Il segno del comando. Petto gonfio, mento alto: il potere ha sempre la postura sbagliata

Riflessioni sul potere: Giulio Andreotti cita, senza citarlo, il Talleyrand: “Il potere logora chi non ce l’ha!”. È vero, ma questo vale solo per chi ha voglia di avere potere.

E poi che significa avere potere? Significa comandare, dare ordini, e soprattutto avere persone che a quegli ordini siano disposte a obbedire. Ci sono quelli che nella vita sono nati per comandare e quelli che sono venuti al mondo per obbedire. Io non appartengo a nessuna delle due categorie. Se voglio una cosa, la chiedo e dico anche “per favore”, espressione aliena a qualunque detentore di potere. D’altra parte, non amo neanche l’obbedienza cieca.

Perché si deve obbedire senza discutere? Chi ha potere pensa di essere seduttivo, invece io mi sento manipolata e non subisco alcun fascino. È bello potersi confrontare, esprimere ognuno la propria idea e poi vedere chi ha ragione. Invece chi ha potere non conosce il piacere della discussione e disprezza il privilegio del dubbio. Avere dei dubbi, ammettere di avere torto, denota ragionevolezza e apertura mentale.

D’altra parte, basta osservare quelli che comandano o hanno comandato nella Storia per capire la loro personalità. Attraverso gli atteggiamenti posturali, possiamo riconoscere le caratteristiche, la psicologia della persona osservata, anche senza conoscerla. Prendiamo come esempio i dittatori: hanno inevitabilmente il petto gonfio, il mento alto, e la parte superiore del corpo prevale su quella inferiore, facendo sembrare sproporzionate le gambe e i piedi. Chi ha questo tipo di postura avrà sempre bisogno di esercitare potere sugli altri.

Io non gonfio mai il petto, ho le gambe slanciate, senza vantarmi sono piuttosto proporzionata, consapevole del mio corpo e mi piaccio cosi. Per questo non avrò mai potere… pazienza.

 

Gloria eterna. Chi saranno i nuovi santi e banditi? Quel roteare di lame a caccia della fama immortale

Maria Pace Ottieri, autrice di alcuni libri che le hanno portato film e premi, – e che ti tieni vicini volentieri – pubblica adesso un breve trattato sulla gloria (Amor di gloria, Nottetempo) che un po’ stupisce. Sia perché la scrittrice entra e si fa largo in un campo gremito di uomini freneticamente coinvolti in se stessi; sia per la sua camminata tranquilla e il suo sguardo tollerante verso il mondo maschile fanatico della gloria.

La letteratura non l’aiuta perché, lungo il percorso, gli autori che contano (vedi Manzoni in morte di Napoleone) accendono continuamente torce e falò di celebrazione, di esaltazione, per ogni uomo che sia riuscito a farsi attribuire la gloria. Lo spazio e il tempo che esploriamo è, dunque, quello di persone che si ritengono e sono ritenute grandi, e che non possono esistere senza la gloria. Ma la Ottieri, in questo libro, è il nostro Virgilio.

Ci accompagna sui campi della gloria, ci addita e ci spiega gli uomini gloriosi (o le donne che diventano uomini, come Giovanna d’Arco, per attrarre la giusta attenzione e avere il giusto premio) e come la gloria sia – dal punto di vista dei personaggi aggressivi di cui ci sta parlando – una sorta di destino o condanna (lei questa parola non la dice mai) a cui non puoi e non devi sottrarti.

Maria Pace ci offre due ingressi nel mondo della gloria, perché i luoghi di apparizione della fama eterna non siano i campi di battaglia. L’autrice invece ci dice che è la luce di un Dio in agguato che, all’improvviso, rivela ed esibisce lo splendore insopportabile e grandioso della gloria. Essa dunque, nella ricerca di Maria Pace Ottieri, è prima di tutto luce, e questo percorso aiuta e incoraggia i suoi lettori ad accettare il groviglio fra bene e male, fra esaltazione di sentimenti e roteare di lame che cercano sempre, allo stesso tempo, la grandezza e la morte. La gloria è un colpo di spada, un abbraccio divino (Mosè, Buddha testimoniano), una premonizione da cui non puoi scansarti, un dono che ti abbatte consegnandoti a un “sempre” che scatta nella fine e dura in eterno.

Le parti più belle di questo libro (l’insopportabile luce divina e l’implacabile lama degli eroi mitologici alla ricerca ansiosa di un avversario da ferire a morte) ne fanno un memoriale degno di essere riletto e conservato.

Perché la gloria e la sua celebrazione (che diventa una festa ma è sempre l’ultimo colpo di una vita) sono destinate a restare e a pesare. Ottieri ci dimostra, infatti, che non c’è evoluzione e trasformazione fra le figure dell’ampia e avventurosa ricerca del suo libro. L’invenzione di Morin (le star ) e di Warhol (i quindici minuti di celebrità che toccheranno a ciascuno) introducono strumenti fragili, erba fra i sassi, piccoli “miles gloriosus”appena visibili e scarsamente ricordabili. E ci fa capire che ci saranno prossimi portatori di gloria, santi e banditi che, come in passato, saranno definiti “guerrieri”.

 

 

Il talento di Mr. Biden e il galateo di Camilla: chi è più maleducato?

 

BOCCIATI

Hey Joe. Secondo il Daily Mail e diversi altri tabloid britannici, il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, avrebbe avuto problemi di incontrollabile meteorismo durante una riunione del recente Cop26 di Glasgow. Tradotto avrebbe emesso un peto rumoroso in presenza dei leader della terra (un vento che cambia il clima!). A raccontare l’accaduto, anzi proprio “a non smettere di parlare dell’accaduto” è stata Camilla Parker Bowles, presente di persona all’emissione di gas non serra. “Era lungo e rumoroso”, scrive il Mail del presidenziale peto, sottolineando che la cosa ha sbalordito Camilla, la quale poi ne avrebbe parlato per giorni a chiunque. Biden, soprannominato “Sleepy Joe” da Donald Trump, era stato fotografato durante il discorso d’apertura con gli occhi che gli si chiudevano per il sonno: insomma, pessimo bilancio mr. President. Ma chi è più maleducato: Biden che fa le puzzette in pubblico o la sora Camilla che lo racconta in giro?

Cugini di lagna. In queste settimane un coro unanime ha (giustamente) esaltato il successo mondiale dei Maneskin (hanno aperto il concerto dei Rolling Stones a Las Vegas cantando la storica hit degli Stones, Beggin’). Ivano Michetti, chitarrista dei Cugini di Campagna, invece ha postato sui social una piccata dichiarazione: “Maneskin, basta copiare i nostri abiti!”. Avevano detto la stessa cosa in un post nel 2017 (a Lady Gaga! Firmandosi “Country cousins”, come ricorda Rolling Stone). Interpellato sia dal sito del Fatto che dalla Stampa ha poi rincarato la dose. Dice Michetti a Luca Dondoni: “Non si può fare il primo tour in America e cantare una cover di una band, americana, di un sacco di anni fa. Io sono contento e orgoglioso del fatto che ci abbiano copiato e questo mi onora. Loro hanno una grande immagine ma si vede che sono stati studiati a tavolino. Sono quattro ragazzi, uno più bello dell’altro, e con i ragazzini belli le cose funzionano meglio. Se parliamo di musica è vero ciò che ho detto: ha avuto più successo Orietta Berti di loro. Lo dico perché Renzo Arbore e Gianni Boncompagni mi dicevano sempre che si devono scrivere canzoni che si possano ricantare e non quelle tipo Zitti e Buoni che non si capisce niente, manco ’na parola”. A parte che un amplifon fa comodo a un certo punto (cosa non si capisce in Zitti e buoni?!), c’è da dire che per fortuna dovendo copiare qualcosa dai Country Cousins i Maneskin hanno scelto il look e non la musica.

 

NON CLASSIFICATI

Fattore C. Interpellato dall’Agi sulle ATP Finals che sono sbarcate a Torino, Adriano Panatta, primo italiano a giocare un Master (a Stoccolma nell’ormai lontano 1975) si lascia andare a confidenze intimissime. All’epoca non vinse nemmeno una partita per un fastidioso problema fisico. Quale? “Avevo le emorroidi, ebbi un attacco fulminante proprio all’inizio del Masters. Stavo davvero male, mi alzavo dal letto soltanto per andare in campo, mi mettevano in piedi a colpi di punture, ma soffrivo”. Al che l’intervistatrice domanda: “Con quel problema fastidioso i campioni di oggi alzerebbero probabilmente bandiera bianca, perché lei non si ritirò?”. Risposta del mitico: “Perché volevo comunque esserci, era tanta la contentezza per essermi qualificato”. Epperò quando si dice che “ci vuole culo”….

Oddio. Apprendiamo dal Messaggero dell’esistenza di un documento della Comunità cattolica giovanile tedesca che auspica una riforma della Chiesa in senso progressista, anche nel linguaggio: “La rappresentazione di un Dio maschio e bianco non è all’altezza e rende più difficile l’accesso di molti giovani alla Chiesa e alla fede” sottolineano. “Il dibattito teologico sulla questione non è rilevante al momento. Abbiamo problemi molto diversi da affrontare”, ha risposto il portavoce della Conferenza episcopale al tg tedesco. Nostra nonna, quando ci perdevamo in inutili facezie, ci liquidava così: ”Non discutere del sesso degli angeli”…

 

Onorevoli sordi, il sonoro alt di Mattarella: “Colle, quel bis non s’ha da fare”

 

BOCCIATI

Rieccoci. Una cosa è certa: dagli errori si può serenamente non imparare nulla. La prima fase della pandemia ci ha insegnato che un esubero di pareri scientifici di segno contrario può avere un effetto nefasto sull’opinione pubblica, soprattutto se la “querelle” viene continuamente resa pubblica: i pareri discrepanti sulla gravità del virus, le diatribe sul modo di conteggiare i positivi, la cacofonia sulla necessità delle chiusure sono solo alcuni degli ambiti su cui gli scienziati se le sono suonate di santa ragione. Solo l’arrivo del vaccino è riuscito a far sì che le diverse voci della scienza si riaccordassero, salvo qualche estrosa eccezione, in un coro monodico. Finora. Ma questa parentesi di concordia sembra nuovamente pronta a terminare proprio in questi giorni, con l’ipotesi di vaccinare i bambini. Immemori dell’antico caos, gli esperti hanno già cominciato a dar fiato alle trombe, dividendosi sulla questione. Ha aperto le danze il direttore dello Spallanzani Francesco Vaia in un’intervista a Libero: “Il punto è sempre il calcolo tra rischi e benefici. Qualsiasi farmaco può dare effetti collaterali, la strategia corretta è evitare il rischio quando, anche se basso, non è indispensabile. Se un bambino ha già di suo delle altre patologie gravi, conviene vaccinarlo, per proteggerlo da un virus che, associato ad altre malattie, può rivelarsi grave. Se invece è sano, non vedo necessità di vaccinarlo”. Che senso ha ricominciare con uno stillicidio di opinioni differenti su un tema tanto delicato, ottenendo come unico risultato quello di generare ancor più apprensione? Questa pandemia, ahinoi, ci ha insegnato poco o nulla.

Voto 5

 

PROMOSSI

Oltre il divano c’è di più. Il vigore con cui si sta attaccando il Reddito di cittadinanza attraverso l’escamotage dei furbetti è persino maggiore dell’indignazione che subentrò ad un certo punto per i vitalizi. Nonostante questa volta non si tratti di un privilegio destinato ad una fascia agiata ma di un soccorso per una categoria indigente. Appare dunque tutt’altro che scontata la difesa della misura che arriva per bocca del ministro del Lavoro Andrea Orlando: “C’è una ignobile campagna politica in atto che identifica percettori del Reddito e ‘furbetti’. Chi ne ha diritto va rispettato, chi imbroglia colpisce soprattutto chi ha bisogno”. Insomma, a sentire la grancassa politico-mediatica, ci sarebbe da pensare che il club dei divanisti si sia alzato dal divano ma solo ed esclusivamente per andare a truffare lo Stato. Per fortuna c’è qualcuno a ricordare che non è così.

Voto 7

Non guardarmi non ti sento. Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. E Sergio Mattarella lo sa bene. Così il capo dello Stato ha colto l’occasione dell’incontro al Quirinale in onore di Giovanni Leone a vent’anni dalla sua scomparsa, per sturare le orecchie ai mercanti. “Giovanni Leone, come Antonio Segni, chiese la non rieleggibilità del presidente della Repubblica con l’eliminazione del semestre bianco”. Parafrasi: non so più come dirvelo, io a rimanere non ci penso nemmeno. Che stavolta abbiano capito?

Voto 8

 

Diritti tv. La Premier vale 10 volte la Serie A. Il nostro Circo, nel mondo, interessa poco

Èufficiale: i mammasantissima del calcio italiano, cioè i vertici di Figc, Lega Serie A e i presidenti dei 20 club di A, al secolo Gravina e i suoi predecessori, Dal Pino e i suoi predecessori e i vari Agnelli, Scaroni, Zhang, Lotito, De Laurentiis e via dicendo, sono dieci volte più fessi, maldestri e incapaci dei reggenti del calcio inglese.

È la matematica a dirlo. La notizia è stata data col silenziatore, ma la scoperta di questi giorni è che la Premier League, il campionato made in England, si appresta a concludere la vendita dei diritti televisivi all’estero per il triennio 2022/’25 per una cifra superiore ai 6 miliardi di euro: esattamente il decuplo di quel che raccoglierà sullo stesso mercato la Serie A, che dopo il fallito rinnovo dell’accordo con beIN Sports per l’area Medio Oriente-Nord Africa, dove le gesta di Ibra, Osimhen, Dzeko e Dybala sono visibili gratuitamente sul canale Youtube della Serie A, dovrebbe portare a casa non più di 200 milioni a stagione, che per il triennio 2021/24 fanno 600 milioni: per l’appunto, un decimo dei soldi rastrellati dagli inglesi fuori dai loro confini. Ora, tralasciando il particolare che la Premier è stata venduta per 6 miliardi (a Sky Sports, Bbc, Amazon e BT) anche sul mercato di casa, 6 miliardi che aggiunti ai 6 del mercato estero fanno 12, mentre la Serie A è stata venduta a Dazn e Tim per 2,52 miliardi, cioè 840 milioni per ognuna delle 3 stagioni, in netto ribasso rispetto ai 973 milioni a stagione del triennio precedente targato Sky, premesso questo la domanda è: ma come hanno fatto le nostre eminenze grigie a maneggiare il calcio italiano, che pure fino a vent’anni fa era l’Eldorado del pallone, trasformandolo in quella malfatta, sinistra, oscena creatura che nessuno nel mondo è più interessato a vedere?

Più che un campionato, un Circo popolato da clown, ciarlatani e saltimbanchi capaci di mettere in scena sketch inimmaginabili: come l’ultimo, la vendita dei diritti a Dazn, la piattaforma a pagamento di streaming online che nel giro di tre mesi è riuscita nella triplice impresa di: A) rendere la visione delle partite un terno al lotto per via di colossali e ripetuti disservizi tecnici; B) abbassare paurosamente il numero degli abbonati (si parla di 1,2 milioni più 500 mila di Tim) rispetto all’era Sky (erano oltre 3 milioni); C) inimicarsi i nuovi utenti minacciando di impedire loro la visione da due diversi dispositivi assicurata alla stipula del contratto (solo l’intervento del governo ha costretto Dazn allo stand by).

Ricapitolando: il calcio italiano, dove il tempo si è fermato e ancora oggi si gioca in stadi fatiscenti, dove sugli spalti razzismo e cori discriminatori continuano a farla da padrone senza che nessuno batta ciglio, dove in campo gli scudetti e i piazzamenti Champions vengono decisi dagli arbitri invece che dai calciatori, dove il regolamento è una barzelletta e la giustizia sportiva è il contrario di ciò che dovrebbe essere mostrandosi ormai apertamente per quel che è, una cinica Macchina Insabbiatrice (per informazioni citofonare Suarez), dove 15 club su 20 sono in bancarotta e dovrebbero portare i libri in tribunale, dove chi trasmette le partite in tv (o su pc, tablet, smartphone) non è in grado di farlo e non contento tradisce gli accordi contrattuali mettendo l’abbonato sotto ricatto (o recedi o paghi di più e vedi di meno), il calcio italiano, dicevo, è ormai vicino al suicidio perfetto.

C’erano una volta i ricchi scemi. La novità è che sono scomparsi i ricchi.

 

Luci di speranza. Da Ostia a Milano: facce pulite e schiene dritte contro il malaffare

Ester, proprio lei. E chi l’avrebbe detto? Era una decina d’anni fa quando notai, tra i venticinque allievi del laboratorio di giornalismo antimafioso di Scienze Politiche a Milano, una ragazza dai lunghi boccoli bruni, sempre scrupolosa nel prendere gli appunti. Gli studenti mi spiegarono che non era “dei nostri” e che veniva da Lettere. Aveva la passione del giornalismo e il nostro laboratorio le era sembrata l’occasione ideale per imparare a combattere sul suo campo di azione prediletto: la corruzione, la malapolitica, la mafia. Rimase con “noi” stabilmente. Fece amicizia con i miei studenti e si impegnò sulla criminalità organizzata con stile professionale. Dimostrava doti indubbie di investigatrice. Un giorno mi comunicò dalla metropolitana che aveva scoperto un bar mafioso. Aveva ragione, la polizia l’avrebbe chiuso dopo 15 giorni. Lei, Ester Castano, l’aveva capito ascoltando due persone parlare per dieci minuti.

Comunicava un’inquietudine perenne, e una “tigna” d’eccezione davanti alle difficoltà che incontrava come giornalista sul suo territorio dell’ovest milanese. Scrivendo per un periodico locale si misurava con i fastidi verso le richieste di trasparenza amministrativa, a volte ricevendo vere e proprie minacce da ambienti che si sarebbero detti mafiosi. Subì, con il suo direttore, gli avvertimenti classici: vandalismi contro l’auto, perfino pallottole. Ebbe uno scontro epico con il sindaco di Sedriano, comune poi sciolto per infiltrazioni mafiose (ma con il sindaco uscitone innocente). Subì una denuncia che la stessa magistratura avrebbe ritenuto infondata, di cui parlai in queste Storie italiane. Fu allora che divenne figura pubblica, attirando l’attenzione di giornali e televisioni. Nacque, per il pubblico più attento, la giovanissima cronista d’assalto senza macchia e senza paura. Fu in quel frangente che l’apprezzai ancor di più. Mentre tanti piccoli aspiranti Saviano cercavano spazio sulla scena, com’era di moda allora, vantando persecuzioni e reclamando scorte, lei fece il suo lavoro senza una sbavatura, insensibile alle sirene che la proponevano come l’eroina del Nord. Ha lavorato presso una grande agenzia, ha fatto per molti anni la free lance.

E l’altro giorno, candidata dalla lista “Rinnoviamo l’Ordine” per le elezioni dell’ordine dei giornalisti della Lombardia, ha vinto clamorosamente. Distanze siderali agli altri concorrenti. Con una partecipazione al voto straordinaria. Tanto da rendere possibile l’idea di una sua elezione a presidente del vasto, fondamentale e ormai pulviscolare mondo del giornalismo lombardo. Comunque vada a finire, che tutto questo sia successo è una notizia rivoluzionaria.

L’altra notizia rivoluzionaria è che una giovane sociologa con alle spalle una storia di ricerche per la Commissione parlamentare antimafia, un impegno accademico sulla cultura della legalità, il mondo di Libera e degli scout, è la principale candidata per il ruolo di assessore alla trasparenza nel municipio di Ostia. Si chiama Ilaria Meli, e che abbia competenze e carattere da vendere ve lo metto nero su bianco. Sfida difficile, la sua, ma meglio che l’affronti lei piuttosto che qualche spompato o velleitario personaggio da diporto.

Infine la terza bella notizia. Il nuovo presidente della commissione antimafia del Comune di Milano si chiama Rosario Pantaleo (anche se il vice è il discutibile Luca Bernardo). Dopo l’uscita dal consiglio comunale dell’ottimo David Gentili, c’era da temere l’assedio dei dilettanti. Rosario è persona seria, e anche se non è uno specialista le cose le studia e le ha studiate. E in più una cosa negli anni l’ha dimostrata: ha la schiena drittissima. Non potrà fare che bene. Mi accontento forse di poco? Trasformo un decimo di bicchiere in un bicchiere mezzo pieno? Semplicemente accadono cose che accendono la speranza. Che ci volete fare? Meglio quando volano le lucciole.

 

Vaticano. “Ascoltare, approfondire, raccontare”: una nuova lezione di giornalismo da Francesco

Un onore, anzi un’onorificenza riservata sinora solamente ai capi di Stato e ai ministri: papa Francesco ha rotto un’altra consuetudine vaticana e così sabato scorso per la prima volta ha insignito due giornalisti dei titoli di Dama e Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine Piano, attualmente il massimo ordine cavalleresco della Santa Sede.

Si tratta di due decani dei vaticanisti, come vengono definiti i cronisti che “coprono” l’informazione sui papi, sulla Santa Sede e in generale sulla Chiesa cattolica: la messicana Valentina Alazraki e l’americano Phil Pullella dell’agenzia di stampa Reuters. Nella cerimonia di sabato, nella sala del Concistoro, Francesco è tornato sul giornalismo in questa infinita fase di transizione dalla carta al web. È un argomento cui il pontefice tiene molto e che ha già affrontato con un denso messaggio per l’ultima Giornata delle Comunicazioni. Stavolta ha riassunto la “missione” del giornalista in tre verbi: ascoltare, approfondire, raccontare.

Ecco perché papa Bergoglio ha ribadito l’esigenza di “consumare le suole delle scarpe”, antica regola del nostro mestiere, e ha aggiunto: “Ascoltare, per un giornalista, significa avere la pazienza di incontrare a tu per tu le persone da intervistare, i protagonisti delle storie che si raccontano, le fonti da cui ricevere notizie. (…). Questo significa sottrarsi – e so quanto è difficile nel vostro lavoro! – alla tirannia dell’essere sempre online, sui social, sul web. Il buon giornalismo dell’ascoltare e del vedere ha bisogno di tempo. Non tutto può essere raccontato attraverso le email, il telefono, o uno schermo”.

Ascoltare. E quindi approfondire: “Nel tempo in cui milioni di informazioni sono disponibili in rete e molte persone si informano e formano le loro opinioni sui social media, dove talvolta prevale purtroppo la logica della semplificazione e della contrapposizione, il contributo più importante che può dare il buon giornalismo è quello dell’approfondimento”. Francesco ha suggerito anche in che modo, come se dirigesse un quotidiano oltre che la Chiesa: “Che cosa potete offrire in più, a chi vi legge o vi ascolta, rispetto a ciò che già si trova nel web? Potete offrire il contesto, i precedenti, delle chiavi di lettura che aiutino a situare il fatto accaduto”. Raccontare, infine. Per il papa la realtà deve prevalere sempre, rispetto alla tentazione di “ergersi a giudici”. E ha spiegato: “Abbiamo tanto bisogno oggi di giornalisti e di comunicatori appassionati della realtà, capaci di trovare i tesori spesso nascosti nelle pieghe della nostra società e di raccontarli permettendo a noi di rimanere colpiti, di imparare, di allargare la nostra mente, di cogliere aspetti che prima non conoscevamo”.

Non solo. Il pontefice ha ringraziato l’informazione che ha raccontato gli abusi sessuali e la pedofilia all’interno della Chiesa: “Ci aiutate a non nascondere queste cose sotto il tappeto”.

Un’unica obiezione, di carattere politico: “Ricordate anche che la Chiesa non è un’organizzazione politica che ha al suo interno destra e sinistra come accade nei Parlamenti”. Anche se, ammette Francesco, questa rappresentazione ha “qualche radice nella realtà”. La realtà, appunto. Lì si torna.

 

E il terzo giorno il Corriere è risorto

Son serviti tre giorni, al Corriere, per far resuscitare le notizie. Eppure, qui, siamo lontanissimi dalle sacre scritture e ben piantati a terra nelle 92 mila pagine dell’inchiesta sulla fondazione Open. Carte ritenute di interesse prossimo allo zero dalla stragrande maggioranza dei giornali che da giorni ne snobbano il contenuto. Poi ieri, come in preda a una folgorazione, il quotidiano milanese ha pubblicato a pag. 17 la storia che prima La Verità e poi Il Fatto raccontano da giovedì: gli “appunti sulla contropropaganda antigrillina” firmati da Rondolino e trasmessi da Renzi a Carrai per “distruggere” (anche usando “un investigatore privato”) i nemici: da Grillo, Di Maio&C. a Travaglio e Scanzi. Forse all’editore Urbano Cairo è venuto il dubbio che al pubblico questa faccenda interessi, visto il milione e 600mila spettatori che sulla sua La7 venerdì han seguito Otto e Mezzo (preferendolo addirittura a Italia-Svizzera). I quali, se ieri han visto il Corriere, si saranno chiesti: ma non potevate dircelo prima?

La sai l’ultima?

 

New York Un’oca partecipa alla maratona di New York e fa il botto di like su TikTok

Tra i grandi protagonisti della settimana si fanno largo le piume bianche e le zampe palmate dell’oca Wrinkle, il pennuto più famoso di TikTok, dove spopola con 617mila follower e un totale dei like ai suoi video che supera i 9 milioni. L’ultima impresa di Wrinkle è una breve esibizione da runner nella corsa più famosa del mondo. “Alla Maratona di New York c’è un’anatra – scrive il sito di Radio Deejay -. Sì, è proprio così. Il filmato dura un paio di manciate di secondi, in cui Wrinkle the Duck scorrazza per le vie della Grande Mela fianco a fianco con i corridori in gara. Alle zampe una sorta di calzari da running, sguardo deciso e passo sicuro verso l’obiettivo. Il video, pubblicato tre giorni fa, al momento vanta 7,5 milioni di visualizzazioni, oltre un milione e mezzo di mi piace, più di 70mila condivisioni e circa 12-13mila commenti. Un’enormità”. Un’enormità di persone che avrebbero un disperato bisogno di un intrattenimento alternativo.

 

Milano La disperata denuncia del manifestante no-vax: “Pronto polizia, vorrei denunciare un blocco di polizia”

C’è vita nella galassia no-vax. Uno dei nuovi volti illuminati della protesta è quello del ragazzo che durante la manifestazione del 6 novembre a Milano ha telefonato alla polizia per denunciare il blocco della stessa polizia. Lo scrive Blitz Quotidiano: “La Polizia, su indicazione della Questura, è riuscita a bloccare l’ultimo gruppo di manifestanti No green pass tra le vie Sciesa e Anfossi, a poche centinaia di metri dalla Camera del lavoro della Cgil (…). Una decisione che però non è piaciuta ai manifestanti che hanno accusato le autorità di ‘sequestro di persona’ e ‘dittatura’. Ed è lì che è avvenuta la scena, paradossale, immortalata da molti siti (…). Uno dei manifestanti, infatti, ha preso il suo telefono e digitato il 112. Fingendo di sentirsi male, l’uomo ha chiamato la Polizia per dire che la Polizia lo stava bloccando. Ogni chiamata fatta è però risultata vana. La vicenda si è conclusa con 115 manifestanti identificati e 11 denunciati”.

 

Nuova Zelanda “Un pinguino si è trovato a 3mila chilometri da casa”. Era un po’ stanchino e disidratato, ma stava bene

Le notizie sugli effetti dei cambiamenti climatici fanno poco ridere, ma ci sono titoli – come quello del Post che stiamo per citare – che disegnano storie e scenari favolosi: “Un pinguino si è trovato a 3mila chilometri da casa”, scrive il sito diretto da Luca Sofri. Sottotitolo: “È successo in Nuova Zelanda all’esemplare di una specie che vive solo in Antartide: era stanco e disidratato ma stava bene”. La notizia è un po’ meno fantastica di quanto possa sembrare: “Non si sa ancora come e perché Pingu – il nome che gli hanno dato le persone della zona – sia arrivato a compiere un tragitto così lungo: avvistamenti di questo tipo in Nuova Zelanda sono rarissimi, ma secondo gli scienziati possono essere un sintomo di cambiamenti più profondi negli ecosistemi oceanici (…) Harry Singh, una delle due persone che lo hanno trovato, ha raccontato a BBC di aver pensato inizialmente che fosse un peluche: ‘Poi però, all’improvviso ha mosso la testa e ho capito che era vero’”.

 

Assisi Il Papa partecipa alla mensa dei poveri e il piatto principale sono gli strozzapreti al ragù

Un altro titolo immaginifico questa settimana ci è regalato dall’Agi, l’Agenzia di stampa italiana. Un po’ pulp, parecchio dissacrante ma davvero bello: “Il piatto forte del pranzo del Papa con i poveri sono gli strozzapreti al ragù”. Tra tutti i possibili tipi di pasta, nella mensa di beneficenza di Assisi si è deciso di selezionare proprio gli eccellenti strozzapreti. Sono il cuore del menu “che sarà offerto ai 500 poveri al Palaeventi di Assisi, dopo l’incontro di preghiera nella basilica di Santa Maria degli Angeli con Papa Francesco”. L’agenzia scende nei dettagli: “Il menu completo prevede per antipasto, pecorino fresco e pere, focaccina con la cipolla e salvia, insalata di farro con verdurine, bruschetta aglio e olio, crostone con patè di fegatini; per primo, gli strozzapreti (pasta fresca a base di acqua e farina) con ragù; per secondo, pollo a spezzatino alla cacciatora con contorno di spinaci ripassati in padella con peperoncino; per dolce, pesca con crema chantilly e coulis di mosto cotto e frutti rossi”.

 

Rock’n roll I Cugini di Campagna denunciano i Maneskin: “Ci stanno imitando, smettano di copiare i nostri vestiti”

Trema il mondo del rock italiano. I Cugini di Campagna denunciano il plagio: i Maneskin ci rubano l’outfit. Lo scontro generazionale è potentissimo. Scrive l’Ansa: “La polemica che non ti aspetti. Quella tra i Cugini di Campagna e i Maneskin. Il gruppo di Anima Mia accusa i quattro giovani romani che lo scorso sabato hanno aperto il concerto dei Rolling Stones a Las Vegas di copiare il loro look. ‘I Maneskin si sono esibiti negli Usa, prima dei Rolling Stones, IMITANDO, nel vestire I Cugini di Campagna. BASTA COPIARE I NOSTRI ABITI’, tuona il gruppo dei fratelli Michetti. A sostegno della loro tesi, sui profili social della band sono state pubblicate foto che mettono a confronto i look (in particolare un abito a stelle e strisce indossato dal cantante Nick Luciani con quello indossato da Damiano a Las Vegas), scatenando così anche l’ironia dei social”. Pochi giorni dopo, forse come gesto distensivo, i Cugini di Campagna si sono lanciati in una cover di “Zitti e buoni”, la hit dei vincitori dell’Eurovision. Sono fuori di testa, ma divesi da loro.

 

Roma Sei tifosi della Svizzera in trasferta staccano un palo della segnaletica stradale e se lo portano dentro l’albergo

Una meravigliosa notizia che ribalta ogni stereotipo: sei tifosi svizzeri fanno gli incivili a Roma. “Hanno sradicato un palo della della segnaletica stradale e se lo sono portato in albergo – scrive Roma Today –. Cartello segnaletico che non è però passato inosservato al titolare dell’attività ricettiva che ha poi chiamato il 112. A divellere il cartello sei cittadini svizzeri, di età compresa tra i 28 ed i 31 anni, arrivati nella Capitale per assistere all’incontro di calcio Italia-Svizzera valida per i gironi di qualificazione ai mondiali di Qatar 2022 (…). I giovani, la notte precedente, sono rientrati nella casa vacanze dove alloggiano, ubicata in Corso Vittorio Emanuele II, portando con loro un palo della segnaletica stradale, completo di segnale. Il titolare dell’attività ricettiva, avendo notato la strana situazione dalle telecamere di sorveglianza interna, ha deciso di contattare le forze dell’ordine”. Per i poveri buontemponi elvetici è scattata addirittura la denuncia per furto aggravato.

 

Siracusa Un morigerato sostenitore della Virtus Avola insegue l’arbitro e lo minaccia con una pistola a salve

Lezioni di sport, civiltà e pacatezza dai campi di categoria della provincia italiana. Succede ad Avola (Siracusa): “Un tifoso della squadra di casa dopo un incontro di calcio Under 17, tra Virtus Avola e Rg, finito 2-2, ha inseguito l’arbitro armato con una pistola a salve e dopo avergliela puntata contro ha esploso tre colpi in aria”. Tutto a posto, è gente che ha imparato a memoria la lezione di De Coubertin. “È accaduto mercoledì scorso nel Siracusano – scrive l’Ansa – ma la notizia si è appresa dopo che il Giudice sportivo ha multato la Virtus Avola con un’ammenda di mille euro per il ‘reiterato contegno offensivo e minaccioso, da parte di propri sostenitori, nei confronti dell’arbitro’”. Se non bastasse, come si legge nel verbale, i tifosi di casa “a fine gara invadevano il terreno di gioco provocando una rissa nel corso della quale un proprio calciatore non identificato colpiva con un calcio al petto un calciatore avversario”. Chissà che sarebbe successo se la Virtus Avola avesse perso 3 a 2.

Un morto nel cagliaritano, frane al centro nord

L’Italia resta nell’occhio del ciclone Blas. Dopo avere travolto Calabria e Sicilia, la perturbazione sta flagellando Liguria, Toscana, Salento e Sardegna, dove un 81enne ha perso la vita travolto da un mare di acqua e fango, mentre si trovava nella sua auto a Porto Pino, nel Sulcis. Sono invece stati tutti rintracciati i cacciatori dispersi ieri pomeriggio. Nonostante l’allerta gialla, ora passata ad arancione, non avevano voluto rinunciare a una giornata di caccia. Quattro cacciatori sono stat recuperati con l’elicottero, un’altra ventini sono stati messi in salvo dopo che erano rimasti isolati in un agriturismo. Ma l’allerta meteo resta alta su tutta l’Isola, dove le piogge hanno superato i 100 mm, contro una media stagionali che si attestano sui 68 mm. A Cagliari, dove oggi le scuole sono chiuse, la viabilità è stata completamente bloccata con le strade di alcuni quartieri che si sono trasformate in fiumi in piena. Interrotti anche i collegamenti ferroviari non solo in Sardegna, ma anche in altre Regioni. Disagi e allagamenti anche nel Salento, Liguria e Toscana. A Pisa un fulmine ha colpito la facciata della procura causando il distacco di un fregio marmoreo. E ora si contano i primi danni nelle campagne: secondo Coldiretti questa nuova ondata di maltempo tra Sardegna e la Penisola è già costata 2 miliardi di euro.