Mario Draghi l’aveva detto presentando la manovra: “Mi sembrerebbe strano uno sciopero vista la disponibilità del governo a discutere”. Dev’essere sembrato strano anche ai segretari di Cgil, Cisl e Uil – Maurizio Landini, Luigi Sbarra e Pierpaolo Bombardieri – che ieri in un vertice hanno deciso che per ora non si sciopera: parte una “mobilitazione” con assemblee e altri happening in attesa che la legge di Bilancio arrivi in Parlamento. E d’altronde, dall’altro lato del tavolo, forse lo stesso del premier, anche il presidente di Confindustria Carlo Bonomi avrebbe trovato strano un conflitto aperto: “Penso che proclamare uno sciopero in questo momento in Italia è una strada sbagliata. Gli italiani ci chiedono altro, di stare insieme in questo momento difficile per il Paese”. Il risultato – notevole a livello tanto politico che sindacale – è che la Fiom, i metalmeccanici della Cgil, come spesso capita resta sola, avendo già proclamato otto ore di astensione dal lavoro tra le critiche anche delle “alleate” Fim e Uilm.
Ha funzionato, in buona sostanza, la strategia “troncare, sopire” offerta dal Pd a Draghi per evitare una guerra aperta dopo il pessimo incontro tra premier e confederali di inizio settimana, andato a ramengo soprattutto su pensioni e fisco. Non vi piace il ritorno diretto alla Fornero? Per quest’anno vi beccate Quota 102 (si può lasciare con 64 anni di età e 38 di contributi), ma intanto apriamo un bel tavolo di confronto su una riforma complessiva della previdenza in vista del 2023. Ovviamente nessuno si aspetta che il presidente del Consiglio del “graduale ritorno alla normalità” sulle pensioni, ammesso che sia ancora a Palazzo Chigi l’anno prossimo, lavorerà davvero per una riforma che abbassi l’età di pensionamento, ma per il momento bisognava evitare il conflitto esplicito: il governo sta più tranquillo, il Pd può rivendicare il risultato col suo elettorato, i sindacati fingersi uniti (Cisl e Uil erano contrarie allo sciopero) e non impegnarsi in uno scontro che non possono comunque vincere e su cui non sono sicuri che iscritti e lavoratori li seguirebbero in massa.
E così si è arrivati alla nota di ieri successiva al vertice tra Cgil, Cisl e Uil: “Per sostenere le proposte e le piattaforme presentate al Governo in questi mesi e nell’incontro del 26 ottobre alla Presidenza del Consiglio (investimenti, lavoro pubblico e privato, creazione di nuova occupazione, protezioni sociali, fisco, pensioni, etc), e modificare il tal senso la misure previste in legge di Bilancio, Cgil, Cisl e Uil avviano un percorso di mobilitazione con assemblee sui posti di lavoro, iniziative e manifestazioni regionali, con tutte le modalità e gli strumenti per garantire la più ampia partecipazione”. In sostanza, i confederali proveranno a fare un po’ di lobbying in Parlamento e vedranno cosa riescono a portare a casa: “Le iniziative avranno momenti di verifica entro il mese di novembre per rafforzare e ricalibrare se necessario le iniziative di mobilitazione, non escludendo iniziative nazionali”. Tradotto: la mobilitazione parte morbida, morbidissima, ma lo sciopero generale formalmente resta ancora un’opzione praticabile più in là.
Cosa possono realisticamente ottenere? Stabilito che sulle pensioni si resta più o meno così, l’altra grande partita sono gli 8 miliardi destinati al taglio delle tasse: a stare alle posizioni espresse dai partiti in Parlamento – a cui è stata devoluta la scelta – a oggi potrebbero finire in tasca ai redditi medio-alti e alle imprese. Questo ovviamente non piace ai sindacati. Hanno un mese di tempo per strappare qualcosa per le fasce di reddito più basse: non è detto che ci riescano.