Sul blog interno di Banca d’Italia si era lamentato di pressioni e minacce ricevute “dall’alto” per la sua attività di ispettore. Prima hanno cercato di farlo dichiarare pazzo e quindi inabile al servizio. Quando i medici ne hanno stabilito la salute mentale, lo hanno demansionato. Infine, siccome il whistleblower s’è lamentato pubblicamente del trattamento subìto, venerdì scorso, 22 ottobre, hanno aperto un provvedimento disciplinare sospendendolo da lavoro e stipendio. Questo è il modo con il quale i “piani alti” della Banca d’Italia hanno provato a zittire un funzionario “molto apprezzato” della Vigilanza. La sua “colpa”, spiega una nota del sindacato Falbi, sarebbe stata di essere andato troppo a fondo sulle irregolarità di Mps nelle vendite di diamanti alla clientela.
Il sindacato scrive che questa “serie di azioni intimidatorie e persecutorie” è “una brutta pagina” per via Nazionale, “un pessimo monito per tutti coloro che lavorano nell’interesse dell’istituto ma non mostrano ‘sufficiente acquiescenza’ a indicazioni informali che arrivano dall’alto”. Su questa storiaccia il 18 ottobre il segretario della Falbi, Luigi Leone, aveva scritto al Governatore Ignazio Visco chiedendo che, nell’interesse di Banca d’Italia, si facesse “chiarezza sull’intera vicenda”. Secondo Leone, viste le inchieste dei media sul ruolo di Banca d’Italia e Consob nella vendita dei diamanti in banca, “il rischio reputazionale” per l’istituto di via Nazionale “è evidente e la questione rischia di lasciare una macchia sull’onorabilità, la correttezza e le competenze” di Palazzo Koch. Leone chiede “una revisione interna” per “individuare eventuali responsabilità” e “riabilitare” i funzionari che hanno agito correttamente.
Il 21 novembre 2019 il Fatto aveva rivelato che già cinque anni e mezzo fa Bankitalia sapeva delle anomalie usate dal Monte per piazzare diamanti ai clienti. Lo dimostrava l’esposto anonimo inviato l’8 gennaio 2016 da un “onesto impiegato di Mps” alla Vigilanza e alla filiale di Firenze di Bankitalia, alla Procura di Siena e allo stesso Montepaschi. “Il risparmiatore paga 10mila euro un oggetto acquistato a meno di 2.000 e l’80% dei suoi risparmi è diviso tra banche, il broker Dpi e sponsor”, scriveva il bancario. “Mps è stata oggetto di numerose ispezioni della Banca d’Italia, come altre banche. Gli ispettori non hanno visto nulla?”, chiedeva l’esposto secondo il quale in Dpi c’era “Massimo Santoro, ex alto funzionario di Banca d’Italia”. Via Nazionale segnalò alle banche i problemi di questo business solo ad aprile 2017 e a marzo 2018, dopo che il 31 gennaio 2017 la Consob aveva avvisato i risparmiatori sui rischi delle pietre vendute agli sportelli. Ma il business di vendere diamanti a prezzi ben più alti di quelli reali durava già da 15 anni, durante i quali ha drenato oltre 2 miliardi da decine di migliaia di clienti di Intesa Sanpaolo, UniCredit, Mps, Banco Bpm e dei broker Idb e Dpi. Il 30 ottobre 2017 l’Antitrust ha sanzionato per pratiche commerciali scorrette Idb (2 milioni), Dpi (1), UniCredit (4), Banco Bpm (3,35), Intesa Sanpaolo (3) e Mps (2). Il 28 settembre 2019 la Procura di Milano ha scritto che dalle pietre Dpi aveva realizzato profitti per almeno 165,5 milioni e Mps per 35,5. Il processo è in corso.
In una nota Banca d’Italia risponde di aver fornito “ampia collaborazione alle indagini sfociate nel rinvio a giudizio per truffa, autoriciclaggio, ostacolo alla vigilanza e corruzione fra privati di 105 persone fisiche e 5 società, di cui 4 banche” e di “essersi costituita parte civile nel processo di Milano per ostacolo alla vigilanza”. Sull’iniziativa disciplinare Palazzo Koch scrive che “avvia procedimenti solo a fronte di violazioni di norme previste dal Regolamento del personale che prevede il contraddittorio con i dipendenti interessati, con piena tutela dei loro diritti. Proprio per tutelare la loro riservatezza, non fornisce dettagli sui procedimenti disciplinari”.
La Falbi assicura che tutelerà l’ispettore “in tutte le sedi opportune”, ma Palazzo Koch solleva il sospetto che il funzionario ne abbia parlato con i giornali e ribadisce che “le informazioni di Vigilanza sono coperte dal segreto d’ufficio: chi ha partecipato a queste attività non può divulgarle o parlarne con la stampa, pena la violazione del segreto”. In via Nazionale dunque vige il “comma 22”: gli ispettori devono controllare per bene e riferire ai superiori, ma se poi i superiori li censurano, demansionano e cercano di licenziarli perché hanno controllato “troppo bene”, devono lasciarsi cacciare in silenzio.