Ecco, arriva precisa come attesa la prima conferma di un esito non proprio vittorioso della Cop26, il summit sul clima delle Nazioni Unite che avrebbe dovuto alzare l’asticella degli obiettivi già previsti nel 2015 con l’accordo di Parigi (contenimento del surriscaldamento globale sotto i 2 gradi entro il 2100 con un azzeramento delle emissioni nel 2050 e un dimezzamento al 2030) e che invece, nel suo ultimo giorno, partorisce promesse vaghe e per lo più sul lungo periodo.
Mentre andiamo in stampa, infatti, i delegati di 197 Paesi del mondo stanno ancora lavorando al documento finale. Si cerca di sciogliere i nodi su cui ci si scontra da giorni mentre l’evento ufficiale chiude invece i battenti. Spesso, come si legge dalle indicazioni e dai protocolli della conferenza, ciò che conta è scegliere una parola piuttosto che un’altra. Accade quindi che ci si domandi e si discuta se “è urgente” abbia maggiore o minore valore di “si raccomanda” o “si richiede” mentre si esprime “profondo rammarico” per non aver raggiunto la quota dei 100 miliardi all’anno destinati ai Paesi in via di sviluppo, obiettivo oltretutto già previsto dall’accordo di Parigi.
“Non credo che possiamo spingere eccessivamente per le difficoltà che ci sono – ha detto in modo precauzionale ieri il presidente della Cop26 Alok Sharma –. Se fosse stato facile lo avremmo risolto negli ultimi sei anni”. E infatti l’ultima bozza dell’accordo che circolava ieri è una rappresentazione plastica di questo concetto: l’unico punto su cui concordano tutti è lo stesso licenziato dal G20 di Roma, ovvero fare tutto il possibile per contenere il surriscaldamento globale a fine secolo a un massimo di 1,5 gradi centigradi e riduree le emissioni del 45 per cento a metà secolo. Per il resto, seppure rimane anche il contestato impegno ad aggiornare nuovamente gli impegni di decarbonizzazione entro la fine del 2022, sparisce invece il termine del 2023 per istituire il fondo di aiuti da 100 miliardi all’anno, viene annacquata l’uscita dal carbone e le fonti fossili con un riferimento solo al carbone non sottoposto a misure di compensazioni e ai sussidi ritenuti “inefficienti” e vengono lasciate vuote per una intera giornata le caselle sul Paris Rulebook e la trasparenza, rispettivamente l’insieme di regole per mettere in pratica l’Accordo di Parigi e reporting format, cioè le norme comuni con le quali gli Stati comunicano i progressi fatti nella decarbonizzazione. Entrambe le norme mirano a quantificare e porre dei vincoli. Infine, resta aperto il dossier dell’articolo 6 dell’Accordo di Parigi, quello che prevede la creazione di un mercato globale del carbonio. Nell’assemblea plenaria del pomeriggio, le differenze fra i Paesi emergono chiare. Il vicepresidente della Commisisone Ue Frans Timmermans e il delegato per il Clima Usa, John Kerry, difendono punto per punto la bozza diffusa in mattinata, e chiedono di chiudere sui tre dossier ancora aperti. Russia e Cina rispondono che sui tre punti, come pure sul taglio delle emissioni, non c’è accordo.
Comunque si guarderà al prodotto finale di questo summit, se come un successo o un fallimento, è certo che ci sarà bisogno di impegni a breve termine. A spiegarlo è Carbon Brief che ha messo a confronto le proiezioni e le conclusioni cui sono arrivati diversi rapporti pubblicati nelle ultime settimane tra cui il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep), il Climate Action Tracker (Cat), l’Agenzia internazionale per l’energia (Iea) e il Climate Resource (Cr), un gruppo di analisi del clima con sede in Australia. Emerge che anche se sono stati compiuti progressi nell’appiattimento della curva delle emissioni, il mondo è comunque ancora lontano dall’essere sulla buona strada per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Tre gli scenari: se nulla cambiasse, rispetto alla situazione odierna, entro il 2100 il riscaldamento potrebbe arrivare anche a 2,7 °C mentre se ci si fermasse a quanto previsto per il 2030, si arriverebbe a 2,4 gradi centigradi. Infine, se i paesi manterranno le loro promesse di zero emissioni nette a lungo termine il riscaldamento globale si ridurrebbe a circa 1,8 °C.
“Oggi – rileva Carbon Brief – pochi di questi impegni sulle emissioni zero sono codificati in legge, sono promesse di azione a lungo termine piuttosto che impegni vincolanti”. Lo rileva anche l’Unep. “Non vi è alcuna garanzia che i paesi rispettino i loro impegni” e sulle emissioni c’è il serio rischio che “i Paesi del G20 non raggiungeranno i loro step intermedi nel 2030”.