Anguillara Veneta, 4 mila abitanti in provincia di Padova, ha dato i natali al trisnonno di Jair Bolsonaro. Domani il Consiglio comunale, su proposta della sindaca Alessandra Buoso, voterà la concessione della cittadinanza onoraria al presidente brasiliano. Negli stessi giorni, però, la Commissione d’inchiesta sul Covid in Brasile ha presentato una corposa relazione che contesta a Bolsonaro una serie di scelte sbagliate che avrebbero contribuito alla morte di 600 mila persone, adombrando la sua incriminazione “per omicidio di massa“. E la coincidenza tra i due avvenimenti ha fatto nascere un’aspra polemica . A innescarla è stata Vanessa Camani, vicecapogruppo Pd in consiglio regionale. “Fa rabbrividire la proposta di conferire la cittadinanza onoraria a Bolsonaro, un razzista, misogino, negazionista, distintosi per gli elogi alla dittatura militare, per il disprezzo e le offese a donne e omosessuali, le minacce di incarcerare i rivali politic. Come si può essere fieri di un personaggio del genere? Davvero le sue origini possono prevalere su questo orrore?”.
Erdogan caccia 10 ambasciatori pro-dissidente
Il pugno duro del Sultano è tornato a colpire. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha annunciato di aver dato disposizioni al ministro degli Esteri affinché siano dichiarati “persona non grata” gli ambasciatori di dieci Paesi che hanno chiesto il rilascio di Osman Kavala, il filantropo in carcere in Turchia dal novembre 2017 senza essere stato condannato. Lo riporta il Daily Sabah. “Ho ordinato al nostro ministro degli Esteri di dichiarare al più presto questi dieci ambasciatori persone non grate”, ha detto Erdogan. Lunedì scorso gli ambasciatori di Canada, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Olanda, Nuova Zelanda, Norvegia, Svezia e Stati Uniti avevano chiesto con una dichiarazione una “soluzione giusta e rapida” del caso Kavala, leader della società civile turca, 64 anni, accusato di spionaggio, di aver preso parte al tentato golpe del 2016 e di aver partecipato alle manifestazioni antigovernative del 2013 al Gezi Park di Istanbul. Kavala ha respinto tutte le accuse. La dichiarazione a sostegno di Kavala aveva irritato i funzionari turchi che avevano accusato i Paesi di ingerenza nella giustizia. “Gli ambasciatori di alcuni Paesi che sono obbligati a mostrare lealtà all’indipendenza degli Stati in cui prestano servizio, hanno superato i loro limiti e hanno chiesto che (i politici) interferissero con la magistratura”, aveva affermato il vicepresidente turco Fuat Oktay. Ora la decisione di Erdogan. “Il loro è un comportamento indecente. Vanno a coricarsi, si svegliano e pensano a Kavala. Kavala è il rappresentante turco di Soros. Dieci ambasciatori si recano al ministero degli Esteri per lui: che impudenza! – ha arringato Erdogan –. Impareranno a conoscere e capire la Turchia o dovranno andarsene”. Ieri in serata è arrivata la reazione del presidente del Parlamento europeo, David Sassoli: “L’espulsione di dieci ambasciatori è un segno della deriva autoritaria del governo turco. Non saremo intimiditi. Libertà per Osman Kavala”.
Ucciso da un drone americano un alto comandante di al Qaeda
L’esercito Usa ha affermato di aver ucciso Abdul Hamid al-Matar, comandante di al Qaeda, in un attacco aereo di droni nel nord-ovest della Siria. Il maggiore dell’esercito John Rigsbee, portavoce del comando centrale degli Stati Uniti, ha riferito che l’eliminazione di al-Matar interromperà la “capacità di al Qaeda di tramare ulteriormente e condurre attacchi globali che minacciano i cittadini statunitensi, i nostri partner e civili innocenti”.
Il maggiore ha aggiunto che l’organizzazione usa il territorio siriano per pianificare nuovi attentati in altri Paesi. L’attacco dei droni è avvenuto due giorni dopo che un avamposto militare statunitense nel sud della Siria è stato colpito da un attacco coordinato con droni e razzi. Nessun soldato americano di stanza nella base è stato ferito o ucciso.
Più di 5 milioni le vittime di abusi
PedofiliaLa denuncia dell’ex stella del calcio Patrice Evra e l’ultimo, inquietante report dell’Istituto della sanità e ricerca: circa un francese su 10 ha subito violenze sessuali durante l’infanzia.
Ci sono voluti anni per riuscire a parlarne e non vergognarsi più. Patrice Evra, l’ex difensore della Juve, 40 anni, ha rivelato al Times, anticipando il contenuto della sua autobiografia, I Love This Game, che uscirà il 28 ottobre, di essere stato vittima di abusi sessuali quando aveva 13 anni da parte del preside della sua scuola. All’epoca Evra abitava a Les Ulis, nella periferia di Parigi. Il preside aveva proposto ai suoi genitori di ospitarlo tre notti a settimana in casa sua per evitargli i lunghi spostamenti quotidiani fino a scuola. I suoi accettarono. “Credendo che stessi dormendo – scrive Evra – ha passato le mani sotto la mia trapunta e ha cercato di toccarmi. L’ultima notte, quando sapeva che sarei tornato a casa, ci è riuscito”. Fino a un paio di settimane fa, Evra non aveva raccontato nulla neanche alla madre: “È stato un grande choc per lei. Mi ha detto di non parlarne nel libro, ma le ho spiegato che andava fatto, per gli altri ragazzi” ha detto al Times. Le rivelazioni del calciatore aprono un nuovo oscuro capitolo sulla pedofilia in Francia, questa volta in ambito scolastico. L’Inserm, l’Istituto nazionale della salute e la ricerca medica, ha di recente pubblicato dati choc: 5,5 milioni francesi avrebbero subito abusi sessuali quando erano minorenni. Un francese circa su dieci. Il 14,5% delle donne e il 6,4% degli uomini. Stime probabilmente inferiori alla realtà. Sulla pedofilia la parola si sta liberando in Francia sulla scia del #MeToo, che ha scatenato un flusso inarrestabile di denunce. A scuotere l’opinione pubblica è stato, nel gennaio scorso, il caso Olivier Duhamel, esploso con il libro La famiglia grande di Camille Kouchner: la scrittrice, figlia dell’ex ministro Bernard Kouchner, rivelò che il patrigno, un noto e rispettato politologo, aveva abusato in modo sistematico di suo fratello quando era un ragazzino di 14 anni. Un orribile incesto che era stato coperto dalla famiglia e dalla cerchia di amici stretti di Duhamel. A inizio mese, è la chiesa cattolica di Francia a essere stata travolta dallo scandalo: un’inchiesta, commissionata dalla Conferenza episcopale, ha rivelato che sono almeno 216 mila le giovani vittime dei preti pedofili in Francia dagli anni 50 a oggi, più i bambini che le bambine. Un’associazione di Lione, La parole libérée, si batte dal 2016 per rompere l’omertà sugli abusi nella chiesa.
Ma quante sono le vittime che restano ancora in silenzio? “Rivelare queste atrocità può aiutare tutti quelli che sfortunatamente le subiscono ancora”, diceva ieri un’associazione per la protezione dell’infanzia, sottolineando il coraggio di Evra.
Ghedi, al via esercitazioni nucleari nella base Nato
Non se ne parla, ma è una delle esercitazioni Nato che permettono alla macchina bellica del dottor Stranamore di operare con efficienza. Si chiama Steadfast Noon, ha preso il via la scorsa settimana e, in tutta probabilità, ha come base di riferimento Ghedi, in provincia di Brescia. Una delle due basi in cui gli Stati Uniti stoccano i loro ordigni nucleari in Italia. L’altra è Aviano. A rivelare il ruolo dell’Italia nell’esercitazione è l’autorità in materia di armi nucleari americane in Europa: Hans Kristensen, direttore del Nuclear Information Project della Federation of American Scientists.
Kristensen è una sorta di detective atomico. Usando oscure pubblicazioni specialistiche e foto satellitari interpretate da analisti, tiene sotto controllo i cambiamenti che avvengono negli arsenali più segreti del mondo. Quelli atomici, appunto. “La Nato”, scrive Kristensen nella sua ultima pubblicazione, “ha annunciato che Steadfast Noon ha luogo nel sud dell’Europa, ma non ha identificato la base operativa principale. L’esercitazione viene ospitata ogni anno da una nazione diversa. L’anno scorso si è tenuta in Olanda e la base al centro di essa era Volkel. Il riferimento al sud dell’Europa implica che quest’anno si tiene in Italia ed è probabilmente centrata su Ghedi e Aviano, nel nord dell’Italia (Aviano l’ha già ospitata nel 2010 e nel 2013)”. Ma quali sono gli obiettivi di questa esercitazione? Addestrare i piloti dei cacciabombardieri che hanno la capacità di lanciare gli ordigni nucleari, come per esempio i nostri Tornado o gli F-16. L’Italia non è l’unico paese europeo ad avere armi atomiche americane sul proprio suolo. Il Belgio, la Germania e l’Olanda hanno ciascuna una base nucleare, l’Italia, invece, ne ha due. E ospita il numero più alto di ordigni rispetto a tutte le altre nazioni europee.
Quanti? Trentacinque, secondo le ultime stime di Hans Kristensen: 20 ad Aviano e 15 a Ghedi. Un numero, questo, che è sceso sensibilmente, se si considera che nel 2000 a Ghedi ce ne erano 40. Entrambe le basi stanno subendo notevoli lavori di ammodernamento. Informazioni precise non ce ne sono, ma ancora una volta, usando le foto satellitari, Kristensen analizza i cambiamenti avvenuti. “Ghedi”, scrive l’esperto, “è attualmente oggetto di importanti lavori di ammodernamento per ricevere i nuovi cacciabombardieri F35-A, per installare le nuove recinzioni e ha completamente modernizzato il sistema di stoccaggio degli ordigni, (chiamato Weapon Storage and Security System, ndr) e il sistema di allarme Ac&D”. Kristensen scrive che questi interventi sono “destinati a supportare la funzione della base nella missione nucleare della Nato per i decenni a venire.
Gli F35-A, che cominceranno ad arrivare alla base nei primi mesi del 2022, hanno capacità nucleari molto più significative degli aerei Tornado che vanno a rimpiazzare”. E non solo gli aerei verranno rimpiazzati, ma anche le atomiche. Attualmente Aviano e Ghedi ospitano ordigni del tipo B61-3 e B61-4, che verranno sostituite con le bombe B61-12, “circa tre volte più accurate delle bombe attualmente stoccate nelle due basi”.
L’aumento della precisione di questi ordigni non è, purtroppo, una buona notizia: a partire dal bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki, intorno alle armi nucleari si è creato un tabù, tanto che non sono mai state più usate in combattimento, proprio perché possono sterminare centinaia di migliaia di persone, se non causare l’annientamento della specie umana. La possibilità di avere ordigni più piccoli e più precisi aumenta anche il rischio che il tabù nucleare possa venir superato e che il mondo possa di nuovo conoscere massacri alla Hiroshima.
L’ultima arma dei Talib: twitter
Sono centinaia i tweet che i rappresentanti dei talebani hanno inviato dopo la conquista di Kabul il 15 agosto scorso. I talebani di oggi, rispetto a quelli che governavano l’Afghanistan nella seconda metà degli anni Novanta, quando ancora non esistevano i social media, non solo sanno usare le nuove tecnologie in termini tecnici, ma anche tattici e strategici. Martine van Bijlert, co-fondatrice di Afghanistan Analysts Rete, ha detto che i loro post sui social media indicano una “strategia di coinvolgimento dei media intenzionali allo scopo di trasmettere un messaggio di legge e ordine, destinato a rassicurare e intimidire in egual misura”. Nei loro tweet destinati alla platea domestica, i ministri talebani scrivono nella lingua dell’etnia pashtun, cui appartengono e che è la più popolosa del Paese, o in dari, mentre in quelli rivolti all’audience straniera scrivono in inglese, ma per quanto riguarda i contenuti di entrambi non si riscontra mai un linguaggio scomposto, platealmente tirannico o che ammicchi alla violenza.
Sono diventati più scaltri perché ora il loro obiettivo principale è ottenere la legittimità da parte della comunità internazionale, tanto che vorrebbero avere un proprio rappresentante all’Onu. Un’analisi del Times ha rilevato che dal 9 agosto su Twitter e Facebook sono apparsi più di 100 nuovi account e pagine collegate ai talebani.
In un post elaborato per il Global Network on Extremism and Technology, Kabir Teneja, autore di “The ISIS Peril”, ha indicato le quattro principali voci dei talebani su Twitter: Zabiullah Mujahid (portavoce dell’Emirato Islamico), Muhammad Naeem (portavoce per l’ufficio politico di Doha), Suhail Shaheen (responsabile della comunicazione con i media di lingua inglese) e Amir Khan Muttaqi (ministro degli Esteri). Tutti assieme hanno un seguito collettivo su Twitter di oltre un milione di follower.
Questi quattro account insieme mostrano “che i talebani sono un gruppo accessibile, disposto a parlare, rispondere, mostrarsi al mondo, che è per lo più preoccupato di avvicinarli”, ha detto via email Teneja, che ha sede a Delhi, in India. Insomma, i talebani cercano di creare legittimità in tutti gli ambiti. Anche il ministro degli Interni, Serajuddin Haqqani – uno dei più oscurantisti e ostinati nel voler escludere le donne dal governo –, noto per essere legato ad al Qaeda e ricercato dall’Fbi per l’attentato all’hotel Serena di Kabul avvenuto nel 2008, (morirono anche cittadini americani), è attivo su Twitter. Nel suo ultimo messaggio ha postato le foto dell’incontro con i familiari di quelli che ha definito “martiri”, ovvero i talebani che durante questi 20 anni di “occupazione” Usa sono morti facendosi esplodere.
Le foto mostrano gli abbracci tra il terrorista-ministro e i parenti (solo quelli di sesso maschile), mentre nel testo oltre agli “eroi caduti” omaggia la guerra santa, il jihad, e promette aiuti ai familiari in vestiti, appezzamenti di terreno e 10mila lire afghane, che corrispondono a 111 dollari, come risarcimento. Il sottotesto è mostrare che la sua agenda non tollera gli “infedeli”. Nei loro ultimi tweet, i quattro ministri citati e i loro portavoce che si occupano di accreditare l’Emirato Islamico all’estero, hanno tenuto il diario degli incontri pressoché quotidiani tra i rappresentanti talebani e l’ambasciatore cinese, le delegazioni russe, turche, uzbeke, tajike e kazake. Lo scopo è informare l’Occidente che la superpotenza cinese e le potenze dell’area li hanno, di fatto, sdoganati e sono pronte a fare affari con il regime.
Abdul Qahar Balkhi, portavoce del ministro degli Esteri, ieri ha twittato sull’incontro tra il ministro e l’ambasciatore iraniano a Kabul, sottolineando che “la sfida economica è il nostro comune nemico che crea problemi a tutti i livelli”. L’Iran per questa ragione “è pronto a investire in energia”. Si tratta di un messaggio che mostra la vera preoccupazione del regime talebano, a corto di risorse energetiche, ovvero il collasso economico del Paese, ed è al contempo una provocazione nei confronti dell’Occidente che ha messo l’Iran sotto embargo. Inoltre, avrebbe l’intento di evidenziare la capacità diplomatica e le intenzioni positive dei talebani sunniti nei confronti del potente vicino sciita. Un altro tweet, molto condiviso, è quello di Zabiullah Mujahid, postato due giorni fa, in cui descrive la soddisfazione del vice primo ministro, Mawlawi Hanafi, per l’incontro a Mosca con i rappresentanti di Russia, Cina e Pakistan. Nel testo si enfatizza che “la troika unirà gli sforzi per scongelare le riserve bancarie dell’Afghanistan”. Un altro enorme problema per la tenuta del regime talebano.
Mail box
I partiti devono tornare a occuparsi delle persone
La politica deve riprendersi i suoi legittimi spazi per non lasciarli agli scorrazzamenti delle corporazioni e dei loro interessi particolari. È la politica a doversi occupare e determinare il nostro futuro, non i Bonomi di turno. E la politica la dobbiamo condizionare nel momento del voto, senza chiamarci fuori, per poi iscriverci all’ininfluente catalogo dei troppo distratti, dei menefreghisti, dei “mormoranti” o dei professionisti della lamentela.
Melquiades
“Se B. sale al Colle, chiedo asilo in Ue”
Partendo dal presupposto che molti non vogliono B. come presidente della Repubblica; se mai dovesse accadere, lancio la proposta di presentare domanda di rinuncia alla cittadinanza italiana e chiedere cittadinanza europea.
Sergio Fontanarosa
Cos’è il giornalismo? Lo spiega Dagerman
La qualità del lavoro esercitato da certi giornalisti ha raggiunto livelli preoccupanti. A tal proposito, mi sembra appropriato quanto stigmatizzò lo svedese Stig Dagerman già nel 1946: “Il giornalismo è l’arte di arrivare troppo tardi il più in fretta possibile”.
Max Rizzotto
La politica e il dissenso dal dopoguerra a oggi
Nell’articolo “Meloni & C. state buoni”, Massimo Fini afferma: “Quel che colpisce è il reciproco garbo… che vale anche, in larga misura, nell’arengo pubblico. La Tribuna politica condotta da Jader Jacobelli non era una rissa come avviene nei talk di oggi… il gossip politico, tanto in voga oggi per screditare l’uno o l’altro, non esisteva. A loro volta gli uomini politici avevano il buon senso e il buon gusto di essere riservati”. Tutto vero, ma purtroppo a livello popolare le cose andavano in un altro modo: 135 manifestanti uccisi dalla polizia dal maggio 1947 al 1972, decine di migliaia di licenziamenti che colpivano chi protestava, fossero essi comunisti, socialisti, sindacalisti o no, un clima intimidatorio che soffocava il dissenso. Cito un fatto piccolo piccolo di fronte a tragedie come la perdita del lavoro: nella mia cittadina, nel 1967 – uscì un manifesto contro la guerra del Vietnam firmato da tre professori e due studenti del liceo classico (uno era il più bravo di tutto il liceo e l’altro era mio fratello): ebbene, molti che incontravano mio padre si lamentavano con lui: “Ma tuo figlio, così bravo, si immischia in queste cose…”, al che papà rispondeva che suo figlio aveva la testa, che fino a prova contraria era libero di parlare e che si fidava di quanto faceva. Anche oggi, purtroppo, a livello popolare non è calma piatta, ma le lettere, anzi le email di licenziamento fioccano e in tutti i posti di lavoro si è sottoposti a ricatti, a umiliazioni, a soprusi.
Carlo Zaccari
Diritto di replica
In merito agli articoli di venerdì – “Eni pagò 92 milioni di euro alla società legata ad Amara” e “Avevo entrature in ambienti renziani tramite Lotti, Bacci, Tiziano e Verdini” –, a firma di Gianni Barbacetto e Antonio Massari, Eni precisa che: 1) Claudio Granata conobbe Amara dopo la nomina di Claudio Descalzi; 2) Granata mai diede mandati occulti di registrare Armanna il 28 luglio ’14 o altrimenti. L’altro video del 18 dicembre ’14, ottenuto dalla procura di Roma a luglio ’21, conferma la genuinità fattuale ed ideologica del video di luglio, l’interesse economico di Armanna e la condivisione di Amara; 3) Gli avvisi di garanzia a Eni e Armanna per OPL 245 sono di luglio ’14: a marzo non esistevano indagini su Eni o gli Ad (notificati nell’autunno, dopo le dichiarazioni di Armanna ai pm del 30 luglio ’14); 4) Il secondo video (da mesi a mani di Milano) riconnette poi le attività del clan Amara a Trani e Siracusa, legate al defenestramento di Umberto Vergine (a detta di Amara, in lizza nella primavera del ’14 al posto di Descalzi), a propri referenti “nemici giurati” dello stesso e ben diversi da Descalzi o Granata; 5) Eni (lo ripete all’infinito) ha denunciato a Milano la società Napag da oltre 27 mesi con prove certe e inequivocabili delle truffe subite, indicandone tempi, modi e responsabili; 6) La Fenog operava in Nigeria con Eni anni prima degli eventi. Vincenzo Armanna lavorò in Nigeria e divenne consulente di Fenog in modo occulto e ad insaputa di Eni (sta negli atti del processo OPL 245). Un Direttore di Fenog ebbe inoltre rapporti con ex manager infedeli di Eni. Eni da lungo tempo ha chiuso i rapporti con Fenog ed agito contro la stessa in diversi arbitrati. Secondo la stampa, infine, il direttore di Fenog avrebbe ricevuto da Armanna le risposte da fornire alla rogatoria dalla Procura di Milano.
Si noti, evento di inaudita gravità, che la pubblicazione dei recenti verbali consente un coordinamento dichiarativo tra Amara, detenuto, e altri indagati suoi sodali.
Ufficio stampa Eni
Prendiamo atto delle precisazioni di Eni, riguardo alle quali evidenziamo che abbiamo utilizzato atti processuali rispetto al cui contenuto, come sempre, non abbiamo preso alcuna posizione, in attesa che sia l’Autorità giudiziaria a pronunciarsi. Abbiamo segnalato – giusto per fare un esempio – che Eni ha sempre smentito l’esistenza del “patto della Rinascente”, così come abbiamo segnalato – giusto per fare un altro esempio – che ha persino preso provvedimenti contro un suo dipendente, proprio per le vicende legate a Napag. Riguardo, infine, all’accusa calunniosa di aver pubblicato atti che potrebbero consentire ai testi di accordare le proprie versioni, non solo la respingiamo radicalmente, ma evidenziamo l’ovvio: si tratta di atti depositati alle parti, non più segreti, quindi pubblici.
G. B. e A. Mass.
I nostri errori
Nell’articolo di ieri, “L’oligarchia draghiana sogna di abolire il voto”, ho perpetrato un refuso, nella frase: “L’oligarchia non ha bisogno di energia esterna per perpetrarsi”. Naturalmente il verbo giusto è “perpetuarsi”. Me ne scuso con i lettori e con l’oligarchia.
DR
Vogliamo Liliana Segre al Quirinale
“Potete per favore indire una petizione affinché Berlusconi non diventi presidente della Repubblica?”.
Lettera al “Fatto Quotidiano”
Possiamo fare molto di più. Possiamo candidare Liliana Segre e indire una petizione rivolta alla generalità delle forze politiche presenti in Parlamento perché la votino come candidato di bandiera, non di una parte ma di tutti. Liliana Segre come simbolo universale della Resistenza umana contro il male assoluto nazista e fascista. Liliana Segre perché vittima della persecuzione contro gli ebrei italiani e delle infami leggi razziali. Liliana Segre perché superstite dell’Olocausto dopo essere stata deportata e rinchiusa nel campo di Auschwitz-Birkenau. Liliana Segre perché nominata senatrice a vita dall’attuale presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, “per avere illustrato la patria con altissimi meriti nel campo sociale”; e dunque perché presente in un ruolo di assoluta preminenza al vertice delle istituzioni repubblicane. Liliana Segre perché testimone della Storia, assai amata e ascoltata dai giovani. Liliana Segre perché è una donna. Conosco l’obiezione: Liliana Segre ha 91 anni, si è ritirata a vita privata poiché le incombenze della vita pubblica sono troppo gravose e dunque andrebbe lasciata in pace. Certamente, e proprio per questo motivo potrebbe essere indicata come candidata di bandiera, che è cosa diversa rispetto alle candidature politiche. Scelta che in tutte le precedenti elezioni presidenziali, nei primi scrutini, ha sempre rappresentato l’omaggio a una personalità condivisa di questa o di quella parte politica. Sarebbe bello che nel caso di Liliana Segre, nell’omaggio e nella condivisione, si riconoscesse l’intero Parlamento.
Antonio Padellaro
“Aurore”: la tempesta francese in tedesco si chiama “Heinrik”
In Italia – A scalfire la bella ottobrata che ha segnato la metà del mese su molte Regioni, giovedì 21 è intervenuta la depressione nord-atlantica battezzata “Aurore” secondo la nuova nomenclatura di Météo France (“Heinrik” stando invece a quella dell’Istituto di Meteorologia dell’Università di Berlino, in vigore dal 1954). Mentre la tempesta spazzava il Nord della Francia, il libeccio che la precedeva ha prodotto molta pioggia sui soliti luoghi che in queste situazioni ricevono diluvi, ovvero i rilievi tra Liguria di Levante e alta Toscana, che essendo perpendicolari al vento da Sud-Ovest generano lo sbarramento orografico dell’aria umida marittima. Fino a 115 mm sono piovuti sulle Alpi Apuane, ma senza conseguenze data l’abitudine di quei territori a precipitazioni tra le più copiose d’Italia (anche più di 3000 mm all’anno, oltre il triplo che a Milano). Vento e un po’ di pioggia hanno ripulito l’aria nelle valli alpine ma non in Valpadana, dove venerdì l’atmosfera era sempre carica di polveri sottili sopra la soglia malsana di 50 microgrammi al metro cubo, oltre che di ossidi di azoto. Dapprima caldo sulle isole, 28 °C giovedì a Olbia sotto il richiamo di correnti nord-africane, poi venerdì nubifragi hanno causato allagamenti e piccole frane in Sicilia sud-orientale, e al Sud il tempo perturbato si rinnova anche oggi mentre la bora soffia sull’Adriatico.
Nel mondo – Tra mercoledì e giovedì la tempesta “Aurore”, la prima dell’autunno, ha dunque fatto molti danni e ha perturbato il traffico ferroviario in Francia settentrionale, scatenando venti a 175 km/h in Normandia. Poco prima un’anomala vampata calda aveva invaso il continente con punte di 32,7 °C a Siviglia ma anche 25 °C in Austria e Repubblica Ceca, intanto i venti da Sud-Ovest sospingevano il pennacchio di biossido di zolfo emesso dal vulcano Cumbre Vieja (Canarie) perfino sulla Danimarca, ricordandoci che l’atmosfera non ha confini. Improvvisamente è arrivato il freddo nell’Est asiatico dopo una prima metà di ottobre eccezionalmente calda in Cina, Corea e Giappone, mentre almeno fino a inizio novembre persisteranno straordinarie condizioni tardo estive nella parte centro-orientale del Nord America: dieci giorni fa a Detroit c’erano ancora 26 °C anziché i 17 °C normali, e l’anomalia termica del periodo 1-15 ottobre, inaudita, è stata di ben +7 °C! Forti piogge dal Pacifico stanno attenuando siccità e incendi in California, minacciando però dissesti sui versanti montuosi denudati dal fuoco. Alluvioni e frane hanno causato una trentina di vittime in Nepal, e il Bureau of Meteorology australiano segnala la caduta di grandine gigante da 16 cm di diametro martedì 19 ottobre nel Queensland, nuovo record di dimensione dei chicchi di ghiaccio per il continente. Il World Energy Outlook 2021 diramato dalla International Energy Agency sottolinea quanta strada ci sia ancora da fare per allineare all’obiettivo globale di zero emissioni nette al 2050 gli attuali piani climatici ed energetici nazionali: questi coprono infatti meno di un quinto delle riduzioni di emissioni serra che sarebbero necessarie. D’altra parte il programma ambientale Onu (Unep) nel Production Gap Report 2021 denuncia il comportamento contraddittorio dei governi, che continuano a pianificare produzioni di combustibili fossili al 2030 più che doppie rispetto a quanto sarebbe tollerabile per mantenere il riscaldamento globale a +1,5 °C. Inoltre, se oggi il clima terrestre è in codice rosso è anche per colpa di decenni di campagne di disinformazione appositamente finanziate da compagnie petrolifere quali Total ed Exxon per azzoppare la scienza climatica e le politiche ambientali, come attestato nell’articolo Early warnings and emerging accountability, su Global Environmental Change. Tempo prezioso andato perduto.
Gesù e il cieco. La vita è in cammino, non stare parcheggiati sul marciapiede
Marco ci stupisce scrivendo di Gesù e dei suoi discepoli: E giunsero a Gerico. Mentre partiva da Gerico… Gesù arriva e parte: è un unico gesto. Il racconto non interpone evento né parola tra arrivo e partenza. Perché quel che conta non è quel che fa il Maestro, né quel che fanno i suoi discepoli, Né che cosa fa la folla. Tutto è sfocato sullo sfondo. Perché sotto gli occhi dei riflettori, ben messo a fuoco, è un uomo che sedeva lungo la strada a mendicare. Ci viene detto che si chiama Bartimeo, figlio di Timeo.
L’uomo è cieco. È seduto. È lungo la strada. Mendica. Ogni dettaglio sulla sua identità ci è svelato in un crescendo. Ma la cosa più importante, la prima che ci viene detta, è che ha un nome e un cognome. Non capita sempre così nel Vangelo. Pensiamo al “giovane ricco” che se ne andò triste: resta anonimo: è “un tale”. Che fa quest’uomo? Niente: è fermo, cieco, e messo al margine dei traffici sulla strada, della quale pure ode i suoni. È muto, passivo, sta ad ascoltare la vita che freme attorno a lui, e che con nonchalance lo esclude. Sta seduto. Bartimeo sente che era Gesù Nazareno. Non sa dov’è, ma sa che c’è. Qualcuno ne sta parlando. Deve essere lungo la strada. Improvvisamente quest’uomo seduto comincia a gridare e a dire: “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!”. Bartimeo era tollerato. Se ne stava buono e in disparte. Sentendo che Gesù era lì da qualche parte, ha una scossa ad alta tensione. Salta il bon ton da mendicante e comincia a gridare. Non è l’urlo di Munch. Non c’è disperazione, ma desiderio di rompere il silenzio ed essere considerato. La gente comincia a rimproverarlo perché tacesse: non si urla così in mezzo alla strada. Ma l’effetto su Bartimeo è quello della disperazione per vincere le forze che lo riducono al silenzio. Si sta giocando tutto. Con testardaggine. Il risultato fu che egli gridava ancora più forte: “Figlio di Davide, abbi pietà di me!”. Gesù parte. Bartimeo è fermo, seduto, immobile. Gesù passa. Bartimeo grida. Gesù si ferma. Bartimeo ottiene quel che vuole: fermare Gesù. La reazione del Maestro non è di disorientamento né di curiosità. Non si accosta. Ma Bartimeo è cieco e non sa dove andare. Gesù dovrebbe andare da lui. Non lo fa. Si ferma, ma non si muove. Semplicemente dice: “Chiamatelo!”. Gesù è fermo. Bartimeo è fermo. Ciascuno resta dov’è. Qualcuno allora chiama il cieco. Sappiamo che c’è la folla attorno a Gesù. Immaginiamo la curiosità, il passaparola. Marco non lo registra. Annota solamente una voce calda che invita Bartimeo ad alzarsi: “Coraggio! Àlzati, ti chiama!”. A questo punto il focus è nuovamente sul figlio di Timeo: gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Sappiamo una cosa in più: era coperto da un mantello. Una specie di coperta di Linus? Una casa ambulante? Il cieco ora non sa più che farsene: lo getta per aria. Non si alza, ma balza in piedi. L’energia fa esplodere la situazione in verticale mentre fino a questo momento era tutta in orizzontale. Gesù lo soccorre chiedendogli di scuotersi, ma senza avvicinarsi. Una volta che Bartimeo fu davanti a lui è ancora più esigente e gli chiede: “Che cosa vuoi che io faccia per te?”. È ovvio, ma il cieco deve riconoscere e soprattutto dire il suo desiderio. E il cieco gli rispose: “Rabbunì, che io veda di nuovo!”. Adesso scatta la salvezza, la guarigione. E subito vide di nuovo. E che cosa accade? Che prima Bartimeo sedeva lungo la strada, e adesso invece seguiva Gesù lungo la strada. La differenza è tutta qui: essere parcheggiati sul marciapiede, esclusi dalla vita, oppure farne parte in piedi, camminando.