Churchill, il ritorno dell’ultimo leone

Settanta anni fa, gli inglesi richiamarono in servizio Winston Churchill, sconfitto alle elezioni del 1945 dopo aver salvato l’Inghilterra, mantenuta l’alleanza con Stati Uniti e Unione Sovietica e vinto la guerra. Torna a Downing Street il 26 ottobre 1951 mentre a Londra c’è ancora il razionamento e il suo Paese esce dal club delle superpotenze, la prima traumatica Brexit.

La storia gli ha dato ragione quando aveva torto (era terrorizzato dal possibile fallimento dello sbarco in Normandia) e torto quando aveva ragione (il disastro dei Dardanelli nel 1915 non fu soltanto colpa sua). Piccola summa del mondo di Churchill che a distanza di decenni fa ancora discutere, tra revisioni storiche e statue imbrattate

L’EDUCAZIONE A 18 anni fa un bilancio dei suoi studi mentre si prepara per la terza volta a entrare nell’esercito: “Una fatica senza risultati, un periodo di disagi, restrizioni e monotonia senza uno scopo”. Quando supera finalmente l’esame all’accademia di Sandhurst il punteggio non gli basta ad entrare in fanteria e il padre – Lord Randolph – gli scrive: “Con tutti i vantaggi che hai avuto, con tutte le capacità che ritieni scioccamente di avere, il grande risultato è che guadagni un brevetto in cavalleria. Hai uno stile di lavoro sciatto e irresponsabile”.

EVASO Fugge da un campo in Sud Africa dove era tenuto prigioniero dai Boeri. Il suo biografo Martin Gilbert racconta che la foto di Churchill fu trasmessa in tutto il Transvaal accompagnata da questa nota: “Inglese, 25 anni, cammina curvo, ha una voce nasale e non pronuncia la lettera s”.

IN PARLAMENTO A 26 ANNI Poche settimane dopo essere stato eletto per la prima volta a Westminster nel 1900 parte per un ciclo di conferenze in America, dove Mark Twain lo presenta così: “Il signor Churchill è inglese da parte di padre e americano da parte di madre, sicuramente la miscela che fa l’uomo perfetto”.

GIOCATORE D’AZZARDO Gli piace giocare al Casinò. In vacanza a Deauville in Francia vince l’equivalente di 15.000 sterline di oggi e scrive al fratello: “Le ho spese in gran parte per libri”.

SEGRETARIO PER LE COLONIE – 1 Su una proposta di rappresaglia contro i ribelli nigeriani: “Se mantenere l’ordine dipende da un’offensiva, dobbiamo appoggiarla, ma il cronico spargimento di sangue che macchia le stagioni dell’Africa occidentale è odioso e inquietante”. Quando nel Natal una rivolta è repressa nel sangue protesta per “il disgustoso massacro dei nativi”.

SEGRETARIO PER LE COLONIE – 2 Sull’ingiustificato licenziamento di un ferroviere di Ceylon: “Ribaltare la sentenza di assoluzione è una stupida scorrettezza. L’amministrazione della giustizia è la più profonda vergogna del governo delle colonie”.

GANDHI Ostinatamente contrario e qualsiasi forma di autogoverno dell’India. “È allarmante e anche vergognoso vedere il signor Gandhi salire mezzo nudo i gradini del palazzo del Viceré per conferire da pari a pari con il rappresentante del Re Imperatore, mentre sta ancora organizzando una campagna di disobbedienza civile”.

IL PERICOLO HITLER Dopo gli accordi di Monaco del 1938 che concedono tutto alla Germania e spianano la strada alla guerra: “Questo è solo il primo assaggio, il primo sorso di un amaro calice che ci sarà offerto anno dopo anno a meno che non ritorniamo a difendere la libertà come ai vecchi tempi”.

PRIMO MINISTRO Dopo l’incarico ricevuto da Re Giorgio VI il 10 maggio 1940 : “Mi sentivo come stessi seguendo il mio destino e come se tutta la mia vita passata fosse stata una preparazione per questo momento e per questa prova”.

LA GUERRA Le sue frasi più celebri, dai discorsi di maggio e giugno: “Non ho altro da offrirvi che sangue, fatica, lacrime e sudore”; “Combatteremo sulle spiagge, sulle piste di atterraggio, nei campi e nelle strade, combatteremo sulle colline. Non ci arrenderemo mai”. Secondo i sondaggi, in quell’estate il suo indice di fiducia è all’88%.

LA FUTURA REGINA Durante l’evacuazione della Grecia gli scrive Elisabetta (allora quindicenne e che lo avrebbe considerato un amico): “Temo che abbiate passato momenti molto difficili, ma sono certa che presto le cose cominceranno a migliorare”.

LA SCELTA DEGLI UOMINI Sa che la guerra deve vincerla in aria oltre che sul mare. Chiama il suo amico Lord Beaverbrook a guidare l’industria aeronautica, un magnate della stampa che non sa niente di fabbriche e aerei, ma che è il tipo di uomo che affida un incarico a un collaboratore alle 2 di notte e lo chiama alle 8 del mattino seguente per sapere se ha finito. Scelta azzeccata. Beaverbrook comincia a sfornare caccia e bombardieri a una velocità che – come scrive Erik Larson – l’intelligence nazista non capisce.

LA GIORNATA TIPO Comincia a leggere i documenti di guerra appena sveglio, riceve gli ospiti anche in camera da letto vestito generalmente con una vestaglia dorata. Non rinuncia mai alla siesta pomeridiana seguita da riunioni fino a notte inoltrata.

L’ALCOOL Alla conferenza di Casablanca un consigliere di Roosevelt lo trova a letto che accompagna la prima colazione con una bottiglia di vino. Churchill gli dice che il latte scremato che gli hanno offerto lo disgusta mentre non ha pregiudizi sul vino, e che quindi ha risolto il conflitto a favore del secondo. Beve ogni giorno champagne, brandy e whisky, ma mai nessuno lo sorprende ubriaco o incapace di articolare un discorso.

DICEVANO DI LUI Lloyd George: “Farebbe un tamburo con la pelle di sua madre per far risuonare le proprie lodi”; Roy Jenkins: “…con la sua capacità di essere al di sopra della norma, nella ragione o nel torto, nel successo o nell’insuccesso Churchill è il più grande personaggio ad aver mai occupato il n. 10 di Downing Street”.

DICEVA DI Sé “La storia sarà gentile con me perché ho intenzione di scriverla”.

Ucciso un altro reporter: finora nove le vittime nel 2021

Un solo colpo e dritto alla testa. Raggiunto da un sicario mentre rientrava in casa, è morto due notti fa, a una manciata di passi dalla sua abitazione, il giornalista Fredy Lopez Arevalo, a San Cristobal de Las Casas, nello Stato meridionale di Chiapas. L’assassino, che ha sorpreso il giornalista mentre svuotava il bagagliaio, ha lasciato subito la scena del crimine sfrecciando via sulla sua moto. Sulla rivista online Jovel di cui era anche direttore, Arevalo recentemente aveva denunciato nei suoi ultimi articoli 200 licenziamenti dell’amministrazione comunale di San Cristobal: una perdita che “ha scatenato un’ondata di cause di lavoro che alla fine qualcuno dovrà pagare”. Della morte del giornalista, che era anche il fondatore dell’agenzia Maya press, ha riferito per primo il quotidiano El Heraldo de Chiapas.

Su Twitter il governatore del Chiapas, Rutilio Escandon, ha scritto che “il crimine non resterà impunito, le indagini sono in corso. La mia solidarietà va alla sua famiglia e ai suoi amici”.

In Messico, dall’inizio dell’anno, sono nove i giornalisti che hanno perso la vita per le loro attività di indagine e denuncia. A maggio è stato rapito e assassinato Benjamin Morales Hernandez. A giugno sono stati uccisi Gustavo Sanchez ed Enrique Garcia. Nello stesso mese è stato ritrovato il corpo di Saul Tijerina. Il giornalista radiofonico Abraham Mendoza è stato assassinato il 19 luglio. Nella stessa settimana è morto Ricardo Lopez, direttore del portale InfoGuaymas. Jacinto Romero è stato ucciso il 19 agosto a Veracruz mentre guidava la sua auto. A fine settembre si è aggiunto a questa lista nera Manuel Gonzalez.

Dopo Somalia, Siria, Iraq, Sudan e Afghanistan, il Messico svetta al sesto posto tra i Paesi peggiori per i reporter, secondo le liste stilate dal Cpj, Comitato protezione giornalisti. Nell’83% dei casi, riferisce il report pubblicato due giorni fa, i colpevoli degli omicidi dei giornalisti rimangono impuniti.

Inizia la guerra nelle urne. Tutti gli uomini di Tripoli

Anche se la maggioranza degli osservatori e delle fonti interne non crede che le elezioni presidenziali libiche si terranno davvero il 24 dicembre (la data ufficiosa stabilita l’estate scorsa dall’Onu assieme ai rappresentanti delle varie fazioni locali), perché manca ancora l’approvazione da parte del Parlamento delle nuova controversa legge elettorale, cinque personalità note a vario titolo in tutta la Libia hanno avanzato la propria candidatura in modo formale. Le consultazioni legislative invece sono state posticipate a data da destinarsi, tra la contrarietà di molti libici che ritengono la decisione un escamotage per creare un nuovo rais. E, a proposito di dittatori, non è ancora esclusa la candidatura di Saif al Islam, il figlio del deposto e ucciso Muhammar Gheddafi , che lo aveva scelto come delfino. Ma più passa il tempo, più si allontana questa ipotesi che potrebbe innescare nuovamente la risposta violenta delle milizie di Misurata, città nemica di Gheddafi.

Proprio a Misurata è nato l’aspirante presidente più potente ma, per questo, anche più divisivo: Fathi Bashagha, parlamentare ed ex ministro degli Interni fino allo scorso febbraio, quando ha subito anche un tentato omicidio. Dopo la rivoluzione del 2011 è stato uno dei membri del Consiglio militare di Misurata, dove ha riorganizzato le milizie della regione, che sono state e continuano a essere importanti per la tenuta dell’attuale governo di unità nazionale. Con l’ingresso della Turchia nel campo libico, il destino di Bashaga è cambiato. Pur essendo un esponente del braccio locale della Fratellanza Musulmana, di cui il presidente turco Tayyip Erdogan è il leader mondiale, Bashaga deve sottoporsi al giudizio del “sultano”. Bashaga è entrato nella Camera dei Rappresentanti di Tripoli nel 2014. Nell’ottobre 2018 è stato nominato ministro degli Interni. Nove mesi fa è stato battuto di poco per la carica di primo ministro ad interim. Non è solo il peso massimo della politica libica, ma è anche paladino degli sforzi per integrare nell’esercito le numerose milizie del Paese nordafricano. Essendo un ricco businessman, ritiene che “la sicurezza va di pari passo con le riforme economiche”.

Un altro candidato importante è l’ex ambasciatore alle Nazioni Unite, Ibrahim Dabbashi, che ha dichiarato sulla sua pagina Facebook che la sua campagna è all’insegna dello slogan “Ricostruiamo con scienza e determinazione” per recuperare la sovranità dello Stato . L’ex diplomatico ripudiò Gheddafi quando nel 2011 era ancora all’Onu, accusandolo di crimini di guerra.

C’è un altro ex diplomatico tra i cinque. Si tratta dell’ex ambasciatore libico negli Emirati Arabi Uniti, Aref Al-Nayed. È l’unico dei cinque vicino al maresciallo Khalifa Haftar e aspira a diventare il capo di stato libico da diversi anni. Il presidente del movimento Ihya Libya (“Risollevare la Libia”) si candidò per la prima volta nel 2017. Mentre il Paese lotta per la riunificazione, Ihya Libya sta conducendo una campagna caratterizzata dalla propria opposizione ai Fratelli musulmani. È ancora legato fortemente agli Emirati Arabi Uniti, dove è stato ambasciatore dal 2011 al 2016. A livello locale può contare sulla sua base in Cirenaica nell’est – dove è nato – e su due importanti tribù a cui appartiene: Warfalla (da parte di suo padre) e Tarhuna (da parte di sua madre).

Il quarto candidato è il capo del comitato direttivo del partito “Progetto nazionale” ed ex ministro dell’Industria, Fathi bin Shatwan. Ha annunciato di voler attuare un progetto di civiltà e sviluppo per il Paese. In un post su Facebook ha spiegato che la sua candidatura rientra nell’iniziativa “Progetto di civiltà rinascimentale libica”, lanciata con un gruppo di personalità nazionali provenienti da tutte le regioni della Libia. Ben Shatwan, già ministro dell’Energia e dell’Industria durante l’era Gheddafi fino al 2006, ha annunciato una serie di programmi di sviluppo per affrontare i problemi e le sfide della Libia in vari campi.

L’ultimo candidato invece non ha mai avuto a che fare con la politica. Si tratta di un famoso comico, Hatem Al-Kour. In un video ha spiegato che nonostante le difficoltà e la sorpresa di molti libici per la sua candidatura in quanto attore e non politico, ha sentito per tutta la propria carriera un forte legame con tutto il popolo. Una dichiarazione che farebbe ridere per la pochezza, se non fosse per le pessime condizioni in cui vivono ancora oggi i cittadini.

La Germania è in piena ondata: il 35 per cento non è vaccinato

Gli epidemiologi dell’istituto Robert Koch ripetono da settimane la stessa frase: “Dobbiamo aspettarci un crescita dei contagi in autunno e inverno”. Ma i numeri iniziano a far paura. Ieri i nuovi positivi sono stati 25mila, con un aumento di oltre il 45% rispetto alla settimana scorsa. I dati sono simili a quelli dello scorso Natale, il picco della seconda ondata, quando si registravano 28mila contagi giornalieri. La campagna vaccinale era all’inizio e vigeva un severo confinamento.

Secondo gli esperti si arriverà entro due settimane a 3mila persone in terapia intensiva. Giovedì erano 1.800. I ricoveri di questi giorni sono oltre il 90% di persone non vaccinate. Una parte significativa sono pazienti che hanno ricevuto la prima dose, ma si sono rifiutati di fare la seconda. Le vaccinazioni in Germania hanno subito una forte battuta di arresto con l’arrivo dell’estate. A fine luglio il 60% della popolazione era immunizzata. Tre mesi dopo questa percentuale è aumentata solo al 66.6%. La quarta ondata è iniziata ad agosto, ma le misure anti-contagio hanno contenuto il numero di infezioni. Dall’11 ottobre sono entrate in vigore nuove regole: ristoranti, bar, cinema non permettono l’accesso con il test, fino a quel momento gratuito per tutti. Adesso per vedere un film, sedersi al tavolo di un ristorante e andare a un concerto bisogna essere vaccinati o guariti. Per i luoghi di lavoro, invece, sono le aziende a scegliere che tipo di controllo effettuare. Lo stato di emergenza, che termina il 25 novembre, non verrà esteso. “Non ci saranno più chiusure delle scuole, lockdown o coprifuoco – ha detto Wiese Dick vicecapo del gruppo parlamentare dei socialdemocratici – la pandemia deve ancora essere gestita in modo responsabile, ma le restrizioni ai diritti devono essere nuovamente allentate”.

Anche il numero di morti sta crescendo, ieri sono stati 121. La media della settimana scorsa era di 88. Ci si aspetta nei prossimi sette giorni oltre 150 decessi quotidiani. L’aumento della mortalità è legato alla variante Delta, che causa quasi la totalità dei contagi. Entro Natale la Germania conterà 100mila vittime.

L’ospedale da campo arriva un anno dopo l’emergenza

Non ci saranno né fanfare né pennacchi ma, al più, un imbarazzato silenzio. Sì, perché nessuno vuol parlarne e si capisce: ora che il peggio sembra passato e da un pezzo, è pronto l’ospedale da campo per i malati Covid di Avezzano e non è uno scherzo. La struttura chiesta inutilmente dai cittadini della Marsica durante la seconda ondata di pandemia che si è abbattuta come un ciclone su questo angolo di Abruzzo, attende solo di essere inaugurata anche se nessuno intende metterci la faccia: né il presidente della Regione, Marco Marsilio, che quando il morbo mieteva vittime a tutto spiano aveva detto che l’ospedale non serviva e chi lo chiedeva complottava per metterlo in difficoltà. Né è possibile chiederne conto al Commissario per l’emergenza, il generale Figliuolo, che a ridosso dell’estate, nonostante i dati fossero nel frattempo diventati rassicuranti, aveva deciso comunque di avviare una gara per realizzare la struttura per la non modica cifra di 1,3 milioni di euro. Il Comune di Avezzano, per bocca dell’assessore alla salute, Maria Teresa Colizza, pare spiazzata: “Non ne abbiamo saputo niente per mesi. Poi a fine settembre Figliuolo ha comunicato l’avvio dei lavori, ma per saperne di più bisogna chiedere al direttore generale della Asl che ha tenuto i contatti con Roma”. Il dg della Asl, Ferdinando Romano, invece si nega proprio al telefono e con lui pure il suo ufficio stampa, per tacere dell’assessore regionale alla sanità Nicoletta Verì, braccio destro e sinistro del presidente Marsilio.

Chi parla invece sono gli operatori del polo ospedaliero SS Filippo e Nicola che non hanno dubbi. “Dovrebbero vergognarsi tutti per come è stata gestita l’emergenza nella Marsica. L’ospedale da campo? Sono soldi buttati dalla finestra: quei 7 posti di rianimazione non verranno mai attivati” dicono in coro con la garanzia dell’anonimato, mentre ricordano le vittime del Covid: chi è morto in auto o in ambulanza aspettando di essere accolto nell’ospedale di Avezzano quando ormai era già in tilt o chi è stato ingoiato per sempre nei reparti che il virus aveva trasformato in un lazzaretto.

Una tragedia che aveva indotto i comuni della Marsica a invocare aiuto all’inizio della seconda ondata. Ma per Marsilio l’emergenza non c’era, tanto da fregarsene del bando fatto dall’allora commissario Domenico Arcuri per realizzare ospedali da campo nelle regioni che ne avessero fatto richiesta. “Qualche sindaco utilizza questa tragedia per preparare la campagna elettorale: ad Avezzano qualcuno reclamava l’ospedale da campo: noi stiamo per aprire una tensostruttura che è molto meglio” aveva detto il 19 novembre assicurando, tramite l’allora dg della Asl 1 Roberto Testa, che il suo tendone avrebbe assicurato “massimi livelli di comfort”. E che importa se a pochi giorni dall’inaugurazione già ci pioveva dentro… E la tragedia si doveva ancora trasformare in farsa, ché il dg Testa aveva infine vergato (il 23 febbraio scorso) una richiesta formale per l’attivazione del famoso ospedale di “rinforzo”, quello che era stato ritenuto inutile durante il picco della crisi. E trasmessa dal dipartimento salute (che risponde all’assessore Verì) al generale Figliuolo. “Che l’ha accolta sebbene la realizzazione di ospedali da campo era ormai terminata nelle altre regioni. Dalla struttura commissariale ci hanno detto che erano avanzati dei fondi e quindi era stato dato l’ok comunque” racconta un alto dirigente della sanità abruzzese. Che non sa spiegare cosa sia successo poi: il bando, a dispetto delle procedure accelerate, è stato aggiudicato a metà luglio e la comunicazione dell’avvio dei lavori addirittura a fine settembre, almeno sentire il comune di Avezzano. Risultato? “Non sarà operativo prima di novembre 2021, quando già da mesi il picco emergenziale era passato” dice Giorgio Fedele, consigliere regionale M5S, che non si capacita: “Avevo chiesto al tempo un intervento straordinario in Marsica, ma Asl e Regione hanno tirato dritto temendo di sentirsi commissariati o di dover confessare più semplicemente la loro inadeguatezza. Sta di fatto che tra scuse e rimpalli di responsabilità, abbiamo dovuto assistere a uno squalificante teatrino politico che ha umiliato la Marsica con soluzioni grottesche, come quella della tensostruttura. Ora spero che questo ospedale possa diventare comunque una risorsa e cioè che Asl e Regione almeno lo dotino di un numero adeguato di personale specializzato perché sia in qualche modo fruibile”. Altrimenti ci troveremmo di fronte all’ennesima cattedrale nel deserto, con uno spreco in termini di denaro pubblici e offerta sanitaria”.

Virus, l’Rt torna sopra 1 I ricoveri non calano più

I contagi sono in “rapido e generalizzato aumento”, scrive la cabina di regia del ministero della Salute e dell’Istituto superiore di Sanità. Nelle ultime tre settimane l’incidenza ogni centomila abitanti in 7 giorni è salita da 34 a 46 casi al 28 ottobre, con punte massime di 101 a Bolzano e 96 in Friuli-Venezia Giulia, ma questo può dipendere dall’aumento dei tamponi per i green pass dei non vaccinati. Aumenta per la terza settimana Rt, il tasso di riproduzione del virus, passato da 0,86 a 0,96 e quindi ai limiti della soglia epidemica che sarà superata a breve ed è già superata nel valore maggiore (range 0,83-1,16), come a luglio e ad agosto quando però faceva più caldo; più alto ancora l’Rt ospedaliero che si attesta a 1,13 (1,07-1,19). Qui i tamponi non c’entrano perché contano solo sintomatici e ricoverati. “Questo andamento va monitorato con estrema attenzione e, se confermato, potrebbe preludere a una recrudescenza epidemica”, osserva la cabina di regia.

Il professor Silvio Brusaferro dell’Iss ha posto l’attenzione sull’aumento delle infezioni in età pediatrica, in particolare 6-11 anni, la cui vaccinazione è molto discussa dopo il primo via libera dell’agenzia statunitense Fda. Il professor Gianni Rezza, capo della Prevenzione al ministero, ha ricordato l’obiettivo del 90% di vaccinati, raggiungibile solo con l’estensione della campagna sotto i 12 anni.

Gli ospedali restano sotto controllo e si deve, è sempre bene ripeterlo, all’alta percentuale di vaccinati. Ma “i tassi di occupazione dei posti letto non sono più in diminuzione”, si legge ancora nel report di ieri. Nelle rianimazioni sono scesi da 355 a 341, nei reparti ordinari sono aumentati del 7,5% (da 2.423 a 2.604). Per dare un riferimento, nei momenti peggiori di aprile e novembre 2020 eravamo a circa 4.000 e oltre 30 mila. Oggi invece siamo lontani dalle soglie che portano in zona gialla: 10% per le terapie intensive e 15% per l’area medica. A livello nazionale siamo al 4,5 e al 3,7%. Guardando però alle Regioni Calabria (9,4%), Bolzano (8,6) e Sicilia (7,7) cominciano ad avvicinarsi al limite per le terapie intensive; Marche (8,1 per cento) e ancora Bolzano (7,5) hanno i valori più alti per le aree mediche. L’aumento dei casi comunque ha già messo in difficoltà il tracciamento, al quale si deve l’individuazione del 33% delle infezioni.

“In forte aumento” sono i casi non riconducibili a catene di trasmissione: più 31,6% in sette giorni, da 4.759 a 6.264. Dietro l’aumento dei contagi c’è anche la perdita di efficacia delle vaccinazioni per il tempo trascorso dalle somministrazioni, di qui l’enfasi degli esperti sulla terza dose, al momento prevista per ultrafragili, sanitari e over 60.

Madeddu, l’assassino confessa “Aveva storia con mia moglie”

L’omicidiodi Alessio Madeddu, chef 52enne di Teulada (Cagliari), è dovuto a un delitto d’impeto. Angelo Brancasi, 43 anni, panettiere, ha accoltellato ripetutamente Alessio Madeddu, perché lo chef pescatore diventato famoso per aver partecipato alla trasmissione tv dello chef Alessandro Borghese, “4 Ristoranti” e trovato morto giovedì mattina davanti al suo ristorante Sabor’e Mari, in località Porto Budello a Teulada, aveva avuto una storia con sua moglie. È stato lo stesso panettiere a confessare ed è stato arrestato per omicidio volontario.

Caccia vicini al Cermis. “Erano belgi, non Usa”

Gli aereiche il 28 ottobre hanno sorvolato a bassa quota i cieli della Val di Fiemme, in Trentino, sarebbero della Belgian Air Force e non statunitensi, come si era inizialmente pensato. L’ha reso noto l’Aeronautica, spiegando che nessun velivolo militare italiano “era in volo in tali zone nel giorno e negli orari indicati”. La notizia aveva creato molte polemiche fra la popolazione locale, che ha ancora vivo il ricordo del 1998, quando uno dei caccia bombardieri americani che sorvolavano il cielo tagliò il cavo della funivia del Cermis, provocando 20 morti. “Una vicenda estremamente grave”, l’ha definita la senatrice Elena Testor della Lega, firmataria di un’interrogazione indirizzata al ministro della Difesa, Lorenzo Guerini.

Uccise e bruciò l’amica. Assolto per l’omicidio

Assoltoper averla uccisa, ma condannato per averne distrutto il cadavere. È questa la sentenza dei giudici della Corte d’Assise di Cremona per Alessandro Pasini, assolto dall’accusa di omicidio di Sabrina Beccalli “perché il fatto non sussiste”. La tesi del pm Lisa Saccaro era che Pasini, amico di vecchia data di Beccalli, avrebbe ucciso quest’ultima dopo essersi visto rifiutato durante la notte di Ferragosto del 2020. Il corpo della donna sarebbe stato poi messo nella Fiat Panda di Pasini, che ha dato fuoco all’automobile distruggendo il corpo della donna e non lasciando alcuna traccia; l’uomo è stato quindi condannato a sei anni per distruzione di cadavere, ma non per l’omicidio della donna.

Colpito da ramo, muore nella Reggia di Caserta

Stava potandouno degli alberi che compongono il patrimonio naturalistico della Reggia di Caserta quando è stato colpito da un ramo. È morto così Mohamed Hasdi, 49 anni, marocchino, dipendente di una ditta incaricata della manutenzione del Parco Reale. L’uomo, regolarmente assunto, era ritenuto un lavoratore esperto. La tragedia è avvenuta poco dopo le 15, quando un boato e poi delle urla hanno squarciato il silenzio del Parco della Reggia: il ramo si era staccato da un albero sottoposto a potatura e per l’operaio non c’è stato nulla da fare. L’ultima morte sul lavoro, però, potrebbe anche essere uno sfortunato incidente, visti i problemi segnalati nei giorni scorsi, quando un forte vento ha sferzato la città.