Ma mi faccia il piacere

Compro una vocale. “L’eterno ritorno del Cavaliere. Si prende il ruolo di federatore, spinto dalla sua inesausta volontà di potenza” (Gabriele Romagnoli, Stampa, 21.10). O di patonza.

Il vero vincitore. “Le elezioni Comunali hanno un solo vincitore: Draghi” (Claudia Fusani, Riformista, 20.10). “Altro che Pd! I veri trionfatori nelle urne sono Draghi e l’Europa” (Dubbio, 19.10). “La figura rassicurante del presidente del Consiglio ha probabilmente contribuito all’esito elettorale” (Stefano Folli, Repubblica, 19.10). Ha vinto senza nemmeno candidarsi, con la sola forza del pensiero.

Agenzia Sticazzi/1. “Il mio candidato al Colle è Mattarella, con Draghi ancora a Palazzo Chigi” (Marco Bentivogli, Dubbio, 22.10). L’intera Nazione tratteneva il fiato nel dubbio di chi fosse il candidato di Bentivogli, ma soprattutto di chi fosse Bentivogli.

Agenzia Sticazzi/2. “Al Quirinale vedrei bene Gentiloni” (Carlo Calenda, Stampa, 23.10). Vedi sopra.

Avanti c’è posto. “Berlusconi chiede alla Meloni di entrare nel governo” (Corriere della sera, 23.10). In effetti, c’è un po’ troppa opposizione.

Voce del verbo violare. “Pm e cronisti meritavano la stretta inevitabile sulle indagini-show, ora i media siano più sobri. Certe toghe hanno avuto carriere mediatiche” (Luciano Violante, Dubbio, 22-10). Tipo quel giudice istruttore a Torino che indagò e arrestò Edgardo Sogno, assolto quando lui era già deputato del Pci.

Bob Aggiustatutto. “Gualtieri, il trionfo del decisionista timido” (Corriere, 19.10). “Studio e sobrietà, la lezione di Bruxelles per il Campidoglio”, “Valentina, first lady discreta, mamma a tempo (quasi) pieno” (Mario Ajello, Messaggero, 19.10). “La fiducia della città che stringe i denti”, “Subito pulizia straordinaria” (Messaggero, 19.10). “Il senso di ‘mettere a terra’. Le parole di Gualtieri. Il dominio pratico, tecnico ed economico bada a non perdere contatto con la solidità del terreno” (Stefano Bartezzaghi, Repubblica, 20.10). “Prima uscita in stile Petroselli. Gualtieri in un centro anziani al Tiburtino III”, “Subito caditoie e foglie. ‘Basta allagamenti’”, “’Gentile, romanista, goloso’: così Monteverde racconta il ‘suo’ primo cittadino” (Repubblica, 20.10). “’Il nostro amico Roberto, sindaco della porta accanto. A Monteverde, dove vive Gualtieri: ‘Un vicino garbato e senza protagonismi. E dal Brasile arrivano gli auguri di Falcao’” (Messaggero, 20.10).

“Gualtieri: ‘A Roma la rinascita post-Covid. Città pulita entro Natale’”, “Gualtieri entra in Campidoglio. La rivoluzione delle strisce blu”, “Gualtieri ha fretta” (Repubblica, 22.10). “Gualtieri: ‘Roma può rinascere, la ripulirò entro Natale’” (Repubblica, 22.10). “Gualtieri in Campidoglio: ‘È una nuova stagione, porto anche la chitarra’” (Corriere della sera, 22.10). “Roma riparte dall’era Gualtieri”, “Le mosse di Gualtieri: rilancio Atac, fondi e poteri extra ai Municipi”, “Gualtieri, il primo giorno tra sorrisi e sobrietà: ‘Ora al lavoro per Roma’” (Messaggero, 22.10). “Al sindaco un posto nel governo” (Giuseppe Pullara, Corriere, 23.10). “Gualtieri e Zingaretti: ‘Ora il rilancio di Roma’” (ibidem). “Tra Regione e Campidoglio scoppia la pace: ‘Patto per Roma’” (Repubblica, 23.10). Ah, credevo per Frascati.

Trionfi preventivi. “Expo, Giubileo e Pnrr: 50 miliardi di business sul tavolo del sindaco”, “Il lusso scommette sulla capitale. In centro arrivano i nuovi hotel al top” (Repubblica, 22 e 23.10). È già merito di Gualtieri o è ancora colpa della Raggi?

Voto a orologeria. “La scheda fantasma di Raggi e dell’ex premier Conte” (Sebastiano Messina, Repubblica, 18.10). “Raggi la ritardataria” (Lorenzo d’Albergo, Repubblica, 18.10). “Niente urne per la Raggi” (Messaggero, 18.10). Raggi e Conte hanno poi votato, ma non negli orari preferiti dai giornaloni: vergogna.

Calenda Tour. “Farò un tour per far conoscere le mie idee” (Carlo Calenda, leader Azione, Repubblica, 21.10). Non appena avrà capito quali sono.

Pochi ma cattivi. “Appello di Cgil, Cisl e Uil: “Il porto di Trieste va liberato, la maggioranza non può essere ostaggio di pochi’” (Corriere della sera, 18.10). Soprattutto se i pochi non siete voi.

I titoli della settimana/1. “Sorel si è fermato a Trieste: chi lo dice a Ferrara e Travaglio?” (Michele Prospero, Riformista, 20.10). M’hai detto un Prospero.

I titoli della settimana/2. “Il Green pass spinge i vaccini” (Corriere della sera, 17.10). “Covid, in Italia in 6 regioni risalgono i contagi. E il Green pass non spinge più le prime dosi” (Corriere della sera, 24.10). Quindi chi ha mentito: il Corriere o il Corriere?

I titoli della settimana/3. “Vaccini, riparte la corsa, a novembre il traguardo dell’immunità di gregge” (Repubblica, 17.10). “L’immunità di gregge, intesa come livello di immunizzazione che azzera la circolazione di un virus, non è obiettivo che ci possiamo porre con il SarsCov-2” (Silvio Brusaferro, portavoce Comitato tecnico scientifico, 20.10). Quindi chi ha mentito: Repubblica o Repubblica?

Steven Spielberg nel “West”, Gerini sul “Tapirulàn” e Giallini sul Gra

Steven Spielberg si appresta a promuovere il suo atteso musical West Side Story in uscita nei cinema americani il 10 dicembre e si dedica alla post produzione di The Fabelmans, un film semi-autobiografico di cui ha ultimato le riprese in estate tra Arizona, Los Angeles e Malibù. Si tratta di una storia scritta con il suo co-produttore Tony Kushner, in parte basata sulla sua vera infanzia in Arizona (è nato a Phoenix) e incentrata sulle vicende di un ragazzo, Sammy Fabelman (Gabriel LaBelle), che cresce con un padre (Paul Dano), una madre premurosa (Michelle Williams) e uno zio con cui ha un ottimo rapporto (Seth Rogen).

 

Riccardo Milani sta per iniziare le riprese di Un trionfo, una nuova commedia interpretata da Antonio Albanese, Fabrizio Bentivoglio e Sonia Bergamasco, prodotta dalla Palomar. Il regista romano ha girato nei mesi scorsi Nel nostro cielo un rombo di tuono, un docufilm sull’ex calciatore Gigi Riva (recordman di marcature con la Nazionale con 35 goal e presidente onorario del Cagliari, a cui è sempre rimasto fedele), che aspira a raccontare il talento e il rigore morale di un uomo, il suo legame indissolubile con la Sardegna e il suo popolo perché – afferma – “non tutto si può comprare”.

 

Dopo Io sono Babbo Natale, in cui ha affiancato Gigi Proietti nella sua ultima interpretazione, Marco Giallini verrà diretto ancora una volta da Edoardo Falcone ne Il principe di Roma, una commedia ispirata al Canto di Natale di Charles Dickens, prodotta come la precedente da Lucky Red.

 

Claudia Gerini dirige a Roma Tapirulàn, il suo primo film da regista di cui è anche protagonista nel ruolo di Emma, una donna che si illude di fuggire dal passato fino a quando sua sorella minore irrompe nella sua vita dopo 25 anni con una richiesta insostenibile.

Bio Presto e il principio di Lavoisier in tivù: “Tutto si trasforma”, anche lo spot in ammollo

“Nulla si crea e nulla si distrugge, tutto si trasforma” postulava nel 700 Lavoisier. Lo dimostrò con i suoi esperimenti chimici e con quella stessa frase, che aveva ripreso da Empedocle (V sec. a. C.), il quale a sua volta l’aveva ripresa da Anassagora (V sec. a. C).

Secoli dopo, Einstein la aggiornò alla fisica quantistica, e il modernista James Joyce provò col Finnegans Wake che quel principio valeva anche per l’arte. “Nulla si crea e nulla si distrugge, tutto si trasforma”. Se Einstein e Joyce non bastano a convincervi, forse il Bio Presto ci riuscirà.

La scomparsa, una settimana fa, del grande jazzista Franco Cerri è stata l’occasione per ricordare la pubblicità che lo rese famoso nel 1968, l’uomo in ammollo. Che riprendeva l’immagine di una pubblicità americana del 1951: l’uomo in ammollo della Talon, un celebre marchio di cerniere. “Nulla si crea e nulla si distrugge, tutto si trasforma”. Che poi è l’essenza del jazz. Vedete come tutto torna?

La Festa è finita, Burton no: “L’ispirazione? Viene al bar”

“Dopo il mio Dumbo live-action del 2019 ho avuto un esaurimento nervoso. Perché con la Disney mi sono sentito io Dumbo, uno che non c’entra nulla con l’ambiente in cui si trova: più che un film, un’autobiografia, sono ancora traumatizzato”. J’accuse contro la Casa di Topolino firmato Tim Burton, che alla Festa di Roma ritira il premio alla carriera: “È un po’ come stare al proprio funerale… Scherzi a parte, amo Roma, amo l’Italia, sono cresciuto con Bava, Fellini, Argento e ho lavorato con Dante Ferretti, è un riconoscimento graditissimo”.

Sebbene confessi “un terrore sacro per il palcoscenico”, Burton non si sottrae alle domande del pubblico: “L’Oscar che non ho mai avuto? Onestamente non so che dire, va bene così”. L’ispirazione? “Un paio di bicchieri al bar, e poi si vede. Anche guardare il cielo e gli alberi dalla finestra funziona”. I personaggi più vicini: “Edward mani forbici e Ed Wood mi assomigliano, anche se io non indosso abiti femminili”. Il futuro: “La serie Wednesday, sul personaggio di Mercoledì della Famiglia Addams: l’abbiamo girata in Romania, ricorda Beetlejuice”. L’inclusività: “Oggi a Hollywood è una moda, per me è stata da sempre una necessità”. Il politicamente corretto: “Non vorrei essere un comico ora: non puoi fare né dire nulla, senza ritrovarti nei guai. È una situazione opprimente, devi sempre guardarti intorno, ma io non ho mai fatto caso a quel che dico, non me ne importa niente”. Johnny Depp: “Ho tante opinioni sull’ostracismo di cui è oggetto, ma non ho abbastanza tempo per esprimerle. Di sicuro lavorerei ancora con lui, è un amico”. Un sequel in cantiere? “Dopo aver visto la versione porno Edward Penis Hands penso che forse è già stato fatto”. Il Joker con Joaquin Phoenix: “Anche io ho problemi mentali, è un personaggio che mi appartiene, e Joaquin è stato bravissimo”. Il suo film preferito: “Vincent, perché dura solo cinque minuti: confesso, ho un’attenzione limitata”. Rimpianti o rimorsi? “I film sono come figli, non mi pento di nulla, nemmeno degli errori”. La Disney, secondo tempo: “Oramai fa solo film Marvel, Pixar o remake in live action dei suoi classici come Dumbo: sono corresponsabile, ma non lo rifarei. È un vicolo cieco, per questo sono due anni che non lavoro”.

Scherzi del destino, la Festa si chiude oggi proprio con un film Marvel, Eternals di Chloé Zhao, per cui sfilerà sul tappeto rosso anche Angelina Jolie. Non è stata questa sedicesima un’edizione malvagia, anzi: da Quentin Tarantino allo stesso Burton, gli ospiti sono stati di livello e generosi; l’occupazione delle sale all’89% un dato importante e di speranza; l’effervescenza e il seguito della sezione autonoma Alice nella Città, che premia Petite maman e Belfast, conclamata; lo stato di salute del nostro cinema, da L’Arminuta all’opera seconda di Dario Albertini Anima Bella, buono, e ancor più per i documentari, con menzione speciale per Fellini e Simenon, con profonda simpatia e sincera gratitudine (oggi alle 13.05 su Rai Movie) di Giovanna Ventura, che sonda con eleganza ed empatia l’amicizia trentennale sortita dalla Palma d’Oro attribuita dallo scrittore, presidente di giuria a Cannes, a La Dolce Vita nel 1960.

Per il resto, futuro incerto, ma il direttore uscente Antonio Monda conferma la disponibilità a un nuovo incarico.

 

“Io, dogsitter di Zeffirelli. Le spalle date a Costanzo. E il collega Tarantino…”

Davanti al menu del ristorante, subito un ostacolo: “Può scegliere per primo?”. Perché? “Se poi quello che prende è meglio del mio, ci resto malissimo”. Prosciutto? “Cerco di evitarlo, spesso proviene da allevamenti intensivi; (pausa) però non sono integralista”. Pif è un equilibrio o un equilibrista perenne tra stati d’animo, manie esplicitate e affrontate, curiosità, dubbi, qualche risposta ai dubbi, consapevolezza, orgoglio e allo stesso tempo rammarico per uno “status borghese che mi porta a essere pure moralista”; ha il coraggio di non nascondersi dietro qualche frase di circostanza, vezzo d’artista, qualche “ma” o “però” ammiccante. E a 49 anni ha lo sguardo, il viso e l’abbigliamento da 18enne ancora in crisi con l’abbinamento dei colori e i capelli grigi, spettinati, “perché mi ricordano mio padre”.

Ieri a Roma ha presentato il suo terzo film da regista, E noi come stronzi rimanemmo a guardare (produzione Sky Original), in cui racconta la storia di un manager finito in disgrazia (il bravissimo Fabio De Luigi), diventato rider, ovviamente sfruttato e abbandonato dal suo mondo fino a quando si innamora di un algoritmo.

Film anche divertente, anche amaro, anche con intuizioni di cronaca come il festino tra nostalgici di Hitler (“Mafia e Ventennio sono tra le mie fisse”), esattamente come le commedie all’italiana, in cui il regista è spesso un testimone dei propri e dei futuri tempi, un bambino in cerca dei perché.

Questo film rispetto a La mafia uccide solo d’estate

È più crudo e in qualche modo rientra bene in questo periodo di solitudine post-Covid; il mio esordio aveva una visione più ottimista.

Dov’era quando hanno ucciso Falcone e Borsellino?

Con Borsellino, ero vicino a via D’Amelio: dopo lo scoppio sono andato lì con gli amici, convinto di una fuga di gas; dopo la morte di Falcone era impensabile che lo Stato non difendesse un bersaglio come lui. Una ingenuità di me ventenne.

Una volta a casa…

Prima di quelle stragi a Palermo andavamo avanti come niente fosse, della serie: se non disturbi la mafia, loro non ti vengono a cercare.

Si dedicava all’attività politica?

Avevo le mie idee, ma non in maniera esplicita; poi nel giorno dell’omicidio di Salvo Lima venne in classe il preside e con aria grave cercò la nostra partecipazione: “Sapete cos’è successo?”, e giù il racconto. Lì è apparso il mio primo atto di ribellione. “Chi va con lo zoppo impara a zoppicare”.

Davanti a tutti.

Il preside mi chiese di ripeterlo; oggi può apparire banale, ma allora non lo era (pausa). Frequentavo il liceo della borghesia palermitana, dove gli amici erano prevalentemente di destra e le prime discussioni politiche e di mafia nascevano a bordo piscina; (sorride) quando uscivamo, un amico neopatentato aveva il vezzo di fare inversione a “U” in una via e ogni volta rischiava di prendere in pieno un cancello. Nel gennaio del 1993 arrestano Totò Riina e scopriamo che abitava esattamente dietro quel cancello.

Com’è nata la sua passione per la regia?

Negli anni 80 papà aveva una piccola casa di produzione cinematografica, ogni tanto andavo con lui e in qualche modo ho acquisito i primi rudimenti di inquadratura, audio e montaggio. Ed è stata la mia fortuna: se non ci fosse stato mio padre, visto il mio carattere, probabilmente non avrei mai affrontato questa professione.

Perché?

Non so dare gomitate; quando vado nelle scuole ripeto ai ragazzi: “Se ce l’ho fatta io, c’è speranza per tutti”. E non lo dico per modestia, ma oggettività; (cambia tono) sono pure timido, e nonostante questo sono andato avanti senza spinte: quando lo rivelo non ci crede nessuno.

Il suo esordio è stato con Le Iene.

Grazie a un incontro con Davide Parenti (ideatore del programma, ndr): lui non mi ha chiesto di chi fossi figlio, da dove venissi e altre informazioni secondarie; abbiamo solo parlato e poi ha deciso di mettermi alla prova.

Quanto era agitato?

Più che altro incosciente: nel 2000, a Mediaset, ho frequentato un corso come autore televisivo e gli insegnanti erano professionisti dell’azienda; io ero così inconsapevole e fuori luogo da dare del “tu” a tutti, come se fossimo un gruppo di amici, compreso Pasquinelli (poi capo dell’intrattenimento Mediaset, ndr). Nella mia testa eravamo creativi e quello era l’approccio giusto; a fine corso Pasquinelli mi guarda e svela il rischio corso: “Ti volevo cacciare a calci nel culo”.

Lei a Milano da Palermo.

Alle Iene rappresentavamo il Partito comunista di Mediaset, nel senso che non potevamo frequentare il mondo delle stelle, il mondo vip, non potevamo comprometterci perché poi non saremmo stati liberi di prenderli in giro nei servizi; oggi non potrei più indossare i panni della Iena.

Si è compromesso.

Mi sono imborghesito, non sono più un outsider; allora andavo a Montecitorio a prendere per il culo i politici, mentre ora rischierei di venir riconosciuto e finirebbe la sorpresa (nei suoi servizi Pif andava da un soggetto “x”, gli poneva la domanda e mentre il soggetto iniziava a rispondere lo abbandonava perché trovava un protagonista migliore).

Qualcuno dei politici si è realmente offeso?

Molti si sono proprio incazzati, e si vede, ma non so altro perché fuggivo per l’imbarazzo; la prima volta fu con Maurizio Costanzo, quando Costanzo era ai vertici di Mediaset: gli girai le spalle fingendo di aver visto Giorgio Mastrota. Umiliazione massima. Poi sono tornato da lui: “Ho sbagliato, era solo uno che gli assomigliava”.

E Costanzo?

Se non sbaglio domandò: “Ma chi è questo coglione?”. Il bello è che alle mie vittime non rivelavo di essere de Le Iene, sempre per la vergogna.

Le pesa essere un personaggio pubblico?

Per Il testimone è stato un problema: la telecamera piccola doveva eliminare la sensazione di tv, doveva essere un occhio neutro, tanto da far dimenticare al protagonista di essere ripreso. Dopo La mafia uccide solo d’estate è cambiato l’atteggiamento verso di me.

Cioè?

Di buono c’è che mi hanno aperto porte inusuali, tipo stare a due centimetri da Roberto Bolle mentre si riscalda prima di salire sul palco della Scala.

Il male.

Volevo intervistare una modella qualunque prima della Fashion Week di Milano, e quando sono arrivato la ragazza si è presentata con l’autista perché il manager aveva preparato l’occasione per farla apparire quello che non era; nel momento in cui sono io a cambiare la tua vita, io sono un uomo morto; (pausa) un giorno un tredicenne mi ha definito “quello che filma la vita” e resta il complimento più bello mai ricevuto.

(Al ristorante entra Quentin Tarantino, Pif viene invitato al suo tavolo per il dolce. Resta perplesso, spiazzato: “Che gli dico? Ciao, collega?”).

Da regista come si trova a gestire gli attori?

Ho un serio problema a relazionarmi con le persone, per questo vorrei lavorare sempre con gli stessi. Ma non si può. Insomma, mi imbarazzo.

Anche qui.

Eh, lo so.

Agli attori dice “non va bene, rigiriamo”?

Sono il re del rifacciamolo: sempre per la storia che amo il montaggio, voglio arrivarci con più versioni e scegliere la migliore. Così rompo le palle.

Il regista è spesso un confessore della troupe.

(Sguardo sofferente) Sono un anaffettivo; lo so, è un dramma, ma sto cercando di migliorare.

Che intende per anaffettivo?

Una volta ho letto la giusta definizione sulla Treccani, però non sono più riuscito a ritrovarla; comunque ho sentimenti ma non riesco a esternarli ed è un po’ il dramma della mia vita; da ragazzino mi chiedevano: “Ma hai capito?”.

Un problema.

Non so neanche ricevere i complimenti, mi imbarazzano. Quando mi arrivano sul cellulare, ogni volta rispondo: “Grazie!”, con tanto di punto esclamativo. Per me è una grandissima manifestazione, invece molti si offendono e pensano che me la sto tirando.

Quando si riguarda da attore?

Oramai ho superato lo choc, ma spesso taglio i miei primi piani perché il film non deve essere una lotta tra me e l’ego; (sorride) In In guerra per amore il direttore della fotografia mi disse: “Ma almeno in questa scena lascialo, il pubblico viene pure per te”; ho inoltre capito che non posso essere regista e primattore: troppo faticoso.

Infatti ora c’è Fabio De Luigi.

Abbiamo in comune un punto: subiamo le situazioni; quando nel film si incavola, fa ridere perché si percepisce la sua scarsa abitudine allo sbrocco e trasmette la sensazione di voler chiedere subito scusa. A lui sono proprio grato.

Ha mai fatto a botte?

Una volta ho ricevuto un pugno, ma non ho trovato la forza di rispondere: mi faceva pena (arriva il cameriere: “Vuole un dolce?”. “No, grazie. Lo prendo con il collega Tarantino”).

Ha iniziato come aiuto alla regia.

Di Franco Zeffirelli in Un tè con Mussolini e di Marco Tullio Giordana ne I cento passi; con Zeffirelli era una produzione così grande da risultare io inesistente, infatti non sono neanche nei titoli di coda.

Il suo compito?

Per anni mi sono vantato di essere stato l’assistente di Zeffirelli, in realtà lui aveva un cane e me ne occupavo: non per colpa del maestro, ma perché ero l’ultimo arrivato in un cast pazzesco; ne I cento passi è andata meglio.

Cosa l’ha delusa del set?

In quella fase della vita, in ogni posto dove andavo, ero sempre l’anello debole e non capivo perché si scatenassero contro di me; forse per la solita storia di non saper esternare i sentimenti, ma alla fine subivo.

Un Malaussène.

I tecnici di Zeffirelli mi guardavano male perché arrivavo sul set alle 9 e non alle 7 come gli altri: il problema è che aspettavo il maestro e il suo cane.

I suoi film hanno budget importanti.

Solo alla fine delle riprese chiedo quanto è costato, perché mi sento in colpa: ho paura di non farli rientrare dei costi.

Perché indossa i calzini al mare?

Chi le ha rivelato questa storia? (Pausa) Non sopporto le cose piccole, le miniature, fisicamente mi danno ribrezzo: ricordo quando da bambino mia sorella mi passò le scarpine di Barbie e non riuscivo a prenderle in mano; (cambia tono) un giorno intervisto Bebe Vio e lei, per rispondere al cellulare, si stacca il braccio e me lo dà. A me viene un’espressione di dolore, e me ne vergogno subito, ma non era per il braccio, ma perché c’era sopra un braccialetto. Non lo sopportavo.

Ma i calzini al mare?

Per me le dita dei piedi sono la miniatura delle mani e mi fanno schifo; quando in primavera le donne indossano i sandali, soffro, e per affrontare questa sofferenza li guardo tutti e me li ricordo.

È un artista?

(Dopo un’infinita pausa e un’infinita serie di risposte iniziate e non terminate) Sì, penso di poter far parte di quel mondo, però sono molto borghese e il mio limite è che sono pure bigotto e moralista; se fossi un prete condannerei tutti all’inferno compreso me stesso.

Esagerato.

No, sono severo, un estremista e questo bigottismo non mi aiuta come artista: il vero artista non deve essere borghese; (pausa) nei miei film non ho mai messo un nudo né una scena di sesso. Non ci riesco. Così come le parolacce: non posso pensare all’idea di una famiglia che va a vedere un film e si trova davanti a un seno, un culo o una volgarità (ripete a macchinetta). Sì, sono un bigotto e un moralista.

Chi è lei? Non dica un moralista…

Durante il lockdown ho passato le giornate affacciato alla finestra di casa per controllare che la gente buttasse l’immondizia nel secchione. E se non accadeva urlavo “è là, è là!”. Poi mi davano retta e scappavano. Vabbè, alla fine mi odieranno tutti (Arriva la proprietaria del ristorante: “Non va da Tarantino?”. Lui resta zitto. Viso disperato. “E ora cosa gli dico?”).

 

C’è il virus: l’accusa chiede l’assoluzione ma non legge gli atti

Jacopo è uscito di strada a circa 90 all’ora sulla Firenze-Pisa-Livorno. Aveva perso il controllo della Mini, ha detto, per regolare il volume dell’autoradio. Ha strisciato contro il guardrail di una piazzola di sosta e poi è andato a sbattere sul bordo del guardrail successivo, più alto del primo dal quale era completamente staccato. Le lamine sono entrate nella macchina sfondando il parabrezza e si sono portate via Carolina, la sua fidanzata. Un incidente spaventoso.

Aveva 25 anni, Carolina Contini. Figlia unica. Ultimo anno di Economia aziendale. Dal 19 ottobre 2013 i suoi genitori, Roberto e Susanna, non hanno smesso di piangere. E la giustizia continua a farli piangere. Ancora oggi non è colpa di nessuno e perfino il risarcimento del danno, al di là del modesto acconto versato da Sara Assicurazioni, trova ostacoli. Fino all’ultimo indigeribile episodio, otto anni dopo: la Procura generale di Firenze che invia le conclusioni scritte, chiedendo la conferma dell’assoluzione di Jacopo Giovannelli e in sostanza del suo assicuratore, prima ancora di ascoltare il perito nominato dalla Corte d’appello. Ma allora che li fanno a fare i processi, con quello che costano? “Ci sentiamo calpestati, come lavora la giustizia? A ogni udienza i magistrati cambiano. Lo sa il ministro Cartabia cosa succede nelle Procure della Repubblica?”, si chiede Roberto Contini, ex dirigente d’azienda, che ha scritto una lettera aperta alla Guardasigilli.

Jacopo Giovannelli, 28 anni ai tempi dell’incidente, è stato assolto nel 2017 in primo grado. Secondo la giudice di Firenze, Agnese Di Girolamo, era tutta colpa del guardrail. L’imputato, che era anche positivo ai metaboliti della cocaina, ma questo non prova che l’avesse presa quel giorno, è difeso dall’avvocato Francesco Maresca, nome importante del foro fiorentino. Il pm aveva chiesto cinque anni di carcere, cioè una pena severa specie prima dell’introduzione del reato di omicidio stradale, poi però la stessa Procura e la Procura generale non hanno proposto appello contro l’assoluzione. Mah. Chiedi cinque anni, lo assolvono e lasci stare? Poco dopo la stessa Procura ha chiesto l’archiviazione per i dirigenti, neppure individuati, dell’Anas e della Provincia di Firenze, responsabili della strada e del guardrail, verso i quali il tribunale aveva indicato di procedere: “I compiti di adeguamento delle strutture esistenti sono previsti dalla legge solo per l’installazione di nuove strutture o per lavori di rifacimento di interi tratti di strada, e non per la sostituzione di singoli elementi”, ha scritto nel 2018 la pm Ornella Galeotti sulla scorta della consulenza di un ingegnere. Solo nel 2017 il guardrail al km 12,4 della superstrada Fi-Pi-Li è stato sistemato; ci era andato a sbattere anche un altro, per fortuna con conseguenze meno gravi.

Solo i genitori di Carolina hanno impugnato la sentenza, affidandosi all’avvocato Fabio Anselmo, noto per aver fatto riaprire le indagini sui carabinieri per la morte di Stefano Cucchi e prima ancora per aver ottenuto la condanna dei poliziotti che avevano ucciso il 18enne ferrarese Federico Aldrovandi. Mancando l’iniziativa del pm, l’appello si celebra ai soli effetti civili, cioè appunto per il risarcimento. Ma la Corte d’appello, presieduta dalla giudice Maria Cannizzaro, l’ha preso sul serio. Ha riaperto l’istruttoria e nominato un perito, l’ingegner Andrea Ottati.

“Causa del sinistro”, secondo Ottati, è stata “la prolungata distrazione (valutata in un intervallo di tempo compreso tra i 3 e i 4 secondi) del conducente”, come dimostrano l’assenza di segni di frenata o di sterzata improvvisa, ma il “principale fattore che ha determinato la gravità del sinistro” è individuato nello “stato della barriera posta al termine della piazzola di sosta e in particolare l’assenza di un collegamento che facesse da vincolo strutturale tra il primo tratto di barriera e il successivo”. Questo, per Ottati, “costituiva un punto di pericolosa discontinuità che non avrebbe dovuto sfuggire al Gestore della Strada”.

Così si legge nella relazione, datata settembre 2019 ma discussa solo qualche giorno fa in aula perché alle lungaggini della giustizia si è aggiunto il Covid-19. A breve la Corte stabilirà se i genitori di Carolina hanno diritto a un risarcimento a carico di Sara Assicurazioni o devono farsi bastare l’acconto di 120 mila euro ciascuno versato anni fa. Ma prima ancora di ascoltare il perito in aula, il sostituto procuratore generale Nicola Miraglia Del Giudice ha spedito alle parti le conclusioni scritte: chiedeva la conferma della sentenza che esclude responsabilità del conducente. “Se andava contro un albero, chiamavano in causa la Forestale?”, chiede Roberto Contini, che dopo la tragedia ha lasciato la multinazionale in cui lavorava, teme per la tenuta psicologica di sua moglie e in otto anni ha speso “quasi 90 mila euro in avvocati”. “Noi non ce l’abbiamo con il ragazzo – dice –, è stata una disgrazia, se non fosse uscito di strada non sarebbe successo ma certo non l’ha fatto apposta. Chiediamo solo giustizia e quella non vogliono darcela”.

Le conclusioni scritte sono previste dal processo d’appello detto “cartolare” introdotto per il Covid, naturalmente sono nulle se invece il giudice tiene udienza. Un errore, insomma, perfino comprensibile data la mole di procedimenti che tocca a ciascun magistrato. A ogni modo, Miraglia Del Giudice ha confermato la richiesta di assoluzione anche in aula, sulla base però di una conoscenza parziale del processo. “Non avevo tutto il fascicolo, non me l’hanno dato. Nel fascicoletto che danno a noi c’è solo la sentenza impugnata e i motivi d’appello. E io ho fatto solo quell’udienza”, spiega il magistrato napoletano, già deputato eletto con Alleanza nazionale nel 1996 e transitato nell’Udeur mastelliana prima di tornare a vestire la toga. “Comunque c’è ancora spazio per le repliche, a gennaio”, concede. Certo, “c’è spazio”, specie ora che la vicenda è sui giornali. “Capisco questo padre”, dice. “E anche il procedimento archiviato contro il gestore della strada – riflette Miraglia Del Giudice al telefono con il Fatto – potrebbe essere riaperto, bisogna solo vedere la prescrizione”. Quell’archiviazione, però, non l’ha ancora letta. “Non me l’hanno data”. Ma perché nessuno ha impugnato l’assoluzione? “Deve chiederlo al procuratore”. Ma il procuratore generale di Firenze Maurizio Viola, candidato alla guida della Procura di Roma da un fronte che più trasversale non si può, e forte anche di una pronuncia dei giudici amministrativi, non ha risposto al Fatto.

“Smerdazzo” è cattivo gusto? Ma se lo diceva San Francesco!

 

 

 

ELEMENTI DI STILISTICA COMICA

LO STILE DELLA VOLGARITÀ

Dario Fo, nel testo che scrisse per rimbeccare i bacchettoni che volevano far chiudere il mio Satyricon a causa di un asserito “cattivo gusto”, ricordò loro le oscenità di “Mattazzone da Calignano, grande giullare lombardo del XIII secolo, che in un suo fabulazzo racconta la nascita di un villano dal ventre di un asino. Al nono mese, preannunciato da ‘un trempestar tremmendo de fulmini e saiette, de la panza de l’anemal, traverso el so’ cul de lü, sbotta de fora ol vilan spussento, tüto empastao de merda sgarosa e: stralak! Sto cul sforna criante ol servante creat da Deo. Una piova sbatente se spraca contra el corpazon del vilan scagazzao spussente, perché se faga cosiensa de la vita de merda che ve se presenta. – Da po’ che l’è nato egnudo – ordena el Segnor – deghe un para de brache de canovasso crudo, brache spacà in del messo e dislassà, che no’ debbia pert tropp tempo in del pissà! –’. Subito appresso mi appare Bescapè, un contemporaneo di Mattazzone, che ci accompagna, mezzo secolo prima di Dante, nell’Inferno, dove personaggi ben noti della società del tempo vengono immersi a testa in giù nello sterco fumante, costretti a compiere gargarismi, trillando in gola secchiate di escrementi prodotti da animali fra i più fetenti. E poi ancora vedo scorrere i milanesi longobardi sconfitti da Carlo Magno, che un anonimo fabulatore descrive costretti dall’Imperatore a ‘nettar co’ la lengua l’arco treonfal, costruit da lori mismi a onor da lu venzedor franzoso. Sü l’arcon tüti i soldat de Carlo gh’hann pissat sovra per una jornada entera e anco smerdao con cüra’”. Aggiungeva Fo: “Di certo vi farà sussultare di stupore scoprire che anche il santo giullare Francesco di Assisi spesso si lasciasse andare a espressioni di un linguaggio azzardato, per non dire sconveniente. Infatti in una delle storie testimoniate da suoi seguaci, si racconta che un giovane discepolo un giorno si recò da lui disperato, sconvolto, giacché continuava ad apparirgli un orrendo demonio che lo tormentava con lusinghe e minacce, perché si lasciasse indurre nel peccato. Francesco, dopo averlo ascoltato, da autentico giullare quale era, disse al suo tormentato fratello: ‘Sai che debbi fare? Quando verrà l’enfame demonio, tu digli spietato: – Veneme appresso che eo te abbranco per l’orecchi, ti vo’ a spalancà la bocca e in quella ci caco dentro tutto lo smerdazzo che me riesce d’emprignatte! –. Così il giovine seguace repetette a lu demonio quella menaccia che Francesco li avea soggerita: -Te vo’ cacando in la bocca finché t’annego de merdazzo!- Quello diavolo, preso de lo terrore, fuggì, annanno a sbatte contro rupi de le montagne che se sgretolaveno, come sotto tremmamoto, e tutto lo covertirno, seppellennolo per l’intero.’ È inutile sottolineare che di questa leggenda non si trova traccia nella versione ufficiale della vita di Francesco, quella riscritta quarant’anni dopo da fra Bonaventura da Bagnoreggio, eletto a generale dell’ordine dalla Chiesa di Roma, che censurò l’originale, anzi lo distrusse addirittura mandandolo alle fiamme” (Dario Fo, 2001).

La comicità di quei secoli, come già quella greca e latina, è una cornucopia di lazzi scatologici. Nel Baldus di Folengo, Cingar fa resuscitare un giovane versandogli addosso dell’urina. Troviamo indecenze comiche dello stesso tipo nelle Facezie (1452) di Poggio Bracciolini: quella dell’avaro che beve l’urina (n. 70); quella del marito, cornificato dal parroco, che si vendica invitando il prete a pranzo per poi costringerlo a sorbirsi un vaso pieno di sterco e di urina della moglie (n. 155); e quella del buffone Gonnella che fa diventare indovino un tale dandogli da mangiare una pillola di merda (n. 165). Le gag oscene abbondavano anche nella commedia dell’arte (Qc #42); e, di canovaccio in canovaccio, quella tradizione antica è giunta ai giorni nostri. Vi attinse pure (come tutti, poiché non è il comico a fare comicità: è la comicità a fare il comico) il monologhista satirico Bill Hicks. Nel 1993, Hicks se la prendeva col giornalista di destra guerrafondaio anti-abortista Rush Limbaugh usando classici lazzi osceni: “A proposito di Satana, ah… L’altro giorno stavo guardando Rush Limbaugh. Rush Limbaugh non ricorda anche a voi uno di quei gay cui piace stare in una vasca mentre altri uomini gli pisciano addosso? Sono il solo? Riuscite a vedere il suo corpo grasso in una vasca mentre Reagan, Quayle e Bush psssssss! gli stanno intorno pisciandogli addosso, e il suo cazzetto grassoccio non riesce ad avere un’erezione. ‘Aaaah, aaaah, non riesco ad avere un’erezione! Reagan, pisciami in bocca.’ ‘Be’, che te ne pare, Rush?’ Non riesce ad avere un’erezione neanche così, per cui chiamano Barbara Bush. Lei si toglie la collana di perle, gliele infila su per il culo, poi si siede sopra di lui, si slaccia il busto, le sue grandi labbra grinzose e flaccide si srotolano fino alle ginocchia, come uno scroto senza palle. ‘Aaaah, aaaah, aaaaah.’ Lei gli spreme una salsiccia in bocca. Finalmente il suo cazzo diventa mezzo duro. ‘Oooooh.’ Si forma una piccola bolla trasparente all’estremità, con dentro una larva. La larva rompe la bolla e scappa via e si unisce a un gruppo di anti-abortisti da qualche parte. Sono il solo a immaginarmi questo o no? Grazie a Dio non sono il solo. Grazie a Dio ho avuto l’intuizione di accorgermi che Rush Limbaugh è un mangiamerda. Mangia merda”. Tre anni dopo, con una battuta, infilai Giuliano Ferrara in una vasca da bagno come precisa allusione a quel celebre monologo, per dire che Ferrara, un giornalista guerrafondaio anti-abortista di destra, propagandista della guerra di Bush Blair e Berlusconi in Iraq, era il Rush Limbaugh italiano. Apriti cielo! I giornali di destra e di pseudo-sinistra, scandalizzati dalla detronizzazione di un collega tanto poderoso, mi accusarono (come sempre, quando meno duro) di plagio: ma nel 2012, un giudice spiegò a tutti perché si sbagliavano: “Non vi è prova della mancanza di originalità del monologo in questione. La circostanza che l’artista, nell’elaborazione della sua opera creativa, si ispiri ad altri soggetti, non esclude l’originalità dell’opera medesima”. Tutto è bene quel che finisce bene (Shakespeare, 1601; Heywood, 1546).

(78. Continua)

Lazio, Sarri convoca Floriani Mussolini

L’allenatore della Lazio Maurizio Sarri ha convocato in prima squadra Romano Floriani Mussolini, difensore classe 2003 della Primavera biancoceleste. Prima chiamata tra i grandi, Sarri lo porta a Verona viste le assenze in difesa con le squalifiche di Acerbi e Luiz Felipe. Romano è figlio di Alessandra Mussolini, vestirà la maglia numero 44. Terzino destro, lo scorso anno ha giocato quinto a destra o terzo nei tre centrali sempre a destra. A marzo scorso la firma sul suo primo contratto da professionista. Gioca nelle giovanili della Lazio da quando era bambino e ora sogna il debutto in prima squadra. A Verona la sua prima chance della carriera.

Deve andare a Bologna, si ritrova in Polonia

Si imbarca Palermo sul volo per Bologna della Ryanair e si ritrova a Wroclaw, in Polonia. La disavventura è capitata a una donna di 69 anni, sordomuta dalla nascita, originaria di Alcamo (Trapani) ma residente a Ferrara. La famiglia della signora ha raccontato di non essersi potuta mettere in contatto al telefono con il servizio di assistenza dello scalo palermitano. Non è ancora chiaro come la viaggiatrice si sia potuta imbarcare senza che i controlli al gate svolti dalla società dei servizi a terra e quelli del personale di bordo le impedissero l’imbarco sul volo sbagliato. Arrivata in Polonia, accortasi dell’errore, grazie all’aiuto del personale aeroportuale, ha contattato il consolato italiano in Polonia che l’ha assistita per il volo verso casa.

Solinas fece segretario generale il giudice che gli diede ragione al Tar: i pm indagano

Un’altra inchiesta, l’ennesima, si abbatte sulla Regione Sardegna. Questa volta a finire sotto il faro dei magistrati della Procura di Cagliari è la delibera di nomina del magistrato del Tar, il 69enne Francesco Scano, a Segretario generale della Regione del 22 luglio 2021. Il fascicolo, per ora senza indagati né ipotesi di reato, risale al luglio scorso, quando Scano fu indicato dal presidente Christian Solinas al vertice di tutta la burocrazia regionale. Una nomina che però è rimasta in stand by per oltre tre mesi, fino al 18 ottobre scorso, quando è arrivato l’atto di nomina definitivo, a causa delle resistenze del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa a dare il proprio ok. E proprio sull’iter di una nomina arrivata senza il benestare del plenum – al quale Scano aveva chiesto il nullaosta – che i pm vogliono fare chiarezza.

La ritrosia dei giudici amministrativi a concedere il nullaosta era dovuto al fatto che la nomina di Scano a braccio destro di Solinas aveva fatto storcere più di un naso. Scano, infatti, fino al luglio scorso aveva presieduto la II sezione del Tar della Sardegna, quella che aveva deciso sui ricorsi elettorali riguardanti elezioni regionali, comunali e le nomine fatte dalla giunta (sulle quali la procura ha aperto un’inchiesta a carico di Solinas). “Tutte decisioni che però – sottolinea Scano – hanno retto al secondo grado di giudizio”. Così l’ok del plenum è arrivato solo quando Scano ha chiesto e ottenuto il prepensionamento dalla magistratura amministrativa.

La figura del Segretario generale era stata creata con la legge 107, meglio conosciuta come “il poltronificio”. Una norma con la quale Solinas aveva ridisegnato l’intera struttura burocratica regionale, ponendola alle sue dirette dipendenze. Non solo, grazie al Poltronificio, il presidente ha creato dal nulla decine di nuove posizioni apicali (tutte a chiamata diretta), che costeranno oltre 6 milioni di euro l’anno. La legge era passata a luglio, ma fino a pochi giorni fa era rimasta lettera morta, perché mancava il Segretario regionale (Scano appunto), l’unico deputato a firmare le nomine degli altri neo-assunti. Così per mesi la Regione è rimasta priva di direttori generali e capi dipartimento.

Altra nota dolente, il compenso di Scano: ancora si ignora quanti soldi guadagnerà l’ex magistrato. Un dubbio che non scioglie neanche il decreto del 18 ottobre, dove si legge: “Il trattamento economico del Segretario generale verrà determinato con successivo provvedimento”.