I dolori del concorsone: “Prima o poi ci beccano”

Alcuni hanno già firmato ieri, altri lo faranno entro la fine del mese. Altri ancora sono ancora nel limbo perché del loro arrivo non sapeva niente nessuno, mentre tutti, ma proprio tutti i vincitori del Concorsone voluto dal ministro Brunetta per reclutare 2800 super esperti da affiancare alle amministrazioni locali del Sud per gestire al meglio i fondi del Pnrr non sanno ancora cosa dovranno fare una volta preso servizio. Meno che mai lo sanno gli enti che su input dell’Agenzia per la coesione dovranno assumere i primi 821 fortunati che dopo aver partecipato al travagliato concorso gestito dal Formez, hanno agguantato un contratto da tre anni: insomma è un caos e per fortuna che bisognava avviare un “processo di rigenerazione delle amministrazioni pubbliche attraverso le professionalità necessarie alla gestione e dei fondi strutturali del nuovo ciclo di Programmazione 2021-2027 e del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza”. Invece, come raccontato già ieri dal Fatto Quotidiano, il concorsone ha reclutato per di più inesperti senza pregresse competenze lavorative nel settore in cui verranno impiegati. Ché, quel “meccanismo virtuoso di selezione e reclutamento di professionalità, destinato alla gestione di tutte le fasi del ciclo dell’investimento realizzato con i fondi della coesione europea e nazionale” che era l’obiettivo del ministro della Pubblica amministrazione si è rivelato un mezzo disastro. Ecco allora il Comune di Giugliano in Campania rimbalzare a martedì chi ha chiamato per sapere quando dovrà prender servizio: “Mi hanno detto che la mia assunzione non è in organigramma e che bisognerebbe adeguare il piano del fabbisogno”. Eccone un altro che si è rivolto al Comune di Foggia per chiedere lumi: “Non sapevano nulla del nostro arrivo. Comunque sono stati gentili e per non sbagliare mi hanno detto nel frattempo che cercano di capire come impiegarci, di dare almeno una ripassatina al regolamento e ai principi della contabilità”. Tal Doriano in lizza per aggiudicarsi un contratto da esperto in Basilicata si è sentito rispondere dal dipartimento per il personale della regione che “non risulta avviata alcuna procedura di assunzione né ci sono disposizioni in tal senso dal ministero”. Altri sempre nelle chat dove i vincitori del concorso si tengono in contatto, temono che verranno mandati allo sbaraglio. E che prima o dopo “qualcuno ci chiederà i titoli e le esperienze di lavoro pregresse nel settore che però non abbiamo, per come è stato gestito il concorso”. Che era nato per valorizzare al massimo curriculum e competenze dacché serviva immettere energie nuove e preparate nei ruoli delle amministrazioni del Sud in un tempo ristrettissimo (ossia 100 giorni). Ma poi a concorso ancora aperto erano stati riammessi proprio quelli che avevano meno titoli e meno competenze: insomma il ministero aveva chiuso un occhio, anzi tutti e due. E adesso che succede? “Mi metteranno a fare le fotocopie o a leccare le marche da bollo” si lamenta uno convinto che per la fame di personale che hanno i comuni, alla fine verrà preso sebbene come manovalanza. Gli risponde piccata un’altra: “Ma vai ad accendere un cero alla Madonna invece di lamentarti: l’esperienza la faremo sul campo. Buttali via 1.800 euro al mese lordi, di questi tempi”. Un altro ancora già guarda più lungo: “Titoli o non titoli, secondo voi dopo questi tre anni, avremo diritto a essere stabilizzati?”. Un altro non esperto destinato al Comune di Cagliari per niente preoccupato per il curriculum un po’ così è addirittura risentito: “Ho mandato una richiesta per chiedere di essere messo part time e me l’hanno negata”. Ingrati.

Non solo Matteo: anche Profumo da Bin Salman

Anche Leonardo, la ex Finmeccanica, vola alla corte del principe saudita Mohammad bin Salman. Nel programma del nuovo evento del FII Institute, la fondazione controllata da un fondo sovrano e nel cui board of trustees siede Matteo Renzi, è previsto infatti anche un intervento di Alessandro Profumo, l’amministratore delegato del colosso italiano partecipato dal ministero dell’Economia.

L’evento è previsto dal 25 al 27 ottobre, ma l’agenda degli incontri non è ancora definitiva. Il FII Institute dà però per certa la presenza di Profumo, tanto da inserire il suo nome accanto a quello di Renzi e di decine di manager, ex politici e imprenditori.

La posizione del Ceo di Leonardo, va da sé, è molto diversa da quella dell’ex presidente del Consiglio: Renzi percepisce infatti un compenso annuo dalla fondazione che può arrivare fino a 80 mila dollari, mentre a Riyad Profumo sarà soltanto ospite. E se sul senatore più volte si sono sollevati dubbi di opportunità, ricoprendo tuttora una carica elettiva – ugualmente ben remunerata – in Italia, non ci si meraviglia certo che il gigante italiano delle armi e dell’aerospazio intrattenga rapporti con l’Arabia Saudita, con cui il nostro Paese è in affari da anni. Anzi: sul suo sito è la stessa Leonardo a informare di una “partnership” che “dura da più di 40 anni”: “Forniamo soluzioni tecnologiche al Regno dell’Arabia Saudita, a partire da elicotteri VIP fino ai sistemi per la gestione del sistema bancario islamico”.

Questa volta però il business si intreccia con un viaggio strumentale alla propaganda del regime saudita, di cui gli eventi del FII sono da qualche anno vetrina internazionale. Basti pensare alla tre giorni dello scorso gennaio, quando Renzi – nel mezzo di una crisi di governo da lui provocata – si trattenne a Riyad per magnificare “il nuovo Rinascimento” del suo “amico” Bin Salman, intervistato amichevolmente sul futuro dell’Arabia.

Adesso come allora, gli ospiti arriveranno da tutto il mondo: tra gli altri sono già annunciati la spagnola Ana Botìn, presidente esecutivo del Banco Santander; l’americano Larry Fink, numero 1 della società di investimenti BlackRock; il canadese Stephen Harper, alla guida del Paese prima di Justin Trudeau; il francese Frederic Oudéa, Ceo della banca Société Générale; fino ad altri due manager italiani come il presidente di Msc Crociere, Pierfrancesco Vago, e Lorenzo Simonelli, amministratore delegato del colosso del petrolio Baker Hughes.

In questo contesto sono in programma diversi panel che riguardano da vicino l’attività di Leonardo. È il caso di un incontro sulla Cybersecurity previsto per martedì 26 o di un dibattito, la mattina seguente, sugli “investimenti sull’idrogeno”, ma anche di alcuni eventi sull’intelligenza artificiale.

Sono però altri appuntamenti a dare l’idea dell’intento propagandistico del FII, veicolo perfetto per la famiglia reale per ripulire un’immagine internazionale macchiata da accuse gravissime, come quella – messa nera su bianco dalla Cia nei confronti del principe Bin Salman – di essere il mandante dell’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi.

E allora la prossima settimana al FII ci sarà modo di seguire rassicuranti eventi su come “nutrire le nostre menti”, “guardare a un turismo sostenibile”, “evitare la prossima pandemia”, investire “nell’economia circolare”, sul “cibo sostenibile”, sulla “uguaglianza”, insomma “sull’umanità”.

Il tutto finalmente in presenza, dopo che gran parte dei lavori di gennaio, ultima edizione del FII, si erano svolti da remoto a causa della pandemia. Una fortuna per Renzi, che questa volta potrà avere molta più compagnia. E, per di più, in italiano.

Il super flop di Renzi sul reddito: solo 5mila firme pro referendum

Nemmeno 5mila firme. L’unico referendum flop è quello favoleggiato da Matteo Renzi sul Reddito di cittadinanza. È la stagione del ritorno di fiamma della democrazia partecipativa: i quesiti su eutanasia e cannabis promossi dai Radicali hanno avuto una risposta impressionante, superando di slancio, in poche settimane, la soglia delle 500mila sottoscrizioni (quello sul fine vita è andato oltre il milione). Anche il referendum della Lega sulla Giustizia ha raggiunto il mezzo milione di firme necessario per sostenere i sei quesiti, mentre a quello per abolire la caccia ne mancano solo 25mila per raggiungere l’obiettivo. L’unico partito che non è riuscito a mobilitare nemmeno una piccola parte dei suoi elettori è Italia Viva. La campagna referendaria vera e propria non è nemmeno partita, nonostante il battage di Renzi: per adesso è poco più di una una provocazione politica. Ma già chiaramente fallimentare. Il primo passo infatti è stato il lancio di una petizione simbolica sul sito di Italia Viva quest’estate, mentre il senatore toscano annunciava urbi et orbi l’intenzione di lanciare il referendum nel 2022 (nonostante la legge lo vieti: il deposito di richieste di referendum non può essere compiuto nell’anno anteriore alla scadenza elettorale, che è nel 2023). Il risultato della petizione è desolante: mentre scriviamo, è stata firmata da 4.929 persone, meno della metà dell’obiettivo minimo fissato nella pagina di presentazione dell’iniziativa.

Eppure non si può dire che Renzi non ci abbia messo la faccia. La propaganda estiva è stata incessante. Il primo annuncio è del 9 luglio: “Lanceremo un referendum abrogativo sul Reddito di cittadinanza, uno strumento che abitua la nuova generazione a vivere di sussidi”. A ogni uscita pubblica Renzi ha alzato la posta. Il 21 luglio: “Il Reddito di cittadinanza non è una misura di contrasto alla povertà. Bisogna creare nuovi posti di lavoro, anziché buttare soldi per chi sta sul divano”. Il 31 luglio l’ex premier diventa a suo modo virale grazie all’arringa, durante la presentazione del suo ultimo libro, in cui definisce il Reddito di cittadinanza “diseducativo”: “Voglio mandare a casa il Reddito di cittadinanza perché voglio riaffermare l’idea che la gente deve soffrire, rischiare, correre, giocarsela e se non ce la fa gli diamo una mano. Ma bisogna sudare, ragazzi, i nostri nonni hanno fatto l’Italia spaccandosi la schiena non prendendo i sussidi dallo Stato. Il referendum contro il Reddito di cittadinanza – promette – è una grande operazione educativa e culturale”. Il 9 agosto rispolvera un grande classico: “Il Ponte sullo Stretto si farà finalmente. Sì al Ponte, no al Reddito di cittadinanza: così riparte il Sud”. Quel giorno nella sua enews torna a sventolare la bandiera del referendum: “La verità è che noi dobbiamo prendere 500mila firme, casa per casa, tavolino per tavolino. E le prenderemo con una straordinaria mobilitazione di Italia Viva, comune per comune”. Ci sarebbe tempo fino a fine ottobre, ma l’annuncio resta lettera morta. Il 2 settembre, in compenso, arriva un altro annuncio. Renzi rivela al Tg4 il “quesito referendario per l’abrogazione dell’istituto del Reddito di cittadinanza”. Ecco il testo: “Volete che sia abrogata quella parte del decreto legge del gennaio 2019 che introduce “disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza?”. Sembra una cosa seria, non lo è. Solo parole: non c’è un comitato promotore, non c’è una macchina organizzativa, non ci sono banchetti né fisici, né virtuali.

Resta solo il quesito (semi clandestino) sul sito d’Italia Viva: “Per un referendum contro il Reddito di cittadinanza”. In calce, si spiega il metodo: “Petizione promossa da Matteo Renzi. Le firme saranno ritenute valide e conteggiate soltanto se provenienti da un indirizzo email reale e funzionante. Se dovessi aver già firmato la petizione, ti ricordiamo che una seconda firma non sarà conteggiata a sistema”. Insomma, per aderire basterebbe un indirizzo email, ma non si è corso il pericolo che l’afflusso di centinaia di migliaia di militanti facesse saltare i server: hanno firmato meno di 5mila persone.

Magari Renzi tornerà davvero alla carica nel 2022 (ignorando la legge che lo impedisce) o probabilmente farà finta di nulla. Il tema, dopo i furori estivi, sembra molto laterale nella sua agenda. L’ultima dichiarazione in merito è decisamente meno bellicosa di quelle che l’hanno preceduta. Risale al 2 ottobre: “Noi lavoriamo per il referendum, ma se conosco Draghi modificherà lui il Reddito di cittadinanza”. E la grande mobilitazione casa per casa?

Bianco, rosso e pappone

Al Tribunale di Siena gli avvocati di B., che da un anno allontanano l’amaro calice della sentenza Ruby-ter con certificati che lo danno morente per il Tribunale e sanissimo per il Quirinale, tentano di bloccare i giudici sull’uscio della Camera di consiglio con una ricusazione, certissimi della condanna, mentre i turboforzisti, da Zanettin a Gasparri, strillano al complotto contro il miglior candidato al Colle. Ma i giudici, più spiritosi, assolvono: il pianista delle cene eleganti Danilo Mariani mentì ai giudici negando i bunga-bunga, fu condannato per falsa testimonianza e ricevette 170mila euro, ma mica è corruzione: B. l’ha premiato per come suonava, non perché non cantava.

Appena scoperto di essere innocente a sua insaputa, B. annuncia che sta cercando un “federatore del centrodestra” e avvia il casting spulciando la rubrica telefonica, come Verdone in partenza per Cracovia a ferragosto. “Pronto Denis, siccome mi si è creata una situazione strana e mi si è liberato un posto di federatore… Ah, stai ai domiciliari per bancarotta… Vabbè, restiamo in contatto”. “Pronto Marcello, ti ricordi di me? Come sarebbe a dire che sono io che mi sono scordato di te, non ho testimoniato al tuo processo e ti sei fatto sette anni per mafia? Eddài, che sofistico… Vabbè, alla prossima”. “Pronto Cesare, chi non muore si rivede! Volevo proporti… ma no, che hai capito, non di comprarmi altri giudici: ormai mi assolvono pure gratis! No, era per fare il federatore… Non federale: fe-de-ra-to-re! Ah, dici che ti bastano i 7 anni e mezzo che ti sei beccato al posto mio? Ok, senza rancore”. “Pronto Paolo, fratellino, mi sei rimasto solo tu! Cerco un sostituto… ma no, non per finire in galera! Ora mi serve un federatore. Ah, dici che non saresti credibile, tipo come editore del Giornale? In effetti… Salutami Minzo”. “Pronto Nicole, come andiamo con l’igiene dentale? Ah ah, sono sempre forte, lo so. No, è che pensavo a una federatrice… Non reclutatrice: fe-de-ra-tri- ce! Ah, te la menano ancora con la nipote di Mubarak? Ma ormai se la son bevuta pure i giudici e in Parlamento mi scambiano di nuovo per uno statista… Che c’entra ora il mio culo flaccido? A loro mica l’ho fatto vedere… Vabbè, ci sentiamo”. “Pronto Ruby, sono Papi, allora sei poi diventata maggiorenne? Eh eh, buona questa. Te l’ho mai raccontata quella della mela? Ah, la sai a memoria… No, è che mi si è liberato un posto… non al bunga-bunga, magari, bei tempi… Voglio lasciare il centrodestra in buone mani ora che trasloco al Colle e sei l’unica incensurata che conosco… Mi han tradito pure la Mariastella, la Mara e Renatino… Ah, dici che fanno bene? Vabbè, se la metti così… Salutami tanto zio Hosni”. “Pronto, casa Renzi?”…

Così la crisi (internazionale) del chip rallenta la ripresa

I costruttori si sono rimboccati le maniche per cercare di recuperare e incrementare la produzione mondiale di auto, rispetto a quella persa l’anno scorso a causa della pandemia. Ma non è servito e non servirà più di tanto: la ripresa, infatti, secondo gli ultimi studi di Standard & Poor’s riguardo al comparto automotive, procede in modo inesorabilmente più lento rispetto a quanto previsto. La crescita sarà compresa tra il 2 e il 4% quest’anno (e tra il 4 e il 6% il prossimo), il che significa che verranno prodotti 80 milioni di veicoli, contro il tetto massimo di 85 pronosticato a maggio sempre da S&P. Cinque milioni di esemplari in meno che allontanano temporalmente la soglia, non certo solo psicologica, di 90 milioni fissata come traguardo da raggiungere. Il motivo del rallentamento? Principalmente, e ancora, la crisi dei semiconduttori. La carenza di chip, che secondo AlixPartners comporterà per l’automotive un minor fatturato di 180 miliardi di euro per l’abbassamento dei volumi produttivi, non accenna ad attenuarsi. Al punto che analisti e operatori del settore non vedono una soluzione immediata del problema, che potrebbe (ma è più una speranza) attenuarsi solo nella seconda metà del 2022.

Niente panico, comunque. Anche perché la crescita continua, pure se a rilento. Nel caso tuttavia la situazione persistesse, il collo di bottiglia tra la domanda e la disponibilità di microchip diventerebbe sempre più pericoloso. E a farne le spese sarebbero in primis i modelli a più alto contenuto di tecnologia.

Hr-v e:Hev, suv minimalista. Non il nome

Il mercato dei suv di taglia media è a oggi il più frizzante, sia in Europa che in Italia. Un segmento al quale Honda tenta l’assalto con la nuova HR-V e:HEV, ovvero una vettura lunga 4,34 metri a un prezzo di attacco di 30.900 euro, con diversi punti di forza tra cui un powertrain di certo originale lanciato nel 2018 con la CR-V e poi evoluto sulla Jazz in una variante meno potente.

Con quest’ultima la HR-V condivide sia la base tecnica – la Global Small Platform – sia la tecnologia ibrida.

I componenti principali sono: un propulsore 1,5 litri benzina a ciclo Atkinson, un motore elettrico, un alternatore, una batteria agli ioni di litio, una frizione di blocco e una unità di controllo della potenza, a cui si aggiungono freni e servosterzo elettrico.

Le modalità di guida sono tre, elettrica, ibrida e termica e la trasmissione non ha rapporti. Ci sono la marcia avanti e la retromarcia, come sulle auto elettriche, perché la HR-V funziona quasi sempre come una elettrica pura, nel senso che il motore termico è prevalentemente scollegato dalle ruote e si occupa di generare l’elettricità da fornire all’unità elettrica, che dispone di 131 Cv e 253 Nm.

In alcune situazioni, però, il 4 cilindri fornisce moto direttamente alle ruote: questo avviene a velocità costante, a un determinato numero di giri dove l’efficienza è massima.

In questi frangenti se ne apprezza la dinamica: lo sterzo è preciso e l’assetto ben sostenuto ma non rigido.

Rispetto al vecchio modello, invece, ci sono diversi salti di qualità e il primo più evidente è nello stile.

Le linee sono quelle lineari e minimaliste di suv-coupé, con il solo difetto di sottrarre qualche litro al bagagliaio che si ferma a 319 litri.

L’impostazione della plancia è razionale e intuitiva. Il sistema di infotainment con display touch da 9” è migliorato in rapidità e precisione, mantenendo una logica di funzionamento intuitiva, mentre la suite di sistemi di assistenza Honda Sensing è sempre di serie e include tutte le funzioni più importanti.

Il prezzo di partenza, infine, tra promozioni e incentivi arriva a 26.400 euro.

Usa-Cina, la battaglia dell’automotive green è tutta per le batterie

Il derby fra Cina e Usa riguarda anche il futuro della produzione di batterie al litio, la maggior parte delle quali, solo fino a qualche anno fa, arrivavano da Giappone e Corea del Sud. Tuttavia oggi è la Repubblica Popolare ad avere il dominio della supply chain mondiale, essendosi assicurata il controllo di buona parte delle riserve di litio e ospitando l’80% di tutta la capacità produttiva globale di celle per batteria. Pronta peraltro a raddoppiare nel prossimo lustro.

Ma gli Usa non vogliono rimanere alla finestra: nel corso dell’ultimo anno sono diventati i secondi al mondo per catena di approvvigionamento delle batterie al litio. Del resto gli States sono il secondo mercato mondiale per i veicoli elettrici, subito dietro la Cina. Ecco perché i produttori di battery pack e automobili stanno investendo oltreoceano, confortati dalla politica dell’amministrazione Biden, che crede fermamente nella decarbonizzazione.

Fra essi figurano anche Stellantis – pronta a mettere sul tavolo 30 miliardi di euro entro il 2025 da investire in elettrificazione e sviluppo software – e la coreana LG, che hanno firmato un memorandum di intesa per la costruzione di una fabbrica di batterie negli Stati Uniti: entrerà in funzione nel 2024 e, una volta a regime, avrà una capacità annuale fino a 40 GW.

L’impianto produrrà accumulatori per veicoli ibridi plug-in e 100% elettrici per gli stabilimenti di Stati Uniti, Canada e Messico. Il tutto per consentire a Stellantis di raggiungere, entro il 2030, la quota del 40% di veicoli elettrificati venduti negli Usa. “Un’ulteriore dimostrazione del fatto che stiamo mettendo in atto la nostra tabella di marcia verso l’elettrificazione”, ha commentato l’ad del gruppo, Carlos Tavares: “Abbiamo definito la prossima gigafactory del portfolio Stellantis, che ci aiuterà a raggiungere, come minimo, un totale di 260 gigawattora di capacità entro il 2030”.

Manovre strategiche simili per Toyota, che investirà circa 3 miliardi di euro per la produzione di batterie in America, parte di quegli 11,7 miliardi di euro che saranno destinati allo sviluppo e la fabbricazione di accumulatori. “Questo investimento aiuterà a realizzare in maniera più gestibile veicoli elettrificati per i consumatori Usa, ridurre significativamente le emissioni di carbonio e di creare anche più lavori americani legati al futuro della mobilità”, ha dichiarato l’ad di Toyota North America, Ted Ogawa. La produzione dovrebbe iniziare nel 2025, con un impegno economico iniziale di circa 1,1 miliardi di euro da investire fino al 2031, compresi i fondi che saranno utilizzati per sviluppare terreni e costruire nuove strutture. Ne deriveranno 1.750 nuovi posti di lavoro.

“Ai giovani è stato rubato l’immaginario. E la rabbia”

Futura, come voleva Lucio Dalla: avvenire, femminile. Dopo la prima alla Quinzaine des Réalisateurs di Cannes, il documentario di Pietro Marcello, Francesco Munzi e Alice Rohrwacher arriva domani ad Alice nella Città, per approdare in sala dal 25 al 27 ottobre.

Pietro Marcello, come nasce Futura?

Dalla volontà mia, di Francesco e Alice di metterci insieme. Non credo alle co-regie, alle coppie, ai consanguinei dietro la macchina da presa: credo nel film collettivo, e questo è.

Film sui giovani.

Non sono un tema, ma una dimensione. Il paragone con Comizi d’amore di Pasolini evocato da molti non regge: quello era a tema, questo a campione. Ha un metodo semplice, il congegno del reportage, sulla scorta del lavoro del sociologo Stefano Laffi: l’abbiamo applicato ognuno per sé e tutti per il film. Abbiamo messo da parte il nostro ego, e ci siamo trasformati in esecutori, per un’opera che spero replicabile qui come all’estero: abbiamo bisogno di film così, soprattutto in questo momento del cazzo.

Che cosa avete trovato?

Una violazione: ai giovani è stato rubato l’immaginario. Quando lo ero io correvo per strada, compravo francobolli o le Garzantine, guardavo avanti: oggi il futuro questi ragazzi non lo immaginano nemmeno.

Responsabilità?

Futura non è un lavoro osservazionale, ma un affresco. Nondimeno, la mia generazione è cresciuta senza Internet, oggi imperano i social network: si dovrebbe imparare a imparare da soli, servirebbe un altro immaginario possibile, sotto la spinta del fare.

Manca anche la rabbia, la rabbia giovane.

Nemmeno noi ci arrabbiavamo più, con la perdita delle ideologie non deve stupire. Certo, oggi c’è più passività, conformità: ci pensano altri, non i giovani. Ma è troppo facile criticarli, nei fatti Futura si indirizza agli adulti, non a loro: dei giovani non parlano i giovani, in tv solo i vecchi parlano dei giovani, parlano di tutto solo loro, i vecchi. Con il risultato che dei postumi psicologici della pandemia per ragazzi e ragazze, dagli attacchi di panico ai suicidi, nessuno dice nulla.

Il passaggio della linea è del 2007, sono quasi 15 anni che fa cinema. Come è cambiato?

Allora avevo tanta tenacia, desiderio, con Maurizio Braucci e molti altri eravamo ubriachi di inconsapevolezza. Oggi ho più esperienza, ma meno energia.

Il punto di svolta?

Martin Eden, l’ho anche prodotto. Oggi sono più equilibrato nel fare con gli altri, il film è un’opera collettiva: non si può essere fanfaroni, cialtroni.

Virtù acquisita?

L’autocritica. E il Mefistofele del Faust: “Cessa di trastullarti con la tua angoscia che, come un avvoltoio, ti rode la vita; nella peggio società ti sentirai uomo fra uomini”. È anche la lezione di Hemingway: guardare fuori dalla finestra. Voglio essere fra la gente, pensassi solo a me stesso sarei un coglione.

Questione morale.

E anche professionale. Oggi ho la fortuna di fare il regista, cinquant’anni fa sarei stato il terzo assistente di uno bravo.

Pandemia: che pensa?

Non l’associo al cinema. A differenza di altri.

Il Green pass?

Fa ridere. È totalitarismo sanitario, e come sempre serve una tessera: ce lo ricordiamo il tesseramento al Pnf, il partito nazionale fascista? Oggi non accade quello, ma fa pensare.

Preoccupato per la tenuta democratica del Paese?

No, però è un casino: solo settant’anni fa l’Europa bruciava, tralasciamo i disastri ecologici, la rivolta del capitale. Sì, il mondo fa schifo.

E i rigurgiti fascisti?

Dove sono finiti i quadri del Pnf? Nei ministeri, nella Pubblica sicurezza. C’è stata molta ambiguità: l’Italia non ha una lunga storia repubblicana, non abbiamo le leggi della Francia. C’è un problema…

Quale problema?

L’antifascismo è durato troppo poco. È morto la notte della Costituente. Come sta scritto nell’Orologio di Carlo Levi, ci siamo tenuti i morti in casa. Il fascismo è sempre lì, anzi, qui.

Ha appena finito di girare L’envol, il suo primo film fuori dall’Italia.

Vengo dal paese dei limoni, sono un cittadino dei limoni. Francia o Italia non conta, il mio cinema vuol essere universale. Dodici settimane di riprese, confesso: sono a pezzi.

Ambientato fra le due guerre, ruota intorno a Juliette, figlia di un reduce e orfana di madre.

Racconto popolare e realismo magico: non a caso, il Neorealismo nacque dal Fronte democratico popolare, dall’esigenza di raccontare il dopoguerra.

Focus?

È un film sull’essere padre. E su una famiglia diversa.

Dove lo monta?

In Francia. Ma tutto continua in Italia, per me.

La bellezza del caos che unisce i Nobel

Un lungo percorso nello sviluppo della fisica lega i due scienziati romani insigniti con il premio Nobel per la Fisica: Enrico Fermi nel 1938 e Giorgio Parisi nel 2021.

Entrambi hanno avuto l’opportunità di sviluppare le loro eccezionali doti sull’onda di due diversi periodi rivoluzionari per la fisica.

Enrico Fermi nacque nel 1901, quattro anni prima di uno dei cambiamenti epocali della fisica classica, quello apportato dalla Teoria della Relatività Ristretta sviluppata da Einstein. Questa teoria, contrariamente a quello che il senso comune ci porta a pensare, assume che la velocità della luce sia la stessa quando è misurata da osservatori in moto rettilineo uniforme rispetto alle stelle fisse. Questo fatto, misurato poi con enorme precisione, implica che le velocità non si sommino in maniera classica e soprattutto che il tempo scorra in maniera differente per due osservatori in moto relativo l’uno rispetto all’altro. Tra le molte conseguenze vi è l’affascinante intuizione per cui massa m ed energia E sono due aspetti della stessa entità, così che sia possibile convertire l’una nell’altra e viceversa: la famosa relazione E=mc2 è diventata la formula più famosa della fisica.

La seconda rivoluzione avvenuta durante gli anni della formazione di Enrico Fermi è stata quella dello sviluppo della meccanica quantistica che ha messo in crisi un altro caposaldo del senso comune: la nozione di traiettoria di un corpo in movimento. Quando si considera il moto di particelle elementari come i protoni e gli elettroni, bisogna abbandonare la visione classica che questi si muovano lungo una semplice linea continua in cui a ogni istante corrisponde una sola posizione nello spazio e bisogna invece descrivere il loro moto attraverso delle onde che non hanno una realtà fisica evidente, come le onde elettromagnetiche o sonore, ma che sono gli strumenti matematici per comprendere la fisica alla scala atomica. Queste sono interpretate come onde di probabilità e soddisfano delle equazioni verificate con incredibile precisione nell’ultimo secolo e che hanno permesso un insuperato sviluppo scientifico e tecnologico.

Il lavoro di Enrico Fermi e dei suoi collaboratori, “i ragazzi di via Panisperna”, prende le mosse, dunque, dalle due rivoluzioni della relatività e della fisica quantistica e si sviluppa per comprendere la fisica nucleare e le particelle elementari. Fermi fu proprio una delle figure chiave per riuscire nell’eccezionale impresa di mettere in libertà le spaventose quantità di energia contenute nella materia subnucleare e che proprio la Teoria della Relatività di Einstein aveva predetto. D’altra parte, questi stessi studi hanno posto le basi per le moderne ricerche dei costituenti fondamentali della materia: per questo Enrico Fermi fu insignito con il premio Nobel nel 1938.

Per l’importanza scientifico-tecnologica della fisica nucleare e anche per l’interesse militare a queste ricerche, esse furono considerate l’unica vera sfida intellettuale. Questo approccio si concentra sugli elementi costitutivi della materia con la convinzione che la conoscenza del loro funzionamento avrebbe reso possibile la comprensione della natura attraverso l’applicazione delle leggi fondamentali scoperte nel mondo microscopico. Malgrado l’enorme balzo avanti nella conoscenza della Natura che ne è derivato, questa visione riduzionista è pero risultata incapace di spiegare comportamenti collettivi osservati in molti fenomeni naturali ed è quindi stata completata da un approccio che si è sviluppato dagli anni Settanta in poi: la rivoluzione che fa riferimento ai fenomeni caotici, ai sistemi composti da tanti elementi interagenti e a quell’insieme di attività di ricerca che oggi vanno sotto il nome di fisica dei sistemi complessi. Se il caos ha messo in crisi un altro caposaldo del senso comune, quello della predicibilità di un sistema di cui si conoscono le leggi dinamiche fondamentali, la fisica dei sistemi complessi ha inglobato i fenomeni caotici in un quadro concettuale più generale che trascende i confini stessi della fisica.

Non appena aumenta il grado di complessità delle strutture e dei sistemi, e quando questi sono composti da tanti elementi in interazione tra loro tale da determinare comportamenti collettivi su vasta scala, ci si trova di fronte a nuove situazioni, in cui la conoscenza delle proprietà degli elementi individuali (le particelle, gli atomi, le molecole, ecc.) non è più sufficiente per descrivere il sistema complessivo nel suo insieme. Il punto è che in tali sistemi le interazioni tra gli elementi sono tali da determinare strutture complesse che non sono derivabili direttamente dalle proprietà dei singoli elementi isolati. Per questo motivo il comportamento dell’insieme è fondamentalmente diverso da qualsiasi sua sotto-parte elementare. È proprio in questo ambito che si inserisce il lavoro di Giorgio Parisi, che ha anche dato contributi importanti nel campo delle particelle elementari, la cromo-dinamica quantistica, e che ha ricevuto il Premio Nobel per “i contributi innovativi alla nostra comprensione dei sistemi fisici complessi”. Le reti neurali in neuroscienze, il comportamento collettivo di stormi di uccelli, il ripiegamento di proteine, sono esempi di sistemi complessi ai quali Parisi ha dato un contributo determinante. Il lavoro di Parisi si inserisce nel quadro di una fervente attività sviluppata a partire dagli anni Settanta in diverse accademie del mondo, tra cui ha giocato un ruolo centrale il Dipartimento di Fisica della Sapienza di Roma, dove tanti illustri colleghi e collaboratori hanno lavorato e altri ancora svolgono la loro attività.

Il Museo Storico della Fisica ospitato nella palazzina di via Panisperna, ora assegnata al nuovo ente di ricerca intitolato a Enrico Fermi (il Centro Ricerche Enrico Fermi – CREF), di prossima apertura, propone un percorso incentrato sul lavoro e sulla figura di Enrico Fermi che si conclude proprio con la fisica della complessità delineando così una linea immaginaria che collega i due premi Nobel romani della fisica. Questo itinerario è prodromico a illustrare non solo lo sviluppo della fisica ma anche per rendere attuale la ricerca che in effetti si svolge nel Centro. Il CREF, infatti, ha anche l’obiettivo di sviluppare una attività di ricerca originale e di avanguardia sulla frontiera di diverse discipline e proprio all’interfaccia del campo dei sistemi complessi. L’itinerario museale vuole dunque connettere idealmente gli eventi storici del passato all’attività scientifica oggi in corso.

 

 

Annunziata, veleni e malumori in Rai: striscia a rischio

Rai in subbuglio per l’ipotesi di una striscia d’informazione quotidiana affidata a Lucia Annunziata alle 20.30 su Rai3, così da fare concorrenza a Lilli Gruber su La7. Si tratterebbe di un approfondimento sulle notizie della giornata per aumentare, nelle intenzioni dell’ad Carlo Fuortes, l’informazione in Rai. Il problema, però, è che alle 20.45 va in onda la fiction di successo Un posto al sole, che dovrebbe essere spostata prima del Tg3 delle 19. La novità sta trovando forti resistenze: non va giù al direttore del Tg3 Mario Orfeo che gode del buon traino di Geo; fa innervosire Gennaro Sangiuliano che vedrebbe un altro competitor al suo Tg2 Post; trova l’opposizione pure di Fremantle, tra i produttori della fiction. L’altra ipotesi è quella di mandare la striscia alle 20 o prima del Tg3. Tutte queste frizioni, però, potrebbero convincere Annunziata al passo indietro. Qualche voce interna, poi, sostiene che l’idea a Fuortes sarebbe stata suggerita da Franco Di Mare, che ambirebbe a un programma la domenica pomeriggio su Raitre, al posto di Annunziata.

Grande malumore, poi, anche al settimo piano, dove i consiglieri sono in rivolta contro Fuortes. L’a.d., infatti, un po’ come Draghi nel rapporto coi ministri, è accusato di decidere tutto da solo e informare il Cda a cose fatte. Oggi si terrà un Cda informale dove i consiglieri chiederanno a Fuortes maggiore collegialità nelle scelte e anticipazioni sul piano industriale, che l’ad presenterà mercoledì prossimo e su cui il Cda dovrà poi esprimersi.