Un tifoso della squadra di casa, dopo un incontro di calcio Under 17 tra Virtus Avola e Rg, finito 2-2, ha inseguito l’arbitro armato con una pistola a salve e dopo avergliela puntata contro ha esploso tre colpi in aria. E accaduto mercoledì scorso nel Siracusano. Il Giudice sportivo ha multato la Virtus Avola con un’ammenda di mille euro per il “reiterato contegno offensivo e minaccioso, da parte di propri sostenitori, nei confronti dell’arbitro”. Inoltre, si legge nel provvedimento, i tifosi di casa “a fine gara” entravano sul “terreno di gioco provocando una rissa nel corso della quale un proprio calciatore non identificato colpiva con un calcio al petto un calciatore avversario”.
Cop26, l’accordo siglato è al ribasso non c’è nemmeno l’uscita dal carbone
La novità è il nome: l’accordo uscito dalla Cop26 si chiama Glasgow Climate Pact, cioè Patto sul clima di Glasgow. Dopo due settimane di negoziati che hanno caratterizzato il summit sul clima delle Nazioni Unite, di alzare l’asticella degli obiettivi già previsti nel 2015 con l’accordo di Parigi non si è visto traccia. Il patto firmato dai circa 200 Paesi riuniti per accelerare la lotta ai cambiamenti climatici e delineare le basi per il suo finanziamento futuro è un testo annacquato, con un compromesso nel passaggio che riguarda la fine del carbone, perché l’India è riuscita a ottenere un cambiamento del testo all’ultimo minuto. Il delegato indiano ha infatti ottenuto di modificare la formulazione della bozza di accordo che poco prima era stata sottoscritta da tutti i Paesi: utilizzare l’espressione “ridurre gradualmente” invece che “eliminare gradualmente” il ricorso all’energia derivante dallo sfruttamento del carbone. Diversi Paesi, Svizzera in testa, ma anche i piccoli Stati insulari, hanno espresso profonda delusione per questo cambiamento del testo. Alcuni hanno definito la revisione “odiosa e contraria alle regole”, ma hanno aggiunto che hanno dovuto accettarlo per arrivare a una conclusione del vertice. Il presidente della Cop26, Alok Sharma, ha perfino singhiozzato dicendosi “profondamente dispiaciuto” per quanto accaduto: “Capisco la profonda delusione, ma è vitale che proteggiamo questo pacchetto”, ha aggiunto. Anche se la maggior parte dei Paesi ha firmato l’accordo, sono ancora in molti a non essere convinti del mancato impegno dei Paesi ricchi ad aiutare quelli poveri nella crisi climatica. Gli Stati meno sviluppati hanno invece denunciato che nel testo non ci sono impegni per il fondo da 100 miliardi di dollari all’anno previsto dall’Accordo di Parigi per aiutare a decarbonizzare. E non si prevede neppure un fondo per ristorare i danni e le perdite dovute al cambiamento climatico. L’accordo mantiene l’obiettivo prioritario di tenere il riscaldamento globale sotto 1,5 gradi dai livelli pre-industriali, ma con i tagli alle emissioni che rimangono al 45% entro il 2030 e zero emissioni nette al 2050. In dirittura d’arrivo della Cop26, Greta Thunberg ha ripetuto le sue critiche sulle conclusioni del vertice che nei giorni scorsi ha definito “un fallimento”. “Ora che la Cop26 sta volgendo al termine – ha scritto su Twitter – fai attenzione allo tsunami di greenwashing e tirate dei media per inquadrare in qualche modo il risultato come ‘buono’, ‘un progresso’, ‘ottimista o come ‘un passo nella giusta direzione’”.
L’odissea di noi supplenti non pagati da mesi
Cinque mesi e siamo ancora senza stipendio. Il cattivo pagatore è il Ministero dell’Istruzione che si difende: dipende da quello dell’Economia. La verità è imbarazzante: i soldi nei capitoli di spesa non ci sono. Eppure si procede con nuove assunzioni senza aver di come pagarle. Sono centinaia i docenti, me inclusa, che hanno lavorato con contratti di supplenze brevi lo scorso anno scolastico e attendono invano. Lo scenario è kafkiano: la ragioneria territoriale del Mef rimette tutto nelle mani della scuola. La scuola le alza. Le sigle sindacali si trincerano: occorre l’iscrizione. Una risposta arriva dalla piattaforma NoiPa: “È in corso da parte del Ministero dell’Istruzione il reintegro delle risorse sui capitoli di spesa”. Come ha fatto il ministero ad assumere personale non avendo liquidità per pagarlo? Per fortuna faccio anche la giornalista, la sfacciataggine non mi manca. Lo chiedo direttamente alla segreteria del ministro Bianchi e agli uffici del Mef. Lo segnalo pure alla Corte dei Conti. Tutto tace, tranne una dirigente: “Mi fornisca il suo codice fiscale”, che rimbalza da un ufficio all’altro. Ieri la risposta: “La legge 24 settembre 2021 n. 133 ha stanziato nuove risorse finanziarie. Non appena il Ministero dell’Economia le renderà disponibili, questo ufficio procederà tempestivamente ad assegnarle”. Quindi a settembre vengono stanziate le risorse per un contratto scaduto a giugno. Avevano detto che c’era penuria di docenti, avrebbero dovuto aggiungere: “Armiamoci e partite”.
Ministero della Cultura, l’infornata dei 28 dirigenti a chiamata diretta di Franceschini
Da domani entreranno in carica 28 nuovi dirigenti al Ministero della Cultura, dalle soprintendenze agli archivi. Tutti gli istituti avranno un loro dirigente esclusivo. Ma c’è una particolarità: tutti e 28 i nuovi nominati non hanno superato un concorso pubblico per dirigenti. Per questo già da giorni se ne parla nelle chat interne dei dipendenti ministeriali. Accade grazie a una deroga concessa alle amministrazioni con il decreto legge 80 del 9 giugno 2021, per facilitare il reclutamento di dirigenti nell’ambito dell’attuazione del Pnrr.
Dal 2014 in poi concorsi per dirigenti in quel ministero non se ne sono visti (anche le nomine dei direttori dei Musei autonomi sono nomine fiduciarie del ministro) e così, man mano che passano gli anni, il personale con titolo da dirigente – che fino a 15 anni fa veniva assegnato con concorsi annuali, con prove scritte e orali e una commissione interna – scarseggia. Il trend è netto: prima dell’arrivo di Franceschini, al Ministero dei Beni Culturali il tetto massimo ai dirigenti senza abilitazione consentiti era del 6%, innalzato dal ministro pd al 15%. Con questa nuova infornata arriva al 30%. Un sistema di reclutamento dirigenziale che segna anche un nuovo modo di concepire il ministero stesso, meno tecnico e più politico-fiduciario: questo bando prevedeva il semplice invio di un curriculum vitae, valutato poi dal direttore generale di settore. Per questo, secondo diversi funzionari sentiti dal Fatto – che in ottemperanza ai regolamenti non possono dichiarare alla stampa –, quest’ultima procedura segna un nuovo cambio di passo. Per Luigi Malnati, già direttore generale e soprintendente, il rischio di politicizzazione delle cariche è dato “non solo a causa dell’assenza di concorsi, quali quelli a cui la mia generazione era abituata, che evitavano conflitti e dissidi” ma anche perché “la creazione delle Soprintendenze uniche ha creato una voce sola sul territorio, che tratta dalle pitture paleolitiche alle facciate dei palazzi novecenteschi: che una persona con un potere così ampio possa essere selezionata senza concorso, crea un chiaro problema di terzietà delle scelte”. Dal ministero sottolineano che è stata applicata la legge, e che a breve partirà un corso-concorso, organizzato dalla Fondazione Scuola per i Beni e le Attività culturali (procedura autorizzata nell’agosto 2020), che porterà al ministero 50 nuovi dirigenti tecnici.
“Sanpa”, aperta a Rimini inchiesta per diffamazione
La Procura di Rimini ha aperto un fascicolo sulla mini serie Netflix Sanpa, luci e tenebre di San Patrignano in onda a fine 2020, contro cui i figli di Vincenzo Muccioli, Giacomo e Andrea, hanno presentato querela ipotizzando il reato di diffamazione. L’inchiesta dovrà stabilire se i contenuti della serie abbiano davvero e in che misura danneggiato l’immagine del fondatore e animatore della comunità di recupero per tossicodipendenti.
Il pm ha deciso di affidare al giornalista e regista Claudio Camarca, considerato uno specialista nel settore dei docufilm d’inchiesta, una perizia tecnica per definire le responsabilità delle diverse figure che intervengono durante la realizzazione della serie. La querela presentata da Giacomo e Andrea Muccioli lamenta che Sanpa rappresenti “Vincenzo Muccioli come misogino e omosessuale” e che “la causa della sua morte venga attribuita all’Aids. Ovvero ad un’infezione da Hiv, contratta a causa del suo stile di vita e dei suoi comportamenti privati”.
Caso Mollicone, in aula la voce del teste suicida
La voce di Santino Tuzi, il brigadiere dei carabinieri morto suicida e testimone chiave nell’omicidio di Serena Mollicone, è riecheggiata nell’aula di Corte d’Assise del tribunale di Cassino. La Corte – riferisce FrosinoneToday – ha ascoltato l’intercettazione telefonica tra il militare e la sua amante, Anna Maria Torriero, qualche ora prima che venisse interrogato: era il 28 marzo del 2008 e Santino Tuzi quella sera, durante la deposizione, “confessò” di aver visto Serena Mollicone nella caserma di Arce il 1° giugno del 2001. Nel colloquio Tuzi dice rivolgendosi alla donna: “Sono stato chiamato per motivi di lavoro” e la Torriero incalza: “Che è successo? Per cosa ti hanno chiamato? Per la questione dei colleghi o quella della ragazza?” e Santino replica: “La ragazza”. Un frammento di colloquio importante ma che ieri pomeriggio in aula non ha trovato il riscontro necessario a fare piena luce sulla morte di Serena Mollicone. La testimone, infatti, ha negato di essere a conoscenza di qualche aspetto inerente quanto potrebbe essere accaduto nella caserma di Arce.
Il business: 60 miliardi di ricavi in soli nove mesi
Sessanta miliardi di dollari di ricavi che hanno prodotto profitti record per quasi 30 miliardi di dollari. Il tutto in soli 9 mesi. Sono le cifre del nuovo ricco business del vaccino anti-Covid di cui hanno beneficiato solo i 3 grandi produttori a tecnologia mRna: Pfizer, BionTech e Moderna. Un incasso enorme figlio della più grande campagna di vaccinazione di massa, a livello globale, che ha preso avvio all’inizio del 2021. Non poteva essere altrimenti, dato che la pandemia ha prodotto una domanda di sieri infinita, a fronte di un’offerta finita da parte del nuovo oligopolio dei tre grandi produttori che hanno avuto gioco facile a imporre a Stati e governi il prezzo più elevato possibile. E i dati sono solo dei primi 9 mesi del 2021.
Pfizer, dal suo vaccino, realizzato in collaborazione con la tedesca BionTech, ha registrato vendite nei primi 9 mesi per 36 miliardi di dollari (frutto della vendita di 2,3 miliardi di dosi a un prezzo medio per dose di 15,6 dollari). E ha dichiarato che si aspetta entro fine 2021 ricavi totali tra gli 81 e gli 82 miliardi di dollari, il doppio delle entrate pre-pandemia. Il vaccino Covid contribuirà per oltre la metà di questo exploit clamoroso. Di fatto il business del vaccino è ormai per vendite il primo prodotto in assoluto del colosso farmaceutico Usa, pari a tre volte l’intero fatturato globale dell’area dei farmaci oncologici. BionTech ha visto le vendite nei 9 mesi del 2021 schizzare a 13,4 miliardi di dollari e prevede per l’intero anno un fatturato totale per 16-17 miliardi di dollari. Moderna ha portato a casa, dall’inizio della campagna vaccinale, 10,7 miliardi di dollari e prevede per il 2021 incassi dal solo vaccino in un range tra 15 e 18 miliardi di dollari, figlie della vendita di 700/800 milioni di dosi a un prezzo medio poco sopra i 20 dollari.
E così il conto finale per il primo anno intero di vaccinazione a livello globale lieviterà a una cifra vicina agli 80 miliardi di dollari per il trio Pfizer/Biontech/Moderna. Si dirà che a fronte di una pandemia mondiale che ha congelato l’economia globale per lungo tempo e che sta facendo oltre 5 milioni di morti in tutto il pianeta, poco importa di quanti soldi siano stati spesi per fronteggiare il virus. Ma che il business del vaccino anti-Covid sia più che un Eldorado per Big Pharma è un fatto. I tre produttori hanno sfruttato a pieno il loro ruolo oligopolistico, vendendo agli Stati a prezzi fino a 6/7 volte i costi di ricerca e produzione che si sono accollati. Basta vedere il caso di Moderna: su 10,7 miliardi di ricavi dal vaccino, i costi totali sono stati di solo 3 miliardi, consentendo un margine di profitto di oltre il 70% dato che gli utili operativi sono stati di 7,8 miliardi. Una redditività che non ha pari in nessuna azienda del mondo, neppure tra i Big Tech. Tra l’altro, Moderna ha accantonato tasse su quei quasi 8 miliardi di utili operativi per soli 541 milioni, con un’aliquota provvisoria di appena il 7%. BionTech, come Moderna che non aveva di fatto ricavi prima del vaccino, ha realizzato fino a settembre ricavi per 13,4 miliardi con un utile operativo di ben 10,5 miliardi e uno netto di 7,1 miliardi (BionTech spende per le tasse il 30% dei profitti pre-tax). Anche qui, il margine di profitto è elevatissimo.
AstraZeneca che usa una tecnologia a vettore virale è andata invece fin dall’inizio in controtendenza rispetto a Pfizer/BionTech e Moderna, dichiarando subito che avrebbe venduto il suo vaccino a prezzi di costo. E infatti il contributo delle vendite nei 9 mesi è stato di 2,2 miliardi di sterline, meno del 10% del fatturato globale del gruppo anglo-svedese (25 miliardi). Avendo venduto 1,5 miliardi di dosi il prezzo medio per dose è stato di soli 1,5 sterline. L’impatto sui profitti alla fine è stato poco significativo. Ora però AstraZeneca ha deciso di far salire i prezzi, dato che sostiene che la pandemia si tramuterà in endemia, non giustificando più la politica finora seguita del “no profit on pandemic”.
Johnson&Johnson non ha “lucrato” sul vaccino. Solo 766 milioni di dollari di vendite nei 9 mesi su ben 37 miliardi di dollari di fatturato globale. Complice anche la scoperta di una copertura non sufficientemente alta da parte del siero Janssen.
Ora con la terza dose e con il fatto che la pandemia si tramuterà con ogni probabilità in malattia endemica con richiami vaccinali a cadenza annuale, il trend per Pfizer & C. si consoliderà anche nei prossimi anni. Nel 2022 Pfizer pensa di vendere 1,7 miliardi di dosi con un incasso di 25 miliardi l’anno prossimo. Con buona pace di quanti tra economisti, organizzazioni no profit e capi di Stato hanno chiesto una moratoria sui brevetti.
Tra l’altro i profitti non finiscono sempre reinvestiti in ricerca. Il caso di Moderna è emblematico. Degli oltre 7 miliardi di cassa prodotti nei primi 6 mesi record del vaccino, ne ha impiegati ben 6,5 per comprare titoli di Stato e obbligazioni. Profitti finiti in finanza. O come Pfizer, che ha preferito usare i mega-profitti liquidi per distribuire dividendi per la bellezza di 6,5 miliardi ai suoi azionisti.
“Ho denunciato ecco perché mi hanno licenziata”. “Pfizer-gate”: parla la whistleblower
È la donna che in un giorno ha fatto perdere al colosso farmaceutico BionTech-Pfizer il 20% in Borsa. Era il 5 novembre scorso, il giorno in cui, con la pubblicazione di un articolo che riportava la sua denuncia, è scoppiato quello che in pochissimo tempo è stato definito come “Pfizer-Gate”. La whistleblower dello scandalo Ventavia – il centro di ricerca per il quale lavorava, e che ha supportato Pfizer nelle sperimentazioni del vaccino anti Covid – si chiama Brook Jackson. Rintracciarla non è stato facile.
Brook Jackson, da dirigente della sede in Texas di Ventavia Research Group, lei ha denunciato diversi errori e falsificazioni nei trial dei vaccini Pfizer in fase III, prima della loro definitiva approvazione.
Ho iniziato a lavorare a Ventavia come direttore regionale, l’8 settembre 2020. Ero responsabile della supervisione dello svolgimento di tre trial nei laboratori che arruolavano partecipanti alla sperimentazione di Pfizer. Ventavia è solo una delle tante società private che collaborano col “Platinum Research Network”. Quello che ho visto e che ho deciso di denunciare, anche se ho lavorato poche settimane per loro, è ascrivibile a una cattiva condotta reiterata, quotidiana.
A cosa si riferisce?
Pfizer aveva interesse che Ventavia arruolasse, nel minor tempo possibile, il maggior numero di partecipanti alla sperimentazione. Ventavia era determinata a rimanere uno dei partner preferiti da Pfizer. E, aggiungo, la società percepiva parte dei suoi compensi sulla base del numero dei pazienti arruolati: tanti più erano gli iscritti al trial, quanto più Ventavia guadagnava. Diciamo che la quantità e la velocità mal si coniugano con le sperimentazioni cliniche…
Nella sua denuncia riportata dal British medical Journal, lei parla di “dati falsificati”, di “ritardi nel monitoraggio degli effetti collaterali”, dell’impiego di vaccinatori non adeguatamente formati e di “personale responsabile dei controlli di qualità sopraffatto dal volume di problemi riscontrati”. Ma lei era responsabile solo di una piccola parte della sperimentazione di Pfizer, circa mille soggetti su 44mila totali. L’affidabilità del vaccino, come ha confermato la comunità scientifica, non è inficiata.
Io ho riferito le mie preoccupazioni alla Fda, la Food & Drug Administration, alla fine di settembre 2020. All’epoca, è vero, c’erano circa mille soggetti arruolati nel trial. Ma Ventavia, nonostante le mie denunce di irregolarità, ha continuato ad arruolare anche dopo. E comunque, fossero anche solo quei mille volontari, sono stati esposti a rischi irragionevoli, dovuti per esempio alle incongruenze nell’etichettatura del vaccino per il gruppo dei soggetti trattati e per il gruppo placebo, o alla cattiva conservazione del siero dovuta all’escursione termica a cui sono state sottoposte le fiale.
Può ripercorrere come è andata?
In una email inviata il 23 settembre 2020 informavo i vertici di Ventavia che la mia revisione non si sarebbe potuta concludere entro la data stabilita. “Mi sento un po’ sotto shock!”, scrissi loro. Poi contattai, sempre via email, il Cber, il Center for Biologics Evaluation and Research, la struttura interna alla Fda, denunciando tutte le anomalie. Era il 25 settembre.
Risultato?
L’azienda per cui lavoravo da sole due settimane mi ha licenziato. Così, in tronco. Era un venerdì, ma stavo lavorando da casa perché mio figlio era malato. Ho passato tutta la mattina a rispondere alle email, dopo qualche ora il computer mi chiede di reinserire la mia password, perché ero stata disconnessa. Ho provato diverse volte, ma la risposta era sempre: la password non è corretta. Ho capito che il mio account era stato disattivato e che, probabilmente, avevo perso il lavoro. Nel pomeriggio, Ventavia mi ha chiamato e mi ha licenziato perché non “adatta” alla posizione per cui solo poche settimane prima mi aveva assunto.
E la Fda? Ci sono state verifiche dopo le sue segnalazioni?
Qualche giorno dopo, il 29 settembre, mi chiamò l’ispettore Banu Kannon del Cber. Per più di un’ora discutemmo al telefono del mio report. Poi, silenzio. Non è stato dato alcun seguito alle mie denunce.
Potrebbe trattarsi di un’anomalia relativa solo ai trial di Ventavia che dirigeva lei.
Quello che posso dirvi, dopo aver letto il rapporto riassuntivo della Fda, è che trovo preoccupante che solo 9 siti di sperimentazione su 153 siano stati ispezionati. È un problema strutturale quello dei controlli. L’industria degli studi clinici è lasciata praticamente all’autogestione. Fu la stessa Fda ad ammettere che, per gli studi clinici condotti negli anni 2000-2005, solo l’1% dei siti fu controllato.
Ma è a conoscenza di altri laboratori che hanno registrato errori o anomalie?
Posso parlare solo di quello che ho visto.
Denunce simili da parte di suoi colleghi?
Due ex dipendenti di Ventavia hanno confermato le mie preoccupazioni, e sono stati citati dal Bmj. Non mi risulta però alcun reclamo formale alla Fda.
Come riportato dal British Medical Journal, Pfizer ha mantenuto Ventavia come subappaltatore di ricerca per altri quattro trial sui vaccini, tra cui bambini e giovani adulti, e donne in gravidanza. Le irregolarità da lei denunciate non sono forse così significative…
Questa domanda andrebbe posta alla Fda.
Alcuni dei consulenti della commissione di esperti di cui si avvale la Fda, proprio per la vaccinazione pediatrica a cui è stato dato il via libera negli Usa, hanno espresso di recente diverse perplessità. Tra chi ha votato a favore, c’è chi ha detto di averlo fatto “con un peso sulla coscienza”.
Ho letto l’intervista del dottor Eric Rubin al Time. Ma, onestamente, cosa significa dire “ho votato a favore ma con un peso sulla coscienza”? Per me, pensa di aver fatto qualcosa di sbagliato, o quantomeno ne ha il dubbio. Io pesi sulla coscienza non ne ho, semmai ho il rammarico di non aver denunciato prima.
Crede che organismi regolatori come la Fda o l’Ema agiscano tenendo come unico interesse la salute?
Non ne sono più certa.
Le case farmaceutiche pensa possano influenzare alcune decisioni degli Stati in materia sanitaria?
No comment.
È stata licenziata solo perché ha denunciato?
Io penso sia stata una ritorsione. Non si respira oggi un bel clima per chi muove critiche o esprime perplessità. Da quando sono stata cacciata, sono rimasta in contatto con alcuni miei colleghi, quattro dipendenti. Tutti licenziati, tranne uno.
No vax. A Milano il corteo “sfonda” in Duomo
I manifestanti no vax e no pass sono riusciti in serata a entrare in piazza Duomo a Milano dopo aver aggirato il cordone delle forze dell’ordine utilizzando diverse vie laterali. Confusi con i milanesi impegnati nello shopping del sabato pomeriggio, i manifestanti sono comunque riusciti a entrare nella piazza principale della città che ieri il Comitato di ordine pubblico cittadino aveva deciso di chiudere a qualsiasi evento non autorizzato fino al 9 gennaio. Qualche momento di tensione ha portato le forze dell’ordine anche ad allontanare un paio di persone. Nel frattempo Polizia e Carabinieri hanno cinturato la piazza isolando i manifestanti. Nel pomeriggio circa 4 mila persone avevano assistito all’Arco della Pace al comizio no vax di Robert Kennedy jr, idolo mondiale dei negazionisti.
Tremila persone in piazza anche a Torino e in svariate altre città come Bologna e Napoli. Poca gente, invece, all’appuntamento del Circo Massimo a Roma.
Da palazzo Chigi, intanto, dopo le indiscrezioni di stampa, trapela che non sarebbero ad oggi allo studio del governo nuove misure anti-Covid: si va avanti sulla via tracciata con il Green pass, a fronte di dati dei contagi che restano sotto controllo, e si continua a spingere la campagna di vaccinazione. A dicembre, spiegano all’Ansa fonti di governo, si farà una valutazione alla luce dei dati aggiornati.
In quarantena con 3 casi: il protocollo è impossibile
Le nuove linee guide per la gestione dei positivi al Covid-19 nelle scuole sono entrate in vigore l’8 novembre scorso e prevedono che la quarantena scatti in automatico solo in presenza di un piccolo focolaio con tre casi in classe. Ma il protocollo, messo a punto dall’Istituto superiore di Sanità, ministero della Salute e ministero della Pubblica istruzione e Regioni, per le aziende sanitarie non è applicabile. Soprattutto nelle grandi città, dove le scuole sono centinaia. Perché è troppo difficile gestire in ventiquattro ore l’esecuzione dei tamponi, il processamento e l’invio del certificato con l’esito alla famiglia dell’alunno. “Troppo complicato seguire tante scuole con un provvedimento applicato rigidamente e che comunque ha un ruolo di indirizzo e non è un obbligo”, conferma Roberto Testi, direttore del dipartimento Servizi territoriali dell’Asl 3 di Torino. “Inoltre – prosegue Testi – le linee di indirizzo sono quasi sempre superate dall’evolversi della situazione. Quando sono state emanate l’indice Rt era sotto l’1, adesso lo ha superato. In Piemonte riusciremo a risolvere il problema solo quando avremo a disposizione una applicazione che consenta di gestire tutto rapidamente”.
Per questo in quasi tutta Italia, e non soltanto in Piemonte, le aziende preferiscono far scattare la quarantena anche in presenza di un solo caso positivo. Proprio come avveniva prima. E comunicando il provvedimento a tutta la classe. Compito che resta in capo ai servizi di Igiene e sanità pubblica, che però non riescono a garantire in tempi così rapidi tamponi e certificazioni a tutti i bambini o i ragazzi di una classe.
Le linee di indirizzo erano state preannunciate in ottobre, pensate per favorire, ogni qual volta fosse possibile, le lezioni in presenza. Poi il 6 novembre erano state inviate a tutti i presidi, accolte con favore dallo stesso presidente della loro associazione nazionale, Antonello Giannelli. A patto però, aveva anticipato Giannelli, che funzionasse “molto bene il tracciamento da parte delle aziende sanitarie. Non deve accadere quello che è avvenuto l’anno scorso quando hanno lasciato fare tutto alle scuole. In questo caso si rischiano il caos e le difficoltà”. Ma cosa stabilisce esattamente il nuovo protocollo, inviato alle scuole corredato da tutte le spiegazioni tecniche? Le misure previste sono diverse a seconda della fascia d’età degli alunni e della condizione di ognuno rispetto alla vaccinazione. In presenza di un caso positivo, i compagni di classe devono fare subito il tampone e in caso di risultato negativo potranno tornare a scuola, anche se devono ripetere il test dopo cinque giorni. Nel caso invece di due positivi tutti coloro che sono o vaccinati o negativizzati (sono cioè guariti dalla malattia) devono essere sottoposti a sorveglianza con testing per almeno sei mesi: la quarantena scatta solo per coloro che non sono stati vaccinati o per tutta la classe, come detto, in presenza di almeno tre casi. Regole che cambiano per le scuole dell’infanzia, con un test subito e una quarantena di dieci giorni al termine della quale deve essere effettuato un altro tampone. E per quanto riguarda gli insegnanti l’ultima parola resta in capo alle aziende sanitarie, che devono valutare il tempo di permanenza a contatto diretto con il caso positivo. Resta il fatto che qualora le Asl non riescano a intervenire tempestivamente al preside è sempre data la facoltà di sospendere in “via eccezionale e urgente” le lezioni.
Iss Vaccini, dopo sei mesi protezione cala
Dopo i sei mesi dal completamento del ciclo vaccinale, si osserva una forte diminuzione dell’efficacia vaccinale nel prevenire le diagnosi in corrispondenza di tutte le fasce di età. L’efficacia passa dal 76% nei vaccinati con ciclo completo entro i sei mesi rispetto ai non vaccinati, al 50% nei vaccinati con ciclo completo oltre i sei mesi rispetto ai non vaccinati. È quanto si legge nel report settimanale sull’andamento della pandemia, elaborato dall’Iss. Nel caso di malattia severa, la differenza fra vaccinati con ciclo completo da oltre e da meno di sei mesi risulta minore.