Il ddl Zan muore in Senato, tra gli applausi delle destre e i ghigni di certi dem e certi renziani. Nel voto segreto, con 154 voti sì a fronte di 131 contrari (2 astenuti) passa la tagliola voluta da Lega e FdI. I franchi tiratori fanno la differenza. E sono prove generali per il Colle, ma anche un avviso ai naviganti. Anche a Mario Draghi, che sembra già non poterne più dei partiti, e che visto lo stato della maggioranza potrebbe avere sempre più voglia di salire al Quirinale. Ma il segnale è innanzitutto per i giallorosa sconfitti, cioè a Enrico Letta e a Giuseppe Conte, che già pensano seriamente di accettare Draghi al Colle, a patto che la legislatura arrivi al 2023. A oggi non hanno i numeri e la compattezza per un piano B rispetto al premier, su cui alla fine potrebbe convergere il centrodestra e anche quello che giura di non sapere nulla dell’imboscata di ieri, il Matteo Renzi che ai giallorosa ha ricordato che per il Quirinale devono passare anche da lui. “Senza i 100 grandi elettori centristi non vanno da nessuna parte” dice un senatore renziano. In questo clima, i 5Stelle accusano il Pd. “Abbiamo lasciato che le cose venissero condotte da chi aveva più esperienza di noi nel mondo Lgbt, come i dem, e questo è l’esito” morde Alessandra Maiorino. Mentre per Francesco Silvestri “qualcuno ha lanciato messaggi in vista del voto per il Colle”. Le scorie sono già evidenti per i giallorosa, che ora devono evitare il tracollo nella partita del Colle. Per questo Letta e Conte lunedì hanno pranzato assieme a Roma. Entrambi sanno che nelle condizioni attuali di non poter lanciare un nome di sintesi dei giallorosa, “un progressista”. Così la via più semplice potrebbe essere deglutire Draghi.
Ipotesi a cui Conte ha sempre fatto resistenza. Ma che ora comincia ad accettare. Tanto da far trapelare fastidio per chi racconta di rapporti gelidi tra lui e il premier. “Finora non sono tornato a Palazzo Chigi perché non faccio passerelle come Matteo Salvini” ha detto ai suoi. Ma all’inizio della prossima settimana, Conte e Draghi potrebbero incontrarsi. Con Letta l’avvocato ha ragionato anche di questo. E assieme hanno convenuto che la legislatura deve arrivare al 2023: per non far esplodere i propri gruppi parlamentari, e non solo. “Conte – spiegano dal M5S – ha bisogno di tempo per diventare e mostrarsi davvero capo del Movimento”. Ma come si può tenere in vita una maggioranza che sta già esplodendo, al punto che ieri il governo ha dovuto blindare con la fiducia il decreto Infrastrutture, oggi alla Camera? Secondo i 5S, con un accordo che tenga assieme Draghi al Quirinale con un nuovo premier, un traghettatore. E il primo nome è quello del ministro dell’Economia, Daniele Franco. Martedì Conte lo ha chiamato, per discutere con lui della manovra. “E nelle riunioni interne i nostri ne parlano bene” rimarcano i grillini. Ma la tela è complicata. “È evidente che sul Quirinale bisognerà parlare con tutti, anche con Berlusconi” riconoscono i 5S. Quel Berlusconi che ieri sullo Zan si è piegato a Lega e FdI nonostante metà del gruppo di FI fosse favorevole alla norma. Da qui a gennaio gli azzurri si schiacceranno sulle posizioni degli alleati perché il capo ha bisogno dei loro voti per il Colle. Il centrodestra così esulta. Tanto che Ignazio La Russa (FdI) parla di “nuova maggioranza” di centrodestra. E un ruolo l’ha avuto anche la presidente del Senato Casellati, che ha ammesso il voto segreto e invertito la discussione tra Zan e il decreto Incendi tra la mattina e il pomeriggio di ieri dando la precedenza al primo.
Un aiuto alla Lega, che ieri pomeriggio avrebbe avuto problemi di numeri in aula. Anche lei sogna il Quirinale. Nel frattempo la destra di governo cercherà di ricompattarsi nel vertice di oggi a pranzo a Villa Grande a cui parteciperanno Salvini, Berlusconi, i sei ministri e i capigruppo di Lega e FI. Con i ministri di B. che non vogliono piegarsi alla Lega, “perché noi siamo fedeli a Draghi”.