Truffa sul Reddito. “Incassati 20mln da 9mila romeni”

La Guardia di Finanza di Novara e Cremona ha arrestato 16 persone (tutte di nazionalità romena, a esclusione di un italiano) “per una truffa di oltre 20 milioni di euro”, fondi utilizzati per il Reddito di cittadinanza e incassati da circa 9mila cittadini romeni. E l’operazione ha permesso di “evitare l’indebita percezione di altri 60 milioni”. Secondo la Procura di Milano la banda, tramite dei complici in Romania, si faceva inviare nominativi e codici fiscali che poi venivano passati ad alcuni Caf compiacenti. Questi, a loro volta, aprivano delle pratiche a nome di persone che in molti casi non erano neanche mai state in Italia, e gli impiegati che si rifiutavano di farlo venivano minacciati. A questo punto altri complici, domiciliati in Italia, andavano alle Poste per ritirare le card su cui erano erogati i fondi del sussidio. In questi frangenti molti impiegati avevano notato che molte delle persone che si presentavano non conoscevano neanche la lingua italiana; altre volte invece non sapevano nemmeno cos’era che stavano richiedendo alle Poste.

“Ci tolsero nostra nipote falsificando un suo disegno”

“Non potrò mai dimenticare il giorno in cui mia nipote è ritornata a casa, dopo un anno e mezzo. Le sue parole: ‘Nonno, non sai quante volte mi hanno detto che eri una persona cattiva. Non sapevo più cosa pensare’. Oggi si deve ricredere chi disse che a Bibbiano non era successo niente, che era solo un raffreddore”. L’uomo che parla è un ex dirigente d’azienda in pensione. È nella sua casa nel Basso modenese, una villetta in campagna piena di giochi per bambini. Mentre parla si avvicina anche la nipotina: “Stiamo parlando della tua storia”, le dice con voce dolce. “Per noi è come una figlia – aggiunge commosso – ricorda tutto, stiamo lavorando per lasciarci alle spalle il trauma”.

Ad affidarla ai nonni – la mamma era minorenne – erano stati gli stessi servizi sociali della Val d’Enza che poi l’hanno strappata alla famiglia, ipotizzando l’abuso da parte del compagno della donna. A motivare il provvedimento una relazione basata su un falso: secondo i pm al disegno originale della bimba, che raffigurava se stessa e un uomo, una mano adulta aggiunse due braccia protese verso le parti intime della piccola. Era l’11 aprile del 2018. “L’hanno prelevata da scuola. Per 70 giorni non abbiamo saputo nemmeno dove fosse. Mia moglie si è sentita male ed è finita in ospedale”. L’avvocato Patrizia Pizzetti, con fatica, riesce a ottenere informazioni, e i primi incontri protetti dopo 90 giorni. Nel marzo del 2019, a inchiesta penale già in corso, una consulente del tribunale smonta la storia degli abusi, la piccola torna a casa a settembre. “A firmare quella relazione è stata un’assistente sociale di 26 anni che non ci aveva mai visto. Era assunta a tempo determinato, che dice di aver firmato su pressione della sua responsabile, oggi tra i principali imputati. Il sistema deve cambiare, o accadrà di nuovo”.

Bibbiano, 4 anni a Claudio Foti. In 17 a giudizio, c’è il sindaco Pd

“Penso di essermi comportato correttamente in scienza e coscienza. Rifarei tutto ciò che ho fatto”. Nessun dubbio per Claudio Foti, anche dopo la pena di 4 anni inflittagli in abbreviato. Lo psicoterapeuta 70enne è stato condannato per abuso d’ufficio e per aver causato lesioni psicologiche ai danni di una minorenne: durante le sedute di psicoterapia, con modalità suggestive, avrebbe ingenerato nella ragazza la convinzione di essere stata abusata sessualmente dal padre. La prima sentenza importante dell’inchiesta “Angeli e Demoni” conferma l’impianto accusatorio della Procura di Reggio Emilia che da anni lavora per fare chiarezza sulla gestione degli affidi nella Val d’Enza.

In particolare nella struttura “La Cura” di Bibbiano, dove per l’accusa i seguaci di Foti “esercitavano sistematicamente, a nessun titolo, il servizio di psicoterapia, a titolo oneroso, con minori asseritamente vittime di abusi sessuali o maltrattamenti”. Relazioni falsificate in cui case pulite e accoglienti si trasformavano in topaie sporche, disegni dei bambini modificati per inserire mani morbose, comportamenti dei minori valutati con criteri quasi sempre deformati da una “lente sessuale”. Tutto era lecito nella lotta contro i pedofili e i negazionisti degli abusi. Era questo il leitmotiv di Federica Anghinolfi (foto a lato), responsabile dei servizi sociali e del suo braccio destro Francesco Monopoli, assistente sociale, seguaci fidati di Foti e del suo centro di studi “Hansel & Gretel”, affidatario di un incarico senza procedura a evidenza pubblica per un valore di 40mila euro, pari a 135 euro l’ora di terapia contro la media di 60/70 euro. Andrea Carletti (a lato), sindaco dem di Bibbiano, dove veniva svolta la terapia, andrà a giudizio per abuso d’ufficio mentre è stato prosciolto dal falso.

Per la Procura Anghinolfi è la figura apicale, rinviata a processo (sarà giudicata con rito ordinario) con 64 capi d’accusa. Era lei che forzava le assistenti sociali a spingere sugli abusi, come hanno raccontato (ignare di essere intercettate) le stesse. Bastava un accesso al pronto soccorso o una chiacchiera, qualsiasi segnalazione presentasse un elemento, anche labile, e si metteva in moto il meccanismo: allontanamento del minore dalla famiglia, relazione falsa che assume per certa la violenza e invio del minore nella struttura di Bibbiano. In questi mesi tutti i bambini del primo filone di inchiesta sono ritornati a casa: ascoltati da altri assistenti sociali hanno smentito ciò che gli veniva attribuito.

Davanti al Tribunale ieri c’erano alcune delle famiglie finite nei filoni di “Angeli e Demoni”. Un papà di tre bambini mostra le foto della villa da 500 metri quadri con piscina in cui abitava con i tre figli e la moglie, prima che quest’ultima lo lasciasse per una donna. Lui, di Fratelli d’Italia, non si capacita: “Hanno scritto che la mia era una casa fatiscente, ma come si fa? Anghinolfi mi ha definito un omofobo, ma io volevo solo essere un padre per i miei bambini”. Il giudice Dario De Luca ha fatto cadere l’accusa di frode processuale per Foti e lo ha condannato al risarcimento danni delle parti civili. Assolta l’assistente sociale Beatrice Benati, l’altra imputata ad aver scelto il rito abbreviato. Oltre che per Anghinolfi, nel giugno 2022 inizierà il processo per altri 15 imputati, tra cui la moglie di Foti, Nadia Bolognini. Il gup ha prosciolto 5 persone. Diverse le reazioni del mondo della politica: “Ci auguriamo giustizia – ha commentato Giorgia Meloni – affinché non si verifichino più queste atrocità su bambini innocenti”.

“La circolare sui cortei è ambigua: non si può vietare il centro storico”

Da quando il Covid-19 è entrato nelle nostre vite, l’esercizio della democrazia – la ricerca di un equilibrio tra i diritti dei singoli e quelli della collettività – è diventato un’acrobazia spesso imprudente. L’ultimo esempio è la direttiva sullo “svolgimento di manifestazioni di protesta contro le misure sanitarie in atto”, inviata dal ministero dell’Interno ai prefetti. Già il titolo solleva dubbi, perché pare che si voglia regolamentare (dunque discriminare) solo quelle contro il green pass. Abbiamo chiesto lumi a Gaetano Azzariti, ordinario di Diritto costituzionale alla Sapienza.

Professore, che pensa della direttiva?

Che ha più di un’ambiguità. In particolare ci sono due passaggi scivolosi, perché cercano di tenere insieme le esigenze della Costituzione e le ragioni della politica. Partiamo dalla Costituzione che all’articolo 17 stabilisce il diritto per i cittadini di riunirsi pacificamente. Le autorità possono vietare le manifestazioni “soltanto” – sottolineo “soltanto” – per “comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica”. In questa situazione di pandemia, però, si deve far riferimento anche all’articolo 32, che pretende la tutela della salute come interesse della collettività. Dunque, oltre ai divieti per garantire l’ordine pubblico è giusto il richiamo di misure adottate per arginare il contagio, come l’imposizione di distanziamento o mascherine.

La direttiva dice che le manifestazioni stanno determinando “criticità”, anche in relazione all’esercizio di altri diritti garantiti, come “le attività lavorative e la mobilità dei cittadini”.

Gli interessi economici dei commercianti sono indubbiamente rilevanti, così come l’esasperazione dei cittadini: questi rappresentano appunto le ragioni della politica di cui sopra, per nulla da sottovalutare, però non possono portare a limitare la libertà di manifestare pacificamente e nel rispetto delle norme in materia di sicurezza sanitaria.

Quali sono i passaggi ambigui?

La limitazione delle aree in cui è consentito manifestare. L’attuale normativa già prevede che possano essere precluse aree ove sono presenti obiettivi sensibili, come Parlamento, organizzazioni sindacali e di categoria, sedi di partiti e sedi istituzionali. E le violenze di queste settimane possono giustificare un’applicazione rigorosa di questi circoscritti limiti a garanzia dell’ordine pubblico. Non certo dell’intero centro storico, ovvero, come recita la direttiva, di tutte quelle aree “di particolare interesse per l’ordinato svolgimento delle vita della comunità”. Perché sarebbe come dire che solo nelle piazze in periferia non si corrono rischi di salute o di ordine pubblico.

Dopo lo stop al ddl Zan si sono riunite diecimila persone all’Arco della Pace a Milano… Lo si fa presente perché la direttiva fa più volte riferimento alla vis polemica dei no-vax, ma le manifestazioni sono sempre in dissenso!

Ovviamente sì. Sebbene la direttiva faccia espresso riferimento alle manifestazioni di protesta contro le misure sanitarie in atto, alla fine il documento precisa che le regole valgono per tutti. D’altronde non potrebbe essere diversamente. Ci mancherebbe altro che adottassimo regole di contenimento solo per alcune forme di protesta e non per altre. Ma ciò vuole anche dire che le limitazioni ora previste hanno una valenza generale.

Qual è la seconda ambiguità?

Quella che riguarda i modi con cui si può manifestare. Per assicurare la più efficace tutela dell’ordine e della sicurezza, si scrive che “potrà essere disposto lo svolgimento in forma statica in luogo di quella dinamica, ovvero prevista la regolamentazione dei percorsi idonei a preservare le aree urbane nevralgiche”. Che vuol dire? Se si vuole impedire che i manifestanti possano raggiungere “obiettivi sensibili”, abbiamo detto, è già possibile ora. Se la direttiva vuole limitarsi a ribadirlo e ricordarlo agli organi competenti va bene. Se invece si vuole dare la possibilità di impedire il corteo e autorizzare solo i sit-in, si andrebbe oltre il lecito.

67 morti e 8.500 contagi. Il Nordest rischia il “giallo”

Nuovo balzo in avanti delle diagnosi di Covid-19. Nelle ultime 24 ore sono stati segnalati 8.569 nuovi casi (+45,1% rispetto a sette giorni fa) su un totale di 595.812 tamponi molecolari e antigenici (tasso di positività 1,4%). E si contano altri 67 morti. Un numero così alto di contagi non si vedeva da metà maggio. E in questi stessi giorni di novembre, nel 2020, si raggiungeva il picco della seconda ondata (33.666 casi l’11 novembre, 35.075 il 17, poi iniziò la discesa) con un tasso di positività (con meno della metà dei tamponi) del 16,27%.

Numeri in crescita nonostante l’alta percentuale di vaccinati (siamo all’83,83% della popolazione over 12, il 76,4 del totale) e non mancano elementi di criticità, soprattutto in alcune zone del Nord-est. L’incremento dei contagi rispetto alla settimana precedente, secondo i dati del report della Fondazione Gimbe, si registra in tutte le regioni, ma con forti differenze: si va dal 12,7% della Toscana al 75,3% della provincia autonoma di Bolzano. In particolare, in 66 province si registra un’incidenza pari o superiore a 50 casi per 100.000 abitanti: in Friuli-Venezia Giulia, Lazio e Veneto tutte le province superano la soglia. In 3 province si contano oltre 150 casi per 100.000 abitanti: Trieste (479), Bolzano (260) e Gorizia (221), zone che pagano il basso tasso di vaccinazione (a Bolzano un cittadino su tre non è immunizzato) l’interscambio con i Paesi dell’est (in Slovenia e Croazia la situazione è ben più grave) e, nel caso di Trieste, probabilmente l’essere stata epicentro delle più grandi manifestazioni no vax e no pass delle scorse settimane: “A Trieste – è il grido d’allarme lanciato da Alberto Peratoner, presidente del sindacato degli anestesisti rianimatori del Friuli-Venezia Giulia – la situazione è drammatica e a questo punto serve la zona gialla”. Il Friuli è la sola regione insieme alle Marche a superare la soglia critica del 10% di occupazione dei reparti di terapia intensiva (entrambe all’11%), ma a livello nazionale il tasso rimane molto basso (6% in area medica, 5 in rianimazione).

E mentre il ministero della Salute pubblica la circolare che autorizza dal 1º dicembre la terza dose per la fascia 40-59 anni, la Fondazione Gimbe certifica l’ormai difficilmente reversibile calo dei nuovi vaccinati: “Dopo aver sfiorato quota 440 mila tra l’11 e il 17 ottobre – si legge nel report – in tre settimane le prime dosi sono crollate del 75,4%. Dal 15 ottobre (entrata in vigore dell’obbligo di pass al lavoro) sono state poco più di 2 milioni e mezzo.

“Ormai Italia Viva è organica alle destre. I dem ci seguano su lobby e fine vita”

La partita del Quirinale di fatto è iniziata, ed è ovvio chiedersi quanto i Cinque Stelle rischino di spaccarsi in un tornante così stretto. Ma Riccardo Ricciardi, uno dei cinque vicepresidenti del M5S, scuote la testa: “Sulle votazioni importanti siamo sempre compatti. L’unica vera frattura c’è stata sul governo Draghi, e qui alla Camera si sono staccati in 25 su 180 eletti. E poi, sul Colle, Conte coinvolgerà i gruppi parlamentari in ogni passaggio, con un tavolo permanente”.

Alla Camera Italia Viva ha votato con le destre sulle intercettazioni, mandando sotto il centrosinistra. Renzi si muove in vista del Colle?

In alcune votazioni, Lega e Forza Italia si sono astenute, mentre Iv ha votato con Fratelli d’Italia, quindi è più a destra di loro. Il partito di Renzi è ormai organico a una coalizione di centrodestra, di cui è l’ala destra.

Però Enrico Letta continua a lasciare uno spiraglio aperto a Renzi e a Calenda nel centrosinistra.

In un perimetro di centrosinistra possono esserci Renzi e Calenda, oppure noi del M5S. Non si possono avere entrambe le cose. Noi facciamo la nostra strada, poi ognuno farà le sue scelte.

Il rapporto col Pd andrebbe costruito sui temi ma sul salario minimo – un vostro pallino – i dem sono molto cauti. Bel nodo, no?

È appena arrivato il primo sì al salario minimo europeo, ed è significativo. Ci sono diversi lavori non regolati da Contratto nazionale collettivo e per questi serve un salario che dia dignità al lavoro. Su questo il Pd dovrebbe seguirci e credo che lo farà. Ma ci sono altri temi per cui chiediamo ai dem un percorso comune. È in corso alla Camera il dibattito sul suicido medicalmente assistito, e noi vogliamo che chi soffre di gravi patologie possa porre fine alla propria vita. E poi c’è la legge sulle lobby, a prima firma di Francesco Silvestri, tornata di attualità a causa del senatore di Rignano.

Ora si legge di ipotetici dossieraggi anti-M5S…

Ciò che emerge da questa corrispondenza è uno specifico progetto di dossieraggio contro il M5S e alcuni giornalisti: metodi che non hanno nulla a che vedere con il confronto democratico. Pretendiamo risposte immediate.

Quanto state stretti nel governo Draghi?

Il M5S porta avanti il suo obiettivo, un governo di responsabilità e legato all’emergenza. Bisogna portare avanti la campagna vaccinale e il Pnrr. E finora per noi il risultato è positivo.

Può definirlo tale anche con le limitazioni al Reddito di cittadinanza e il giro di vite sul superbonus?

Senza di noi, dentro il governo, non so se parleremmo ancora di queste due misure. Grazie al M5S viene ampliata la platea del reddito, mentre il superbonus viene mantenuto, seppure con modifiche.

Sui capigruppo del M5S Conte ha incassato due pesanti sconfitte.

Non esiste alcun problema, ogni anno alla Camera si rinnovano i direttivi. Non capisco perché quest’anno si voglia legare tutto al nuovo corso. Ci sono sempre state competizioni interne.

Conte aveva chiesto al capogruppo alla Camera Crippa di dimettersi, e in Senato voleva confermare Licheri.

Non ha mai mai chiesto a Crippa di dimettersi né ha mai indicato candidati. Sono scelte autonome dei gruppi e alla Camera non ci saranno problemi. Le votazioni servono solo a trovare il capogruppo più adatto. In Senato quest’anno hanno votato tutti gli eletti: è la prova che non c’è disinteresse.

L’ordine di mandare solo voi vice nei tg ha provocato diffuse proteste, anche in assemblea. Brutto, no?

Se su quasi 240 parlamentari sono in due a storcere il naso in assemblea, spero che tutte le decisioni vengano accolte così.

Quirinale, i pizzini di Iv in Aula Mattarella si tira fuori dal “bis”

Mentre in Parlamento centrodestra e renziani fanno le prove generali per il Quirinale facendo asse sulla giustizia, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, allontana la possibilità del bis al Colle. Ricordando i venti anni dalla morte di Giovanni Leone, il capo dello Stato scandisce: “Leone chiese la non rieleggibilità del presidente della Repubblica con la conseguente eliminazione del semestre bianco”. Una frase, identica a quella di inizio anno alla commemorazione di Antonio Segni, che va letta come un’indisponibilità di Mattarella alla sua rielezione. Un’altra conferma arriva dal fatto che il capo dello Stato ha trovato casa a Roma: ieri sera, come ha rivelato l’Espresso, Mattarella, accompagnato dalla figlia Laura, ha firmato il contratto di affitto con l’agente immobiliare per un appartamento tra i quartieri Parioli e Salario Trieste. Qui passerà i prossimi anni da senatore a vita. Il presidente della Repubblica ieri pomeriggio ha ricordato Leone anche difendendolo sul caso Lockheed, che portò alle sue dimissioni: “Era estraneo alla vicenda, quella campagna giornalistica fu scandalistica e invereconda” ha detto facendo riferimento agli articoli di Camilla Cederna.

Nelle stesseore, alla Camera, centrodestra e renziani spaccano la maggioranza sostenendo insieme ben 5 ordini del giorno contro le intercettazioni e per limitare l’uso del trojan. Prove di alleanza per il Colle. A proporre un maggiore “controllo” sul “virus” dei telefoni sono gli ipergarantisti Enrico Costa (Azione) e Catello Vitiello (Italia Viva): l’obiettivo è quello di chiedere che l’autorizzazione non spetti più solo al gip, ma a un collegio di tre giudici. Il sottosegretario alla Giustizia di Forza Italia, Francesco Paolo Sisto, falco ipergarantista, però si deve piegare alla richiesta del ministro Marta Cartabia di non provocare scossoni nella maggioranza e propone la riformulazione dei due odg chiedendo di eliminare il passaggio sull’autorizzazione collegiale del trojan. Mossa che fa andare su tutte le furie Costa e Vitiello, che non accettano la riformulazione. Lega e Forza Italia, però, per non far andare sotto il governo, si astengono. “Lo facciamo solo per rispetto a Cartabia” dice Matilde Siracusano (FI). I due odg alla fine non passano grazie al voto contrario di Pd, M5S e LeU. Si spacca la maggioranza perché Iv e FdI dicono sì contro i giallorosa, ma anche il centrodestra.

I cinque voti tra mercoledì e ieri però fotografano un dato politico: si rafforza l’asse parlamentare tra centrodestra e renziani in vista del Quirinale. Ci pensa il renziano Vitiello a lanciare un avvertimento al governo proprio sul Colle: “Non continuate a stuzzicare Iv sulla presidenza della Repubblica, pensate ai problemi che avete all’interno dei vostri partiti, noi sappiamo quale strada percorrere per arrivare a quel risultato”. Come dire: caro Draghi, sei avvisato.

Solinas imbavaglia dipendenti della Regione. “Vietato parlare di lavoro nelle chat private”

Vietato parlare coi giornalisti. Sia in orario d’ufficio, che fuori. È l’ordine che la giunta di Christian Solinas ha impartito a tutti i dipendenti di Regione Sardegna. E non solo a loro. Bocche cucite con la stampa anche per i lavoratori di enti regionali, agenzie, aziende e istituti del Sistema Regione, delle partecipate, fino ai Forestali. Il divieto è previsto nel nuovo “Codice di comportamento”: 24 articoli validi anche per collaboratori e consulenti, che pongono obblighi e fissano divieti, in ufficio e nella sfera privata. L’art. 18 è dedicato alla “Libertà di opinione e uso della comunicazione”.

Qui la giunta mette il naso anche in chat personali e blog, preoccupata che qualche commento possa metterla in cattiva luce. “Nell’utilizzo per interesse personale dei canali di comunicazione telematica condivisa (quali chat, social media, network, blog o forum)”, si legge, “il personale si astiene dal riportare commenti, informazioni d’ufficio o notizie che rappresentino una violazione del segreto d’ufficio (…) o pubblicare contenuti che possano recare un danno ingiusto all’immagine o al prestigio dell’amministrazione”. E ancora: “Qualora il personale ritenga opportuno rilasciare, spontaneamente o su richiesta, dichiarazioni relative ad attività che attengono al proprio ruolo (…), i contenuti rilasciati dovranno limitarsi all’esposizione dei fatti e non contenere valutazioni personali che possano influenzare la corretta percezione dell’amministrazione”. A controllare sarà ogni dirigente, che, se viene a conoscenza di un illecito “a seguito di segnalazione da parte di dipendenti o mediante qualsiasi altra modalità formale o informale”, deve “intraprendere con tempestività le iniziative necessarie, attivando e concludendo il procedimento disciplinare”. Norme che spingono alla delazione, molto dubbie: se infatti Caio scrive in chat a Tizio “Regione sbaglia”, Tizio potrà denunciarlo al capo.

Il regolamento prevede, poi, norme sul conflitto di interessi e prescrive che a gestire il caso sarà il Responsabile anticorruzione (Rpct). La sua funzione, però, è stata messa alle dipendenze dell’Ufficio di Presidenza (cioè di Solinas). Così, se lo stesso Solinas vende una casa per 500mila euro a un fornitore della Regione (fatto effettivamente avvenuto), quel potenziale conflitto d’interessi dovrebbe essere segnalato all’Rpct. Il quale dovrà riferire e coordinarsi col suo superiore, cioè Solinas.

Regole contro minacce a stampa

Ieri il Parlamento europeo ha approvato un testo contenente una serie di misure per contrastare le cosiddette “querele temerarie” che minacciano giornalisti e Ong. Le querele temerarie, note anche con l’acronimo di Slapp (Strategic Lawsuit Against Public Participation), sono delle azioni legali spesso prive di legittimità, o basate su rivendicazioni esagerate che hanno come scopo quello di intimidire i loro bersagli, per ricattarli o costringerli al silenzio. “Il Parlamento – si legge in una nota – si rammarica che nessun Paese Ue abbia finora approvato una legislazione mirata contro le Slapp e chiede alla Commissione europea di presentare un pacchetto di misure e una legislazione”. Sabrina Pignedoli, europarlamentare del M5S, ha sottolineato come “in troppe parti d’Europa, dalla Polonia a Malta, dall’Olanda all’Italia, si moltiplicano gli attacchi diretti all’esercizio dei diritti e delle libertà fondamentali quali la libertà di espressione e la libertà e l’indipendenza dei media”. In un intervento in plenaria fatto mercoledì, Pignedoli ha evidenziato come occorra “anche la collaborazione degli Stati membri perché sono inaccettabili le storie di giornalisti come quelli di Report, di Lorenzo Tondo o di Alfio Caruso, portati a processo e a volte pure condannati solo per aver detto la verità”.

L’inglese Fox tra Westminster e paradisi fiscali

“Qualcuno lo ha visto?”. Sotto la scritta missing, ricercato, c’è la faccia del deputato conservatore Geoffrey Fox. Il volantino umoristico lo ha affisso qualche elettore scontento di West Devon, contea meridionale britannica che il politico rappresenta alla Camera dei comuni dal 2005, un impiego che frutta al massimo 530 sterline a settimana, ovvero meno di 30mila all’anno, calcola il Guardian. Il deputato Fox, nel mirino di tutti i quotidiani britannici in queste ore, però ne guadagna molti di più: oltre 900mila sterline le ha messe da parte solo nel 2021. Negli ultimi 16 anni invece di milioni ne ha guadagnati più di sei, continuando a fornire le sue consulenze da barrister, avvocato, mentre era parlamentare. Chi vuole sedersi al tavolo con lui, a Londra o Dubai, per usufruire dei suoi consigli, paga mille sterline l’ora. Tra i suoi clienti ci sono finanzieri con patrimoni che si accumulano da un paradiso fiscale all’altro, un giornalista del Sun accusato di aver corrotto impiegati pubblici per ottenere informazioni, ma soprattutto Andrew Fahie, premier delle Isole Vergini, che deve difendersi dalle accuse di malgoverno. È stato il video di un’udienza del processo al primo ministro, svoltosi online, a far finire il deputato nell’occhio del ciclone: Fox si è collegato dal suo ufficio, violando così le regole di condotta di Westminister che permettono ai parlamentari di avere un doppio lavoro, ma non di “usare pubbliche risorse per ottenere benefici finanziari personali”. Per Kathryn Stone, commissaria parlamentare, “è uno schiaffo in faccia e un insulto ai contribuenti britannici”. L’indagine che i laburisti ora vogliono si apra immediatamente a suo carico verterà però sulle Cayman, dove l’ex procuratore generale di sua Maestà ha diversi clienti. Fox, che per svolgere il suo lavoro da avvocato ha saltato 12 votazioni in Parlamento, proprio di quel paradiso offshore parlò, nella primavera del 2018, durante un intervento alla Camera dei Comuni dichiarando che “la richiesta di trasparenza” sui conti bancari delle Isole “costringerà a far andare i soldi in luoghi più oscuri”.

Il caso Fox arriva pochi giorni dopo quello di Owen Paterson, veterano conservatore e lobbista, colto in flagrante ad accogliere, senza nemmeno nascondersi, amministratori di diverse aziende nel suo ufficio. La macchia sull’onore dei conservatori continua ad allargarsi: dicono le prime ricostruzioni dei media di Londra, che almeno 90 dei 360 conservatori che siedono alla Camera dei comuni mantengono incarichi che a molti fruttano più di un milione di sterline l’anno. Un quarto dei Tories svolge un secondo lavoro e stringe accordi per società di giochi d’azzardo e cliniche private. Tra loro c’è anche il segretario dei trasporti, Chris Grayling, che non trova poco etico incassare 100mila sterline l’anno da un’azienda di porti.

Solo due giorni fa, il vicepresidente dei conservatori Andrew Bowie è stato costretto a dimettersi. Sommerso dagli scandali e trafitto dai titoli dei tabloid che schizzano fango e inchiostro sugli esponenti del suo partito che scricchiola, il premier Boris Johnson si è rifiutato di scusarsi e ha commentato solo dicendo che “la Gran Bretagna non è un Paese corrotto”. Il deputato Fox ha invece controbattuto alla pioggia di accuse usando la strategia già usata da un senatore italiano a libro paga del governo saudita: “Ho rispettato le regole, non c’è niente di illegale”.