Ecco la fascistizzazione dell’Europa e dell’Italia

Forse qualcuno, tra i lettori, ricorda il tempo non remoto in cui la Rai (Rai3) esigeva che al Concertone del Primo Maggio, nessuno dal palco intonasse o accennasse l’aria di Bella Ciao (piccola, popolarissima canzone, simbolo per molti della Resistenza), pena l’esclusione dai programmi Rai. La fascistizzazione dell’Italia era già cominciata.

Erano i tempi in cui il presidente del Consiglio (Silvio Berlusconi, vedi alla voce “il fatto non sussiste” e “Quirinale”) si faceva un vanto di non avere mai partecipato a una celebrazione del 25 Aprile (la data della Liberazione dell’Italia dall’occupazione tedesca e dai collaborazionisti fascisti detti anche, 70 anni dopo, “patrioti”). I due riferimenti ci servono per ricordare il riguardo e la cautela che media e leader politici dell’Italia repubblicana hanno spesso riservato ai fascisti, anche quando si presentavano da fascisti (ricordate lo sgombero di famiglie rom da case legittimamente ottenute, condotto dalla polizia su richiesta degli inquilini e sorvegliato da unità fasciste ben visibili e identificate). Certo, può accadere che un candidato sindaco di Roma (il candidato del primo partito del Paese, almeno nei sondaggi) dica che si parla tanto di Shoah e poco di foibe perché gli ebrei possiedono tutte le banche e dirigono tutta l’economia del mondo. Ma attenzione: vietato indignarsi.

“L’antifascismo è diventato una categoria vuota o tutt’al più pericolosa. Vuota perché la guerra è finita, il fascismo è stato sconfitto e non c’è nessuna possibilità che risorga (come dimostrano Polonia e Ungheria, ndr). Pericolosa perché qualunque manifestazione di pensiero che si allontani dalla ortodossia progressista viene bollata come fascismo. E in tal modo si esercita una indebita prepotenza verso chi la pensa diversamente”. Così parla il sociologo Luca Ricolfi (Il Messaggero, 16 ottobre), aggiungendo una autorevole voce ai tanti parlamentari e partiti di governo, che dall’argomento che imbarazza tanti preferiscono, e preferiranno anche questa volta, stare alla larga. E la fascistizzazione continua. Sono i giorni in cui Rachele Mussolini dice, da fascista doc e senza scandalo: “Io il 25 Aprile festeggio solo San Marco”.

C’è un modo per diluire il problema “fascismo” che non se ne va e tornerà prestissimo. Lo ha inventato con successo Silvio Berlusconi che vi ha impiantato tutta la sua carriera. Sono i comunisti. Non esistono ma vanno benissimo nella parte del grande nemico, dopo la caduta del Muro e l’avvento – con qualche avventura intermedia – dell’amico Putin, personalmente legato a tutta la destra europea e italiana. La non esistenza in vita dei comunisti favorisce molto la continua evocazione di una colpa mai espiata, contro cui la lotta non è mai finita.

È vero che il comunismo, quando esisteva, ha contribuito come forza essenziale ad abbattere fascismo e nazismo (vedi battaglia e vittoria di Stalingrado) e perciò è naturale l’irritazione. Resta il fatto che “dopo la caduta” i post comunisti hanno preso distanze immense da se stessi, hanno simpatizzato poco con gli antifascisti (di cui avrebbero dovuto essere la loro spina dorsale) e li hanno presto ammoniti a non essere “anti-berlusconisti viscerali” quando denunciavano le continue violazioni della Costituzione e delle leggi repubblicane del gruppo politico e finanziario di Berlusconi, dal fisco alla mafia.

Resta un mai studiato materiale umano che all’occorrenza viene buttato in scena, per ottenere un’utile confusione. Sono gli anarchici, un lungo corteo che, ai nostri giorni, si apre con Pinelli (sospetto stragista della Banca dell’Agricoltura, morto prematuramente prima di poter rendere testimonianza) fino ai ragazzi dei centri sociali, fuori-sacco di una Repubblica che perde sbadatamente i suoi pezzi. Qui si situa una parte importante dello scontro di cui i fascisti sono in cerca: emigranti e rifugiati. È una storia facile. Basta affidare la custodia ai libici, e muoiono in prigioni spaventose; basta non rispondere elle chiamate di soccorso (o bloccare le Ong) e muoiono in mare; basta negare loro l’iscrizione all’anagrafe e diventano fuorilegge; basta lasciare sul banco degli uffici delle prefetture le loro domande di permesso di soggiorno, e diventano clandestini; basta negare la cittadinanza ai figli e diventano estranei, senza futuro, senza lavoro; basta una infrazione minima e riempiono le carceri; basta condannare un sindaco povero che ha accolto tutti, magari sbagliando, a una pena da reato di mafia, e nessuno si sognerà di ripetere l’errore. Infatti, visto ciò che può accaderti se sbagli, l’Europa diventa un continente di muro e di filo spinato. Porterà lacerazione, non solo dei profughi, ma anche di ognuno dei Paesi che si stanno avviando verso la fascistizzazione.

 

Musici, belle donne e letti da condividere con gli sconosciuti

Dai racconti apocrifi di Robert Walser. La moglie del borgomastro di Friburgo, una creatura tanto affascinante quanto meteorologica, si era invaghita di un giovane maestro di cappella che ogni tanto vedeva seduto al caffè nella piazza della Cattedrale; e quando finalmente si trovò a conversare con lui, che le aveva rivolto un complimento (“Non ho mai incontrato una donna bella come lei, signora!”), lo giudicò così affascinante che prese a sognarselo di notte. Il matrimonio con il borgomastro l’aveva delusa quasi subito: il marito, un uomo dalla mente pratica, si era rivelato del tutto privo di spirito, pedante, noiosissimo: e lei aveva deciso che, alla prima occasione, si sarebbe scapricciata con qualcun altro, purché si fosse dimostrato divertente. Lo disse al giovane musicista, e questi, che ne era già innamorato, accettò la sfida. “Mi proponga la prova più dura” le disse. “Non la deluderò”. “Molto bene” disse la moglie del borgomastro. “Lei è un musicista, e a mio marito la musica piace. Gli dirò che mi accompagni da lei, nella sua villetta in collina, per ascoltarla al pianoforte”. “E la prova qual è?”. “Mio marito è gelosissimo. Se lei riuscirà a fare l’amore con me prima che ce ne andiamo, diventerò la sua amante con gioia”.

Il compositore ponderò a lungo il problema, e finalmente ebbe un’idea. Convocò un amico e gli spiegò il da farsi. La sera prevista, mentre il borgomastro e sua moglie, arrivati alla villa, stavano smontando da cavallo, i due amici inscenarono un litigio all’ingresso: urlavano, si strattonavano, si tiravano i capelli, finché il giovane compositore, afferrato un bastone da passeggio, cominciò a percuotere la schiena dell’amico, che a quel punto se la diede a gambe, recitando la sua parte alla perfezione. “Mi dispiace di essere arrivato in un momento inopportuno”, disse il borgomastro. “I casi della vita” disse il giovane musicista dandosi una sistemata, e facendoli accomodare. “Come avrà capito, signor borgomastro, io sono uno di quegli uomini che non sono attratti dalle donne. Preferisco la compagnia degli uomini. Stavo litigando col mio fidanzato perché mi ha rivelato un suo tradimento. Si è innamorato di una donna”. “Ah, questa poi!” esclamò il borgomastro. In quella, un trambusto li richiamò fuori: l’amico del giovane compositore stava cacciando via i cavalli del borgomastro e della sua signora. “Così impari a bussarmi” disse al padrone di casa. “I tuoi ospiti non potranno andarsene, stanotte, senza cavalli. Spero che la cosa ti imbarazzi come le tue bastonate hanno imbarazzato me!”. La moglie del borgomastro trattenne a stento la risata: “Che bella burla!”. pensava. E ammirò la perizia da istrione con cui il giovane musicista esibiva il proprio disagio, quasi non sapesse come scusarsi con i suoi ospiti dell’incidente increscioso. “Non se ne dia cruccio” gli disse il borgomastro. “Cosa fatta, capo ha. L’unico problema è come ci sistemiamo qui per la notte. Ci sono letti per gli ospiti, in casa?” domandò al compositore. “Ha solo due letti” disse l’amico. “Uno per me e uno per lui. E io non ho alcuna intenzione di dormire con quel pazzo!”. Il borgomastro ponderò per un attimo il problema. Sua moglie di certo non poteva dormire con quello, visto che gli piacevano anche le donne. Propose quindi la soluzione: “E allora che ne direbbe, giovanotto, di condividere il letto con me? Mia moglie dormirà col signor musico”. Tutti d’accordo, dopo il concerto i quattro si ritirarono nelle camere stabilite, e il musicista concesse alla moglie del borgomastro parecchi bis. Morale: puoi trovare una donna che si schermisce, se le dici che è la donna più bella del mondo; ma anche lei ci crede subito, se le dichiari che non hai mai incontrato una donna bella come lei.

 

Legge bocciata dagli elettori: allora votare è stato inutile?

Forse è per questo motivo che l’ex ministra Fornero imperversa sugli schermi dei principali talk-show. Perché non se n’è mai andata davvero. E quindi può tornare a terrorizzare i destini di chi per vivere deve lavorare. Qualunque sia la mediazione che il governo si appresta a realizzare sul dossier pensioni, la sostanza sarà solo quella indicata l’altroieri da Mario Draghi: “Si torna alla normalità, che è quella che c’era prima”. La Fornero, appunto.

Dei guasti del governo Monti, la riforma pensionistica rappresenta il fiore all’occhiello, la gemma più preziosa. Sotto la costante spinta dell’allarme previdenziale – ma non si fanno mai i conti con il peso della spesa assistenziale, con l’incidenza della tassazione, con le mille storture accumulate in mezzo secolo di gestione clientelare oltre che con le vite vere di chi lavora un’intera vita – l’idea che si dovessero mettere sotto controllo i conti dell’Inps fu il faro di quella disastrosa esperienza di governo.

Chiunque capisca la politica e segua con serietà i movimenti della società capisce bene che il boom del M5S nel 2013 e poi l’exploit giallo-verde del 2018 avevano le loro radici nella gestione tecnocratica e liberista dei governi che si sono succeduti da Monti fino a Renzi. Invece, soprattutto a sinistra, si tende a riassumere il senso del governo giallo-verde solo nella sciagurata politica dei decreti sull’immigrazione dimenticando che quei due partiti avevano vinto le elezioni, anche perché uno proponeva il Reddito di cittadinanza e l’altro Quota 100. Misure premiate dalla maggioranza assoluta degli elettori – stanchi di decenni di politiche votate all’austerità – e ora, in coerenza con la a-democraticità dei governi tecnici, cancellate con un colpo di penna.

Un solo bob non basta: faccia pure il ministro

Altra rassegna stampa trionfale per Roberto Gualtieri, il nuovo sindaco di Roma, il Bob aggiustatutto della Capitale. Scoppiano ovunque titoli gioiosi sulla pace ritrovata tra Regione e Comune (cioè tra Zingaretti e Gualtieri; quello che ha rifiutato la candidatura al Campidoglio e quello che ha raccolto il rifiuto del primo). Ma il pezzo fondamentale è sul Corriere della Sera edizione romana, un appello accorato con questo titolo: “Al sindaco un posto nel governo”. Come avrebbe detto un giovane Stefano Accorsi, Du Bob is megl che uan: “Roberto Gualtieri, un curriculum da economista: manager dell’Europa, ministro. Insomma, un competente (…). E forse è venuto il momento nel quale lo Stato stabilisca che il sindaco della Capitale partecipi alle riunioni del governo (…), agli incontri nei quali i ministri prendono decisioni economiche e sociali. In cui la voce di Roma possa essere ascoltata dall’intero Paese e diventi moralmente vincolante”. Ce lo dice il Corsera: un solo Gualtieri non basta, sarebbe uno spreco, aggiungete un posto a Palazzo Chigi. Bob può aggiustare tutto anche lì.

Calenda apre a tutti, contiene moltitudini

Carlo Calenda è quotidiano e ubiquo: ieri – dall’alto del 2% che gli accredita l’ultimo sondaggio di Pagnoncelli – ha dettato la linea alla politica italiana da tre giornali diversi, contemporaneamente: la Stampa, Il Giornale e La Nazione. Sono le interviste numero 9, 10 e 11 negli ultimi 20 giorni, e solo sulla carta stampata. L’aspetto più affascinante è che in ognuna delle tre interviste, Calenda dice una cosa diversa. Col Giornale sostiene “mai con Conte”, alla Nazione dichiara “mai con i populisti”, alla Stampa assicura che “si può collaborare con la parte buona dei Cinque Stelle, quella governista” (quindi Conte). Le sue formule alchemiche sul centrosinistra prossimo venturo si alternano come l’alba e il crepuscolo, non si fa in tempo a stargli dietro. Venerdì su Repubblica teorizzava una coalizione Draghi forever da Bersani a Giorgetti (dentro un pezzo di Lega). Ieri, invece, sulla Stampa ha disegnato una coalizione altrettanto volenterosa, ma aperta persino agli odiati grillini, almeno quelli più carucci (dentro un pezzo di M5S). Chissà che succede domani: di questo passo, entro una settimana, Calenda aprirà anche all’ala riformista di Forza Nuova.

Modena e Ragusa, due morti sul lavoro

Incidente mortale a Soliera (Modena) dove un operaio di settant’anni ha perso la vita cadendo dal tetto di un’officina. A quanto si apprende, la vittima lavorava per una ditta esterna che si occupa proprio di manutenzione dei tetti. Da una prima ricostruzione pare abbiano ceduto alcuni pannelli di amianto che l’operaio stava ispezionando. Seconda vittima a Comiso, nel Ragusano, dove un muratore è precipitato dopo essersi sporto in avanti forse nel tentativo di aprire e liberare la cassetta dell’impianto del metano, dove si erano piazzati alcuni piccioni. L’uomo stava eseguendo dei lavori di ristrutturazione in un piccolo immobile nel centro storico del paese.

Vassallo, la pista colombiana “Omicidio deciso dai narcos”

Cartajena de Indios, febbraio del 2013. Una guida turistica della provincia di Napoli, E. L., sposato con una signora colombiana, come ogni inverno si trova in Colombia per qualche settimana. Incontra un vecchio amico italiano, Pietro, trasferitosi lì dopo la pensione. Si siede al tavolino di un’enoteca e così, per puro caso, fa la conoscenza di un uomo dal forte accento calabrese, già seduto con Pietro. Si chiama Nicola. Il colloquio sulle comuni origini italiane e meridionali devia presto sul racconto delle infiltrazioni della mafia colombiana in Italia, sul perché in Colombia l’euro, al contrario del dollaro, viene cambiato clandestinamente in pesos con un margine molto inferiore al tasso ufficiale.

“In Colombia entrano quantità impressionanti di euro ‘sporchi’ da riciclare, sono il frutto del traffico di cocaina in Italia, c’è una base logistica nel porto di Salerno” dice Nicola davanti a un bicchiere. Poi aggiunge: “Ecco perché il sindaco di Pollica, Angelo Vassallo, fu ucciso. Fu una decisione, in accordo con la ’ndrangheta calabrese, del cartello paramilitare del narcotraffico colombiano, capeggiato da Salvatore Mancuso Gomez”. Ammiccando al fatto che Vassallo era un ostacolo per chi stava provando a trasferire le basi di quel traffico da Salerno, piazza compromessa per varie ragioni, ai porticcioli e alle insenature del Cilento: Acciaroli, Pioppi, Agnone, Casalvelino. Luoghi più tranquilli, meno controllati.

E. L. lasciò passare in cavalleria quelle che sembravano chiacchiere da bar. Vassallo fu ucciso il 5 settembre 2010 con 9 colpi di pistola esplosi da una baby Tanfoglio 9×21, e la sua storia era caduta nel dimenticatoio. E. L. torna a rimuginare la confidenza soltanto molti anni dopo. Tra fine agosto e inizio settembre del 2020, quando i giornali pubblicano notizie sulla mancata estradizione in Italia di Salvatore Mancuso Gomez, il “comandante supremo” delle Autodefensas Unidas de Colombia (Auc) detenuto negli Usa.

Il boss colombiano, padre originario di Sapri, con doppia cittadinanza, è stato al centro anche di numerose inchieste sui traffici di coca tra la ’ndrangheta e i “paracos” delle Auc. Il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri voleva ascoltarlo ancora, dopo averlo torchiato per sette ore una decina di anni fa a Washington sui rapporti mantenuti con la ’ndrangheta. Trascorso tanto tempo, condannato in Colombia per 1500 omicidi e impaurito dalla prospettiva di essere deportato lì, Salvatore Mancuso aveva fatto trapelare le stesse intenzioni: “Vorrei incontrare di nuovo Gratteri, ho molte cose da dire”. Ma l’estradizione in Italia è stata bloccata.

E cosa c’entra tutto questo con l’omicidio Vassallo? Potrebbe perché c’è un dettaglio che all’epoca del colloquio al bar di Cartajena era sconosciuto a E. L. e a chiunque non fosse un “addetto ai lavori” criminali. Un dettaglio che compare per la prima volta solo in un’informativa dei carabinieri del Ros datata 2014: Domenico Mancuso Hoyos, uno dei capi dell’esercito narco-paramilitare e cugino del boss Salvatore Mancuso, negli anni a cavallo del delitto Vassallo ha vissuto a Casalvelino, a meno di dieci minuti da Pollica, e faceva base a Salerno. Circolava in Italia con documenti italiani. Fu arrestato a Imperia nell’agosto 2014. Era ricercato dall’Interpol per 132 omicidi. Mancuso, esponente di un cartello del narcotraffico che ha stretti rapporti con i clan calabresi, tra cui quello di Franco Muto che ha vissuto per un periodo a Pollica, si sarebbe trovato a pochi chilometri dal luogo del massacro di Vassallo. Una coincidenza troppo interessante per non svilupparla.

Il Fatto ha rintracciato E. L. e gli ha chiesto il perché di tanti anni di silenzio sull’episodio di Cartajena: “Il ‘calabrese’, di nome Nicola ma non ne sono sicuro al 100%, mi diede l’impressione di essere un po’ gradasso e presuntuoso e perciò non lo presi in considerazione. Di solito i calabresi parlano poco, questo parlava senza che io gli avessi chiesto nulla. Ma fatti e vicende successive potrebbero secondo me dargli ragione”. Si può risalire a dove sia e cosa fa ora questo Nicola? “Purtroppo non saprei. Me lo ricordo come una persona smilza, di età apparente tra i 50 e i 60 anni, magro e capelli grigi pettinati all’indietro. Pietro, il mio amico, che lo conosceva e forse poteva essere d’aiuto, è morto due anni fa”.

E. L. ha già incontrato Dario Vassallo, che da undici anni si batte per non far spegnere i riflettori sull’omicidio del fratello, per informarlo dei ricordi di Cartajena. Dario Vassallo ne ha fatto menzione al gruppo di lavoro della commissione parlamentare antimafia che da maggio, con la guida del deputato M5S Luca Migliorino, sta indagando sul caso. Dalle varie audizioni sarebbe emerso che più persone ascoltarono un’automobile sgommare ad alta velocità subito prima e subito dopo gli spari. Forse l’auto che partecipò all’agguato, che con le sue manovre potrebbe aver costretto Angelo Vassallo a deviare il tragitto e a fermarsi dall’altro lato della strada, contromano. A poca distanza da un silos dove un killer potrebbe aver atteso per ore senza essere visto da nessuno.

Se fosse andata così, sarebbe stata un’operazione militare in piena regola. E c’è un’altra domanda che si impone: altri sospettati hanno vissuto a Casalvelino in quegli anni?

Verbania, la Gip del Mottarone diventa presidente del Tribunale

Donatella Banci Buonamici, il giudice del caso del Mottarone finita sotto indagine disciplinare del Csm, diventa presidente facente funzione del tribunale di Verbania: l’attuale presidente Luigi Montefusco va in pensione. Fu il gip Donatella Banci Buonamici a occuparsi nelle prime ore della tragedia della funivia, ma di fronte alla decisione di scarcerare gli indagati fu sollevato il tema di un presunto non rispetto delle indicazioni sulle assegnazioni dei fascicoli dando così il via a una ‘guerra interna’ con la procuratrice capo Olimpia Bossi.

Avellino, drone con 1/2 kg di “erba” atterra in carcere

Un drone con un carico di mezzo chilo di hashish è precipitato, probabilmente per un’avaria o per una manovra errata, nel cortile dei passeggi del Nuovo Padiglione del carcere di Avellino ed è stato sequestrato dalla polizia penitenziaria, che lo ha avvistato grazie al sistema di videosorveglianza. La droga era collegata al drone, del tipo professionale, con un filo lungo circa 40 metri. E non è la prima volta che si rinvengono involucri contenenti droga e telefonini, in diverse zone dell’istituto penitenziario irpino e negli altri istituti della Regione Campania. Emilio Fattorello, segretario nazionale per la Campania del Sappe (sindacato autonomo della polizia penitenziaria), parla di una “manna dal cielo per i detenuti destinatari che possono condurre i loro illeciti traffici anche con l’esterno”. “È dal 2015 che abbiamo denunciato l’introduzione illecita di sostanze stupefacenti, e di oggetti comunque non consentiti, all’interno degli Istituti penitenziari, mediante l’utilizzo dei droni” afferma il segretario generale del Sappe Donato Capece, ricordando il precedente del carcere di Frosinone dove con un drone è stata introdotta una pistola all’interno del carcere.

“Il Dap naviga a vista – accusa il sindacato – come dimostrano proprio i fatti di Avellino e Frosinone accaduti non solo per l’assenza di provvedimenti utili a fronteggiare il sorvolo di droni sulle carceri, ma come conseguenza per avere scelto la soppressione delle sentinelle dalle mura di cinta e lo smantellamento delle politiche di sicurezza delle carceri”.

Nave Open Arms, processo a Matteo Salvini. Ammessi tutti i testi, anche Richard Gere

Anche Richard Gere sarà testimone contro Matteo Salvini al processo di Palermo sul caso Open Arms. L’attore aveva espresso solidarietà in favore della Ong spagnola, salendo sulla nave ad agosto 2019 poco dopo un salvataggio. La Ong però restò al largo per sei giorni, senza ottenere un place of safety (porto sicuro) per lo sbarco. Per questo motivo l’ex ministro Salvini è imputato per rifiuto di atti d’ufficio e per il sequestro dei 147 migranti, lasciati al largo di Lampedusa. Ma il lungo elenco dei testi, quasi 50, poteva essere ridotto come aveva chiesto la Procura guidata da Francesco Lo Voi che voleva evitare la “spettacolarizzazione del processo”, e la testimonianza di figure “ininfluenti” e “irrilevanti” per il dibattimento. Il giudice Roberto Murgia però ha accolto tutte le richieste, comprese quelle delle 22 parti civili.

Così sfileranno a luci spente, visto il divieto di riprese, l’ex premier Giuseppe Conte, i ministri Luciana Lamorgese e Luigi Di Maio, gli ex ministri Danilo Toninelli, Elisabetta Trenta e Giovanni Tria, il sottosegretario all’Interno Nicola Molteni, i senatori Stefano Candiani, Gregorio De Falco e Stefano Lucidi, il prefetto di Agrigento Dario Caputo, l’ambasciatore Maurizio Massari, l’ex premier maltese Joseph Muscat, l’ex commissario europeo per le migrazioni Dimitris Avramopoulos, l’ex vicepresidente del Consiglio di presidenza libico Ahmed Omar Maiteg, e i giornalisti Nancy Porcia e Nello Scavo.

Un processo monstre, che potrebbe pian piano diventare incandescente. Da una parte, la difesa di Salvini sostenuta dall’avvocata Giulia Bongiorno, ritiene che l’Italia non avesse la competenza di assegnare il pos a Open Arms, e che la Ong avrebbe rifiutato di dirigersi a Malta e Spagna. Per tentare di provare la malafede delle Ong, produrrà gli atti delle inchieste di Trapani (Juventa) e Ragusa (Mare Jonio), in cui si indaga sui presunti interessi economici nei salvataggi. Per i pm di Palermo invece l’azione dell’ex ministro fu un atto amministrativo e non politico, senza nulla a che vedere con l’agenda politica nazionali e le strategie europee in tema di accoglienza e ridistribuzione dei migranti. Nel copioso fascicolo processuale sono entrati anche le trascrizioni del caso Gregoretti, in cui Salvini è stato assolto dall’accusa di sequestro e le archiviazioni agrigentine di Sea Watch 3 e Mare Jonio, in cui le Ong sarebbero intervenute in mare solo per salvare vite.