Gli assunti della concorsopoli di Allumiere possono stare tranquilli. Il piccolo Comune in provincia di Roma ha sì revocato la procedura finita al centro delle polemiche, ma solo per “coloro i quali non sono stati ancora collocati in una stabile posizione lavorativa”. Tradotto: chi è stato assunto manterrà il suo posto di lavoro. Il concorso di Allumiere era finito nella bufera dopo un’inchiesta del Fatto che ha raccontato come la procedura, grazie a un accordo fra il Comune e il Consiglio regionale del Lazio, abbia permesso a un nutrito gruppo di dipendenti a contratto della Regione di ottenere l’assunzione in tempo indeterminato grazie alla semplice idoneità. Lavoratori impiegati nelle segreterie politiche dei consiglieri, in gran parte politici o militanti del Pd. Inizialmente il sindaco di Allumiere – già componente della segreteria dell’ex presidente del Consiglio regionale, Mauro Buschini, dimessosi a seguito delle polemiche in questione – aveva deciso per l’annullamento del concorso. Il parziale passo indietro è arrivato, formalmente, per la “salvaguardia economico-finanziaria dell’Ente”, dunque per proteggere il Comune dalla pioggia di ricorsi. Ieri è intervenuta su Twitter anche Chiara Colosimo, consigliera regionale di Fratelli d’Italia e presidente della commissione d’Inchiesta sulla concorsopoli: “Apprendo di una determina di Allumiere: annullamento della graduatoria per i non già contrattualizzati. Mi vergogno. Non ho altro da aggiungere”.
Black Friday, lo sciopero dei corrieri Amazon in appalto: “Per noi, ritmi e orari insostenibili”
Nonostante appena due mesi fa sia stato firmato l’accordo – definito “storico” – tra Amazon e i sindacati italiani, quest’anno tornerà lo sciopero del Black Friday. I corrieri addetti alle consegne per il colosso dell’eCommerce si fermeranno il 26 novembre, giorno dei mega-sconti. Vogliono che si riducano i carichi di lavoro, il numero di pacchi da consegnare, le ore settimanali e chiedono un premio economico. Saltate le trattative, hanno indetto la mobilitazione nel giorno più importante dell’anno. Il paradosso è solo apparente: l’intesa del 15 settembre al ministero del Lavoro riguarda solo Amazon, mentre i servizi di consegna vengono svolti da imprese fornitrici. In quella sede l’azienda di Jeff Bezos ha rifiutato di assumersi la responsabilità di quello che accade in queste ditte, sebbene tutte lavorino prevalentemente per Amazon (alcune esclusivamente). E malgrado i ritmi di attività dei driver dipendano dai tempi dettati da Amazon stessa. Insomma, come da tempo rivendicato, è un processo unico anche se viene svolto da diverse realtà. Ecco perché oggi quell’accordo annunciato con grande enfasi dal ministro Andrea Orlando non ha potuto evitare lo sciopero. Al tavolo con Assoespressi, senza la mediazione di Amazon, i nodi irrisolti sono tanti. “È un mesetto che si sono fermati gli incontri e non abbiamo più ricevuto convocazioni”, fa notare Danilo Morini della Filt Cgil. I sindacati puntano ad abbassare i ritmi, portare da 44 a 39 le ore settimanali nel medio periodo e a imporre la clausola sociale, quella per cui l’azienda che subentra è costretta a riassumere, alle stesse condizioni, i dipendenti di quella che uscente. Le imprese si smarcano perché ritengono che il loro contratto con Amazon sia formalmente di trasporto e non di appalto. Poi ci sono richieste sulle politiche da adottare in caso di danni ai mezzi, per evitare di penalizzare i lavoratori stessi costretti ai risarcimenti, ai premi economici e al trattamento dei dati personali, dato che gli addetti vengono monitorati durante i loro spostamenti. Qualunque concessione in tal senso avrebbe ricadute economiche su Amazon, che però non vuole avere un ruolo in queste trattative. Il rapporto tra il colosso e i suoi fornitori è definito attraverso un codice di condotta, non un tavolo sindacale. “Lavoriamo a stretto contatto con i fornitori di servizi di consegna per definire insieme obiettivi realistici che non mettano pressione su di loro o sui loro dipendenti”, spiega Amazon.
Calabria, eletto il n.1 del Consiglio. Ma è indagato
Un leghista è stato eletto presidente del Consiglio regionale della Calabria. Si tratta di Filippo Mancuso che ha ottenuto 22 voti su 31. Ieri, via social, ha ricevuto gli auguri pure di Matteo Salvini che l’ha definito “il primo storico presidente della Lega nel consiglio della Regione”. Per Mancuso, nei giorni scorsi, la Procura di Catanzaro ha chiesto il rinvio a giudizio nell’ambito dell’inchiesta “Gettonopoli”. Il processo inizierà a gennaio e vede imputati diversi consiglieri comunali di Catanzaro, accusati indebita percezione dei gettoni di presenza per le attività delle commissioni. A causa delle presunte “false verbalizzazioni delle riunioni della prima, seconda e quinta commissione consiliare”, il neo presidente Mancuso dovrà rispondere “per l’importo totale di 462,24 euro a titolo di gettoni di presenza”. “Io ho la coscienza a posto – si è difeso Mancuso nei giorni scorsi – So quello che ho fatto e di avere fatto bene. Sono fiducioso che sarà fatta luce sul mio comportamento lineare”.
Capo dell’Antimafia. Anche Lo Voi e Viola sfidano Gratteri
Ci sono anche gli sfidanti per la Procura di Roma, Franco Lo Voi, procuratore di Palermo e Marcello Viola, procuratore generale di Firenze, tra i candidati al posto di procuratore nazionale antimafia, che Federico Cafiero de Raho lascerà libero a febbraio, quando andrà in pensione. Sia Viola che Lo Voi hanno vinto i ricorsi al Tar e al Consiglio di Stato contro la nomina a procuratore di Roma di Michele Prestipino che, secondo voci di Palazzo dei Marescialli, non sarà riproposto dalla Quinta commissione. Per ora il candidato con più possibilità è Lo Voi, come anticipato sulla nostra newsletter Giustizia di Fatto. In base al voto per il procuratore di Roma si capirà quale sarà la vera partita della Procura nazionale antimafia: se ci sarà una corsa a due tra il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri e il procuratore di Napoli Giovanni Melillo, candidati già annunciati o se la partita si amplia. Gli altri candidati sono i procuratori di Catania, Zuccaro, di Messina, De Lucia, di Lecce, Leone de Castri, l’aggiunto della Dna, Russo.
Classi pollaio, una riduzione piccola piccola. Il ministero è ultimo per i target raggiunti
“Addio alle classi sovraffollate” aveva annunciato il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi quest’estate. Una promessa smentita dai fatti di queste ore: la misura sulla diminuzione del numero di alunni per classe inserita nella legge di Bilancio 2022, non varrà per tutti ma solo in casi estremi, nelle scuole che già dispongono degli spazi necessari e senza alcun investimento sull’organico. La montagna ha partorito il topolino. Il pasticcio si somma alla notizia che il ministero di Viale Trastevere è tra i più lenti nell’adozione dei provvedimenti per l’attuazione del programma di governo. I dati del bimestre settembre-ottobre sono deludenti: era stato assegnato all’Istruzione il compito di adottare undici provvedimenti a settembre e cinque a ottobre. Risultato? A conti fatti a Viale Trastevere sono riusciti a far marciare solamente sette provvedimenti in tutto, sei a settembre e uno solo a ottobre.
La soluzione del professore ferrarese non risolverà l’annoso problema denunciato recentemente anche da “Cittadinanzattiva”: oltre 450mila alunni studiano in 17mila classi con più di 25 tra bimbi e ragazzi. L’articolo 112 dell’ultima bozza della manovra prevede la deroga solo “nelle scuole caratterizzate da valori degli indici di status sociale, economico e culturale e di dispersione scolastica e nel limite delle risorse strumentali e finanziarie e della dotazione organica di personale scolastico disponibili a legislazione vigente”. A stabilire le modalità applicative della misura sarà un decreto ministeriale che dovrà essere firmato entro il mese di marzo 2022. Ad alzare la voce contro il governo ci ha pensato subito l’ex ministra Lucia Azzolina: “La soluzione contenuta nella legge di Bilancio prevede solo una rimodulazione del numero attuale dei docenti. In parole povere: ci sarà una deroga alla norma Gelmini ma senza nuove assunzioni”. “Mantenere l’organico e non andare in contrazione è essenziale, tuttavia non basta – dice al Fatto la presidente della Commissione Istruzione della Camera, Vittoria Casa (5S) – Occorre lavorare per una reale riduzione delle classi sovraffollate soprattutto nelle scuole secondarie di secondo grado, in particolare gli istituti tecnici e trarne beneficio per alzare la qualità della didattica”. E ieri, intanto, Flc Cgil e Cisl Scuola hanno annunciato battaglia all’incontro di domani con Bianchi sulla manovra.
Rifiuti, Gualtieri è in panne: niente pulizia straordinaria
“I cittadini italiani si sono rotti i coglioni della monnezza di Roma”. Il 21 luglio, in piena campagna elettorale, Nicola Zingaretti perdeva il suo aplomb e inveiva contro Virginia Raggi. Quattro mesi dopo, la nuova amministrazione “amica” di Roberto Gualtieri, con i marciapiedi ancora invasi dai sacchetti, sta per firmare contratti da circa 1 milione di euro al giorno per trasferire i rifiuti in due impianti di Mantova e Livorno (in corso gli accordi fra Lazio, Lombardia e Toscana). Intanto, il ciclo dei rifiuti romano resta appannaggio delle aziende riconducibili a Manlio Cerroni, l’ex monopolista 95enne noto per essere stato, dal 1984 e fino alla chiusura del 2013, il patron di Malagrotta, la discarica più grande d’Europa. Il tutto mentre Gualtieri si trova davanti alla prima prova: rispettare la promessa di “ripulire” la città entro Natale. Compito arduo, se non proibitivo.
Per tre anni, Zingaretti ha chiesto a Virginia Raggi di indicare “con urgenza” un sito per una discarica all’interno del Comune di Roma. Neanche Gualtieri ha proposto nuove aree. E difficilmente lo farà a breve. All’ordine del giorno ci sono solo il quinto invaso della discarica di Roccasecca (Frosinone) – iter bloccato sull’onda lunga delle inchieste della Procura di Roma sull’imprenditore Valter Lozza – e l’allargamento di quella di Ecologia Viterbo, di proprietà del “gruppo Cerroni”. L’autorizzazione per quella di Albano, sempre di proprietà del “Supremo”, potrà essere prorogata solo fino al luglio 2022: entro quella data, Viterbo o Frosinone (ma meglio entrambe) dovranno essere disponibili. Alternative, nel Lazio, non ce ne sono. Da mesi (anzi, da anni) Cerroni propone agli amministratori di turno di sfruttare la volumetria residua a Malagrotta (circa 250mila metri cubi) e di trasformare in produttore di metanolo o di idrogeno il “gassificatore” rimasto inutilizzato. Ma, assicurano dal Campidoglio, sono opzioni non percorribili.
Le aziende riferibili a Cerroni restano imprescindibili per Gualtieri nella fase di trattamento dell’indifferenziato. Roma a luglio 2021 ha raggiunto quota 46,15% di differenziata. Il restante 53,85%, circa 2.600 tonnellate al giorno, finisce agli impianti di trattamento meccanico-biologico. Di queste ben 1.250 al giorno vengono trattate dai due tmb di E. Giovi, a Roma Ovest. La E. Giovi è in amministrazione giudiziaria dal luglio 2018 per effetto di un sequestro preventivo da parte della Procura. E gli scarti del tmb di Giovi finiscono ad Albano. Anche se in una perizia del 7 settembre l’Arpa Lazio ne ha rilevato il superamento dei parametri entro i quali potevano definirsi “rifiuti non pericolosi”. Il terzo tmb romano, quello di Rocca Cencia, di proprietà della società capitolina Ama Spa, è obsoleto e non riesce a trattare più di 600 tonnellate al giorno. Anche questo è commissariato. Per interrompere il trasferimento dei rifiuti fuori regione bisogna trovare altri tmb. La Regione tempo fa ha autorizzato il nuovo tmb “ecologico” di Guidonia, alle porte di Roma, di proprietà della società Guidonia Ambiente srl (sempre del “gruppo Cerroni”). Ipotesi che sbatte solo contro l’ostruzionismo del sindaco tiburtino, Michel Barbet. Gualtieri ha però una carta in più rispetto a Raggi: i fondi del Pnrr. Il piano per la ripresa post-Covid metterà a disposizione oltre 2 miliardi per il centro sud per impianti di ultima generazione. Fra questi anche i famosi “tmb ecologici”, che Ama potrebbe costruire uno a nord e uno a sud della città. Questi tuttavia non potranno essere pronti prima di 2 anni.
L’insufficienza impiantistica pesa sulla raccolta. La prima promessa di Gualtieri sindaco è stata quella di “ripulire” Roma entro Natale. Per ora si è visto molto poco. Dei 40 milioni annunciati, circa 32 riguardano bandi già assegnati o avviati da Virginia Raggi, dal verde alle caditoie. Il resto sono stati investiti in “straordinari” per i lavoratori. Il problema però è altrove. Il congestionamento dei tmb romani – che smaltiscono solo 1800 tonnellate sulle 2600 prodotte al giorno – tiene i camion fermi dalle 6 alle 12 ore in 3 stabilimenti: Rocca Cencia, Tor Pagnotta e l’ex tmb di Salario. Una soluzione per “nascondere” le file all’esterno dei tmb. Mezzi fermi, con l’immondizia a bordo, o che percorrono decine di km al giorno come fossero piccole discariche ambulanti. Così la “strada” viene utilizzata quasi come un deposito temporaneo. Di qui i cassonetti stracolmi a macchia di leopardo da Prati al Tuscolano, da Ostiense al Flaminio, con “circa 700 tonnellate al giorno che restano in strada” secondo le stime dei lavoratori Ama del gruppo Li.La. Così, le loro ore di straordinario i lavoratori Ama le passano a bordo dei mezzi in sosta.
Retata contro la banda dei 17 no-Vax e no-Pass su Telegram
Taniche di acido “da lanciare verso le forze dell’ordine” sequestrate a Palermo e chat Telegram con minacce a magistrati e polizia. Un piano “eversivo” secondo chi indaga, tanto da scomodare i pm antiterrorismo. Sono 17 le perquisizioni effettuate ieri in 16 città italiane, fra cui Milano, Roma e Torino. Sono state eseguite nei confronti degli attivisti no-vax e no-Green pass più radicali e affiliati al canale Telegram “Basta Dittatura”, diventato lo spazio web di maggiore riferimento nella galassia dei negazionisti del Covid-19. Per gli indagati l’ipotesi accusatoria è quella di istigazione a delinquere con l’aggravante del ricorso a strumenti telematici e di istigazione a disobbedire le leggi. In particolare, i 17 avevano partecipato alla chat istigando sistematicamente all’utilizzo delle armi e a compiere gravi atti illeciti contro le più alte cariche dello Stato, tra cui il premier Mario Draghi.
Nel mirino anche forze dell’ordine, medici, scienziati, giornalisti e altri personaggi pubblici accusati di “asservimento” e “collaborazionismo” con la “dittatura in atto”. I contenuti e i toni degli scambi sono stati giudicati dagli inquirenti esasperati, con riferimenti espliciti a “impiccagioni”, “fucilazioni”, “gambizzazioni”, oltre ad allusioni dirette a “nuove marce su Roma” e al terrorismo.
Il canale “Basta Dittatura” era già stato oggetto di un provvedimento giudiziario di sequestro e della decisione di chiusura da parte della stessa società in considerazione della gravità dei contenuti pubblicati. “Basta Dittatura” negli scorsi mesi aveva raccolto decine di migliaia di iscritti ed era diventato il nodo di collegamento con tutti i principali spazi web di protesta, degradata via via in un persistente incitamento all’odio e alla commissione di gravi delitti.
In Austria polizia per le strade: inizia il “confinamento”
È arrivato il freddo ed è tornato il confinamento duro. Dai ieri i quasi due milioni di austriaci non vaccinati sono ripiombati in un lockdown simile a quello della primavera 2020. Niente attività sociali. Possono uscire di casa solo per esigenze primarie e per andare a lavoro, dove è comunque richiesto un Green pass con test a pagamento. Possono uscire a fare una passeggiata, una corsa e incontrare una sola persona che non sia parte del nucleo familiare. “Questa non è una raccomandazione” ha tuonato il ministro dell’Interno Karl Nehammer, annunciando un impegno “senza precedenti” per garantire severità nelle verifiche.
Per le strade della Capitale si sono visti agenti di polizia che hanno istituito controlli a campione. Le multe sono salate: 500 euro per i cittadini e oltre 3.000 per gli esercenti. L’incidenza settimanale è di 848 casi ogni centomila abitanti. Gli ospedali sono in affanno. In meno di un mese i ricoveri sono raddoppiati. Si rischia il collasso del sistema sanitario prima di fine mese. La Germania ha inserito l’Austria nei Paesi ad alto rischio, reintroducendo l’obbligo di quarantena. Un brutto segno con l’inizio della stagione sciistica alle porte. Al ministero della Salute viennese stanno valutando di dichiarare un coprifuoco per tutti e l’imposizione dell’obbligo vaccinale per i sanitari. Il cancelliere Alexander Schallenberg è in carica da appena un mese ed è convinto di poter convincere i non vaccinati a fare la loro parte. Solo il 65% degli austriaci è immunizzato “un numero vergognosamente basso” ha detto Schallenberg. Imponendo queste restrizioni alla libertà di chi ha scelto di non vaccinarsi, il cancelliere conta di poter far ripartire la campagna d’immunizzazione, ferma da inizio estate. Questo confinamento dei no vax durerà 10 giorni, fino al 24. Ma saranno le dosi di vaccino amministrate e non l’incidenza a far decidere se prolungare o meno la misura. Vienna ha inoltre deciso di mettere a disposizione dei bambini tra i 5 e gli 11 anni migliaia di dosi Pfizer.
Nella confinante Svizzera, un night club ha deciso premiare i clienti vaccinati da meno di tre giorni con una fellatio gratuita per “aver contribuito alla ripresa di una vita normale”. Il bastone e la carota. In Germania dopo le vaccinazioni in discoteca, sulla metro e in aeroporto sembrano ora propensi a seguire il modello austriaco. L’incidenza accumulata per centomila abitanti, comunicata ieri mattina dal Robert Koch Institute, è di 303. La più alta mai registrata dall’inizio della pandemia. I primi a subire nuove limitazioni saranno i cittadini della Capitale: a Berlino le terme sono un rito invernale, persino la notte che venne buttato giù il Muro Angela Merkel era in sauna con un’amica; da ieri nella Capitale tedesca l’accesso alle spa è consentito solo ai vaccinati. I test non sono più validi. Non saranno più sufficienti nemmeno per entrare in bar, ristoranti, cinema. Gli alberghi invece sono esentati. Le limitazioni servono a convincere i residenti a vaccinarsi e non devono colpire i turisti. La norma sarà in vigore fino al 28 novembre. Ma ogni Land fa storia a sé. Ci sono parti della Germania dove il tasso di immunizzazione è sotto il 60%. Il presidente della Bavaria Markus Söder invoca il 2G (solo vaccinati o guariti) per tutti, anche sul posto di lavoro. Più duro che in Austria. Anche nelle consultazioni per la formazione del nuovo governo si parla di nuove misure restrittive. Robert Habeck, co-presidente dei Verdi, ha dichiarato: “Non vogliamo un confinamento generalizzato, quindi dovremo introdurne uno solo per i non vaccinati”. Governo federale e Länder decideranno giovedì, in una riunione d’emergenza, quali saranno i prossimi passi. Molto probabile il ritorno al lavoro in remoto per tutti.
Covid, torna lo spettro di chiusure per il Natale
Per ora c’è solo un’ordinanza che cambia un po’ di cose nei trasporti, non tutte in senso restrittivo. Sui taxi e sulle auto Ncc (Noleggio con conducente) “risulta opportuno evitare che il passeggero occupi il posto disponibile vicino al conducente” e “sui sedili posteriori non potranno essere trasportati, distanziati il più possibile, più di due passeggeri, se non componenti dello stesso nucleo familiare” si legge nel nuovo protocollo, allegato ieri al provvedimento del ministro della Salute, Roberto Speranza, adottato di concerto con il ministro delle Infrastrutture e della mobilità sostenibile, Enrico Giovannini.
Tornano i bigliettai e riaprono le porte anteriori sugli autobus, sempre mantenendo la distanza di un metro dal conducente. Per i treni a lunga percorrenza dove c’è l’obbligo del green pass, in particolare “nei grandi Hub ove insistono gate di accesso all’area di esercizio ferroviario (Milano Centrale, Firenze Santa Maria Novella e Roma Termini) e in ogni caso in tutte le stazioni compatibilmente alle rispettive capacità organizzative e ai flussi di traffico movimentati, è preferibile – si legge ancora nel protocollo – che il controllo della certificazione verde sia svolto a terra, prima della salita sul mezzo. Qualora questo non fosse possibile, il controllo può essere effettuato dal personale di bordo insieme al controllo del biglietto di viaggio”, come in genere si fa anche adesso e probabilmente si continuerà a fare perché il testo dice solo “è preferibile”.
Ce ne occupammo ai primi di settembre, sembra infatti contraddittorio far salire a bordo un passeggero positivo per accorgersene magari dopo ore durante le quali può aver infettato qualcuno, tanto più che i posti possono essere occupati all’80 per cento, ma per le Ferrovie è un problema: ai varchi passano anche viaggiatori che prendono i regionali, dove il pass non è obbligatorio; a volte fanno controlli al binario dell’Alta velocità ma per lo più sul treno. Il protocollo specifica anche che la polizia ferroviaria e le autorità sanitarie, “in caso di passeggeri che, a bordo treno, presentino sintomi riconducibili all’affezione da Covid-19”, possono “fermare il treno per procedere a un intervento o prevedere appositi spazi dedicati”. Il resto conferma regole già in vigore. Mascherine, igienizzazioni, paratie.
Green pass Le novità non prima di dicembre
Insomma, non ci cambierà la vita, come sta accadendo nei Paesi europei che stanno peggio di noi perché il freddo arriva prima e hanno meno vaccinati di noi (che siamo all’86 per cento degli over 12). Austria e Germania adottano restrizioni per i non immunizzati, i Paesi Bassi per tutti. In Italia non sembrano imminenti le modifiche anticipate da giorni dalla stampa per il green pass: riportarne la durata da 12 a 9 mesi per accelerare il più possibile sulle terze dosi (l’ha fatta circa la metà degli over 60 e delle altre categorie interessate, dal 1° dicembre possono prenotare anche i 40-59enni) ed eliminare la possibilità di ottenere certificato breve di 48 ore con il solo test antigenico rapido, ritenuto meno affidabile almeno per la quota di falsi negativi superiore agli standard del tampone molecolare, per spingere negli hub vaccinali i circa 7 milioni di italiani che non hanno fatto neanche un’iniezione. Ma il governo non dovrebbe decidere prima dell’inizio di dicembre, in base all’evoluzione dei dati dell’epidemia e delle vaccinazioni. Sono interventi che costano parecchio, specie dopo aver presentato i vaccini, certamente indispensabili per ridurre i danni, come risolutivi, glissando sui limiti della protezione. Sarà difficile anche far passare l’idea di un Natale non completamente libero.
I numeri dei contagi, lo sappiamo, non sono rassicuranti. Crescono rapidamente, del resto il tasso di riproduzione del virus Rt supera 1 da tre settimane. Gli ospedali hanno aumentato i posti letto e riaperto reparti dedicati al Covid, non senza problemi organizzativi e talvolta la cancellazione di prestazioni non urgenti.
Regioni Rischio Giallo e incubo arancione
Il Friuli-Venezia Giulia è la Regione che rischia maggiormente di superare le soglie di occupazione delle terapie intensive (10 per cento) e dei reparti ordinari (15 per cento) che comporterebbero il passaggio in zona gialla. “Siamo a un passo”, ha detto ieri il presidente della Regione, Massimiliano Fedriga. Rischia un po’ meno Bolzano, seguita da Marche, Calabria e Sicilia. Ma la zona gialla non è il lockdown: solo mascherine all’aperto, limiti di capienza più stretti per gli eventi sportivi all’aperto (dal 75 al 60 per cento) e al chiuso (dal 50 al 35 per cento), massimo quattro commensali a tavola.
L’analisi pubblicata ieri l’altro dall’Associazione di epidemiologia dice che cinque Regioni (Alto Adige, Molise, Friuli, Valle d’Aosta e Veneto) potrebbero superare nelle prossime due settimane l’incidenza di 250 nuovi casi a settimana ogni centomila abitanti, ben otto (Liguria, Lazio, Marche, Emilia-Romagna, Abruzzo, Lombardia, Campania) potrebbero andare sopra i 150 (al momento la media nazionale è 83, con punte di 396 a Bolzano e 267 in Friuli-Venezia Giulia). È la prima condizione per la zona arancione, che però si applica solo se le terapie intensive sono sopra il 20 per cento e i reparti di area medica sopra il 30, come stabilito alla fine dell’estate quando si abbandonò Rt in favore di parametri solo ospedalieri. In quel caso scatterebbero chiusure vere, con seri contraccolpi per la vita sociale e l’economia. “Non possiamo fare pagare il prezzo di eventuali nuove chiusure ai vaccinati, che hanno difeso se stessi e gli altri, partecipando alla campagna vaccinale”, ha detto ancora Fedriga, alzando il velo sulle prevedibili tensioni tra vaccinati e non.
In questo momento nessuno si azzarda a fare previsioni su cosa accadrà negli ospedali, con la variante Delta e i vaccini la pandemia è in una fase completamente nuova. Intanto il governo si prepara a estendere l’obbligo vaccinale, che vige per i soli operatori sanitari, alla terza dose. E attende dal 29 novembre il pronunciamento dell’agenzia europea del farmaco Ema sul vaccino per i bambini tra i 5 gli 11 anni, che sembra l’unica strada per allargare la platea degli immunizzati.
Ecco l’ultima vita di Ruby: le cene eleganti ora le fa lei
“Cene eleganti”, dieci anni dopo. A Genova (e sui social), da qualche tempo non si parla d’altro. Ad Albaro, quartiere ricco della città in cui è tornata a vivere Karima el Mahroug alias “Ruby Rubacuori”, la 29enne ha da poco lanciato un ristorante insieme al nuovo compagno, Daniele Leo (palestratissimo pr e personal trainer conosciuto in una discoteca nel 2015, dopo la rottura con l’ex marito Luca Risso). La promozione del locale – “Life Albaro”, “primo healty restaurant di Genova” – sembra avere una logica comunicativa precisa: riserbo assoluto nei confronti dei media tradizionali, che di tanto in tanto la ricordano perlopiù per gli strascichi giudiziari delle varie inchieste; gran battage sui social portato avanti da una schiera di influencer, showgirl di “seconda fascia”, modelle varie, volti noti ai rotocalchi per comparsate al Grande Fratello , spiaggiamenti all’Isola dei Famosi, o per aver fatto parte della scuderia di Lele Mora. Tra le facce più conosciute c’è Francesca Cipriani, assidua ospite delle cene di un tempo ad Arcore. E ovviamente c’è lei, Ruby, che da disoccupata che conduceva una vita da milionaria – era l’immagine che emergeva dall’inchiesta di Milano – ritorna sulla scena nei panni dell’imprenditrice. Karima posa in una vasca d’arredo del locale, circondata da pareti addobbate con rose rosse (finte). Una citazione di American Beauty? Più banalmente, una partnership col vivaio vicino (che ha fornito anche l’ulivo secolare che è stato fatto calare con una gru, tra gli sguardi increduli del vicinato).
Sul profilo social del locale (e in tutte le stories di Instagram che le vecchie amiche postano numerose), Ruby è taggata come Karima Yazini, ma, come accade alle vere celebrità, qualche cliente la riconosce lo stesso e ne approfitta per un selfie.
Il locale ha aperto a maggio, ma è già frequentato da un discreto jet-set locale. Domenica sera è comparso Antonio Cassano insieme alla sua squadra di paddle, nuovo passatempo a cui si dedica l’ex campione della Samp da quando ha fatto della Liguria il suo buen retiro.
A Milano, intanto, l’inchiesta Ruby ter rischia di andare in pezzi. Sotto la lente ci sono i pagamenti alle ospiti delle feste di Arcore erogati da uomini dell’entourage del Cavaliere che, per i pm, sarebbero la prova della corruzione in atti giudiziari. Le testimonianze delle ragazze sarebbero però inutilizzabili, perché, secondo il giudice Marco Tremolada, avrebbero dovuto essere sentite come indagate in un procedimento connesso ai primi processi Ruby 1 e Ruby 2. A Siena, dove era aperta una costola minore della stessa vicenda, Silvio Berlusconi ha già incassato una rotonda assoluzione. Così da poter continuare più leggero la sua corsa come possibile candidato al Quirinale.
Ma per capire come nasce il nuovo progetto imprenditoriale dell’ex 17enne spacciata per nipote di Mubarak e che ha dato il nome ai processi nati dallo scandalo dei “bunga-bunga”, occorre fare un passo indietro. Fra il 2014 e il 2015 la Procura di Milano indaga ancora su Ruby e sul suo stile di vita esorbitante. Secondo l’accusa, la dimostrazione che l’ex premier Berlusconi ne aveva comprato il silenzio a suon di milioni (“almeno cinque” e “fino a sette”). In città Ruby si muove spesso in taxi, per viaggi più lunghi noleggia un’“auto con conducente” (non ha la patente). Paga personale per ritirare la biancheria sporca e riconsegnarla pulita. Pernotta spesso in alberghi di lusso e si concede vacanze esclusive, vedi un soggiorno costato “fra i 50mila e i 90mila euro” alle Maldive. Non lesina spese per la figlia: sborsa 7mila euro per una “festa di compleanno”, con tanto di animazione per adulti e bambini. La bambina è nata dal matrimonio con Luca Risso, ex finanziere riciclatosi come gestore di discoteche. Nelle vecchie indagini riaffiora anche lui: avrebbe ottenuto secondo i magistrati la gestione esclusiva di un locale aperto anni fa a Playa del Carmen, in Messico. Sa “solo spendere soldi”, diceva lui di lei (ma i conti sarebbero stati poi regolati con bonifici esteri).
È a questo punto che compare nella vita di Ruby Daniele Leo. Lei se ne innamora e – dicono sempre le carte giudiziarie – lo riempie di regali, “abiti su misura” e “una moto” come “regalo di compleanno”. C’è poi l’aneddoto del dj: “L’unica cosa un po’ di cattivo gusto – lui la rimprovera in modo bonario in un’intercettazione – è stata quando hai tirato fuori un 500, per fargli mettere una canzone… Non è stato proprio elegantissimo”.
L’eleganza, come invece sottolineano un po’ tutti i testimonial del Life Albaro, è un punto cardine del neonato ristorante, specializzato in “cibo salutare” e bio. A giugno si è presentata a Genova di persona Guendalina Canessa, ex Grande Fratello 2017, ex moglie di Daniele Interrante, molto vicina a Lele Mora. “Influencer e imprenditrice della moda”, posa davanti all’ulivo ornamentale con scarpe e vestiti griffati e taggati. A settembre è stata la volta di Francesca Cipriani, nelle carte del Ruby ter diceva di B.: “Mi ha regalato un braccialettino d’oro con un diamantino e la mia iniziale, preferivo i soldi, ma vabbè”. A spendersi per la coppia ci sono anche altri nomi, più o meno noti: Serena Garitta, showgirl ed ex Grande Fratello 4; Zoe Cristofoli, web influencer conosciuta come “la tigre di Verona” e per essere stata una fiamma di Fabrizio Corona; Serena Gualinetti, ex ballerina dell’Eredità e de I migliori Anni; Ivana Mrazova, modella ceca ex GF vip; Giulia Calcaterra, ginnasta, ex velina di Striscia la Notizia, passata anche lei dall’Isola dei Famosi.
Quanto al locale, l’unico intestatario è Leo, sebbene nei menu siano riportati i nomi di entrambi, Daniele e Karima: “In questo angolo verde hanno dato vita a un mondo sospeso, dove natura, armonia e gusto convivono in un delicato equilibrio di sapori”. Specialità della casa cruditè, la “non carbonara”, il “tiraminò” e, più in generale, piatti rivisitati in chiave ipocalorica ma “senza perdere il gusto”. La clientela spazia fra abbienti abitanti del quartiere e giovani scollacciate.
Il locale è giusto un po’ rumoroso. E per noi ospiti attenti rimbombano le battute alla tavolata di Cassano. Leo gestisce la sala, e ogni tanto allunga un occhio alla bambina. Ruby non c’è. Compare però al fianco del nuovo compagno come socia al 40% in una società finora “inattiva”, la “Kgd srl”, con la stessa sede fiscale genovese del ristorante. La società ha come oggetto “la gestione di presidi medico-sanitari” e “l’erogazione di servizi in campo estetico e dermatologico”. Chissà che non sia la realizzazione di quel vecchio sogno, il “centro estetico”, che Ruby disse ai pm essere il motivo degli aiuti economici di Silvio Berlusconi.