Nucleare, Teheran annuncia ripresa negoziati: l’Ue resta cauta

Il viceministro degli Esteri e capo negoziatore di Teheran, Ali Bagheri, ha annunciato via Twitter, dopo un incontro a Bruxelles con i mediatori della Ue, la ripresa dei negoziati. L’Iran ha accettato di tornare al tavolo delle trattative sul nucleare a Vienna entro novembre. I colloqui erano sospesi dal giugno scorso, dopo l’elezione a presidente in Iran dell’ultraconservatore Ebrahim Raisi. Più cauta l’Unione: “Come sempre annunciamo ogni imminente riunione a Vienna quando è appropriato farlo. Non c’è nulla da annunciare per ora” ha detto all’agenzia Ansa un portavoce della commissione. Altre fonti Fonti europee hanno confermato che questi meeting d’alto livello possono essere annunciati solo se tutti i partecipanti sono informati e hanno concordato una data. Ed è proprio questo che non sarebbe stato ancora stabilito tra le parti.

Nuovo governo, la coalizione. Semaforo vicina all’accordo

La nuova Dieta federale tedesca si è riunita per la prima volta e la coalizione Semaforo è quasi pronta. I primi segni di cambiamento già si vedono. La socialdemocratica Bärbel Bas, 53 anni, è stata eletta presidente del Parlamento, seconda carica dello Stato. Prende il posto del veterano conservatore Wolfgang Schäuble, 79 anni, eletto per la prima volta nel 1972, ex delfino di Helmut Kohl e per decenni il falco più falco della Cdu. Bas, donna di partito ed esperta parlamentare, è stata scelta per dare un’immagine nuova al Parlamento. Eletta a Duisburg, è la terza donna a ricoprire l’incarico. Dall’ultima, Rita Süssmuth, è passato quasi un quarto di secolo. Quello in carica è il Bundestag più grande di sempre, 736 eletti, 27 in più rispetto alla scorsa legislatura. Ma solo il 35% sono donne e appena l’11% degli eletti proviene dalla parte orientale del paese. Ci saranno due parlamentari trans, entrambe nelle file dei Verdi, e 19 eletti sono di origine turca, ben un terzo in più rispetto a quattro anni fa. 18 di questi 19 deputati rappresentano i partiti che stanno creando la nuova coalizione di governo. Spd, Verdi e Fdp negoziano in modo formale da oltre dieci giorni. 300 delegati, suddivisi in 22 commissioni, stanno scrivendo il programma più ambizioso dalla riunificazione. La transizione ecologica è il punto cardine, attorno alla quale Olaf Scholz sta costruendo le riforme sociali promesse in campagna elettorale. Questo fine settimana accompagnerà al G20 di Roma la cancelliera uscente Angela Merkel. Secondo i media tedeschi il passaggio di consegne dovrebbe formalizzarsi entro il 6 dicembre. Se Merkel restasse in carica oltre quella data diverrebbe il capo di Stato più longevo della storia della Germania. Alla prima seduta del Bundestag ha assistito anche lei, ma da una tribuna. Dopo oltre 30 anni non si è ricandidata. In tribuna c’erano 23 eletti di Afd, il partito dell’ultradestra. Non hanno voluto dichiarare se avevano fatto il vaccino per il Covid.

Povero 007, i suoi segreti sono affidati ad Amazon

Nei suoi film, a James Bond capita spesso di avere a che fare con agenti della Cia: quasi sempre alleati; talora, rivali. In Quantum of Solace, film del 2008, con Daniel Craig, ne ha contemporaneamente uno pro e uno contro. Ma mai e poi mai M, la sua boss, ‘gran capa’ degli 007 di Sua Maestà, avrebbe messo i segreti del MI5 – e pure del MI6 – nelle mani della Cia perché li custodisse: avrebbe avuto remore di tutela della sovranità britannica, oltre che della sicurezza nazionale. Priti Patel, la ministra dell’Interno del governo Johnson, è invece più disinvolta ed è sotto attacco perché ha deciso di mettere i dati dell’intelligence non nei server della Cia, ma nel cloud dell’Amazon Web Services (Aws), un’azienda privata.

L’opposizione laburista le chiede garanzie che i più delicati segreti della sicurezza nazionale non siano a rischio di inopportune condivisioni. Il contratto con l’Aws riguarda anche i Gchq, Government Communications Headquarters, l’agenzia di Stato che si occupa della sicurezza, nonché dello spionaggio e controspionaggio, nell’ambito delle comunicazioni. Dell’esistenza del contratto con l’Aws, firmato quest’anno e di un valore oscillante tra i 500 milioni e il miliardo di sterline – è una stima di esperti –, ha dato notizia per primo il Financial Times. Ma la polemica che ne è nata è cavalcata da molti media britannici, fra cui The Guardian. Nelle intenzioni del governo Johnson, anche altri dicasteri ‘sensibili’, dal punto di vista della sicurezza, come quello della Difesa, utilizzeranno la stessa ‘cassaforte’ per i loro dati. Conor McGinn, ministro della Sicurezza ombra laburista, ha chiesto al suo alter ego Damian Hinds che la Patel spieghi ai Comuni le implicazioni di sicurezza del contratto e i piani d’emergenza previsti nel caso di panne o crollo del sistema Amazon o di intrusioni in esso. La ministra dell’Interno, di origini indiane, è avvezza alle polemiche – ne suscita spesso, con le sue sortite – ed è impegnata, in questi giorni, a garantire maggiore sicurezza ai deputati britannici, dopo l’assassinio del conservatore David Amess durante un incontro con i suoi elettori: la Patel ha disposto che, d’ora in poi, i deputati siano scortati quando hanno meeting nella loro circoscrizione.

La lettera di McGinn, che The Guardian ha letto, pone la questione di fondo dei rischi potenziali connessi di affidare all’esterno “elementi critici dell’infrastruttura di sicurezza nazionale ad aziende non basate nel Regno Unito”. Queste sono alcune delle domande cui la Patel è invitata a rispondere: perché il contratto è andato ad Amazon? Con chi è stata discussa l’ipotesi? Quali valutazioni sono state fatte dal punto di vista della sicurezza e della cyber-tenuta di fronte a eventuali attacchi? Quali piani d’emergenza sono stati allestiti? Downing Street non conferma l’esistenza dell’accordo, ma fonti governative avallano la possibilità di ricorrere a tecnologie private da parte dei servizi di sicurezza nazionali e ne rilevano i vantaggi: grazie all’Aws, gli 007 di Sua Maestà potranno scambiarsi dati più facilmente e più rapidamente e potranno giovarsi di servizi di riconoscimento vocale per individuare una voce e tradurne le parole in ore e ore di comunicazioni intercettate. I servizi segreti britannici, come quelli statunitensi – e non solo – fanno sempre più spesso ricorso all’intelligenza artificiale per contrastare reti terroristiche o per intercettare le fonti di diffusione di false informazioni o per individuare e smantellare reti pedofile.

Talib in guerra contro le fake news

Mentre i talebani prendevano il controllo dell’Afghanistan, le notizie via Internet su ciò che stava accadendo sul campo sono andate aumentando esponenzialmente. Con la crescita del volume di notizie sono, di conseguenza, comparse le fake news, le notizie false. Si tratta, finora, di poche informazioni falsificate rispetto alle centinaia risultate vere, resta il fatto che la manipolazione dei fatti attraverso i social è un problema che oggi il regime talebano ritiene cruciale, essendo impegnato a mostrarsi diverso dal precedente (alla guida del Paese quando ancora non esistevano i social) e accreditarsi come moderato per ottenere il riconoscimento internazionale.
Un altro motivo per cui gli “studenti del Corano” ritengono la questione fake news dirimente è che loro stessi utilizzano i social per comunicare la propria agenda politica e pertanto devono avere un team di persone che facciano continuamente verifiche affinché i loro profili non vengano contraffatti e i contenuti alterati. Che i talebani dell’Emirato Islamico di Afghanistan governino sulla base dell’interpretazione più oscurantista della sharia, la legge coranica, non significa che le notizie, fotografie e video circolati sul misogino e criminale trattamento riservato al genere femminile siano tutte vere. Sono tre le informazioni in merito risultate false. La più eclatante riguarda la giovane pallavolista che i social avevano affermato essere stata decapitata dai talebani perché aveva giocato senza indossare il velo. Secondo altre informazioni apparse in Rete la ragazza invece sarebbe morta in una data e in circostanze diverse, seppure non chiarite. Un’altra news smentita riguarda una fotografia in cui si vede un gruppo di donne camminare in fila indiana con le catene ai piedi e trainate da un uomo. Il fact checking ha mostrato che la foto è stata ritoccata: le catene sono il frutto di un intervento esterno da parte di qualcuno che le ha disegnate con photoshop. La terza riguarda la foto di una donna siriana linciata ma spacciata per afghana.
La prima fake news sul regime ha come soggetto il leader dei talebani, il mullah Baradar, dato per ucciso in uno scontro tra il suo gruppo e la rete Haqqani, la più islamista degli “studenti”. Se lo scontro tra le fazioni è accaduto, l’omicidio del mullah invece no, infatti è vivo e vegeto. Le fake news, per ora si contano sulla punta delle dita ma è molto probabile che in questi mesi aumenteranno, soprattutto quelle provenienti da account indiani. L’India, almeno apparentemente, è ancora nemica giurata dei talebani e il fatto che le notizie false citate siano state generate lì dimostra che oggi la guerra via informazione sia tanto facile da alimentare quanto difficile da vincere.
Per facilitare la distinzione tra notizie vere e false, è nato un sito afghano. Si chiama The Afghan Eye ed è stato fondato, a leggere la presentazione, da un trentenne afghano laureatosi a Londra, Ahmed-Waleed Kakar. Circa la veridicità della autoproclamata indipendenza del sito non c’è, ovviamente, da metterci la mano sul fuoco, anzi. The Afghan Eye riporta nella pagina d’apertura una lunga dichiarazione del rappresentante dei talebani a Doha, mostrando così di aderire alla narrazione messa a punto dal governo talebano. Ma le indicazioni contenute nella finestra dedicata alle fake news sono quelle che dovrebbero guidare tutti, anche se è complesso, in particolare coloro che hanno poca familiarità con i social, e in Afghanistan sono ancora in molti. Peccato che il sito sia in inglese, lingua che solo una piccola percentuale degli afghani conosce. Si deduce che il sito sia rivolto agli stranieri per mettere loro la classica pulce nell’orecchio, come desiderano i talebani. Il sito elenca, con esempi inclusi, le 5 mosse da fare per scoprire una notizia falsa: chiedersi quale sia la fonte o a chi appartiene il sito, o l’indirizzo web da cui è stata inviata la notizia; analizzare l’informazione, per esempio se quando è stata inviata la zona geografica di cui si parla era sotto copertura internet; se si riceve un’immagine chiedere il file originale e verificare i metadati; avere cultura e conoscenze storiche.
L’ultima di fatto è rivolta ai giornalisti: provare a incrociare i dati e chiedere più informazioni sui testimoni anonimi citati, facendosi dire almeno la provincia dove vivono e dove sono avvenuti i fatti. I talebani, così come tutti gli altri regimi odierni, temono le forzature che spesso servono ad attirare l’attenzione dei più distratti. Sul versante del confronto internazionale, ieri la Cina – in questo momento molto vicina al governo dei mullah – durante una riunione dei Paesi confinanti con l’Emirato, si è offerta di organizzare una terza conferenza per trattare i vari aspetti della crisi. Il ministro degli Esteri Wang Yi e l’omologo iraniano Hossein Amirabdollahian hanno anche invitato gli Stati Uniti a revocare le sanzioni unilaterali che colpiscono l’Afghanistan.

Perché Janssen non dura “2 mesi”

La comunicazione, fiore all’occhiello della pandemia, ha fatto fare bingo ai No-Vax! Ciò è gravissimo, in un momento estremamente delicato nel quale abbiamo necessità di mantenere l’immunità verso il virus e, dall’altra, di tranquillizzare la popolazione che continua a ricevere messaggi imprecisi e spesso fuorvianti. Questa volta gli autori sono il prof. Walter Ricciardi, consulente del ministro della Salute, e il prof. Franco Locatelli, presidente del Cts. Il primo, in un’intervista rilasciata a Repubblica, riferendosi al vaccino Janssen (Johnson & Johnson) ha dichiarato: “L’Fda ha appena approvato la dose booster sia per chi è stato vaccinato con Moderna sia per chi ha avuto Johnson & Johnson, ma mentre per gli immunizzati Moderna il richiamo (come per Pfizer) è previsto dopo almeno sei mesi dalla seconda somministrazione, per Johnson recenti studi hanno rilevato che, essendo un monodose, già dopo due mesi l’efficacia scema”. Il concetto è stato ripreso e confermato dal prof. Franco Locatelli, in occasione della trasmissione L’aria che tira di domenica 24 ottobre. Ne è scaturita una reazione a valanga. Prime fra tutte le dichiarazioni dei No-Vax che hanno trovato in queste parole un supporto alle loro posizioni sull’effimera efficacia dei vaccini. L’agitazione è stata anche di molti che avevano assunto il vaccino Janssen che, oltre ad apprendere di aver fatto una vaccinazione di bassa qualità, hanno constatato di essere scoperti, almeno da agosto, visto che da giugno questo vaccino da noi non è più somministrato. È cosi? L’errore nasce da un’errata traduzione del testo pubblicato da Fda il 20 ottobre scorso che ha autorizzato una singola dose di richiamo del vaccino Janssen somministrata “almeno” 2 mesi dopo il completamento del regime primario a dose singola a soggetti di età pari o superiore a 18 anni. Gli stimati esperti avrebbero dovuto leggere e avere la pazienza di attendere, anche perché l’Ema non si è ancora pronunciata.

Franco 1 e Franco 2: la commedia Mps

E così la trattativaStato-Unicredit sul Montepaschi è saltata. Deo gratias, un altro successo dei tecnici del Tesoro in materia bancaria, a partire dal dg Alessandro Rivera, già capo della Direzione sistema bancario negli anni del bail-in e dei risparmiatori azzerati. Ci ha assicurato Il Sole martedì che il dissidio era una cosetta da niente: “A far naufragare le trattative sarebbe stata la divergenza di valutazione degli asset senesi: 1,3 miliardi era il fair value indicato da UniCredit, 3,6-4,8 miliardi la forchetta proposta dal Tesoro e dai suoi advisor”. Una differenza di tre-quattro volte, capita, specie quando ti presenti a un tavolo di trattativa urlando, mani e piedi legati, “se lei non compra siamo rovinati”. Non pare che il risultato di quest’abile strategia sia stato sufficientemente sottolineato dai commentatori. Forse è il caso di ricordare che il ministro Daniele Franco – in questo caso Franco 1 – si presentò in Parlamento ad agosto per dire che Mps era messo peggio di quanto sostenesse il management della banca, che l’interlocutore unico era UniCredit e che “non ci sono le condizioni per mettere in discussione la cessione della banca”. Tradotto: si vende entro l’anno come imposto dall’Ue, l’opzione stand alone (Mps avanti da sola) è una sorta di attentato alla nazione. Senza scomodare la teoria dei giochi, non proprio un venditore di quelli bravi… Ora, però, quello che era vero in Parlamento tre mesi fa non è più vero: si chiede una proroga di 18-24 mesi a Bruxelles e si lavora per far andare Mps da sola, che peraltro ha conti in miglioramento, con la speranza di cederla meglio più in là. Questo è MF di ieri: “Probabilmente l’iniezione di mezzi freschi che serve a Mps sarà tra i 3 e i 4 miliardi” (UniCredit ne chiedeva 6, ndr) e con meno esuberi dei 7.000 chiesti dai milanesi. E le sofferenze? Toccano comunque alla (pubblica) Amco. Un nuova strategia portata avanti dal ministro Franco, che chiameremo Franco 2. Un osservatore disattento penserà che ci sia una certa contraddizione tra il Franco 1 e il Franco 2, ma non è così: a leggere i giornali sono entrambi raffinati strateghi, competentissimi come i loro collaboratori. Come già notò Oscar Wilde, mai sottovalutare l’essenziale importanza di essere Franco.

Mail box

 

 

In politica e nei media il dissenso non è tollerato

Se non ci fosse Il Fatto, sarebbe il silenzio (assordante) dei deficienti (pecoroni). Il dissenso è criminalizzato, l’opposizione non esiste, e La Stampa… cos’è? La sinistra dov’è? E i 5Stelle? Sono nato nel 1956, ho visto periodi bui, belli e di piombo, ma così squallidi mai fino a oggi. Sua maestà Bce domina. Grazie, che almeno voi reagite.

Davide Morchio

 

Dedichiamo una strada ai martiri del giornalismo

Mi chiamo Edoardo de Caro, ho vent’anni, studio Ingegneria civile all’Università di Roma Tre e vorrei proporre a Roma Capitale, e per estensione al nuovo sindaco Roberto Gualtieri, di intitolare una via, una piazza, un giardino o un parco della città ai martiri del giornalismo, in memoria di tutti coloro che hanno dato la propria vita per l’informazione, o che purtroppo ancora oggi rischiano la vita a cauas di regimi oppressivi e organizzazioni militari. Quanto alla scelta della via, ad esempio, si potrebbe pensare anche di rinominare la stessa presso la quale oggi ha sede il consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti (l’attuale via Sommacampagna).

Edoardo De Caro

 

Il premio Tenco postumo vada a Lucio Battisti

Mogol ha ricevuto il premio Tenco all’Ariston di Sanremo, per l’attività svolta in coppia con Lucio Battisti. È anche un meritato riconoscimento postumo per il cantautore di Poggio Bustone, che ci ha lasciato prematuramente nel settembre 1998. Quando Lucio era in vita, qualcuno con malcelato snobismo ha manifestato ostracismo nei confronti delle sue canzoni sentimentali e d’amore. Seppur in evidente ritardo, benvenuto sia il premio Tenco a Mogol, che ha avuto il privilegio di collaborare per tanti anni con Battisti, il più grande e rivoluzionario musicista e sperimentatore del cantar leggero italiano.

Marcello Buttazzo

 

Zingaretti dà dell’egoista a chi rifiuta prima dose

lo sono vaccinato e consiglio sempre a tutti di vaccinarsi contro il Covid. Ciò premesso, non riesco a capire come Zingaretti, intervistato da Lucia Annunziata, abbia potuto dare degli “egoisti” alle persone che non sono o non vogliono vaccinarsi. Per Zingaretti queste persone sono “egoiste” perché andrebbero a rimorchio, passivamente, di coloro che si sono vaccinati. 1) Perché Zingaretti oscura il fatto che in Italia esiste il diritto a non vaccinarsi? Queste persone si comportano nel diritto della legge, e per Zingaretti sono “egoiste”? 2) Insieme a Calenda e a molti altri, cerca di sovraordinare una legge che non c’è! Tu, cittadino italiano, non hai il diritto a non vaccinarti perché la maggioranza si è vaccinata, e se in Italia c’è una legge che comunque dà questo diritto, tale legge deve essere affossata, sommersa, nascosta dai talk show e da quasi tutti i giornali. 3) Zingaretti, Calenda e tanti altri, hanno il desiderio di confondere il problema della salute e dell’importanza dei vaccini, con il problema del Green pass. Chi è contro il Green pass lo fa pensando ai diritti violati e dunque le due istanze sono alquanto diverse. 4) Perché, per concludere, non si vogliono rendere conto che a oggi è chiaro che l’immunità di gregge non potrà in alcun modo essere raggiunta e, dunque, che il “paracadute” globale, anche per i non vaccinati, non ci sarà mai? Senza l’immunità di gregge quelli più a rischio rimangono i non vaccinati e non i vaccinati. Ma che classe di politici abbiamo? Per citare Riccardo Pazzaglia a Quelli della Notte: “livello basso, basso, troppo basso”.

Eugenio Girelli Bruni

 

Il più giovane negli uffici pubblici ha 57 anni

Alcuni giorni fa sono andato in un ufficio pubblico, e il funzionario, mio caro amico, con una immotivata tristezza mi ha spiegato che l’età media dei dipendenti nella palazzina, composta da 40 dipendenti statali, era di sessant’anni. Nella sua stanza il più giovane ha 57 anni, mentre il più anziano 65. Dove vogliamo andare? La professoressa Elsa Fornero, il presidente Mario Draghi, l’onorevole Renato Brunetta non hanno presente delle limitazioni dovute all’invecchiamento stesso, che agiscono sulle capacità individuali. Non solo, la loro esperienza non riesce più a compensare le limitazioni connesse con l’avanzamento dell’età. Ora, posso capire che comandino i conti pubblici, ma è una guerra persa, logora di trincea, si sta mettendo una pezza a un cencio. Quando questi signori fanno questi proclami a chi si rivolgono? Alla popolazione più vecchia d’Europa, e questi sono dati inconfutabili, tra qualche anno a causa dell’invecchiamento e di un mancato prepensionamento dei sessantacinquenni nei posti di lavoro, in particolare al Sud, il Belpaese dal punto di vista del lavoro sarà un catorcio, fermo all’età della pietra, con leggi pensionistiche antiquate con metodologie obsolete. Il futuro dei giovani è fortemente compromesso. Servono soluzioni che vadano al di là dei conti pubblici. Diversamente, queste condizioni porteranno il Paese a un lento declino economico.

Salvatore Mura

Post-Covid. Sono ancora troppe le incertezze sui vaccini ai guariti

 

 

Gentile “Fatto Quotidiano”, sono un vostro affezionato lettore guarito da Covid, vaccinato e in possesso del Green pass. Sono, tuttavia, molto amareggiato perché anche voi omettete il numero dei guariti con molti anticorpi ai quali non viene dato il Green pass. È possibile adoperarsi con così tanta tenacia nell’occultamento di una categoria, costituita dai guariti con gli anticorpi, che è molto ampia eppure sfugge al dibattito politico-mediatico? Senza considerare che queste persone sono tra le più protette, sia in relazione ai decessi e alle ospedalizzazioni sia per la scarsa possibilità di reinfezione.

Pietro Lonetto

 

Gentile Pietro, il “Fatto” non si presta ad alcun giochino. Probabilmente le è sfuggito, ma ci siamo già occupati della questione dei guariti dal Covid-19 e del dibattito che li riguarda in relazione al rilascio del Green pass. Lo abbiamo fatto il 5 agosto scorso dedicando un articolo agli ex malati che chiedono l’estensione della validità del certificato verde a 12 mesi: oggi infatti si limita a sei mesi. In quell’occasione abbiamo dato voce al comitato nazionale guidato da Mattia Baglieri. Il tema riguarda circa 4,5 milioni di italiani. E di questi si stima che siano almeno due milioni coloro che hanno una occupazione. Una categoria di persone per le quali la validità del certificato è retrodatata, scatta infatti dal giorno in cui è stato effettuato il primo tampone molecolare positivo. Limite che oggettivamente la penalizza. Il 21 luglio scorso, come lei saprà, il ministero della Salute ha stabilito che per queste persone la vaccinazione con una unica dose deve essere fatto entro dodici mesi dalla guarigione. Trascorso oltre un anno scatta il ciclo vaccinale completo. Sappiamo che tutto ruota intorno ai livelli anticorpali sviluppati con la malattia, condizione che per molti infettivologi renderebbe non necessaria la somministrazione del vaccino. Per ora però il problema non è ancora stato risolto. Per il ministero è impossibile fare una distinzione tra chi ha una risposta anticorpale alta e chi ce l’ha bassa, le norme non vengono fatte sui singoli casi. Mi creda, il “Fatto” non si è mai adoperato per “occultare” questa questione.

Natascia Ronchetti

Le lacrime ignorate della viceministra (e dei lavoratori)

Lo sappiamo, anche i ministri piangono. I lettori ricorderanno certo le lacrime di Elsa Fornero – era il novembre del 2011 – mentre durante la presentazione del decreto Salva Italia annunciava i sacrifici e il taglio delle pensioni (ancora non si era capito che c’era quel problemuccio degli esodati, né lo si capì – giorni dopo – quando Cesare Damiano lo segnalò in Commissione Lavoro). Quelle lacrime hanno fatto il giro del mondo, un esercito di commentatori si è commosso al cospetto del volto umano dei tecnici. Anche allora sui giornali si sprecavano lodi per i loden e altre sobrie qualità del neonato governo dei professori (certo nulla in confronto ai migliori di oggi, ma insomma l’aria era quella). Poi ci sono state le altrettanto celebri e celebrate lacrime di Teresa Bellanova (era il maggio 2020), che annunciava, da ministra dell’Agricoltura, la sua legge-sanatoria per far emergere lo sfruttamento e combattere il caporalato nei campi. “Da oggi gli invisibili saranno meno invisibili”, aveva detto in conferenza stampa (per la cronaca: non è andata proprio così dato che in un anno, a maggio 2021, era stato esaminato il 12 per cento delle peraltro poche domande). Giornali e tv si erano lasciati andare a lunghe riflessioni sulle ragioni profonde di quelle emozioni impossibili da trattenere, anche perché il duo Salvini-Meloni s’era subito indignato (ma come? Prima il pianto italico!). Teresa Bellanova, oggi viceministra alle Infrastrutture, in quella sanatoria ci credeva così tanto che aveva perfino messo sul tavolo le dimissioni (poi fu “ritirata” in gennaio da Renzi). Come non ricordare il suo passato da giovane bracciante agricola? Anche gli ex sindacalisti hanno un cuore e soffrono (forse non molto per i lavoratori licenziati grazie al Jobs act di cui Bellanova si occupò da sottosegretario al Lavoro: “Si tolgono alibi a chi si è mascherato dietro l’articolo 18 per non assumere”).

Questo ci fa venire in mente che l’altro giorno un’altra esponente del governo, la viceministra Alessandra Todde, si è commossa (molto compostamente) alla fine di un confronto con gli operai dello stabilimento Whirlpool di Napoli, chiuso quasi un anno fa. Se non avete visto il video è perché almeno finora non se l’è filata quasi nessuno, a parte i quotidiani locali: Alessandra Todde, viceministra del Mise, è dei 5Stelle e sorge il dubbio che siano lacrime meno degne di nota. Ma vi immaginate se a essere immortalata con gli occhi velati e con in braccio la figlia di un disoccupato fosse stata una Maria Elena Boschi? O una Marta Cartabia? Per non dire dell’esplosione che avrebbe prodotto un Draghi o anche solo un Cingolani con ciglio umido e bimbo al collo. Per dire: quando nel 2017, alla presentazione torinese di un film sugli esodati (L’esodo di Ciro Formisano), l’ormai ex ministra Fornero si mise di nuovo a piangere si parlò più delle sue lacrime che delle storie dei protagonisti, rimasti senza lavoro e senza pensione. Questo non lo diciamo per mettere in dubbio i sentimenti di Elsa Fornero, ma per sottolineare le bizzarre sensibilità del nostro sistema dell’informazione.

Ieri il giudice del Lavoro si è riservato di decidere sul ricorso presentato dai 320 lavoratori napoletani contro i licenziamenti. In attesa di sapere di come finirà, per commuoversi davvero si può vedere (sul sito del Mattino) il video dell’assemblea che i dipendenti Whirlpool hanno fatto con la viceministra Todde. Le lacrime degli operai che raccontano le paure, le notti insonni, le preoccupazioni per i figli, la rabbia per essere stati dimenticati stringono il cuore. E dovrebbero avere dignità di stampa, in un Paese dove il lavoro è diventato un lusso per pochi.

 

Catania affoga, ma i migliori pensano alle Grandi opere

L’inferno di acqua e di fango che si è abbattuto su Catania è l’altra faccia di questo autunno caldo e siccitoso. E la reazione a questo complessivo disastro ambientale è una versione particolarmente indisponente del blabla dei potenti del pianeta instancabilmente denunciato da Greta. I grandi giornali italiani hanno sostanzialmente detto che Catania si salva a Glasgow, nella Cop 26 di novembre: cioè nella conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Il che naturalmente è verissimo: perché solo con una globale inversione di rotta si risolve il problema più globale (e fatale) che riguardi oggi l’umanità. Ma se questa solenne invocazione delle sedi internazionali è invece l’ennesima via di fuga per non inchiodare i governi nazionali alle loro responsabilità allora è solo una truffa: un tirare la palla in tribuna per assolvere una squadra di incompetenti, o peggio.

E uno si chiede: ma Catania è ancora una città di quella Sicilia per cui questo governo ha resuscitato il Ponte sullo Stretto come via taumaturgica a una crescita che travolge impunemente ambiente, sostenibilità, interesse pubblico in nome di quell’ideologia delle Grandi Opere che significa opere utili solo per chi le fa? Come è possibile che il pianto sull’alluvione di Catania sia un discorso del tutto separato da quello del Ponte? Dice il Vangelo: “Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pane, gli darà una pietra? O se gli chiede un pesce, gli darà una serpe?”. Ecco, chi: i nostri governi, incluso questo dei Migliori. Perché a una terra che avrebbe bisogno di risanamento idrogeologico del territorio, difesa del suolo, prevenzione antisismica, si danno solo Grandi Opere cementizie e criminogene. Una serpe al posto del pesce, appunto.

E la conferma più clamorosa viene dal cosiddetto fiore all’occhiello del governo Draghi, la sua stessa ragione di esistere: il Pnrr. Se il Piano parla della questione chiave – il “consumo di suolo” – lo fa solo per regredire dal consumo zero (che l’Unione europea impone di raggiungere nel 2050) all’invito, paternalistico a “limitarlo”: il che significa dire “state buoni se potete” a un branco di assatanati capitalisti del cemento. Eppure l’Ispra, che è un’agenzia scientifica del governo e non una cellula comunista, scrive nel suo rapporto 2021: “Il consumo di suolo, il degrado del territorio e la perdita delle funzioni dei nostri ecosistemi continuano a un ritmo non sostenibile e, nell’ultimo anno, quasi due metri quadrati ogni secondo di aree agricole e naturali sono state sostituite da nuovi cantieri, edifici, infrastrutture o altre coperture artificiali. Il fenomeno, quindi, non rallenta neanche nel 2020, nonostante i mesi di blocco di gran parte delle attività durante il lockdown, con più di 50 chilometri quadrati persi, anche a causa dell’assenza di interventi normativi efficaci in buona parte del Paese o dell’attesa della loro attuazione e della definizione di un quadro di indirizzo omogeneo a livello nazionale. Le conseguenze sono anche economiche, e i ‘costi nascosti’, dovuti alla crescente impermeabilizzazione e artificializzazione del suolo degli ultimi 8 anni, sono stimati in oltre 3 miliardi di euro l’anno che potrebbero erodere in maniera significativa, ad esempio, le risorse disponibili grazie al programma Next Generation Eu”.

Ma l’hanno letto questo rapporto, al governo? Tra le Grandi Opere non c’è traccia dell’unica utile: la messa in sicurezza del territorio. Il Piano destina alle “Misure per la gestione del rischio di alluvione e per la riduzione del rischio idrogeologico” 2,49 miliardi: meno di un decimo di quanto regalato al cemento delle nuove infrastrutture. Quale idea di Paese, quale conoscenza della sua morfologia, quale amore per il nostro futuro presiede a un simile suicidio collettivo travestito da modernizzazione?