato o parlato con l’avvocato Bianchi né con la segretaria dell’onorevole Lotti. Non ho mai parlato con Lotti dell’artista Pino Insegno. Ho parlato solo una volta al telefono con Insegno – mi chiamò lui senza intermediari – che voleva propormi un programma televisivo. Ma la mia risposta fu negativa. Non ho mai conosciuto l’avvocato Andrea Gemma, né il signor Pietro Di Lorenzo, né il figlio Daniele”. Messa in freezer la sbornia renziana, Orfeo otterrà la direzione del Tg3 e s’accredita ora come volto ideale per il coordinamento dell’informazione di approfondimento (anche se, secondo alcune indiscrezioni, sarebbe stato recalcitrante).

Anche Maggioni viene citata nelle chat e nelle agende di Bianchi (immagine a lato, ndr). L’8 maggio 2017 Bianchi, quando il direttore generale Rai Antonio Campo Dall’Orto è in rotta di collisione con l’azienda, annota sull’agenda alla voce “3 messaggi da Maggioni” che sembrano indirizzati a Lotti. Tra questi – ma l’ex presidente Rai nega di aver lasciato messaggi per chicchessia – ne segnaliamo uno: “Le piacerebbe assumere lei l’interim. Oppure un Ticket Dal Brocco (Paolo Del Brocco, ndr) /Maggioni (N.B. Dal Brocco è una buona soluz. X noi anche a regime. Molto amico di Vitt. (Vittorio, ndr) Farina)”. Poi Bianchi aggiunge in rosso: “Si, ma pare M (Matteo Renzi, ndr) abbia in testa Leone”. Due giorni dopo, il 10 maggio, Bianchi scrive a Lotti: “Incontrata per caso ieri di nuovo la Maggioni. Dice che Gentiloni frena su uscita CdO (Antonio Campo Dall’orto, ndr), e che lei allora gli ha mandato I messaggio che o il 23 CdO se ne va o se ne va lei. Per tua info”. “Credo sia la verità” risponde Lotti. E Bianchi: “Dice che lo sa per certo”.

“L’uscita di Campo Dall’Orto – ci spiega Maggioni – fu determinata dalla sfiducia nei suoi confronti espressa dal CdA. In quei giorni erano in molti a chiedermi come sarebbe stata risolta la questione. Lo stesso CdA decise subito dopo di nominare, al posto di Campo Dall’Orto, Mario Orfeo”. Va bene, ma perché parlarne con Bianchi? Mah. Oggi il cda Rai può farla tornare da direttrice al Tg1 dove è stata inviata, conduttrice, caporedattrice. E dove nel 2010, in piena era berlusconiana, firma (con parte dei colleghi) una lettera di sostegno al direttore Augusto Minzolini, che aveva sostenuto che David Mills, l’avvocato accusato di essere stato corrotto da Berlusconi, fosse stato “assolto” e non “prescritto”. Maggioni ha accumulato incarichi con governi di ogni colore, anche grazie ai rapporti col dem Paolo Gentiloni, l’attuale sottosegretario a Palazzo Chigi Roberto Garofoli e il capo di gabinetto di Draghi Antonio Funiciello.

Nel 2015 viene nominata presidente della Rai e avalla le prime delle tante epurazioni – Massimo Giannini, colpevole di aver definito a Ballarò “incestuoso” il rapporto tra Maria Elena Boschi e Banca Etruria; Bianca Berlinguer accompagnata alla porta del Tg3; Nicola Porro che chiude Virus – di cui poi si farà carico anche Orfeo: “Qualche epurazione nella mia vita l’ho vista – la giustificazione di Maggioni – ma mai con una trattativa in corso sul programma successivo, il mantenimento dello stesso trattamento economico, la possibilità di studiare un format diverso col nuovo direttore di rete. Se le epurazioni sono così, vorrei essere epurata anch’io”. Con l’arrivo di Marcello Foa, nel 2018, Maggioni lascia la presidenza, trova posto in Rai Com, poi torna su Rai1 col programma Sette Storie e un un incarico da 240 mila euro lordi l’anno. Quanto il presidente della Repubblica.

Modica (Rg), barista 53enne ucciso da una tromba d’aria

Era uscito di casa, come tutte le mattine, per iniziare la sua attività nel bar “Caffè orientale” di sua proprietà nel centro storico, Giuseppe Ricca, 53 anni, quando la forza della tromba d’aria che si stava abbattendo sul territorio di Frigintini a Modica (Ragusa), l’ha scaraventato sul cancello a circa 10 metri di distanza dall’uscio di casa. L’impatto è stato violentissimo e fatale. A lanciare l’allarme e chiamare i soccorsi la moglie e il figlio. Giuseppe era conosciuto come “Pino Milano” perché per un periodo aveva vissuto nel capoluogo lombardo.

Uccide moglie, suocera e due figli di 2 e 5 anni

Ha sterminato tutta la sua famiglia a coltellate per poi togliersi la vita. Una strage difficile anche da pronunciare. Le vittime una mamma e i suoi due bambini di 5 e 2 anni. Sotto ai colpi dei fendenti è morta che una donna di 64 anni, quasi certamente la madre di lei. Stati trovati nel pomeriggio in un appartamento al civico 28 di via Manin a Sassuolo, paese sulle prima colline di Modena, famoso per il distretto ceramico. A ucciderli tutti – questa la prima ricostrizione degli investigatori – è stato il padre di famiglia che si è poi tolto la vita.

Omicidio Cella, altre cinque testimoni?

L’anonima testimone che la mattina del 6 maggio 1996 avrebbe visto Annalucia Cecere, l’ex insegnante indagata per l’omicidio di Nada Cella, andare via col motorino da via Marsala non era sola. È quanto emerge da nuovi spezzoni di intercettazioni diffuse dalla squadra mobile e dalla procura di Genova per identificare la donna. “Si la conoscono signora. È che stanno tutte zitte. Le altre stanno tutte zitte ma eravamo diverse. Io non faccio nomi ma eravamo diverse, io non so perché le altre non parlano. Eravamo in cinque”, dice nella telefonata dell’agosto 1996 fatta alla casa di Marco Soracco, il commercialista dove Nada lavorava.

Bleona, la 19enne “leonessa dei Balcani” che da Milano reclutava ragazze per l’Isis

Abu Bakr Baghdadi! O tormentatore dei nemici! Le vergini del paradiso stanno chiamando. Iscrivimi da martire”. Bleona Tafallari, appena 19enne, recitava spesso la preghiera, chiusa nel suo piccolo appartamento di via Padova a Milano. Agognava il martirio in nome di Allah e dello Stato islamico. Ma non c’è solo questo nella storia della giovane di origini kosovare arrestata ieri su ordine della Procura con l’accusa di terrorismo internazionale. C’è un intero mondo nascosto e alimentato in Rete. A partire da lei, gli investigatori delineano un nuovo network del terrore declinato al femminile e legato al gruppo dei Leoni dei Balcani, affiliati esplicitamente al Daesh. Radicalizzata già minorenne, Bleona si sposta a Milano nell’agosto scorso, portando con sé un matrimonio di peso con un mujahed già in contatto con Kujtim Fejzulai protagonista dell’attentato di Vienna del 2 novembre 2020. E al netto dei contenuti estremi ritrovati nel suo cellulare, ciò che rende nuova questa indagine sono le chat attraverso le quali Tafallari ha cercato di radicalizzare altre donne oppure ha offerto aiuto e supporti organizzativi. Il 31 agosto parla con una donna detenuta a Raqqa in Siria. Scrive: “Hai bisogno di soldi come potrei aiutarti”. Mentre il 24 febbraio è in chat con tale Fatina, 16enne kosovara che “sogna un matrimonio bagnato con il sangue dei miscredenti e un marito con capelli lunghi e barba insieme al quale morire da martire” che però dice a Bleona: “In casa non mi fanno portare il niqab”, ma che sogna un bambino e un matrimonio dove “non lasciamo neppure un miscredente”. Per questo ha comprato i guanti e la bandiera dell’Isis “ma quando mia madre ha visto i guanti (…). Attaccherò tutto in camera (…). Mio padre si stressa e sta male”. Risponde Tafallari. “Che Dio ti protegga leonessa”. L’altra: “Trovami uno con la barba e i capelli lunghi (…). E cadremo entrambi da martiri”. Il 21 settembre la donna tenta di convincere, e pare riuscirci, un’altra ragazza a sposarsi con un mujahed. La ragazza spiega: “Mia madre non mi lascia fare niente”. “Lo so sorellina – risponde l’altra – ma devi dare retta a tua madre fino a un certo punto”. Tanto che la ragazza alla fine pare convinta: “No, non le do retta, mi sposo e me ne vado”. Scrive il giudice: “L’opera di propaganda ed esaltazione dello Stato islamico raggiunge il suo apice quando, in una chat con un’altra donna, anche i commenti sul figlio di quest’ultima in tenera età sono motivo di esaltazione del jihadismo (…). Il piccolo viene ritratto dalla madre in fotografie dove indossa una cuffietta nera riportante i versi della Shahada, o con una pistola di fianco. Nell’occasione la Tafallari ha commentato entusiasta e alla vista dell’arma ha scritto: io vorrei quella cosa che ha toccato”.

Napoli, mazzette e “miracoli” per avere la divisa

Ai preti chiedevano un miracolo, ai genitori dei ragazzi che sognavano un figlio carabiniere o agente della penitenziaria chiedevano soldi. Sono stati arrestati di nuovo Errico Spena e Maurizio Russo, già detenuti per accuse analoghe cristallizzate a un singolo episodio: mazzette in cambio di agganci sicuri per superare le prove psico-attitudinali ed entrare nelle forze armate.

L’inchiesta della Procura di Napoli si è allargata: mentre loro due restano in carcere, altri dieci sono finiti ai domiciliari, e oltre a chi era disposto a pagare ci sono anche ufficiali dell’esercito e graduati di polizia municipale. A dimostrazione della serialità delle pratiche corruttive. Piuttosto recenti: dalla fine del 2020 al giugno scorso.

Incastrati dal trojan sui loro cellulari, che ha consentito agli inquirenti di ascoltarli mentre parlavano a ruota libera abbandonando le cautele adottate al telefono, Spena e Russo parrebbero avere amicizie molto in alto. Mai così in alto, però, come quelle invocate con don Franco per un candidato che ha una profonda cicatrice a un braccio e rischia di non passare. Il padre fabbrica scarpe e ne promette 24 paia in cambio dell’interessamento per il figlio. E così Spena chiama a don Franco: “…se potete fare un miracolo, che vi devo dire, veramente si tratta di una eccezione… è un ragazzo veramente in gamba…”. Don Franco secondo il Gip è davvero un prelato, una figura importante in ambito ecclesiastico. Le indagini non lo hanno individuato. Don Franco risponde: “Va bene mi mandi i dati… poi vediamo…”. Li riceverà via sms.

Becciu, il mistero della deposizione del Papa. Gli avvocati vogliono Bergoglio come teste

Papa Francesco è stato inserito nella lista testi delle difese nell’ambito del processo sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato in Vaticano. Qualora l’istanza degli avvocati Cataldo Intrieri e Massimo Bassi fosse accolta, Jorge Mario Bergoglio sarebbe chiamato a testimoniare in relazione ai 15 milioni di euro pagati al broker Gianluigi Torzi per far uscire il Vaticano dal business del palazzo di Sloane Square a Londra. Soldi che, secondo i pm d’Oltretevere, sarebbero frutto di estorsione. La decisione è stata presa dai legali al termine dell’udienza del processo che vede imputate 10 persone, tra cui l’ex Sostituto alla Segreteria di Stato, il cardinale Angelo Becciu. A tirare in ballo il Santo Padre è stato, durante uno degli interrogatori resi in fase d’indagine, l’ex braccio destro di Becciu, monsignor Alberto Perlasca, inizialmente indagato e poi divenuto fra i principali accusatori degli imputati. Nell’audio dell’interrogatorio, fatto ascoltare durante l’udienza di ieri e a disposizione dei legali – ma non integralmente trascritto nel verbale – si sentirebbe Perlasca affermare che fu Bergoglio, all’inizio del 2019, ad autorizzare la transazione concordata dalla Segreteria con Torzi. La circostanza, come emergerebbe dallo stesso audio, sarebbe stata smentita dagli inquirenti, che si sarebbero rivolti a Perlasca smentendo la circostanza in quanto “siamo andati dal Papa e gli abbiamo chiesto cosa era successo”. Ma di questo incontro fra i pm vaticani e Francesco – lamentano gli avvocati – non vi sono atti o verbali depositati. “Delle due l’una – afferma Intrieri – o i promotori non hanno documentato un atto importante oppure hanno mentito a Perlasca inducendolo a ritenere che il Papa avesse negato ciò che lui affermava”. Secondo il promotore di Giustizia, Alessandro Diddi, invece Bergoglio aveva parlato del caso in tempi “non sospetti”, vale a dire lontani dallo svolgimento dell’inchiesta. Anzi addirittura in una conferenza stampa sull’aereo che dalla Thailandia, due anni fa, lo portava in Giappone. Intanto, sulla querelle del deposito degli atti, ieri, il presidente del Tribunale vaticano, Giuseppe Pignatone, ha richiamato i promotori di giustizia: “Non si va avanti senza tutti gli atti. Ci vuole ancora tempo per cominciare, se potremo cominciare”, ha detto. “Ci sono sì degli omissis, ma riguardano il segreto investigativo a cui si è dovuti per via di altre indagini in corso”, è stata la novità svelata da Diddi.

I No Tav: “Pioggia di querele” su Molinari di Rep

Il movimento No-Tav ha organizzato per domani, dalle ore 10.30 l’iniziativa “Una pioggia di querele su Molinari” presso il Tribunale di Torino, in cui i legali del movimento depositeranno le prime querele contro il direttore di Repubblica per le dichiarazioni rilasciate il 10 ottobre durante la trasmissione Mezz’ora in più di Lucia Annunziata. Lì Maurizio Molinari dichiarò: “I No Tav sono un’organizzazione violenta, quanto resta del terrorismo italiano degli anni 70. Aggrediscono sistematicamente le istituzioni, la polizia, anche i giornali, minacciano i giornalisti a Torino e la cosa forse più grave è che sono in gran parte italiani che si nutrono anche di volontari che arrivano da Grecia, Germania e a volte dalla Francia – e ha proseguito – per un torinese No Tav significa sicuramente terrorista metropolitano; chiunque vive a Torino ha questa accezione. La cosa più grave – concluse – è che siccome si avvolgono di una motivazione ambientalista, quando questa motivazione viene legittimata, loro reclutano, con una dinamica che ci riporta davvero agli anni 70”.

Ruby, i legali di B.: “Senza Polanco&C. cadono le accuse”

L’ordinanza del Tribunale di Milano che il 3 novembre ha dichiarato inutilizzabili le testimonianze di 18 “ex Olgettine” rese nel Ruby e nel Ruby bis e che potrebbe aver azzoppato parte delle accuse a carico dei 29 imputati del ter, tra cui Silvio Berlusconi, è “estremamente significativa per tutte le imputazioni, non solo per la falsa testimonianza”, ossia anche per la corruzione in atti giudiziari. Lo ha spiegato al termine dell’udienza di ieri l’avvocato Federico Cecconi, legale dell’ex premier: “L’ordinanza incoraggia noi a ritenere che le analisi svolte dalla difesa sulla insussistenza in fatto e diritto di tutte le imputazioni erano corrette”. Il legale ha chiarito che la difesa di Berlusconi “volontariamente ha fornito alla Procura le movimentazioni bancarie, perché non c’era nulla da nascondere”. Cecconi ha anche spiegato che per l’udienza del 24 novembre la difesa provvederà a un “significativo sfoltimento” della lista dei testimoni e non ha escluso anche che l’ex presidente del Consiglio nel proseguimento del processo possa decidere di rendere “dichiarazioni spontanee”.

Formigoni show, monta in cattedra e fa la vittima: “Mi hanno tolto tutto”

Alle ore 22, Roberto Formigoni comincia a mandare segnali inequivocabili. Un occhio all’orologio, una mano sul manico della 24 ore in pelle, postura del corpo già predisposta allo scatto verso le scale. Come a dire: signori, s’è fatta una certa. E mica per cattiveria: alle 23 il Celeste deve tassativamente tagliare il traguardo del proprio uscio di casa, a Milano, causa fine del permesso dagli arresti domiciliari.

Misura cui è costretto da una condanna definitiva a 5 anni e 10 mesi per corruzione. Nell’aula magna del Collegio Gallio di Como, dove martedì sera arriva per presentare il suo libro Una storia popolare, lo accolgono con calore. Solo fuori dall’istituto si ritrovano 5 Stelle, Rifondazione e associazioni per protestare: “È scandaloso che il Collegio Gallio, che come tutte le scuole private usufruisce di contributi, ospiti un personaggio come Formigoni condannato per corruzione”. La serata è un lungo rito di revisionismo collettivo. Formigoni, completo blu e cravatta color crema, non conosce autocritica: “Con la nostra riforma della sanità abbiamo permesso anche ai poveracci di curarsi negli ospedali migliori d’Italia”. Al prezzo di un’apertura ai privati che più in là avrebbe avuto parecchi effetti collaterali, almeno secondo i giudici. Ma non importa.
Il Celeste parla ancora di sé in terza persona, soprattutto quando sta per farsi un complimento: “Con Formigoni, gli imprenditori lombardi hanno portato le loro eccellenze in tutto il mondo”. Al riguardo c’è pure un aneddoto biblico: “Nel 2002 riuscimmo a vendere il riso ai cinesi, che è un po’ come vendere i ghiaccioli al Polo Nord”. Merito, dice l’ex presidente di Regione Lombardia, di “un grande pranzo con 100 ristoratori di Pechino a cui offrimmo il risotto alla milanese”: “Il giorno dopo – giura lui – decine di imprenditori firmarono accordi per esportare il riso prodotto in Lombardia”.
Ma quel che sta più a cuore a Formigoni è la promozione del libro, ché sono tempi duri: “Non contenti di avermi condannato, mi hanno portato via tutto, mi hanno sequestrato tutto quello che avevo messo da parte in cinquant’anni di lavoro e la piccola eredità avuta da mio nonno”. E qui i toni del Celeste si fanno drammatici: “A 73 anni ho dovuto inventarmi qualcosa per poter vivere, menomale che il mio amico Feltri mi fa scrivere su Libero. Non bastano neanche i diritti d’autore del libro”. Tra le voci in entrata nessun accenno al vitalizio, chissà se per una banale dimenticanza o per semplice pudore.
Il pubblico infreddolito – l’enorme stanzone è privo di riscaldamento – non molla il cappotto e assiste alla lectio magistralis di un uomo che si è convinto di essere un perseguitato. Da dietro la cattedra, di fronte a una manciata di post-democristiani locali e a una cinquantina di fedeli, Formigoni racconta che Tangentopoli, nel 1992, servì quasi solo per tentare di mandare in galera lui: “C’era un pm che prometteva la libertà a tutti gli arrestati a patto che ammettesse di aver dato soldi a Craxi o a Formigoni”. E anche qui, la terza persona suona un po’ come un complimento. Poi, quando si arriva ai più recenti guai con la giustizia, Formigoni irrigidisce la mascella e alza la voce: “Pensavano di distruggermi, è stato un processo politico, un’ingiustizia. Ma non sono crollato e ho uno spirito di ribellione formidabile”.
Non al punto, però, di violare il permesso concesso dal giudice di sorveglianza: alle 23 tutti a casa, con buon anticipo sul più noto coprifuoco di Cenerentola. E allora il Celeste si agita, saluta e scende le scale di corsa, salvo accorgersi che manca qualcosa: “Ma dov’è il mio autista?”. Trattasi di Rodolfo Casadei, il giornalista co-autore del libro, attardatosi in aula magna. Sono attimi di paura, basta un ingorgo in tangenziale per mandare all’aria anni di buona condotta. Ma poi eccolo, Casadei, finalmente. Formigoni può sorridere. E con lui il suo braccialetto elettronico.