Stupro, Grillo jr. e gli altri tre sceglieranno il rito ordinario in caso di rinvio a giudizio

La decisione, molto sofferta, è stata presa al termine di una riunione fiume, cui hanno partecipato tutti gli avvocati dei ragazzi coinvolti e le rispettive famiglie: sarà un processo ordinario quello in cui si deciderà la vicenda della presunta violenza sessuale di gruppo di Tempio Pausania, in cui sono indagati Ciro Grillo e i suoi tre amici, Francesco Corsiglia, Edoardo Capitta e Vittorio Lauria, tutti ventenni. La discussione è andata avanti ore, per via dello stallo che vedeva contrapposti due fronti legali: chi preferiva il rito abbreviato, e lo sconto di un terzo della pena in caso di condanna, e chi invece vedeva con maggior favore lo scontro totale, in un dibattimento che a questo punto potrebbe trasformarsi in uno show. Ha prevalso quest’ultima linea e, in ogni caso, la condizione preliminare condivisa da tutti: non dividere i destini processuali.

A meno di colpi di scena dell’ultim’ora, tecnicamente ancora possibili, sebbene alquanto improbabili, è questo lo scenario che si profila in vista dell’udienza preliminare prevista il 5 novembre a Tempio Pausania davanti al giudice per le indagini preliminari Caterina Interlandi. La strategia difensiva anticipa dunque un muro contro muro che si preannuncia durissimo: i quattro amici sostengono che non ci sia mai stata alcuna violenza sessuale. E per far valere tutte le prove, sono disposti ad affrontare un lungo processo e il rischio, in caso di condanna, di finire in carcere. I reati contestati infatti prevedono pene dai 6 ai 12 anni di carcere. A denunciare la violenza di gruppo, una coetanea conosciuta in discoteca, S.J. A questo primo episodio si è poi aggiunto un secondo episodio di violenza sessuale per delle foto oscene scattate da due dei ragazzi accanto all’amica di S.J., R.M., mentre lei era addormentata.

I fatti risalgono alla notte del 16 luglio 2019. Dopo una serata passata al Billionaire di Porto Cervo, i quattro amici invitano le due ragazze nella casa vacanze di Ciro, figlio di Beppe Grillo. Qui, all’alba, sarebbe avvenuta la violenza sessuale. S.J., secondo quanto raccontato agli inquirenti, sarebbe prima stata violentata da Corsiglia. Poi, in un secondo tempo, avrebbe avuto rapporti contro la sua volontà con gli altri tre, che hanno filmato alcuni momenti con il cellulare.

Renzi: “Il Senato intervenga sui pm del caso Open”

L’inchiesta sulla Fondazione Open approda definitivamente al Senato. La senatrice di Forza Italia Fiammetta Modena è stata incaricata di istruire una pratica sulle comunicazioni di Matteo Renzi finite agli atti dell’indagine appena chiusa nei confronti dell’ex premier, ma anche degli ex ministri Luca Lotti e Maria Elena Boschi, tutti accusati di concorso in finanziamento illecito. Ad investire il Senato sull’utilizzazione da parte dei pm di mail e messaggi finiti agli atti è stato lo stesso Renzi, il quale ha scritto (per la seconda volta) alla Presidente Maria Elisabetta Alberti Casellati. Era già successo a dicembre del 2020 quando aveva avvertito la Giunta per le immunità parlamentari che forse a Firenze si stavano ledendo le sue prerogative costituzionali. Poi il leader di IV è tornato alla carica e stavolta pretende che Palazzo Madama gli faccia scudo, affrontando di petto la questione delle “interferenze” di certa magistratura che punta al bersaglio grosso: prima Berlusconi, oggi lui, domani chissà. Per Renzi da parte della Procura di Firenze vi è stata una violazione dell’articolo 68 della Costituzione che prevede che per le captazioni e tutte le altre operazioni di indagine che riguardano i parlamentari sarebbe stato necessario chiedere, in via preventiva, l’autorizzazione alle Camere di appartenenza. Dopo la lettera del leader Iv, il 12 ottobre scorso, la Casellati ha deferito alla Giunta la questione che ha ad oggetto, come ricostruito in un resoconto parlamentare, un’istanza del 21 settembre presentata dai difensori di Matteo Renzi. In quell’occasione i legali “hanno avanzato al Procuratore aggiunto” “formale intimazione di astenersi dallo svolgimento di qualsivoglia attività investigativa preclusa ai sensi dell’art. 68 della Costituzione e dell’articolo 4 della legge n. 140 del 2003, nonché dall’utilizzare conversazioni e corrispondenza casualmente captate (articolo 6 della legge n. 140 del 2003) senza la previa autorizzazione della Camera di appartenenza”. A questa richiesta dei difensori il 4 ottobre, la procura “ha dichiarato il non luogo a provvedere sull’istanza affermando che l’utilizzazione di dati processuali sia stata operata non già nei confronti del senatore Renzi, ma di altro indagato non soggetto alle guarentigie invocate”.

Tra le comunicazioni agli atti dell’inchiesta, ci sono ad esempio una mail sulla situazione economica della Fondazione invitata da Alberto Bianchi (ex presidente della Open) a Lotti, Boschi e Renzi. E in questo caso l’ex premier è solo tra i destinatari. Poi ci sono anche gli scambi di Whatsapp tra Renzi e l’imprenditore Manes (non indagato) in cui si parla di un volo per Washington che l’ex premier doveva prendere nella primavera del 2018. Per gli investigatori le comunicazioni sono utilizzabili. La risposta della Procura però deve esser piaciuta poco a Renzi, che a quel punto ha chiesto alla Presidenza del Senato di “porre in essere quanto necessario” per la tutela “delle garanzie e dei diritti costituzionali”. “Con la lettera del 7 ottobre 2021” l’ex premier “chiede una pronuncia al Senato”, rincara in aula il vicepresidente della Giunta, Salvatore Cucca, senatore di Italia Viva. Il Senato ora dunque dovrà intervenire con una pronuncia che potrebbe avere un peso sull’indagine fiorentina ma pure per creare nuove alleanze politiche.

Green pass e norme pro-sindaci Lotti si è autosospeso per finta

L’autosospensione di Luca Lotti dal Pd ha compiuto due anni lo scorso giugno. Nel frattempo il deputato ha fondato una corrente, proseguito l’attività parlamentare con emendamenti e proposte di legge e mantenuto il seggio ottenuto col Pd, nonostante i diversi guai con la giustizia. Ma se la sospensione è per definizione “temporanea”, che cosa aspetta il partito a valutarne definitivamente il caso? La risposta consegnata al Fatto è eloquente: “Per noi la questione è finita lì”. Parole che arrivano da Silvia Velo, presidente della Commissione nazionale di garanzia del Pd, ovvero l’organo che si preoccupa della “corretta applicazione dello Statuto e del Codice etico”. Sono i componenti della Commissione, dunque, a dover valutare eventuali irregolarità, tenendo conto che il Codice etico del Pd prescrive agli eletti di “ispirare il proprio stile politico all’onestà e alla sobrietà” e impedisce la candidatura agli imputati e ai condannati per una serie di reati gravi, circostanze che costringono anche alle dimissioni gli eletti.

La Commissione è composta da nove persone, per lo più amministratori locali dem: Filippo Barberis, Enrico Brambilla, Loredana Capone, Giovanni Lattanzi, Fabrizio Ferrante, Enrico Panunzi, Marilena Fabbri, l’ex ministra Beatrice Lorenzin e la presidente Silvia Velo, già deputata e sottosegretaria con Paolo Gentiloni e Matteo Renzi. Quando la contattiamo per avere chiarimenti sulla posizione di Lotti, Velo sembra parlare di qualcosa che non la riguarda: “Noi interveniamo se ci sono segnalazioni o ricorsi, Lotti si è autosospeso e ne abbiamo preso atto. Non è argomento nostro da tanti mesi, per noi è finita lì”. Nonostante le inchieste e nuove rivelazioni – dall’accusa di corruzione nel caso della fondazione Open alla cena all’hotel Champagne con oggetto le nomine delle Procure – la Commissione non intende quindi fare ulteriori valutazioni. Rigettando l’ipotesi che i comportamenti di Lotti siano “ambigui”: “Non vivo sulla Luna e non mi sfugge il motivo di queste domande – dice ancora Velo – ma il vostro è un giudizio politico, non c’entra con la Commissione”. Dello stesso parere Panunzi, consigliere regionale Lazio, secondo cui “Lotti è autosospeso e dunque è come se non fosse iscritto al Pd”.

Eppure, per essere un non iscritto, Lotti si dà parecchio da fare: soltanto di recente ha presentato un emendamento all’ultimo decreto sull’obbligo del Green pass per ampliare la capienza degli stadi, richiesta per altro accolta dal governo. Il tutto in nome di quell’antica passione per lo Sport (di cui fu ministro) che lo ha portato nei mesi scorsi a presentare mozioni in favore delle associazioni dilettantistiche e dell’autodromo di Imola. Senza dimenticare il solito attivismo dietro le quinte, visto che la sua Base Riformista si è riunita appena tre giorni fa e che Piero De Luca, suo fedelissimo, è stato eletto da poco vice capogruppo alla Camera con la benedizione dell’ex ministro.

La scorsa estate, proprio insieme al figlio del governatore della Campania, Lotti ha firmato alcuni progetti di legge in favore dei sindaci, tra i quali il pdl 3224 per “temperare le regole che presiedono all’imputabilità del sindaco per condotte omissive improprie” e il pdl 3225, con cui invece Lotti intende aumentare lo stipendio ai primi cittadini, legandolo a quello degli eletti nelle Regioni. Di pochi giorni fa, poi, la firma di Lotti alla mozione anti-Forza Nuova, che ha seguito quella, in estate, a un’interpellanza riguardo agli incendi boschivi. Possibile che allora non esista un problema Lotti? Panunzi ne fa una questione di codice penale: “Noi facciamo riferimento alla presunzione di innocenza”. E se obiettiamo che esiste un aspetto etico che è altra cosa rispetto alla giustizia, Panunzi taglia corto: “Noi aspettiamo la giustizia, se poi mi chiede un giudizio etico, io non posso parlare a titolo personale, la commissione svolge un ruolo super partes e verrei meno al mio mandato se esponessi la mia singola posizione”.

Per ulteriori chiarimenti proviamo a contattare Beatrice Lorenzin, ma il suo staff ci avvisa che l’ex ministra sarà impegnata per tutto il giorno. Loredana Capone, presidente del Consiglio regionale pugliese, invece è lapidaria: “Lotti si è autosospeso dal partito, per cui la Commissione di garanzia non se ne occupa”. E lui può continuare a fare politica nel Pd, ma da autosospeso.

“Avevo entrature in ambienti renziani tramite Lotti, Bacci, Tiziano e Verdini”

C’è un verbale recentissimo – stilato il 13 ottobre 2021 – in cui Piero Amara ricapitola, davanti al procuratore di Milano Francesco Greco e al sostituto Stefano Civardi, i suoi rapporti con gli uomini dell’Eni. Lasciando sullo sfondo la presunta loggia Ungheria, di cui ha sostenuto l’esistenza in verbali segreti poi usciti dalla Procura di Milano (e su cui indagano i pm di Perugia), Amara racconta alcuni retroscena di cui sostiene di essere stato protagonista. Ecco la versione dell’ex legale esterno dell’Eni, che dovrà essere verificata dalla Procura.

Nel marzo 2014, l’avvocato entra in contatto con due dirigenti di vertice del colosso petrolifero: Antonio Vella e Claudio Granata. “Preciso che il motivo dell’incontro con Vella era la necessità che io mi adoperassi per la nomina di Claudio Descalzi, dal momento che si sapeva che avevo buone entrature negli ambienti renziani attraverso Lotti, Bacci e il padre di Renzi, Tiziano, nonché con Verdini”. Dunque Amara sostiene di essere stato ingaggiato per convincere l’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi a nominare Descalzi amministratore delegato di Eni. Grazie alle “buone entrature” con il padre Tiziano e con due renziani doc come Luca Lotti e Andrea Bacci. “Granata era molto preoccupato per come si stava evolvendo la situazione dei processi milanesi (…). Temevano il contenuto delle intercettazioni effettuate a Napoli da Woodcock non soltanto per i riflessi della vicenda Eni-Nigeria, quanto per una evidente condotta di insider trading relativa alla indicazione di affari riservati dell’Eni a Bisignani da parte di Descalzi. Inoltre temevano il comportamento di Armanna nel caso in cui fosse stato convocato a Milano”. Continua Amara: “Voglio altresì precisare che io sono uno dei tanti che ha sponsorizzato Descalzi e che il vero problema all’epoca non era ottenere l’appoggio di D’Alema e Berlusconi, che erano convinti, ma piuttosto convincere Matteo Renzi che voleva cambiare tutto in Eni. Per come io ho appreso, la situazione a Londra si sbloccò dopo l’incontro a Londra tra Renzi e Descalzi”. Che l’incontro ci sia stato o meno, Descalzi viene nominato da Renzi amministratore delegato. “Personalmente per i miei interessi”, aggiunge Amara, “volevo che l’organizzazione di Eni così come la conoscevo e con la quale mi relazionavo – Mantovani, Vella Granata – rimanesse inalterata”. Massimo Mantovani era il capo dell’ufficio legale Eni, Vella era il numero uno della divisione Upstream (entrambi sono oggi fuori dai ranghi Eni). Claudio Granata è l’attuale numero due di Descalzi. “Inoltre, l’organizzazione dell’ufficio legale era di mio pieno gradimento anche per i rapporti che avevo soprattutto con Michele Bianco che si occupava degli affari penali, con particolare riferimento ai reati ambientali”. Amara riferisce infine di una decisione presa proprio con Bianco che fu definita “Operazione Odessa”: “Gli obiettivi di tale operazione erano tre: 1) salvare l’ufficio legale dell’Eni perché temevamo che Luca Santa Maria e Luigi Zingales (economista allora consigliere indipendente nel cda Eni, ndr) convincessero Descalzi a nominare un nuovo capo esterno all’Eni da noi non conosciuto; 2) cercare di far salire al suo interno le quotazioni di Bianco perché era mia intenzione che prendesse il posto di Mantovani o La Rocca; 3) fermare assolutamente Armanna che all’epoca era fuori controllo nelle sue accuse contro Descalzi”.

Eni pagò 92 milioni di euro alla società legata ad Amara

Che incredibile coppia, Vincenzo Armanna e Piero Amara, il primo ex funzionario Eni, il secondo ex legale esterno della compagnia petrolifera, entrambi da tempo rinnegati – a dir poco – dalla loro azienda. Il dato sconcertante, infatti, è che i due, attraverso Eni, hanno guadagnato per molti anni pacchi di milioni. Li ha contati, in dollari, la Guardia di finanza di Milano su delega della Procura guidata da Francesco Greco. E a leggere la tabella dei “flussi finanziari da Eni a Fenog e Napag” c’è da rimanere sconcertati. Per parecchi motivi.

Innanzitutto, che cosa sono Fenog e Napag? La prima è una società nigeriana che commercia petrolio. La seconda è una società italiana. Anch’essa, nel suo vasto oggetto sociale, si occupa di oro nero. Fenog porta a Vincenzo Armanna, che per questa società ha lavorato a lungo (e lo fa tuttora). Napag, secondo le accuse, porta direttamente a Piero Amara (sebbene lui smentisca). Insomma, i due “rinnegati” dall’Eni che a loro volta hanno rinnegato l’Eni accusandola di aver spinto Armanna a cambiare strategia processuale nel processo Eni-Nigeria Opl 245, dove egli stesso e l’amministratore delegato Claudio Descalzi erano accusati di corruzione internazionale (e alla fine assolti in primo grado). Parliamo dell’ormai celebre “patto della Rinascente” (sempre smentito da Eni), quello che, secondo Amara e Armanna, sarebbe stato concluso con l’attuale numero due di Eni, Claudio Granata, nel 2014, affinché Armanna smussasse le sue dichiarazioni nel processo. In cambio – ha sempre sostenuto Armanna – l’Eni gli avrebbe promesso la riassunzione e altre utilità, per qualche milione di euro: “Il cambiamento di linea”, scrive la Procura in un decreto di perquisizione del gennaio 2020, “e l’attenuazione delle dichiarazioni accusatorie” nei confronti di Descalzi da parte di Armanna nel “processo Eni-Nigeria è stata determinata da promesse di utilità effettuate da Claudio Granata e Michele Bianco, attraverso Piero Amara: in particolare ad Armanna è stata promessa la riassunzione in Eni e lo ‘sblocco’ di alcuni appalti affidati dal gruppo Eni alla azienda nigeriana Fenog, di cui Armanna era consulente”.

Accuse tutte ancora da verificare, poiché il fascicolo è ancora aperto, ma da un interrogatorio di Amara di nove giorni fa, il 13 ottobre, si scopre quanto denaro sia finito nelle tasche di Armanna e di Amara partendo dalle casse del gruppo Eni. Sono, in totale, 132 milioni e 700 mila euro confluiti in Fenog e Napag tra il gennaio 2015 e il 19 dicembre 2018. Periodo immediatamente successivo a quello dell’accordo che Armanna e Amara sostengono di aver stretto con il numero due dell’Eni Claudio Granata alla fine del 2014. Nel 2019 Armanna e Amara racconteranno alla Procura di Milano dell’accordo. Dal maggio 2019 fino al febbraio 2021 gli incassi di Armanna da Fenog crollano: sono solo 49.850 euro. Dal gennaio 2015 al dicembre 2018, invece, Fenog gli aveva affidato consulenze per ben 6,4 milioni di dollari: circa il 25 per cento di tutte le commesse che Fenog ha ricevuto dal gruppo Eni.

Ipotizziamo che Eni non immaginasse neanche lontanamente che le commesse affidate a Fenog portassero un tale beneficio ad Armanna. Per uno strano scherzo del destino, però, è quello che accade, con le cifre accertate dalla Guardia di finanza nelle sue indagini, e proprio nel periodo indicato da Armanna e Amara come successivo al “patto della Rinascente”. Periodo in cui peraltro Armanna lascia il suo avvocato, Luca Santa Maria, accusandolo, in una mail inviata a un altro legale, di infedele patrocinio. Mail finita poi nelle mani di Federico Grosso, all’epoca legale di Eni, che a sua volta la deposita alla Procura di Milano: “Depositavano nelle mani del procuratore della Repubblica” così si legge negli atti del fascicolo che vede Santa Maria vittima di calunnia e tra gli indagati gli stessi Amara, Armanna e Massimo Mantovani, ex capo dell’ufficio legale dell’Eni, poi allontanato dall’Ente, “una email dal contenuto calunnioso e incolpavano, consapevoli della sua innocenza, l’avvocato Luca Santa Maria di infedele patrocinio nei confronti di Armanna in relazione al mandato difensivo ricevuto nell’ambito del procedimento Eni-Nigeria, nel quale era imputato, con l’intenzione tra l’altro di far cadere le accuse che Armanna aveva formulato nei confronti dei vertici Eni (…) e di creare le condizioni per un procedimento disciplinare nei confronti del pm Fabio De Pasquale”.

Quanto a Napag, è una società che per l’accusa (e già per il pm Rocco Fava di Roma) è riconducibile a Piero Amara. Nel 2018 – anno in cui Amara viene arrestato – Napag Italia Srl e Napag Trading Ltd incassano dal gruppo Eni 92,4 milioni di euro. Non solo. Napag incassa anche da Fenog 800 mila dollari nel 2017. Quando il procuratore di Milano Francesco Greco e il sostituto Stefano Civardi gliene chiedono conto, nove giorni fa, Amara risponde: “Nulla so del conto della Napag e non so perché Armanna vi abbia accreditato 800 mila dollari provenienti dalla Fenog. E preciso che non erano indirizzati a me”. Napag e Amara hanno sempre smentito di avere alcun nesso tra loro ed Eni ha persino licenziato Mantovani, proprio in relazione alle operazioni Napag.

No pass Trieste, annullata la manifestazione. Puzzer: “Non venite, è una trappola”

La manifestazione “no pass” prevista per oggi al porto di Trieste e per cui erano attese fino a 20 mila persone, è stata annullata ieri.

Lo ha deciso il Coordinamento 15 ottobre, che pure aveva chiesto autorizzazione alla Questura: “In nome del senso di responsabilità che ha contraddistinto ogni iniziativa contro il Green pass e l’obbligo vaccinale attuata finora – si legge in un comunicato – il Coordinamento 15 ottobre ha deciso di annullare il corteo e il raduno in programma rispettivamente per venerdì 22 e sabato 23 ottobre a Trieste”. Dietro la decisione, con ogni probabilità, il timore che l’iniziativa potesse venire strumentalizzata e finire per trasformarsi in un boomerang, proprio alla vigilia dell’incontro di domani con il governo. Sul corteo era alta l’allerta sia per l’elevato numero di persone attese, sia per il paventato rischio che la manifestazione potesse essere infiltrata da black bloc o violenti.

“Non venite qui, non voglio mettere a repentaglio la vostra incolumità”. Si è rivolto così, in un video ai seguaci della protesta no Green pass, Stefano Puzzer, uno dei portavoce del Coordinamento 15 ottobre, dopo aver annullato il corteo previsto per domani. “So che questa cosa che vi sto per dire vi farà rimanere male – spiega – però vi chiedo di fidarvi di me: ci sono centinaia e centinaia di persone che vogliono venire qui e rovinare il nostro obiettivo. C’è qualcuno che non vede l’ora di approfittare di questo e dare la colpa al Coordinamento 15 ottobre e bloccare tutte le prossime manifestazioni del coordinamento”.

“Camilla morta per una reazione ad AstraZeneca”

Camilla Canepa “non aveva preso alcun farmaco e non aveva alcuna patologia pregressa”. La sua morte, per trombosi, “è ragionevolmente da riferirsi a un effetto avverso da somministrazione del vaccino anti Covid”. Sono le conclusioni della perizia depositata dai consulenti della Procura di Genova, che indaga sulla morte della studentessa di 18 anni, vittima di una complicazione seguita alla somministrazione del siero AstraZeneca.

I consulenti, il medico legale Luca Tajana e l’ematologo Franco Piovella, “assolvono” anche i medici, il cui operato era oggetto di altri tre quesiti: sia chi ha vaccinato la ragazza, che chi l’ha poi visitata nei successivi ricoveri, il primo al pronto soccorso di Lavagna il secondo all’ospedale San Martino di Genova. L’esclusione di terapie farmacologiche particolari o di malattie pregresse, solleva i vaccinatori da una delle possibili contestazioni: non aver tenuto conto della condizione di salute della giovane o di aver compilato il modulo dell’anamnesi in modo frettoloso. Inoltre, argomenta la perizia, un rapporto di 74 pagine, le conoscenze di quel momento storico sui vaccini e i possibili effetti avversi, non consentono di attribuire alcuna “imperizia” da parte di chi ha effettuato la vaccinazione, che si è svolta dunque “in modo regolare”.

C’è poi il capitolo della diagnosi, potenzialmente tardiva, di uno dei rarissimi casi di reazione avversa al vaccino. Camilla, studentessa di Chiavari che si stava preparando alla maturità, si era sottoposta volontariamente al vaccino, in occasione di un Open Day organizzato dalla Regione Liguria. Era la mattina del 25 maggio. Il 3 giugno la giovane si sente male. Si presenta al pronto soccorso più vicino, nel Comune di Lavagna, con forti mal di testa e fastidio per la luce. Le fanno una Tac, non trovano niente di preoccupante e la rimandano a casa. L’effettuazione di quell’esame, secondo i periti, è sufficiente per escludere responsabilità penali dei medici della struttura, nonostante la cefalea sia uno dei sintomi che possono indicare una trombosi in corso, una delle complicanze, rarissime, del vaccino, soprattutto tra giovani donne. La tesi dei periti solleva i medici da responsabilità anche tenendo in considerazione “i costi-benefici della somministrazione” del siero e le conoscenze che si avevano in quel momento. In altre parole: se ne discuteva ancora poco e non era “intuibile” la “correlazione con il vaccino”.

Il 5 giugno le condizioni di Camilla precipitano. Arriva al San Martino di Genova in condizioni ormai disperate, ha una semi paralisi, una trombosi in corso. Non basta un’operazione d’urgenza a salvarle la vita. La perizia dunque spazza via anche una delle ipotesi che si erano fatte strada nei primi giorni: la concausa di una piastrinopenia genetica, che non risultava dai documenti ufficiali.

Secondo il difensore della famiglia, Angelo Paone, l’esclusione di profili penalmente rilevanti non chiude la porta a responsabilità “se non penali almeno civili. La Tac che le è stata fatta era senza contrasto – premette –. Inoltre, già durante le prime dimissioni il livello delle piastrine era in calo. Inoltre, se è ragionevole il discorso sui costi-benefici, va detto che in quel momento Astra Zeneca era consigliato per età superiori ai 60 anni. E queste non sono opinioni, ma fatti”.

Mortalità su pure nel 2021: la pandemia non è finita

È da poco passata un’estate che, nonostante il progredire della campagna vaccinale, è stata – a prima vista paradossalmente – più complicata dell’illusoria estate Covid free del 2020. I motivi (assenza del lockdown, variante Delta estremamente più aggressiva e contagiosa, campagna vaccinale in corso dunque incompleta) sono noti e tutt’altro che paradossali, ma a ricordarci che la pandemia non è finita ci ha pensato anche l’Istat, che ha diffuso ieri i dati sulla mortalità in Italia aggiornati ad agosto 2021: l’eccesso di mortalità tra gennaio e agosto 2021 rispetto alla media 2015-2019 è stata di 33.856 decessi, pari al 7,7% in più. Un dato inferiore a quello del 2020, quando l’eccesso toccò quota 45.708 morti e un +10,4% rispetto alla media, ancora drammaticamente alto ma purtroppo non sorprendente. E anche per il mese di settembre, concluso da poco, la stima dovrebbe vedere, rispetto a settembre di un anno fa, 2.961 decessi in più.

“Va detto – commenta il professor Paolo Spada dell’Irccs Humanitas di Milano – che negli ultimi mesi l’eccesso di mortalità sembra azzerato. Dopodiché il dato non sorprende, veniamo da una primavera assai infausta. Il nostro obiettivo deve essere l’azzeramento di questo eccesso, soprattutto nelle fasce di età più anziane, dove si misura veramente l’impatto della pandemia. Ma non illudiamoci – prosegue – di azzerare la circolazione del virus. Almeno non a breve”.

Parole che ci proiettano in un’ottica autunno-inverno che l’anno scorso si rivelò da incubo. Le curve epidemiologiche (dopo una prevalenza estiva del 2021 sul 2020) si sono invertite: il 9 ottobre i contagi 2020 (2.999) sono tornati a superare quelli 2021 (2.793); l’11 è stata la volta dei ricoveri in terapia intensiva, il 17 quella dei decessi (45 contro 35). Il confronto poi tra il 21 ottobre 2020 e 21 ottobre 2021, per quanto i dati giornalieri siano troppo soggetti a fluttuazioni per essere il miglior metro, danno comunque l’idea: dodici mesi fa contavamo 15.999 nuovi casi con un tasso di positività del 9% e 127 morti; ieri 3.794 contagi, 0,8% di tasso di positività e ancora, purtroppo, 36 morti.

“Il confronto in tempo reale – prosegue Spada – è eloquente, sia per quanto riguarda il confronto diretto, che è meno attendibile, sia sulle curve ‘morbide’, che calcolano l’incidenza e non confrontano semplicemente i numeri. E i numeri non sono comparabili, anche se negli ultimi giorni c’è stato un aumento dei casi, probabilmente dovuto all’impennata dei test. In ogni caso – puntualizza – ci aspettiamo un rialzo, la stagionalità incide nonostante il fenomeno opposto dell’immunizzazione di massa che ha cominciato a farsi sentire in maniera decisiva a partire da una certa percentuale. Scordiamoci però l’immunità di gregge nel senso di azzeramento della trasmissione, la copertura vaccinale è lontana dal 100% e il virus ha molti serbatoi naturali per cui non sparisce”.

La pandemia non è finita e il virus, se anche dovesse fare meno danni, non ci abbandonerà tanto facilmente. Tutto sta a non ripetere gli errori fatti in passato, perché i vaccini proteggono, ma serve anche altro: “È interessante – commenta il fisico Giorgio Sestili a proposito dei dati Istat sull’eccesso di mortalità nel 2021 – osservare i dati disaggregati per fasce di età e per regione. Per quanto riguarda l’età, sia nel 2020 che nel 2021 l’eccesso di mortalità comincia a vedersi solo a partire dai 30 anni in su per poi diventare più marcata sopra i 40, a conferma dell’assoluta necessità di vaccinare il 100% della popolazione adulta. A livello regionale, invece, la differenza tra Nord e Sud è clamorosa. Nel Mezzogiorno l’eccesso nel 2020 praticamente non esiste, nel 2021 è evidente. A Nord c’è un incremento spaventoso nel 2020 e un incremento moderato nel 2021. C’è un pezzo d’Italia – prosegue – che ha avuto un anno per prepararsi, ma non è stato in grado di farlo. Il motivo dell’eccesso di mortalità, è ovvio, è conseguenza del Covid, ma ancor di più lo sono gli errori fatti nello scorso inverno, quando abbiamo permesso una ripartenza incontrollata del virus dopo l’illusione dell’estate Covid free. Questa è stata la grande differenza di gestione tra Occidente e Oriente, dove si è ricorso a chiusure e confinamenti in maniera molto più frequente e drastica. E non parlo solo della Cina”.

L’esperienza degli altri Paesi, appunto. Si parla molto in questi giorni della nuova impennata di contagi e (seppur in maniera minore) di decessi nel Regno Unito. I motivi sono principalmente due: la frenata delle vaccinazioni (oggi la Gran Bretagna non è più tra i Paesi più virtuosi come nei primi mesi dell’anno) e la totale assenza di misure di distanziamento e prevenzione ormai da mesi: “Alcuni Paesi – commenta ancora il professor Spada – hanno deciso di optare per un’ottica di convivenza, sono diciamo un po’ più ‘sportivi’. In Italia ragioniamo ancora secondo coordinate emergenziali, ma faccio fatica, e penso faccia fatica anche il governo, a pensare che questo possa durare ancora molto. La nostra gradualità però è ancora ragionevole”.

“Quanto sta accadendo in Gran Bretagna, ma anche in Belgio – è il pensiero del virologo Fabrizio Pregliasco, direttore sanitario dell’Irccs Galeazzi di Milano – induce a temere che un colpo di coda sia assai probabile. Il rischio c’è: quanto grave, a prescindere dai vaccini fatti o ancora da fare e dalle terze dosi, dipenderà da noi. Non è ancora il momento di lasciare da parte le norme di buon senso o di nuovo galateo di questi due anni. Capisco la voglia di lasciarci alle spalle la pandemia, ma non è ancora finita. Tanto più che non possiamo escludere la comparsa di nuove varianti. Per ora – conclude – la Delta plus non preoccupa, ma nulla garantisce che in futuro non ne spunti una più carogna”.

Al via il congresso di Rifondazione

Si apreoggi a Chianciano Terme, in provincia di Siena, l’XI congresso nazionale di Rifondazione Comunista. Dopo la cerimonia di apertura del segretario nazionale, Maurizio Acerbo, a cui seguiranno i messaggi inviati dai registi Ken Loach e Citto Maselli, ci saranno gli interventi dei molti ospiti provenienti dalla sinistra italiana ma anche internazionale. Parleranno, fra gli altri, gli ex sindaci Mimmo Lucano e Luigi de Magistris, l’economista Marta Fana, il presidente dell’Anpi, Gianfranco Pagliarulo, i parlamentari del gruppo “La sinistra” Marc Boteng (PTB Belgio) e Idoia Villanueva (Podemos); sarà presente anche Raphael Correa, l’ex presidente dell’Ecuador che diede asilo a Julian Assange.

“I miei contatti con politici e ministri”

“Venivo chiamato da tutti (…) Ma lei pensa che conoscevo solo la Boda?”. E ancora: “I miei pazienti erano tutti figli di ministri, figli di politici (…) 700 pazienti”. La rete di conoscenze ed entrature di Federico Bianchi di Castelbianco emerge dalle risposte al giudice per le indagini preliminari durante l’interrogatorio del 13 settembre. L’imprenditore e psicologo, titolare dell’Istituto di Ortofonologia ed editore dell’agenzia di stampa Dire, è indagato a Roma per corruzione in concorso, fra gli altri, con Giovanna Boda, ex capo del Dipartimento per le risorse umane, finanziarie e strumentali del Miur. Per i pm, Boda avrebbe “ricevuto indebitamente da Bianchi di Castelbianco (…) la dazione e la promessa delle somme di denaro e utilità per un totale finora accertato” di circa 548 mila euro. Soldi in parte passati per la carta ricaricabile in uso a Valentina Franco – anche lei indagata –, per i pm formalmente dipendente di Bianchi, ma di fatto segretaria di Giovanna Boda, in parte utilizzati per pagare le utenze dell’abitazione in uso ai genitori della manager. “Io ho una certa disponibilità economica (…) ne aiuto tanti (…) significa che del denaro io c’ho sempre fatto poco interesse, me ne fregava poco”, si è giustificato Bianchi col giudice.

I pubblici ministeri contestano a Bianchi anche di aver ricevuto da Boda “via email la bozza del bando per il finanziamento di progetti scolastici” e “il compito di ripartire i finanziamenti alle scuole”. L’imprenditore ha spiegato che “io venivo chiamato anche dalle altre persone, dagli altri dirigenti del Ministero, che mi chiedevano ‘che facciamo per questa cosa?’”. Alla replica del pm: “Da quali altri dirigenti?”, la risposta: “Da tutti”. Poi la contestazione del Gip: “Lei non può decidere con la Boda quanto va dato al settore pedagogico, infantile, di recupero, e quanto va dato al resto, si rende conto che è un portatore di interessi che contrasta con quello pubblico?”.

Bianchi dice di essere molto stimato ai piani alti degli uffici che affacciano su viale Trastevere. “Qualche ministro – prosegue l’imprenditore – che mi ha chiamato e dice dobbiamo fare una campagna ai giovani (…) ma con chi la fanno, con Il Giornale, e il Messaggero? Con il Tg della Rai? No, ai giovani ci arrivo solo io (…) neanche l’Ansa lo fa”. In generale, spiega che l’inchiesta l’ha penalizzato anche come psicoterapeuta. “I miei pazienti erano tutti figli di ministri, figli di politici… ma lei s’immagina un giudice che mi porta il figlio, ma che cosa vuole che gli racconto?”.

Il 15 aprile, dopo la fuga di notizie sulla prima perquisizione, Boda ha tentato il suicidio. Bianchi rivela: “Era stata candidata a diventare ministro dell’Istruzione al posto dell’ultimo ministro (l’attuale Patrizio Bianchi, ndr) stava male perché tutti la pigiavano” e “io dicevo vattene, stai un anno fuori, io ti aiuto in tutti i modi”. Verso Boda, Bianchi ha detto di nutrire “amicizia e affetto”, per lei era “un amico confidente”. E ha raccontato al giudice quando le sponsorizzò, di fatto, una ditta che avrebbe potuto sostituire il condizionatore rotto nel suo ufficio al Miur: “Io ti garantisco che ti pagheranno, sennò ti pago io, ma vedrai che ti pagano”, avrebbe assicurato al suo amico manutentore.