Per i Giochi “a costo zero” arrivano altri 324 milioni

Piovono milioni su Lombardia e Veneto: è un diluvio di finanziamenti pubblici, per rifare, con la scusa delle Olimpiadi, strade e autostrade, treni e autobus, tirare a lucido le Regioni leghiste. Il miliardo stanziato nel 2019 non bastava. Il ritocchino da 145 milioni aggiunto l’anno scorso con un emendamento sponsorizzato dalla Lega non era sufficiente. Dalla legge di bilancio 2022 arrivano altri 324 milioni, nuovi di zecca, per gli interventi infrastrutturali su Milano-Cortina 2026. Tra opere dirette e indirette, annessi e connessi della manifestazione, gli oneri a carico delle finanze pubbliche sfiorano ormai i due miliardi. E alla cerimonia inaugurale mancano quattro anni. Non male per un’Olimpiade che doveva essere “a costo zero per lo Stato”.

L’ennesimo regalo olimpico è infilato nella manovra che dopo mille ritardi e riscritture è finalmente approdata in Senato. Trovarlo non è facile: non c’è un articolo che stanzia le risorse, spiega destinazione e copertura. I soldi sono infilati nell’ultimo allegato del disegno di legge sui rifinanziamenti: qui tre capitoli di spesa del ministero delle Infrastrutture dedicati ai Giochi vengono ritoccati verso l’alto. Dal 2022 al 2025 16 milioni in più all’anno per “sistemi ferroviari”, 10 per la “mobilità locale”, 55 milioni per la “pianificazione strategica dei sistemi stradali e autostradali”. Come con una bacchetta magica, sono spuntati oltre 300 milioni in più per Lombardia e Veneto, senza dimenticare le province di Trento e Bolzano lambite dal progetto.

Ora si comprende bene la smania di Torino di provare a risalire in corsa sul treno olimpico da cui era scesa tre anni fa. Uno dei primissimi atti del nuovo sindaco Pd, Stefano Lo Russo, è stato infatti archiviare l’era Appendino rilanciando la sua città nella partita dei Giochi, uno dei temi più divisivi per il Movimento 5 Stelle. L’ex sindaca aveva detto no alla candidatura congiunta con Milano-Cortina (il famoso “Mi-To-Co” partorito dal Coni), e poi si era tirata indietro quando il governo aveva garantito che non avrebbe sostenuto economicamente nessuna candidatura. Era un bluff. La Torino a 5 stelle non aveva capito che le promesse sarebbero state tradite. I soldi pubblici stanno ricoprendo i territori leghisti, i governatori Zaia e Fontana si fregano le mani col sindaco di Milano Beppe Sala mentre in Piemonte Lo Russo e Cirio se le mangiano: così il nuovo asse Pd-Forza Italia sta provando a portare a casa almeno qualche gara e qualche impianto, ad esempio il tanto contestato bob che a Cortina sarebbe un’autentica cattedrale nel deserto (non che la piemontese Cesana sia molto meglio), o il pattinaggio che a Baselga di Pinè (Trento) non sanno come ospitare. Ma l’operazione è quasi impossibile: il dossier è chiuso, come ribadito anche dal presidente del Coni Giovanni Malagò.

Lombardia e Veneto non rinunciano a nulla, vogliono incassare fino all’ultimo centesimo. In questo caso parliamo sempre di opere infrastrutturali: strade e collegamenti vari, più o meno indispensabili per il grande evento, che magari erano in previsione da anni e che solo adesso verranno finanziate o realizzate, grazie o con la scusa dei Giochi, questione di punti di vista. Quindi sono tutti soldi che finiranno non al Comitato organizzatore (la fondazione privata che si occupa della parte organizzativa della manifestazione, diretta da Vincenzo Novari), ma alla società pubblica che dovrà occuparsi degli appalti.

Il problema è che questa società ancora non esiste davvero. Il governo, così prodigo a stanziare finanziamenti per le Regioni leghiste, si sta preoccupando molto meno di come spenderli. Tra ritardi burocratici, cambi di governo, e beghe politiche, sono passati due anni e mezzo dall’assegnazione e non si è fatto nulla. Lo scorso giugno il ministro Giovannini ha designato i componenti (amministratore delegato con poteri di commissario sarà Luigi Valerio Sant’Andrea, che ha già ricoperto lo stesso ruolo per i mondiali di sci di Cortina), ma la Spa ancora non si è insediata. Dovrebbe farlo finalmente nei prossimi giorni ma la situazione è già disperata e il compito improbo: realizzare in quattro anni ciò che si sarebbe dovuto fare in sei. Anche se nessuno lo dice, nell’ambiente tutti sanno che sarà praticamente impossibile completare per tempo tutti i lavori pianificati. In Italia siamo abituati così: prima facciamo i grandi eventi, poi le opere che ci servono.

MailBox

 

Una iniziativa nei teatri contro il rignanese

Vi chiedo di organizzare tramite il vostro giornale, insieme con giornalisti e intellettuali liberi, qualche iniziativa nei teatri, o anche dei flash mob, per rendere conto di tutti i milioni di cittadini e lavoratori che si sono battuti contro “il peggiore di tutti i tempi”, Matteo Renzi. Solo nei luoghi di partecipazione attiva, come fu in occasione del referendum anti-costituzionale del 2016, si può esprimere solidarietà a chi lotta in prima linea (Il Fatto Quotidiano e tutti i suoi giornalisti, ma non solo). Tra le iniziative propongo di portare, per chi vuole ma penso sarebbero in moltissimi, i resoconti annuali dei propri conti correnti. Così dimostrando che non c’è la Spectre degli invidiosi dietro l’inchiesta, ma un’indignazione generale su quello che Renzi ha sempre rappresentato, cioè il peggio degli arcitalioti.

Paolo Cingolani

 

Caro Paolo, grazie, ma credo che per l’estinzione di Renzi sia sufficiente Renzi. Mi pare sulla buona strada.

M. Trav.

 

L’Innominabile chiama “pregiudicato” anche B?

Dopo aver visto il confronto dalla Gruber col senatore del “Rinascimento Saudita”, mi sono chiesto se il nostro uomo si rivolge pure a Berlusconi e Dell’Utri dando loro dei pregiudicati. Chissà.

Gianluca Graziani

 

Grazie a voi del “Fatto”: non vi lascerò mai soli

Ho visto la puntata di Otto e mezzo venerdì sera, con il confronto fra Travaglio e “Mister zero virgola”. Renzi è riproducibile in tre parole: insolente, patetico, spudorato. Vi comunico che, a seguito dell’atteggiamento riprovevole tenuto da Renzi nei confronti suoi e del Fatto , correrò a diventare “sostenitore” (sono già un abbonato del vostro giornale). Vi sarò sempre vicino, perché la mia formazione politica la devo esclusivamente a voi, che rappresentate la mia bussola in molti campi della vita.

Antonello Garofano

 

Mi pento di quando votai il “senatore d’Arabia”

Mi congratulo vivamente con i direttori Travaglio e Giannini, e anche con la conduttrice Gruber, per aver impartito una brillante lezione di correttezza e opportunità a un senatore della Repubblica, che ha dato e continua a dare tanti danni alla politica italiana. Il signor Renzi, che all’inizio della sua “carriera” ebbi purtroppo a votare essendo iscritto al Pd, ha dimostrato di avere a cuore solo la sua personale carriera, e di non aver alcun senso politico. Da allora, cioè da quando quel personaggio tentò di alterare la Costituzione italiana, ho abbandonato il Pd e mi rendo conto che il centrosinistra è stato beffato e tradito da quel senatore, che farebbe bene a dimettersi dal Senato della Repubblica e a trasferirsi in Arabia Saudita dove pare sia più apprezzato. Spero che gli italiani non cadano più nell’errore di votarlo.

Mauro Bortolani

 

Lo scambio di ruoli fra Draghi e Mattarella

Turbato dalle dichiarazioni di Mattarella che portano a escludere una sua rielezione, mi sono arrovellato tutta la notte. Una soluzione l’ho trovata e la propongo a coloro che vogliono che la legislatura non sia interrotta anzitempo, che Draghi sia eletto presidente della Repubblica e che il governo dei migliori continui a governare. Eccola: eleggano Draghi al Quirinale assicurandosi da prima che, una volta al Colle, lui darà l’incarico per formare il nuovo governo a colui che ha ispirato e voluto l’attuale: Sergio Mattarella.

Antonio La Gioia

 

La difficoltà di fermare le mutazioni del Covid

Da cittadino, ex giornalista e biologo, ritengo che il diritto alla salute non sia in contrasto con il manifestare, con scioperi e sit-in e altro in piazza (con tutti i dovuti accorgimenti sanitari). Dai miei studi so che bisogna rallentare la circolazione del patogeno infettivo, ma questa non si otterrà mai perché la circolazione di uomini è globale: nessuna barriera può fermarla se non l’isolamento.

Pierluigi Curreli

Natale ed Epifania dentiere e reumi si portano via (dagli spot in tivù)

Addì 10 novembre 2021, alle ore diciannove e cinque minuti, trovandomi per un caso della vita davanti al televisore mentre va in onda un quiz, interrotto come da avviso da inserti pubblicitari, ho l’occasione di rendere ulteriore omaggio al Natale e all’infantile dedizione che da sempre mi lega a questa ricorrenza. Non voglio fare polemiche inutili con chi non lo sopporta per le più varie ragioni, comprendo anzi coloro per i quali il 25 dicembre, l’intero periodo natalizio addirittura, è foriero di malinconie: spesso il Natale assume i contorni della festa di chi non c’è più ed è difficile condividere la gioia altrui. Tuttavia, bandendo le tristezze e tornando al tema di queste righe, l’omaggio che mi è sorto spontaneo il giorno suddetto discende dal fatto che alcune delle pubblicità che intercalano il quiz offrono immagini di abeti addobbati, nevi abbondanti, parenti che si presentano con pacchi infiocchettati e bambini estatici: insomma l’impeccabile quadretto della felicità senza rughe. Ma soprattutto mi è sembrato che questi inserti pubblicitari abbiano scalzato, almeno per il momento, quegli altri relativi a dentiere che ballano, stitichezze o l’innominabile esatto contrario, dolori reumatici, incontinenze bisex e paste adesive, proposti, non so immaginare in base a quale calcolo di marketing, nelle ore in cui spesso si cena. Vero è che a Natale manca ancora un po’ e sembra un po’ presto immergersi nel suo clima. Tuttavia se così facendo potessimo almeno per qualche tempo dimenticare dove ci porta l’inevitabile decadimento fisiologico, e soprattutto mentre ci stiamo alimentando, vedrei con piacere pubblicità natalizie anche subito dopo ferragosto. Tanto così come arriva Natale poi passa. E di viscerali faccende possiamo tornare ad occuparci dopo l’Epifania che, come si sa, si porta via solo le feste, lasciandoci di nuovo a confronto con tutti i nostri mali quotidiani.

Il surriscaldamento mette a rischio un miliardo di noi

In Italia. È stata un’altra settimana spesso perturbata sotto la depressione “Blas” stazionaria tra Baleari e Sardegna. L’aria nord-africana in risalita sul suo lato orientale domenica scorsa ha fatto stabilire un nuovo record di caldo per novembre in 78 anni di misure a Roma-Ciampino (26,1 °C). Le piogge più intense hanno interessato la Gallura con allagamenti e dissesti, ma soprattutto – di nuovo – la Sicilia. Stavolta i danni peggiori sono toccati all’Ovest dell’isola, con nubifragi alluvionali e frane in varie località tra cui Lercara Friddi, Mazara del Vallo, Menfi, Sciacca, quest’ultima già colpita nel novembre 2016. A Castelvetrano 310 mm d’acqua, più di metà della media annua, sono piovuti in 72 ore, e martedì un tornado ha danneggiato edifici a Canicattì. Allagamenti pure a Catania, anche se meno estremi che tre settimane fa, e a Taormina. Il Cnr-Isac segnala che l’ottobre italiano è stato fresco, 0,5 °C sotto media a livello nazionale, ciononostante il 2021 resta per ora il dodicesimo anno più caldo in oltre due secoli. Mese asciutto al Nord, sovrabbondante d’acqua invece in Sicilia, dove la stazione Sias di Siracusa ha raccolto ben 599 mm, pari alla norma di un anno intero e più di quanto rilevato nei precedenti 12 mesi siccitosi! D’altra parte il recente report Ispra Gli indicatori del clima in Italia nel 2020 descrive una situazione climatica sempre più estrema: l’anno scorso, con 1,5 °C di troppo, è stato il quinto più caldo almeno dal 1961 (ma anche nella più lunga serie nazionale Cnr-Isac con inizio nel 1800), nel complesso poco piovoso sebbene con episodi violenti come l’alluvione di ottobre al Nord-Ovest, e nell’ultimo quarantennio il riscaldamento atmosferico italiano ha raggiunto +1,6 °C a fronte di una media globale di +0,7 °C nello stesso periodo.

Nel mondo. La prima neve è precocemente arrivata a Pechino, e straordinarie bufere hanno paralizzato molte località verso il confine con la Mongolia con spessori nevosi di oltre un metro. Inconsueto freddo primaverile in Australia (temperature diurne sotto media anche di 15 °C e talora record), caldo tardivo da primato per novembre invece a Cipro (33,4 °C) e Taiwan (35,8 °C). Ma i segnali termici più significativi si colgono dalle medie continentali e globali: secondo il servizio di monitoraggio satellitare Copernicus, ottobre 2021 ha visto temperature normali in Europa, frutto però del bilanciamento tra caldo eccessivo nel Nord e freddo nei Balcani, mentre nel mondo è stato il terzo più caldo dopo ottobre 2015 e 2019 (anomalia +0,4 °C). Venti vittime in Sri Lanka per alluvioni, frane e fulmini, mentre per lo meno sono insolitamente tranquilli i cicloni tropicali, mai in settant’anni non se ne era registrato nemmeno uno di categoria 3 tra fine settembre e metà novembre nel mondo. Un fondamentale studio coordinato dall’Università dell’Arizona e pubblicato su Nature (Globally resolved surface temperatures since the Last Glacial Maximum), tramite modelli climatici al calcolatore e la ricostruzione delle temperature planetarie dai segnali geochimici nei sedimenti oceanici, amplia la portata storica dell’attuale riscaldamento globale, ai massimi per intensità e rapidità in almeno 24 mila anni, ovvero da quando culminò l’ultima era glaciale: spazza via una volta per tutte le interpretazioni fuorvianti su presunti periodi miti come quello medievale. E il futuro aumento delle temperature potrà esporre crescenti fasce di territorio a caldo estremo e potenzialmente mortale, con un miliardo di abitanti coinvolti (quindici volte l’attuale) nello scenario +2 °C secondo i risultati del progetto Eu-Helix (High-End Climate Impact and Extremes), e metà della popolazione globale nello scenario +4 °C. Ecco perché si sperava che dalle due settimane di negoziati a Glasgow scaturissero decisioni più incisive.

 

Tra le nuvole Il Signore interviene nella Storia, domina il caos e fa luce

Il tono è cupo, sordo, basso. Si fa buio. Gesù parla ai suoi discepoli, e parla a lungo. Il suo sguardo si fa visionario e apocalittico: “In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte”.

Nel riferirci la parte centrale di questo discorso, Marco guarda con gli occhi di Gesù. Scrive di una tribolazione. Non sappiamo altro. La storia conosce la distruzione, il dolore. E gli eventi che seguono questa tribolazione comunicano il caos: un universo rovesciato dove il sole è buio, le stelle cadono dal firmamento come si staccassero perché la colla si è seccata. Sole e luna sono un orologio cosmico, che si rompe. Gli astri definiscono l’universo e qui si confondono. Spazio e tempo evaporano. Le potenze celesti perdono il loro senso e il loro ordine. Girano a vuoto inutilmente. Atmosfere alla Francis Danby. I cieli si accartocciano e si spengono rovinosamente. Finisce tutto. Dunque, non può accadere più nulla.

E invece no. Allora, dice Gesù, accadrà qualcosa. Prosegue: allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Questo allora ha una potenza sconvolgente. Proprio quando tutto è finito, allora ecco le nubi far da cavallo al Messia che arriva con potenza e gloria. Cioè con forza di azione, proprio quando le potenze sono sconvolte. E con luce gloriosa, proprio quando le stelle si spengono. Il Signore nella sua piena sovranità interviene nella storia e domina il caos. Il Messia sconvolge il caos. Ma lo fa, appunto, dalle nubi perché la nube è un velo che permette alla luce eccessiva di essere filtrata, e dunque di essere visibile. Altrimenti si resterebbe accecati. L’azione di Dio nella storia è visibile. E che cosa accadrà?

Allora Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo. La confusione è allietata dal volo di angeli che assicurano un movimento ordinato, potente ma dolce. Le estremità del cielo e della terra si tendono e così i quattro punti cardinali. C’è una forza circolare e centripeta che raduna e raccoglie gli eletti. La venuta del Figlio dell’uomo è evento cosmico, universale, coinvolge ogni cosa. Soprattutto da ogni dove: non ci sono appartenenze esclusive. Le differenze sono raccolte e accolte. La distruzione che minaccia tutto è vinta. C’è apertura a un futuro possibile per tutta l’umanità nella sua diversità.

Quando avverrà tutto questo? Gesù è chiaro: Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa. Bisogna stare attenti, vigili, capire che accade a questo mondo, interpretare i segni. Per spiegarlo Gesù passa dal cielo al suolo. Chiede, infatti, di pensare a una pianta di fico: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Dagli sconvolgimenti celesti si passa all’ordine agricolo dei tempi e delle stagioni. Durante l’inverno il fico perde le foglie, mentre i suoi germogli – a differenza del mandorlo che è più precoce – segnano l’arrivo dell’estate.

Ecco, Gesù chiede di imparare dal fico una lezione: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte. Gesù chiede ai suoi di leggere i segni della storia, degli avvenimenti per capire che cosa succede. Quando il cielo sembra che si accartocci sopra le nostre teste, allora bisogna riflettere, perché magari è lo stesso tempo in cui spuntano le tenere foglie del fico. Il cielo e la terra passeranno, ma Dio agisce nella storia per creare un ordine nuovo.

 

 

Migranti, virus, chiesa: è il punto di rottura

Nel momento in cui Mons. Viganò, già alto prelato della Chiesa Cattolica, e fino a poco tempo fa Ambasciatore del Vaticano (Stato e Chiesa) presso gli Stati Uniti, affida alle televisioni del mondo la sua sprezzante accusa religiosa e politica (eresia, tradimento) contro Papa Francesco, abbiamo avuto un drammatico esempio del male di cui le comunità umane stanno soffrendo ormai da anni: la tendenza e anzi il bisogno di frantumarsi per avere un nemico. A volte il male appare e si dimostra in maniera lieve e volgare, come quando la Lega Nord per l’indipendenza della Padania, in apparenza partito politico italiano, ha cercato di spezzare il proprio Paese cominciando col rifiutare la bandiera e ogni istituzione in comune. Quando la Francia è stata invasa da centinaia di misteriosi episodi dei “gilet gialli”, sempre numerosi, sempre pronti a tornare, e sempre appesi a pretesti mutevoli, non trattabili e spesso non rilevanti per il resto del Paese, si è guardato allo strano fenomeno (con irruzioni, occupazioni, incendi e tumulti stradali) come a un incidente di percorso francese, spesso attribuibile a errori dei presidenti e dei governi. Per alcuni mesi il caso di rottura più clamoroso è sembrato il voto e la rivolta della Catalogna, dove una parte importante della Spagna ha voluto decidere una separazione unilaterale, con un patriottismo furioso e senza la capacità di fornire al mondo le ragioni di un gesto così estremo. Brexit non è stato un fenomeno molto diverso. Più che un voto popolare in favore del distacco della Gran Bretagna dall’Europa, è stato un gesto di rabbia, di disprezzo, una dichiarazione (a costo di recare danno a se stessi) di non avere nulla a che fare con un legame sbagliato. In quel momento alcuni Stati dell’Unione europea (tutti dell’area Est, confinante con la Russia) avevano già dato segnali di ostilità alla comunità a cui erano associati in tre modi diversi: il fascismo, inteso come rivalutazioni di leggi, procedure e “valori” (persecuzioni e razzismo contro chiunque considerato inferiore e, comunque “straniero”); il nazionalismo estremo manifestato con l’accettazione esclusiva delle proprie leggi, e dunque rifiuto di ogni forma, benché blanda, di governo comunitario. E la richiesta, intesa anche come sfida, di costruire a spese dell’Unione, muri di separazione fra uno Stato europeo e l’altro come simbolo delle diverse, separate “nazioni”, separazione da creare col muro e con le sentenze delle nazionalistiche corti supreme che giudicano le direttive europee come animali estranei e pericolosi da tenere lontani dal cortile del buon Paese tradizionale. Inevitabile che si possa ingaggiare giochi macabri con questa Europa. C’è il gioco libico (Paese sostenuto e finanziato dall’Italia) che vuol dire spingere in mare (dopo prigione e tortura) quante più persone, cercando di persuadere con ogni metodo di informazione e fake news, che sia tutta opera di avidi e disumani mercanti di carne umana, e non di secondini, funzionari e guardia costiera del Paese amico, protetto e pagato.

E c’è il gioco ancora più perverso di Lukashenko/Bielorussia che trasbordano (fingendo di salvare) persone in fuga persuase di avere incontrato aiuto, per poi abbandonarli ai confini fra Bielorussia e Polonia, chiusi entrambi da muri e filo spinato, in fraterno accordo fra i due Paesi, in modo che le vittime siano forzate a morire di sete e di fame, compresi migliaia di bambini. Seguono educate proteste dei vertici europei (benché la Polonia, membro dell’Unione europea e della Nato, potrebbe essere esclusa subito da entrambe le organizzazioni per violazione di diritti fondamentali).

In questa immensa pozzanghera di contraddizioni e di spedizioni feroci contro chiunque sia debole, mentre il continuo attivismo di una pandemia è un vento malefico che non finisce e non si spiega, indebolendo il prestigio di chi dovrebbe guidare verso una salvezza, il punto di rottura si allarga. Da un lato sempre più gruppi e leader vogliono liberarsi da sentimenti di umanità per non sentirsi deboli e impreparati. Se qualcuno deve annegare, non ci tiri a fondo. Lo ha detto senza remore Giorgia Meloni, separando con chiarezza la protezione che spetta a sua figlia dalla lagna degli emigrati che portano virus e rubano lavoro, e possono anche annegare. Dall’altro sono in tanti a volersi separare da sentimenti di solidarietà e fratellanza, temendo di trovarsi nel punto sbagliato della storia. Eppure, se pensate al Mediterraneo, ai prigionieri della Libia e ai bambini davanti al filo spinato della Polonia che si finge cristiana, la loro salvezza è la nostra. Il resto è il boato di un crollo.

 

Madri, figlie e trote: la scelta di Aureliano, villico dai ricci neri

Dalle novelle apocrife di Auguste de Villiers. Nella campagna di Parigi viveva un giovane villico, ben piantato e forte come un toro, che coi suoi ricci neri e un sorriso bianco come il latte faceva innamorare ogni donna del contado. Si chiamava Aureliano, e un giorno attirò lo sguardo lascivo di Adelaide Filleul, in vacanza nella tenuta del marito con la cognata, Madame de Pompadour. Adelaide non era più in fiore, ma ancora molto desiderabile, e si diceva fosse l’amante del vescovo Talleyrand. La sua sfortuna era di essere sposata con un uomo, il conte di Flahaut, che ormai era troppo in là con gli anni per essere in grado di spegnere i suoi ardori.

E così la contessa, informatasi sul giovane, trascorreva le giornate sublimando, il pensiero fisso su di lui; ma un pomeriggio il desiderio tracimò, spingendola a una pazzia: indossata una mantella col cappuccio, lo attese sul far del bosco, e quando Aureliano tornò dai campi, preceduto da un bue pigro con le grandi corna, gli rivolse la parola: “Aureliano! Aureliano!”. Il giovane, udendo quel richiamo sussurrato, si voltò, e con sorpresa vide la contessa che, alzata la gonna oltre la decenza, gli mostrava le gambe, belle e invitanti. Aureliano esitò. Adelaide, con un sorriso, fece un cenno d’invito. Ma Aureliano scosse la testa e proseguì. Allora uno scudiero, che da un casino di caccia aveva visto la scena, lo raggiunse: “Stupido! Lo sai chi è quella? È la contessa Adelaide. Ci sono nobili che darebbero il loro castello per avere quello che lei stava offrendo a te, un povero bifolco. La sua voglia era evidente. Perché non ci sei stato?”. Aureliano, invece di rispondere, gli mostrò i denti candidi del suo sorriso e tirò oltre.

Passarono diversi giorni. Aureliano stava tornando dal lavoro nei campi, in bocca una spiga di grano, quando udì di nuovo la voce sussurrata della contessa Adelaide che lo chiamava dal limitare del bosco. La donna, che bruciava di passione, stavolta invitò Aureliano con frasi lascive che aveva letto in un libro proibito (“Vieni a punirmi, ragazzo. Sono stata cattiva”) ed espose le belle poppe candide, che nessun uomo vedeva da quattro settimane, a parte il marito con gli occhi stanchi. Aureliano esitò, ma poi scosse la testa e proseguì. Lo scudiero dell’altra volta, che era reduce dal fiume con un cesto di vimini pieno di trote, vide di nuovo la scena, e di nuovo corse dietro al giovane contadino per fargli la stessa domanda dell’altra volta: “Perché non ci stai? Cosa sei? Idiota?”. E anche stavolta Aureliano non gli rispose, e gli mostrò i denti candidi del suo sorriso. Lo scudiero era così furioso che avrebbe voluto tirargli un pugno, ma Aureliano era alto quasi il doppio di lui, e l’esperienza insegna. Quindi lo incalzò: “La contessa ti mostra le gambe e le poppe, e tu non fai niente! Dimmi perché o divento pazzo! Non è giusto! È un insulto alla Provvidenza!”. Allora Aureliano, che si stava divertendo, gli disse: “Seguimi”. Incuriosito, lo scudiero si lasciò condurre nel bosco. Non avevano percorso neanche duecento passi, che un’altra voce dolce e invitante si levò dalla boscaglia: “Sei tu, Aureliano?”. Quando furono dappresso, lo scudiero sbalordì, gli occhi disorbitati: era la contessina Claudia, l’incantevole figlia di Adelaide, per la quale, ignorato, spasimava! Più bella della madre, la fronte piena di innocenza e di amnesie, prese la mano di Aureliano e gli disse: “Andiamo?”. Vedendo lo scudiero a bocca aperta, Aureliano rise di gusto. “Chi è l’idiota, dunque?” lo canzonò, mentre si allontanava nel folto, strattonato dall’impaziente sedicenne. Lo scudiero se ne tornò a casa, maledicendo la sorte, e anche le trote.

 

Rondolino trama e Renzi lo stima

 

“Non dobbiamo perdere tempo a ‘riconquistare’ l’elettorato: dobbiamo spingerlo a non votare più. Non dobbiamo rincorrere Grillo sul suo terreno, ma dobbiamo dimostrare che anche Grillo è Casta. Non dobbiamo contro-argomentare sulle loro proposte, dobbiamo distruggere chi le ha avanzate”.

Fabrizio Rondolino a Matteo Renzi

 

Quando, venerdì sera a “Otto e Mezzo”, Matteo Renzi ha definito la mail di Fabrizio Rondolino sulla “character assassination”, da organizzare contro 5Stelle e “Fatto”, non le parole “di un folle ma di un giornalista stimato”, Lilli Gruber ha subito replicato che “cronisti stimati non hanno progetti simili”. Giusto, ma la domanda successiva è: come mai l’ex premier, pur sommerso dall’enormità dei contenuti del documento, si è preoccupato prima di tutto di salvaguardare l’immagine di Rondolino? Di colui, cioè, che sia pure senza volerlo lo ha messo nei guai? Riteniamo lo abbia fatto per almeno un paio di motivi, facilmente intuibili. Primo: è difficile credere che Rondolino si sia svegliato una mattina per organizzare una così ben articolata campagna di fango contro i nemici del suo datore di lavoro, spinto esclusivamente da un risentimento personale. Non sappiamo se retribuito e quanto, ma l’ex portavoce di D’Alema (e molto altro ancora) struttura il progetto (a cui, precisa, ha dato il suo competente contributo una esperta di televisione come Simona Ercolani) seguendo l’approccio professionale di chi risponde a una precisa richiesta, probabilmente frutto di precedenti colloqui sul merito. Per capirci, una cosa del tipo: perché non butti giù un paio di paginette sulla migliore strategia da adottare contro i grillini e contro i giornalisti che ci fanno la guerra? Lo sventurato rispose, ma non poteva certo sapere che un giorno tutto sarebbe venuto fuori, come un cadavere che riaffiora dopo una marea. Comunque, le proposte vengono due minuti dopo trasmesse al capostazione Marco Carrai, come da procedura. Nulla è lasciato all’improvvisazione. Questo ci dice che scavando nelle 90 mila carte dell’inchiesta sulla fondazione Open forse sarà possibile ricostruire quel sistema di intossicazione della politica e dell’informazione che hanno consentito di avvolgere in una densa nebbia certe fulminanti carriere politiche. Se le cose stanno così, pensate davvero che l’ex premier potesse scaricare, davanti a milioni di telespettatori, il fido Rondolino (più Ercolani) con cui sicuramente condivide certi interessanti segretucci. “Giornalista stimato” è dunque il minimo con cui Renzi poteva definirlo. Secondo: quando Rondolino scrive che bisogna spingere l’elettorato “a non votare più” mostra ancora una volta di sapere il fatto suo. Anche se potrebbe essere che sull’astensione, che alle ultime Amministrative ha toccato il sessanta per cento, abbia pesato la permanenza sulla scena di personaggi come il senatore di Rignano. Resta il fatto che i quarantuno parlamentari di Italia Viva – i quali, oltre alla “character assassination”, tollerano senza fiatare le genuflessioni del capo al mandante dell’assassino del giornalista Khashoggi – potrebbero tra breve essere decisivi nella elezione del nuovo Capo dello Stato. Del resto, Renzi non si muove già da kingmaker? Tutto si tiene.

 

Il pubblico non capisce di che banda è gaia

Che tra Matteo Renzi e il Fatto Gaia Tortora non avesse dubbi su chi scegliere, è cosa nota. Basti pensare che qualche giorno fa, quando il nostro giornale ha pubblicato le donazioni al senatore d’Arabia, lei ha fatto da scudo al leader di Italia Viva: “È in ballo un principio. Non un senatore. Provate a pensare a questo” ha twittato, nell’inedita veste di mental coach della Rete. E giù grida di giubilo della “Bestiolina” fiorentina. Ieri Tortora s’è lasciata andare. Sempre su Twitter ha commentato così la puntata di venerdì di Otto e mezzo in cui Renzi si è scontrato con Travaglio, Giannini e Gruber. “Semplice considerazione. Un regolamento di conti tra ‘bande’, questo mi è sembrato. E il telespettatore non ci ha capito nulla. Chi tiene per la sua squadra continuerà a farlo. Ma non mi pare si sia andati oltre. E questo non è utile a nessuno”. Insomma, Tortora ce l’aveva anche con i suoi colleghi di La7 – tra cui Lilli Gruber – rei di aver reso la trasmissione un pollaio. Peccato che a La7 Tortora non sia una passante, bensì la vicedirettrice del Tg e conduttrice di Omnibus. Ma forse non ci ha capito nulla neanche lei.

Coldiretti: da ottobre sei nubifragi al giorno

Dall’inizio dell’autunno si contano in tutta Italia più di 6 nubifragi al giorno tra bombe d’acqua, tempeste di vento, e tornado che hanno provocato morti, feriti e danni. È quanto emerge dall’analisi della Coldiretti sulla base dei dati dell’European Severe Weather Database (Eswd) in riferimento alla nuova perturbazione con l’allerta meteo della protezione civile arancione in Veneto e gialla su Liguria, Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio, Puglia, sul versante nord-orientale della Sicilia e sull’intero territorio della Sardegna. Sono evidenti anche in Italia – sostiene la Coldiretti – gli effetti dei cambiamenti climatici, con l’autunno 2021 che fa segnare fino ad ora un aumento del 39% di eventi estremi.