Appena uscito dalla prigione di Saratov, in Russia, il cittadino bielorusso Sergey Savelyev, – detenuto usato come informatico per cinque anni dai secondini –, ha subito cercato di contattare il fondatore della più nota ong russa che si batte per la difesa dei prigionieri: Vladimir Osechkin ha avviato Gulagu.net, “No al gulag”, nel 2011. Costretto poco dopo ad abbandonare la Federazione, nel 2015 si è trasferito in Francia, dove lo ha raggiunto qualche settimana fa Sergey, fuggito da Mosca e ora in attesa di ottenere l’asilo politico dalle autorità di Parigi. Un piano rocambolesco dopo l’altro: l’informatico, sfruttato dalle guardie giorno e notte per digitalizzare un colossale archivio dei supplizi, torture e stupri, commessi contro i detenuti in galera, è riuscito a trafugare migliaia di video che testimoniano le violenze compiute su almeno duecento vittime nelle prigioni delle regioni di Saratov, Vladimir, Irkutsk, Belgorod, Kamchatka
Vladimir, migliaia di video sono stati registrati in colonie di detenzione in diverse regioni russe, anche molto distanti tra loro. Ne ha parlato perfino Dmitry Peskov, portavoce di Putin.
V. O.: Quella delle torture in Russia non è un’eccezione, ma una regola. E’ una rete dell’orrore, che è stata creata, pianificata e diffusa in ogni regione russa. E’ una macchina della tortura. Si tratta di un sistema che non si organizza facilmente e ad ogni struttura tocca pianificarlo. Ci vogliono tempo e soldi per organizzare questo costoso meccanismo: devi trovare i sadisti, “i sadici”, quelli che le torture le compiono, poi un prokuror, un procuratore che mantenga tutto silenziato, in segreto .
Perché nessuno prima d’ora ha parlato delle torture ad alta voce?
V. O.: In questi anni sono stato contattato da ogni lato della Federazione, ma a mancare erano sempre le prove. In Russia chi riceve notizia delle violazioni o le denunce è l’organo stesso che le compie, una situazione assurda. Non c’è un’istituzione esterna obbligata ad indagare, manca il cosiddetto “controllore”. Personalmente ho cercato di contattare tutti, dai generali al direttore generale del Fsin, Servizio penitenziario federale. Sono arrivato a scrivere perfino al presidente Putin. Mai nessuna risposta. Quando abbiamo cominciato a pubblicare i video, il nostro sito è stato colpito improvvisamente da un cyberattacco. Adesso però ci sono giga e giga di evidenze: sono stati compiuti dei crimini contro l’umanità, questo materiale è adesso al vaglio del Consiglio d’Europa e Interpol. Ci aspettiamo reazioni dal Parlamento europeo.
Lei è stato più volte minacciato da quando ha fondato “No al gulag” e costretto ad abbandonare la Russia.
La nostra missione è dire a tutti cosa accade li dentro. Se io o Serghey pagheremo con la vita, – perché non è difficile trovare un modo per liquidarci-, spero che attivisti, giornalisti o anche cittadini non indifferenti porteranno avanti questa battaglia. Insomma, che il nostro sacrificio non cada invano.
Serghey, lei è un programmatore. Quando le guardie l’hanno scoperto, hanno deciso di sfruttare le sue capacità per organizzare “l’archivio dell’orrore”.
S. S.: Non ero solo un prigioniero, ero anche uno schiavo. Lavoravo 16 ore al giorno: dalle sei del mattino alle dieci di sera. Non c’erano giorni “di festa”. Quando si verificavano eventi di forza maggiore, mi prelevavano anche di notte. Il mio computer era negli uffici dei secondini, al secondo piano. C’era la mia scrivania e lì, seduto, nelle stanze delle forze di sicurezza, ho trascorso i cinque anni della mia prigionia.
In alcuni di quei video gli uomini vengono bendati e poi violentati. A volte con degli oggetti, altre da più persone. Perché le torture vengono meticolosamente filmate?
S. S.: I secondini sono i padroni unici delle vite di chi è lì dentro e decidono tutto. Sei completamente nelle loro mani, non hai un’alternativa. Le torture continuano da anni, se non da decenni. Nelle colonie penali, tutti si trovano sotto minaccia degli operativi, che ripetono che se i prigionieri non eseguiranno esattamente quello che dicono, faranno di loro quel che vogliono. Li trasferiscono nei reparti ospedalieri per curare la tubercolosi, molti dei quali sono ormai solo delle stanze per le torture. Lì vengono violentati. Gli stupri sono uno dei metodi utilizzati per ottenere confessioni false. I filmati vengono poi spediti ai piani alti per dimostrare che “il lavoro è stato fatto”. Inoltre servono a creare il “kompromat”, il cosiddetto materiale compromettente contro il detenuto, che sa che le divise hanno immagini degradanti, umilianti su di lui. Sono un altro modo per piegare la volontà di chi è in cella anche quando esce. Sono il potere che si può esercitare su un prigioniero, che rimarrà tale anche quando esce dal carcere.
Serghey, ora la chiamano “lo Snowden bielorusso”, come l’informatico americano a cui è stato garantito asilo politico proprio in Russia. Quando ha deciso che avrebbe denunciato tutto?
S.S.: Non ci ho messo un attimo. Per anni ho visto le vittime che soffrivano pene non possibili da immaginare. Quando sono riuscito a trafugare l’archivio e me lo sono ritrovato tra le mani, ho deciso definitivamente di non poter rimanere in silenzio. Non potevo essere io l’unico a saperlo. Per le autorità russe sono io il colpevole: sono stato accusano di aver trafugato segreti di Stato. Per fortuna il procuratore ha chiuso il caso e fatto cadere le accuse contro di me. Anton Yefarkin, a capo del servizio penitenziario di Saratov, ha detto che 18 ufficiali del carcere sono stati licenziati, ad altri 11 sono state imposte misure disciplinari rigide. Sono cinque i casi criminali invece avviati in relazione ai video, che sono ormai di pubblico dominio. È stato comunque fatto di tutto per screditare me e Vladimir, la sua integrità e l’attività che porta avanti.
Per cinque anni, tutti i giorni, lei ha visto filmati come questi. Come è riuscito a far uscire dalla sua testa quell’inimmaginabile quantità di violenza?
S.S.: Non è possibile, non si può. E non si deve.